II-II, 73

Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La maldicenza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 73
Prooemium

[42124] IIª-IIae q. 73 pr.
Deinde considerandum est de detractione. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, quid sit detractio.
Secundo, utrum sit peccatum mortale.
Tertio, de comparatione eius ad alia peccata.
Quarto, utrum peccet aliquis audiendo detractionem.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 73
Proemio

[42124] IIª-IIae q. 73 pr.
Veniamo così a parlare della detrazione, o maldicenza.
Su questo tema tratteremo quattro argomenti:

1. Che cosa sia la maldicenza;
2. Se sia peccato mortale;
3. Il confronto di essa con gli altri peccati;
4. Se si pecchi ascoltando la maldicenza.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La maldicenza > Se la detrazione sia "una denigrazione della fama altrui con parole dette di nascosto"


Secunda pars secundae partis
Quaestio 73
Articulus 1

[42125] IIª-IIae q. 73 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod detractio non sit denigratio alienae famae per occulta verba, ut a quibusdam definitur. Occultum enim et manifestum sunt circumstantiae non constituentes speciem peccati, accidit enim peccato quod a multis sciatur vel a paucis. Sed illud quod non constituit speciem peccati non pertinet ad rationem ipsius, nec debet poni in eius definitione. Ergo ad rationem detractionis non pertinet quod fiat per occulta verba.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 73
Articolo 1

[42125] IIª-IIae q. 73 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la detrazione non sia, come alcuni la definiscono, "una denigrazione della fama altrui con parole dette di nascosto". Infatti:
1. Apertamente e di nascosto son circostanze che nel peccato non costituiscono una specie: per un peccato infatti è indifferente che sia conosciuto da molti, o da pochi. Ora, ciò che non costituisce la specie di un peccato non rientra nella sua essenza, e non deve entrare nella sua definizione. Dunque non è essenziale alla detrazione, o maldicenza, che sia fatta di nascosto.

[42126] IIª-IIae q. 73 a. 1 arg. 2
Praeterea, ad rationem famae pertinet publica notitia. Si igitur per detractionem denigretur fama alicuius, non poterit hoc fieri per verba occulta, sed per verba in manifesto dicta.

 

[42126] IIª-IIae q. 73 a. 1 arg. 2
2. La fama si concepisce come notorietà pubblica. Perciò per denigrare la fama di una persona, non bastano le parole dette di nascosto, ma ci vogliono le parole dette pubblicamente.

[42127] IIª-IIae q. 73 a. 1 arg. 3
Praeterea, ille detrahit qui aliquid subtrahit vel diminuit de eo quod est. Sed quandoque denigratur fama alicuius etiam si nihil subtrahatur de veritate, puta cum aliquis vera crimina alicuius pandit. Ergo non omnis denigratio famae est detractio.

 

[42127] IIª-IIae q. 73 a. 1 arg. 3
3. Detrae chi toglie qualcosa di ciò che si è. Ma spesso si denigra la fama del prossimo anche senza togliere nulla alla verità: quando uno, p. es., rivela le colpe vere di un altro. Dunque non ogni denigrazione della fama è una detrazione.

[42128] IIª-IIae q. 73 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur Eccle. X, si mordeat serpens in silentio, nihil eo minus habet qui occulte detrahit. Ergo occulte mordere famam alicuius est detrahere.

 

[42128] IIª-IIae q. 73 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Se il serpe morde in silenzio, non è da meno di esso chi sparla in segreto". Dunque la detrazione consiste nel mordere di nascosto la fama di una persona.

[42129] IIª-IIae q. 73 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod sicut facto aliquis alteri nocet dupliciter, manifeste quidem sicut in rapina vel quacumque violentia illata, occulte autem sicut in furto et dolosa percussione; ita etiam verbo aliquis dupliciter aliquem laedit, uno modo, in manifesto, et hoc fit per contumeliam, ut supra dictum est; alio modo, occulte, et hoc fit per detractionem. Ex hoc autem quod aliquis manifeste verba contra alium profert, videtur eum parvipendere, unde ex hoc ipso exhonoratur, et ideo contumelia detrimentum affert honori eius in quem profertur. Sed qui verba contra aliquem profert in occulto, videtur eum vereri magis quam parvipendere, unde non directe infert detrimentum honori, sed famae; inquantum, huiusmodi verba occulte proferens, quantum in ipso est, eos qui audiunt facit malam opinionem habere de eo contra quem loquitur. Hoc enim intendere videtur, et ad hoc conatur detrahens, ut eius verbis credatur. Unde patet quod detractio differt a contumelia dupliciter. Uno modo, quantum ad modum proponendi verba, quia scilicet contumeliosus manifeste contra aliquem loquitur, detractor autem occulte. Alio modo, quantum ad finem intentum, sive quantum ad nocumentum illatum, quia scilicet contumeliosus derogat honori, detractor famae.

 

[42129] IIª-IIae q. 73 a. 1 co.
RISPONDO: Come ci sono due modi di danneggiare il prossimo con le azioni, e cioè apertamente, come nella rapina e in qualsiasi violenza, e in maniera occulta, come nel furto e nei colpi a tradimento; così ci sono due modi di danneggiare il prossimo con le parole. Primo, apertamente con la contumelia, di cui abbiamo già parlato; secondo, di nascosto con la maldicenza, o detrazione. Ora, per il fatto che uno parla apertamente contro una persona mostra di disprezzarla, e quindi la disonora: perciò la contumelia compromette l'onore di chi ne è l'oggetto. Chi invece parla di nascosto contro qualcuno, mostra di temerlo non già di disprezzarlo: perciò direttamente non ne compromette l'onore, ma la fama. Poiché nel proferire di nascosto codeste parole, per quanto dipende da lui, spinge chi l'ascolta a formarsi una cattiva opinione dell'interessato. Infatti chi fa della maldicenza sembra mirare a questo, a far credere le proprie affermazioni.
Perciò è evidente che la detrazione differisce dalla contumelia per due motivi. Primo, per il modo in cui son presentate le parole: poiché chi insulta parla apertamente contro una persona, il maldicente invece parla di nascosto. Secondo, per il fine desiderato, cioè per il danno che s'intende arrecare: l'ingiurioso, cioè, colpisce l'onore, il maldicente la fama.

[42130] IIª-IIae q. 73 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in involuntariis commutationibus, ad quas reducuntur omnia nocumenta proximo illata verbo vel facto, diversificat rationem peccati occultum et manifestum, quia alia est ratio involuntarii per violentiam, et per ignorantiam, ut supra dictum est.

 

[42130] IIª-IIae q. 73 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nelle commutazioni involontarie, alle quali si riducono tutti i danni arrecati al prossimo con le parole o con i fatti, le circostanze indicate diversificano la natura del peccato: poiché, come sopra abbiamo visto, l'involontario per violenza è diverso dall'involontario per ignoranza.

[42131] IIª-IIae q. 73 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod verba detractionis dicuntur occulta non simpliciter, sed per comparationem ad eum de quo dicuntur, quia eo absente et ignorante, dicuntur. Sed contumeliosus in faciem contra hominem loquitur. Unde si aliquis de alio male loquatur coram multis, eo absente, detractio est, si autem eo solo praesente, contumelia est. Quamvis etiam si uni soli aliquis de absente malum dicat, corrumpit famam eius, non in toto, sed in parte.

 

[42131] IIª-IIae q. 73 a. 1 ad 2
2. Le parole di detrazione si dicono occulte non in senso assoluto, ma in rapporto all'interessato: poiché son pronunziate a sua insaputa e in sua assenza. Invece chi insulta parla in faccia all'interessato. Perciò si ha una detrazione anche se uno, nell'assenza dell'interessato, ne parla male dinanzi a molta gente: e si ha una contumelia se parla così, sia pure davanti lui solo. Tuttavia, anche dicendo male di una persona assente davanti a una sola persona, uno ne compromette la fama, non in tutto, ma in parte.

[42132] IIª-IIae q. 73 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod aliquis dicitur detrahere non quia diminuat de veritate, sed quia diminuit famam eius. Quod quidem quandoque fit directe, quandoque indirecte. Directe quidem, quadrupliciter, uno modo, quando falsum imponit alteri; secundo, quando peccatum adauget suis verbis; tertio, quando occultum revelat; quarto, quando id quod est bonum dicit mala intentione factum. Indirecte autem, vel negando bonum alterius; vel malitiose reticendo.

 

[42132] IIª-IIae q. 73 a. 1 ad 3
3. Si dice che uno detrae, non perché decurta la verità, ma perché sminuisce la fama di una persona. E questo a volte si fa direttamente, e a volte indirettamente. Direttamente si può fare in quattro maniere: primo, attribuendo al prossimo cose false; secondo, esagerandone la colpa; terzo, rivelandone i segreti; quarto, asserendo che il bene che compie viene fatto con cattiva intenzione. Inoltre si può fare della detrazione indiretta, o negando il bene altrui, o astenendosi dal parlarne.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La maldicenza > Se la detrazione sia peccato mortale


Secunda pars secundae partis
Quaestio 73
Articulus 2

[42133] IIª-IIae q. 73 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod detractio non sit peccatum mortale. Nullus enim actus virtutis est peccatum mortale. Sed revelare peccatum occultum, quod, sicut dictum est, ad detractionem pertinet, est actus virtutis, vel caritatis, dum aliquis fratris peccatum denuntiat eius emendationem intendens; vel etiam est actus iustitiae, dum aliquis fratrem accusat. Ergo detractio non est peccatum mortale.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 73
Articolo 2

[42133] IIª-IIae q. 73 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la detrazione non sia peccato mortale. Infatti:
1. Nessun atto di virtù è peccato mortale. Ma svelare un peccato occulto, che costituisce, come si è detto, la detrazione, è un atto di virtù: e cioè della carità, quando uno denunzia la colpa di un fratello per emendarlo; oppure di giustizia, quando uno lo accusa in tribunale. Dunque la detrazione non è un peccato mortale.

[42134] IIª-IIae q. 73 a. 2 arg. 2
Praeterea, super illud Prov. XXIV, cum detractoribus non commiscearis, dicit Glossa, hoc specialiter vitio periclitatur totum genus humanum. Sed nullum peccatum mortale in toto humano genere invenitur, quia multi abstinent a peccato mortali, peccata autem venialia sunt quae in omnibus inveniuntur. Ergo detractio est peccatum veniale.

 

[42134] IIª-IIae q. 73 a. 2 arg. 2
2. A proposito di quel detto dei Proverbi, "Non t'immischiare coi detrattori", la Glossa spiega: "È questo un peccato in cui cade tutto il genere umano". Ora, nessun peccato mortale si riscontra in tutto il genere umano: perché molti si astengono dal peccato mortale; ma sono piuttosto i peccati veniali che si riscontrano in tutti. Perciò la detrazione è peccato veniale.

[42135] IIª-IIae q. 73 a. 2 arg. 3
Praeterea, Augustinus, in homilia de igne Purg., inter peccata minuta ponit, quando cum omni facilitate vel temeritate maledicimus, quod pertinet ad detractionem. Ergo detractio est peccatum veniale.

 

[42135] IIª-IIae q. 73 a. 2 arg. 3
3. Tra i "peccati minuti" S. Agostino mette "il fatto di dir male con grande facilità e temerità", il che rientra nella detrazione. Quindi la detrazione è peccato veniale.

[42136] IIª-IIae q. 73 a. 2 s. c.
Sed contra est quod Rom. I dicitur, detractores, Deo odibiles, quod ideo additur, ut dicit Glossa, ne leve putetur propter hoc quod consistit in verbis.

 

[42136] IIª-IIae q. 73 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Paolo scrive: "Maldicenti, in odio a Dio"; aggiunta questa che, a detta della Glossa, è fatta "affinché questo peccato non si consideri leggero perché si riduce a delle parole".

[42137] IIª-IIae q. 73 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, peccata verborum maxime sunt ex intentione dicentis diiudicanda. Detractio autem, secundum suam rationem, ordinatur ad denigrandam famam alicuius. Unde ille, per se loquendo, detrahit qui ad hoc de aliquo obloquitur, eo absente, ut eius famam denigret. Auferre autem alicui famam valde grave est, quia inter res temporales videtur fama esse pretiosior, per cuius defectum homo impeditur a multis bene agendis. Propter quod dicitur Eccli. XLI, curam habe de bono nomine, hoc enim magis permanebit tibi quam mille thesauri magni et pretiosi. Et ideo detractio, per se loquendo, est peccatum mortale. Contingit tamen quandoque quod aliquis dicit aliqua verba per quae diminuitur fama alicuius, non hoc intendens, sed aliquid aliud hoc autem non est detrahere per se et formaliter loquendo, sed solum materialiter et quasi per accidens. Et si quidem verba per quae fama alterius diminuitur proferat aliquis propter aliquod bonum vel necessarium, debitis circumstantiis observatis, non est peccatum, nec potest dici detractio. Si autem proferat ex animi levitate, vel propter aliquid non necessarium, non est peccatum mortale, nisi forte verbum quod dicitur sit adeo grave quod notabiliter famam alicuius laedat, et praecipue in his quae pertinent ad honestatem vitae; quia hoc ex ipso genere verborum habet rationem peccati mortalis. Et tenetur aliquis ad restitutionem famae, sicut ad restitutionem cuiuslibet rei subtractae, eo modo quo supra dictum est, cum de restitutione ageretur.

 

[42137] IIª-IIae q. 73 a. 2 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, specialmente i peccati di lingua si devono giudicare dalle intenzioni. Ora, la detrazione, o maldicenza, è ordinata a denigrare la fama del prossimo. Perciò propriamente fa della maldicenza chi parla di una persona in sua assenza, per denigrarne la fama. Ma togliere la fama a un uomo è cosa assai grave: poiché tra tutti i beni temporali la fama è quello più prezioso, e per la sua perdita un uomo viene impedito dal compiere molte cose buone. Ecco perché nell'Ecclesiastico si legge: "Abbi cura del buon nome; perché più ti resterà che mille preziosi e grandi tesori". Perciò la maldicenza di suo è peccato mortale.
Tuttavia capita talora che uno dica delle parole che intaccano la fama del prossimo, senza volerlo, ma per altri motivi. E questo, propriamente e formalmente parlando, non è una detrazione, ma lo è solo materialmente e come per accidens. Anzi, se uno proferisce parole lesive della fama altrui per un fine buono, o necessario, rispettando le debite circostanze, non è affatto peccato: e non si può parlare di maldicenza. - Se invece uno dice codeste cose per leggerezza d'animo, o per motivi non necessari, il suo peccato non è mortale; a meno che le parole dette non siano così gravi da menomare notevolmente la fama di una persona, in modo particolare su cose che riguardano l'onestà della vita; poiché questo fatto per l'intrinseca gravità delle parole ha natura di peccato mortale.
E allora uno è tenuto alla restituzione della fama, come è tenuto a restituire qualsiasi cosa rubata: cioè nel modo che abbiamo spiegato sopra parlando della restituzione.

[42138] IIª-IIae q. 73 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod revelare peccatum occultum alicuius propter eius emendationem denuntiando, vel propter bonum publicae iustitiae accusando, non est detrahere, ut dictum est.

 

[42138] IIª-IIae q. 73 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Svelare i peccati occulti di una persona, denunziandoli per sua emenda, o per il pubblico bene, non è fare della maldicenza, come abbiamo spiegato.

[42139] IIª-IIae q. 73 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod Glossa illa non dicit quod detractio in toto genere humano inveniatur, sed addit, paene. Tum quia stultorum infinitus est numerus, et pauci sunt qui ambulant per viam salutis. Tum etiam quia pauci vel nulli sunt qui non aliquando ex animi levitate aliquid dicunt unde in aliquo, vel leviter, alterius fama minoratur, quia, ut dicitur Iac. III, si quis in verbo non offendit, hic perfectus est vir.

 

[42139] IIª-IIae q. 73 a. 2 ad 2
2. In quel testo della Glossa non si dice che la detrazione è in tutto il genere umano, ma c'è l'aggiunta di un quasi. E questo, sia perché "degli stolti il numero è infinito", e pochi son quelli che camminano per la via della salvezza; sia perché son pochi o punti coloro che per lo meno lievemente e per leggerezza in certi casi non dicano delle cose che compromettono la fama di qualcuno: ché, a detta di S. Giacomo, "se uno non manca nel parlare, è un uomo perfetto".

[42140] IIª-IIae q. 73 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod Augustinus loquitur in casu illo quo aliquis dicit aliquod leve malum de alio non ex intentione nocendi, sed ex animi levitate vel ex lapsu linguae.

 

[42140] IIª-IIae q. 73 a. 2 ad 3
3. S. Agostino parla del caso in cui uno dice male di altri non con l'intenzione di nuocere, ma per leggerezza d'animo, o per un trascorso di lingua.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La maldicenza > Se la detrazione sia il più grave dei peccati contro il prossimo


Secunda pars secundae partis
Quaestio 73
Articulus 3

[42141] IIª-IIae q. 73 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod detractio sit gravius omnibus peccatis quae in proximum committuntur. Quia super illud Psalm., pro eo ut me diligerent, detrahebant mihi, dicit Glossa, plus nocent in membris detrahentes Christo, quia animas crediturorum interficiunt, quam qui eius carnem, mox resurrecturam, peremerunt. Ex quo videtur quod detractio sit gravius peccatum quam homicidium, quanto gravius est occidere animam quam occidere corpus. Sed homicidium est gravius inter cetera peccata quae in proximum committuntur. Ergo detractio est simpliciter inter omnia gravior.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 73
Articolo 3

[42141] IIª-IIae q. 73 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la detrazione sia il più grave di tutti i peccati contro il prossimo. Infatti:
1. La Glossa spiegando quel detto del Salmo, "In contraccambio dell'amor mio, sparlano di me", afferma: "Danneggia più Cristo nelle sue membra chi sparla contro di lui, perché uccide le anime ordinate a credere in lui, che coloro i quali ne uccisero il corpo ordinato a risorgere". Dal che si deduce che la detrazione è un peccato più grave dell'omicidio, in quanto uccidere l'anima è più grave che uccidere il corpo. Ma l'omicidio è il più grave dei peccati contro il prossimo. Dunque la detrazione è assolutamente il più grave di tutti codesti peccati.

[42142] IIª-IIae q. 73 a. 3 arg. 2
Praeterea, detractio videtur esse gravius peccatum quam contumelia quia contumeliam potest homo repellere, non autem detractionem latentem. Sed contumelia videtur esse maius peccatum quam adulterium, per hoc quod adulterium unit duos in unam carnem, contumelia autem unitos in multa dividit. Ergo detractio est maius peccatum quam adulterium, quod tamen, inter alia peccata quae sunt in proximum, magnam gravitatem habet.

 

[42142] IIª-IIae q. 73 a. 3 arg. 2
2. La detrazione è un peccato più grave della contumelia, o insulto: perché all'insulto uno può reagire, non così alla detrazione che è fatta di nascosto. D'altra parte l'insulto sembra un peccato più grave dell'adulterio: poiché l'adulterio unisce due corpi in una sola carne, mentre l'insulto divide in molte fazioni persone congiunte. Quindi la detrazione è un peccato più grave dell'adulterio; che pure tra i peccati contro il prossimo è della massima gravità.

[42143] IIª-IIae q. 73 a. 3 arg. 3
Praeterea, contumelia oritur ex ira, detractio autem ex invidia, ut patet per Gregorium, XXXI Moral. Sed invidia est maius peccatum quam ira. Ergo et detractio est maius peccatum quam contumelia. Et sic idem quod prius.

 

[42143] IIª-IIae q. 73 a. 3 arg. 3
3. Come spiega S. Gregorio l'insulto nasce dall'ira, la detrazione invece dall'invidia. Ma l'invidia è un peccato più grave dell'ira. Dunque la detrazione è un peccato più grave dell'insulto. Siamo così alla stessa conclusione di prima.

[42144] IIª-IIae q. 73 a. 3 arg. 4
Praeterea, tanto aliquod peccatum est gravius quanto graviorem defectum inducit. Sed detractio inducit gravissimum defectum, scilicet excaecationem mentis, dicit enim Gregorius, quid aliud detrahentes faciunt nisi quod in pulverem sufflant et in oculos suos terram excitant, ut unde plus detractionis perflant, inde minus veritatis videant? Ergo detractio est gravissimum peccatum inter ea quae committuntur in proximum.

 

[42144] IIª-IIae q. 73 a. 3 arg. 4
4. Un peccato è tanto più grave quanto maggiore è il difetto che provoca. Ora, la detrazione provoca il difetto più grave, cioè l'accecamento spirituale. S. Gregorio infatti scrive: "Che altro fanno i detrattori, se non sollevare la polvere, e gettare terra sui propri occhi; cosicché più insistono nella detrazione, meno vedono la verità?". Perciò la detrazione è il più grave dei peccati che si commettono contro il prossimo.

[42145] IIª-IIae q. 73 a. 3 s. c.
Sed contra, gravius est peccare facto quam verbo. Sed detractio est peccatum verbi, adulterium autem et homicidium et furtum sunt peccata in factis. Ergo detractio non est gravius ceteris peccatis quae sunt in proximum.

 

[42145] IIª-IIae q. 73 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: È più grave peccare con le opere che con le parole. Ma la detrazione è un peccato di parole: mentre adulterio, omicidio e furto son peccati di opere. Dunque la detrazione non è più grave degli altri peccati relativi al prossimo.

[42146] IIª-IIae q. 73 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod peccata quae committuntur in proximum sunt pensanda per se quidem secundum nocumenta quae proximo inferuntur, quia ex hoc habent rationem culpae. Tanto autem est maius nocumentum quanto maius bonum demitur. Cum autem sit triplex bonum hominis, scilicet bonum animae et bonum corporis et bonum exteriorum rerum, bonum animae, quod est maximum, non potest alicui ab alio tolli nisi occasionaliter, puta per malam persuasionem, quae necessitatem non infert, sed alia duo bona, scilicet corporis et exteriorum rerum, possunt ab alio violenter auferri. Sed quia bonum corporis praeeminet bono exteriorum rerum, graviora sunt peccata quibus infertur nocumentum corpori quam ea quibus infertur nocumentum exterioribus rebus. Unde inter cetera peccata quae sunt in proximum, homicidium gravius est, per quod tollitur vita proximi iam actu existens, consequenter autem adulterium, quod est contra debitum ordinem generationis humanae, per quam est introitus ad vitam. Consequenter autem sunt exteriora bona. Inter quae, fama praeeminet divitiis, eo quod propinquior est spiritualibus bonis, unde dicitur Prov. XXII, melius est nomen bonum quam divitiae multae. Et ideo detractio, secundum suum genus, est maius peccatum quam furtum, minus tamen quam homicidium vel adulterium. Potest tamen esse alius ordo propter circumstantias aggravantes vel diminuentes. Per accidens autem gravitas peccati attenditur ex parte peccantis, qui gravius peccat si ex deliberatione peccet quam si peccet ex infirmitate vel incautela. Et secundum hoc peccata locutionis habent aliquam levitatem, inquantum de facili ex lapsu linguae proveniunt, absque magna praemeditatione.

 

[42146] IIª-IIae q. 73 a. 3 co.
RISPONDO: I peccati che si commettono contro il prossimo di suo vanno giudicati in rapporto al danno che arrecano: perché è questo che dà loro natura di colpa. E tanto è più grave il danno, quanto più importante è il bene che vien tolto. Ora, il bene di un uomo è di tre generi: il bene dell'anima, il bene del corpo, e i beni esterni. Ma il bene dell'anima, che è quello più alto, non può essere tolto da altri se non indirettamente: p. es., mediante cattivi suggerimenti, che però non influiscono in modo necessario. Invece gli altri due generi di beni, cioè quelli del corpo e i beni esterni, possono essere rapiti da altri con la violenza. E poiché i beni del corpo son superiori ai beni esterni, i peccati che danneggiano il corpo sono più gravi di quelli che compromettono i beni esterni. Perciò tra tutti i peccati relativi al prossimo il più grave è l'omicidio, che toglie la vita già in atto; ad esso segue l'adulterio, che sovverte l'ordine della generazione umana, da cui si giunge alla vita. Seguono poi i beni esterni. Tra questi la reputazione, o fama, è superiore alle ricchezze, essendo più vicina ai beni spirituali. Ecco perché sta scritto nei Proverbi: "Vale di più il buon nome che le grandi ricchezze". Perciò la detrazione, per il suo genere, è un peccato più grave del furto; è però meno grave dell'omicidio e dell'adulterio. - L'ordine però può essere invertito per le circostanze aggravanti, o attenuanti.
Tuttavia la gravità del peccato dipende accidentalmente anche dal soggetto; il quale pecca più gravemente, se compie l'atto con premeditazione, che se lo compie per fragilità o per sbadataggine. E sotto quest'aspetto i peccati di lingua hanno maggiori attenuanti: poiché provengono facilmente da un'intemperanza di linguaggio, senza grande premeditazione.

[42147] IIª-IIae q. 73 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod illi qui detrahunt Christo impedientes fidem membrorum ipsius, derogant divinitati eius, cui fides innititur. Unde non est simplex detractio, sed blasphemia.

 

[42147] IIª-IIae q. 73 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Coloro che sparlano di Cristo, per impedire la fede delle sue membra, offendono la sua divinità su cui tale fede è basata. Perciò non si tratta di semplice detrazione, ma di bestemmia.

[42148] IIª-IIae q. 73 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod gravius peccatum est contumelia quam detractio, inquantum habet maiorem contemptum proximi, sicut et rapina est gravius peccatum quam furtum, ut supra dictum est. Contumelia tamen non est gravius peccatum quam adulterium, non enim gravitas adulterii pensatur ex coniunctione corporum, sed ex deordinatione generationis humanae. Contumeliosus autem non sufficienter causat inimicitiam in alio, sed occasionaliter tantum dividit unitos, inquantum scilicet per hoc quod mala alterius promit, alios, quantum in se est, ab eius amicitia separat, licet ad hoc per eius verba non cogantur. Sic etiam et detractor occasionaliter est homicida, inquantum scilicet per sua verba dat alteri occasionem ut proximum odiat vel contemnat. Propter quod in epistola Clementis dicitur detractores esse homicidas, scilicet occasionaliter, quia qui odit fratrem suum, homicida est, ut dicitur I Ioan. III.

 

[42148] IIª-IIae q. 73 a. 3 ad 2
2. L'insulto è più grave della detrazione, perché implica un disprezzo più grave del prossimo: come la rapina, stando alle spiegazioni date sopra, è più grave del furto. Però l'insulto non è più grave dell'adulterio: poiché la gravità dell'adulterio non va giudicata dall'unione dei corpi, ma dal sovvertimento della generazione umana. Del resto chi insulta non produce necessariamente l'inimicizia, ma solo può dare occasione alla divisione degli animi: in quanto di suo distoglie altri dall'amicizia di una persona, sebbene non li costringa a farlo. E così anche chi fa della maldicenza in maniera occasionale è un omicida: perché con le sue parole dà a un altro l'occasione di odiare e di disprezzare il prossimo. Ecco in che senso nella lettera di S. Clemente si legge che "i detrattori sono omicidi": poiché, come si esprime S. Giovanni, "chi odia il proprio fratello è un omicida".

[42149] IIª-IIae q. 73 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod quia ira quaerit in manifesto vindictam inferre, ut philosophus dicit, in II Rhet., ideo detractio, quae est in occulto, non est filia irae, sicut contumelia; sed magis invidiae, quae nititur qualitercumque minuere gloriam proximi. Nec tamen sequitur propter hoc quod detractio sit gravior quam contumelia, quia ex minori vitio potest oriri maius peccatum, sicut ex ira nascitur homicidium et blasphemia. Origo enim peccatorum attenditur secundum inclinationem ad finem, quod est ex parte conversionis, gravitas autem peccati magis attenditur ex parte aversionis.

 

[42149] IIª-IIae q. 73 a. 3 ad 3
3. La detrazione, che si compie di nascosto, non nasce dall'ira, come la contumelia, ma dall'invidia, che tenta di sminuire in qualsiasi modo la fama del prossimo; perché l'ira, a detta del Filosofo, "cerca di vendicarsi apertamente". E tuttavia non ne segue che la detrazione sia più grave della contumelia: poiché da un vizio minore può sempre nascere un peccato più grave: dall'ira, p. es., nascono l'omicidio e la bestemmia. Del resto l'origine dei peccati va determinata in base al fine, che emerge dal loro aspetto di conversione; mentre la loro gravità va determinata in base all'aspetto di aversione.

[42150] IIª-IIae q. 73 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod quia homo laetatur in sententia oris sui, ut dicitur Prov. XV, inde est quod ille qui detrahit incipit magis amare et credere quod dicit; et per consequens proximum magis odire; et sic magis recedere a cognitione veritatis. Iste tamen effectus potest sequi etiam ex aliis peccatis quae pertinent ad odium proximi.

 

[42150] IIª-IIae q. 73 a. 3 ad 4
4. A detta dei Proverbi, "l'uomo gode nel sentenziare di propria bocca"; perciò chi sparla prende ad amare e a credere sempre di più a ciò che dice; e quindi a odiare maggiormente il prossimo; e così si allontana sempre più dalla verità. Tuttavia codesto effetto può derivare anche dagli altri peccati che si riallacciano all'odio verso il prossimo.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La maldicenza > Se chi ascolta la maldicenza senza reagire pecchi gravemente


Secunda pars secundae partis
Quaestio 73
Articulus 4

[42151] IIª-IIae q. 73 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod audiens qui tolerat detrahentem non graviter peccet. Non enim aliquis magis tenetur alteri quam sibi ipsi. Sed laudabile est si patienter homo suos detractores toleret, dicit enim Gregorius, super Ezech. Homil. IX, linguas detrahentium, sicut nostro studio non debemus excitare, ne ipsi pereant; ita per suam malitiam excitatas debemus aequanimiter tolerare, ut nobis meritum crescat. Ergo non peccat aliquis si detractionibus aliorum non resistat.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 73
Articolo 4

[42151] IIª-IIae q. 73 a. 4 arg. 1
SEMBRA che non pecchi gravemente chi senza reagire ascolta la maldicenza. Infatti:
1. Nessuno è tenuto a fare per gli altri più di quanto è tenuto a fare per se stesso. Ora, come insegna S. Gregorio, è cosa lodevole che uno tolleri i propri detrattori: "Come non dobbiamo eccitare con le nostre azioni le lingue dei detrattori, per non essere loro occasione di rovina; così dobbiamo tollerarle con pazienza una volta eccitate, per accrescere i nostri meriti". Perciò, se uno non reagisce alle detrazioni degli altri, non fa peccato.

[42152] IIª-IIae q. 73 a. 4 arg. 2
Praeterea, Eccli. IV dicitur, non contradicas verbo veritatis ullo modo. Sed quandoque aliquis detrahit verba veritatis dicendo, ut supra dictum est. Ergo videtur quod non semper teneatur homo detractionibus resistere.

 

[42152] IIª-IIae q. 73 a. 4 arg. 2
2. Sta scritto: "Non contraddire alle parole di verità in nessun modo". Ma talora chi sparla dice la verità, come abbiamo notato. Dunque non sempre si è tenuti a reagire alla detrazione.

[42153] IIª-IIae q. 73 a. 4 arg. 3
Praeterea, nullus debet impedire id quod est in utilitatem aliorum. Sed detractio frequenter est in utilitatem eorum contra quos detrahitur, dicit enim pius Papa, nonnunquam detractio adversus bonos excitatur, ut quos vel domestica adulatio vel aliorum favor in altum extulerat, detractio humiliet. Ergo aliquis non debet detractiones impedire.

 

[42153] IIª-IIae q. 73 a. 4 arg. 3
3. Nessuno deve impedire ciò che è utile al prossimo. Ora, la detrazione spesso è utile a coloro che ne sono oggetto. S. Pio I infatti scriveva: "Talora contro i buoni si scatena la maldicenza, affinché chi era stato posto in alto dall'adulazione dei familiari, o dal favore degli estranei, sia umiliato dalla detrazione". Perciò non si devono impedire le detrazioni.

[42154] IIª-IIae q. 73 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Hieronymus dicit, cave ne linguam aut aures habeas prurientes, aut aliis detrahas, aut alios audias detrahentes.

 

[42154] IIª-IIae q. 73 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: S. Girolamo ammonisce: "Guardati dal prurito della lingua e delle orecchie; e cioè dalla maldicenza contro il prossimo, e dall'ascoltare chi la fa".

[42155] IIª-IIae q. 73 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, secundum apostolum, ad Rom. I, digni sunt morte non solum qui peccata faciunt, sed etiam qui facientibus peccata consentiunt. Quod quidem contingit dupliciter. Uno modo, directe, quando scilicet quis inducit alium ad peccatum, vel ei placet peccatum. Alio modo, indirecte, quando scilicet non resistit, cum resistere possit, et hoc contingit quandoque non quia peccatum placeat, sed propter aliquem humanum timorem. Dicendum est ergo quod si aliquis detractiones audiat absque resistentia, videtur detractori consentire, unde fit particeps peccati eius. Et si quidem inducat eum ad detrahendum, vel saltem placeat ei detractio, propter odium eius cui detrahitur, non minus peccat quam detrahens, et quandoque magis. Unde Bernardus dicit, detrahere, aut detrahentem audire, quid horum damnabilius sit, non facile dixerim. Si vero non placeat ei peccatum, sed ex timore vel negligentia vel etiam verecundia quadam omittat repellere detrahentem, peccat quidem, sed multo minus quam detrahens, et plerumque venialiter. Quandoque etiam hoc potest esse peccatum mortale, vel propter hoc quod alicui ex officio incumbit detrahentem corrigere; vel propter aliquod periculum consequens; vel propter radicem, qua timor humanus quandoque potest esse peccatum mortale, ut supra habitum est.

 

[42155] IIª-IIae q. 73 a. 4 co.
RISPONDO: A detta dell'Apostolo, "è degno di morte non solo chi commette il peccato, ma anche chi approva coloro che lo commettono". E l'approvazione può farsi in due modi. Primo, direttamente, cioè, quando uno induce altri al peccato, o si compiace del peccato. Secondo, indirettamente, cioè quando non reagisce, avendone la possibilità: e questo non perché piace il peccato, ma per un timore umano. Si deve quindi concludere che se uno ascolta le detrazioni senza reagire, approva chi le fa; e quindi è partecipe del suo peccato. Se poi si lascia indurre alla maldicenza, oppure ne prova piacere per odio verso la persona che ne fa le spese, allora non pecca meno di chi sparla del prossimo: anzi di più, in certi casi. Di qui le parole di S. Bernardo: "Non saprei decidere facilmente, se sia più condannabile chi fa della maldicenza o chi l'ascolta". - Se invece il peccato dispiace, ma si omette di reagire alla maldicenza per timore, o per negligenza oppure per rispetto umano, allora si pecca, però in modo assai meno grave di chi sparla, e per lo più si fa un peccato veniale. Ma in certi casi tale omissione può anche essere peccato mortale; o perché uno ha per ufficio il dovere di correggere i maldicenti; o per i disordini che ne derivano; o per la radice che la produce, poiché in certi casi il rispetto umano è peccato mortale, come sopra abbiamo notato.

[42156] IIª-IIae q. 73 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod detractiones suas nullus audit, quia scilicet mala quae dicuntur de aliquo eo audiente, non sunt detractiones, proprie loquendo, sed contumeliae, ut dictum est. Possunt tamen ad notitiam alicuius detractiones contra ipsum factae aliorum relationibus pervenire. Et tunc sui arbitrii est detrimentum suae famae pati, nisi hoc vergat in periculum aliorum, ut supra dictum est. Et ideo in hoc potest commendari eius patientia quod patienter proprias detractiones sustinet. Non autem est sui arbitrii quod patiatur detrimentum famae alterius. Et ideo in culpam ei vertitur si non resistit, cum possit resistere, eadem ratione qua tenetur aliquis sublevare asinum alterius iacentem sub onere, ut praecipitur Deut. XXII.

 

[42156] IIª-IIae q. 73 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFiCOLTÀ: 1. Nessuno ascolta le detrazioni a suo carico: poiché le male parole dette in presenza dell'interessato, propriamente parlando, non sono una detrazione, come abbiamo spiegato. Tuttavia mediante la relazione di altri uno può conoscere codeste detrazioni. E allora è in suo arbitrio sopportare la menomazione della propria fama, a meno che, come abbiamo detto, ciò non pregiudichi il bene di altri. E quindi gli si può raccomandare la pazienza nel tollerare la maldicenza a proprio carico. - Invece non è lasciato al suo arbitrio sopportare la menomazione della fama altrui. E quindi è una colpa per lui non reagire, avendone la possibilità: e ciò per lo stesso motivo per cui uno è tenuto "a risollevare l'asino altrui caduto sotto il peso", come impone il Deuteronomio.

[42157] IIª-IIae q. 73 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod non semper debet aliquis resistere detractori arguendo eum de falsitate, maxime si quis sciat verum esse quod dicitur. Sed debet eum verbis redarguere de hoc quod peccat fratri detrahendo, vel saltem ostendere quod ei detractio displiceat per tristitiam faciei; quia, ut dicitur Prov. XXV, ventus Aquilo dissipat pluvias, et facies tristis linguam detrahentem.

 

[42157] IIª-IIae q. 73 a. 4 ad 2
2. Non sempre si è tenuti a reagire contro chi sparla rimproverandolo di falsità; specialmente quando uno sa che è vero quanto si dice. Ma si deve rimproverarlo del peccato che commette con la maldicenza; o per lo meno uno deve mostrare con la tristezza del volto che la detrazione gli dispiace; poiché, come dicono i Proverbi, "il vento di tramontana sgomina la pioggia, e una faccia severa la lingua maledica".

[42158] IIª-IIae q. 73 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod utilitas quae ex detractione provenit non est ex intentione detrahentis, sed ex Dei ordinatione, qui ex quolibet malo elicit bonum. Et ideo nihilo minus est detractoribus resistendum, sicut et raptoribus vel oppressoribus aliorum, quamvis ex hoc oppressis vel spoliatis per patientiam meritum crescat.

 

[42158] IIª-IIae q. 73 a. 4 ad 3
3. L'utilità che proviene dalla maldicenza non è nell'intenzione di chi la fa, ma dalla disposizione di Dio, il quale è capace di ricavare un bene da qualsiasi male. Non per questo, quindi, si deve meno combattere la maldicenza; come si deve resistere ai rapinatori e agli oppressori, sebbene dalle loro imprese possa derivare alle vittime un aumento di merito per la pazienza.

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