II-II, 119

Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La prodigalità


Secunda pars secundae partis
Quaestio 119
Prooemium

[43925] IIª-IIae q. 119 pr.
Deinde considerandum est de prodigalitate. Et circa hoc quaeruntur tria.
Primo, utrum prodigalitas avaritiae opponatur.
Secundo, utrum prodigalitas sit peccatum.
Tertio, utrum sit gravius peccatum quam avaritia.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 119
Proemio

[43925] IIª-IIae q. 119 pr.
Rimane quindi da studiare la prodigalità.
Sull'argomento si pongono tre quesiti:

1. Se la prodigalità sia il contrario dell'avarizia;
2. Se sia peccato;
3. Se sia un peccato più grave dell'avarizia.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La prodigalità > Se la prodigalità sia il contrario dell'avarizia


Secunda pars secundae partis
Quaestio 119
Articulus 1

[43926] IIª-IIae q. 119 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod prodigalitas non opponatur avaritiae. Opposita enim non possunt esse simul in eodem. Sed aliqui sunt simul prodigi et illiberales. Ergo prodigalitas non opponitur avaritiae.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 119
Articolo 1

[43926] IIª-IIae q. 119 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la prodigalità non sia il contrario dell'avarizia. Infatti:
1. I contrari non possono trovarsi simultaneamente nel medesimo soggetto. Ma alcuni sono insieme prodighi e illiberali. Dunque la prodigalità non è il contrario dell'avarizia.

[43927] IIª-IIae q. 119 a. 1 arg. 2
Praeterea, opposita sunt circa idem. Sed avaritia, secundum quod opponitur liberalitati, est circa passiones quasdam quibus homo afficitur ad pecuniam. Prodigalitas autem non videtur esse circa aliquas animae passiones, non enim afficitur circa pecunias, nec circa aliquid aliud huiusmodi. Non ergo prodigalitas opponitur avaritiae.

 

[43927] IIª-IIae q. 119 a. 1 arg. 2
2. I contrari riguardano sempre una medesima cosa. Ora, l'avarizia in quanto si contrappone alla liberalità riguarda le passioni umane relative al denaro. Invece la prodigalità non sembra che riguardi codeste passioni: essa infatti non è attaccata al denaro, e ad altre cose del genere. Dunque la prodigalità non si contrappone all'avarizia.

[43928] IIª-IIae q. 119 a. 1 arg. 3
Praeterea, peccatum principaliter recipit speciem a fine, ut supra habitum est. Sed prodigalitas semper videtur ordinari ad aliquem finem illicitum, propter quem bona sua expendit, et praecipue propter voluptates, unde et Luc. XV dicitur de filio prodigo quod dissipavit substantiam suam luxuriose vivendo. Ergo videtur quod prodigalitas opponatur magis temperantiae et insensibilitati quam avaritiae et liberalitati.

 

[43928] IIª-IIae q. 119 a. 1 arg. 3
3. Come sopra abbiamo visto, i peccati ricevono la loro specie principalmente dal fine. Ora, la prodigalità è sempre ordinata a un fine illecito, per il quale sperpera gli averi, e specialmente è ordinata ai piaceri: infatti nel Vangelo si legge che il figliol prodigo "dissipò le sue sostanze nella lussuria". Perciò sembra che la prodigalità si contrapponga più alla temperanza e all'insensibilità che all'avarizia e alla liberalità.

[43929] IIª-IIae q. 119 a. 1 s. c.
Sed contra est quod philosophus, in II et IV Ethic., ponit prodigalitatem oppositam liberalitati et illiberalitati, quam nunc avaritiam dicimus.

 

[43929] IIª-IIae q. 119 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna che la prodigalità si contrappone alla liberalità e alla illiberalità, che noi chiamiamo avarizia.

[43930] IIª-IIae q. 119 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod in moralibus attenditur oppositio vitiorum ad invicem et ad virtutem secundum superabundantiam et defectum. Differunt autem avaritia et prodigalitas secundum superabundantiam et defectum, diversimode. Nam in affectione divitiarum, avarus superabundat, plus debito eas diligens, prodigus autem deficit, minus debito earum sollicitudinem gerens. Circa exteriora vero, ad prodigalitatem pertinet excedere quidem in dando, deficere autem in retinendo et acquirendo, ad avaritiam autem pertinet e contrario deficere quidem in dando, superabundare autem in accipiendo et retinendo. Unde patet quod prodigalitas avaritiae opponitur.

 

[43930] IIª-IIae q. 119 a. 1 co.
RISPONDO: In morale l'opposizione dei vizi tra loro e con le virtù correlative è impostata sull'eccesso e il difetto. Ora, avarizia e prodigalità si contrappongono come eccesso e difetto, ma in vari modi. L'avaro infatti eccede nell'attaccamento alle ricchezze, amandole più del dovuto; il prodigo invece manca, perché ne è meno sollecito di quanto si deve. Al contrario rispetto agli atti esterni il prodigo eccede nel dare, e difetta nel ritenere e nell'acquistare; l'avaro invece difetta nel dare, ed eccede nell'acquistare e nel ritenere. Perciò è evidente che la prodigalità si contrappone all'avarizia.

[43931] IIª-IIae q. 119 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod nihil prohibet eidem inesse opposita secundum diversa, ab illo tamen aliquid magis denominatur quod est principalius. Sicut autem in liberalitate, quae medium tenet, praecipua est datio, ad quam acceptio et retentio ordinantur; ita etiam avaritia et prodigalitas praecipue attenduntur secundum dationem. Unde ille qui superabundat in dando vocatur prodigus; qui autem deficit in dando vocatur avarus. Contingit autem quandoque quod aliquis deficit in dando qui tamen non excedit in accipiendo, ut philosophus dicit, in IV Ethic. Similiter etiam contingit quod aliquis excedat in dando, et ex hoc est prodigus; et simul cum hoc, excedat in accipiendo. Vel ex quadam necessitate, quia, dum superabundant in dando, deficiunt eis propria bona, unde coguntur indebite acquirere, quod pertinet ad avaritiam. Vel etiam propter animi inordinationem, dum enim non dant propter bonum, quasi contempta virtute, non curant undecumque et qualitercumque accipiant. Et sic non secundum idem sunt prodigi et avari.

 

[43931] IIª-IIae q. 119 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Niente impedisce che nel medesimo soggetto si trovino qualità contrarie sotto aspetti diversi, pur essendo denominato dalla qualità che in esso prevale. Ora, come nella liberalità, che costituisce il giusto mezzo tra questi due vizi, l'atto principale è il dare, a cui il prendere e il ritenere sono subordinati; così l'avarizia e la prodigalità principalmente vanno considerati in rapporto al dare. Perciò chi eccede nel dare si chiama prodigo, e chi in ciò scarseggia è chiamato avaro. Ora, può capitare che uno non dia abbastanza, senza però prendere più del dovuto, come nota il Filosofo. Parimenti può darsi che uno esageri nel dare, e quindi sia prodigo, e insieme esageri nel prendere. O per necessità: e cioè perché esagerando nel dare vengono a mancare le risorse, e quindi si è costretti a illeciti acquisti, cadendo nell'avarizia. Oppure per il disordine spirituale: poiché coloro che danno, ma non per il bene, sprezzando la virtù, non si curano di prendere in qualsiasi modo. E quindi essi son prodighi e avari, ma non sotto il medesimo aspetto.

[43932] IIª-IIae q. 119 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod prodigalitas attenditur circa passiones pecuniae non sicut superabundans in eis, sed sicut deficiens.

 

[43932] IIª-IIae q. 119 a. 1 ad 2
2. La prodigalità riguarda anch'essa la passione del denaro; ma essa non pecca per eccesso, bensì per difetto.

[43933] IIª-IIae q. 119 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod prodigus non semper abundat in dando propter voluptates, circa quas est intemperantia, sed quandoque quidem ex eo quod taliter est dispositus ut divitias non curet; quandoque autem propter aliquid aliud. Ut frequentius tamen ad intemperantias declinant, tum quia, ex quo superflue expendunt in aliis, etiam in rebus voluptuosis expendere non verentur, ad quas magis inclinat concupiscentia carnis; tum etiam, quia non delectantur in bono virtutis, quaerunt sibi delectationes corporales. Et inde est quod philosophus dicit, in IV Ethic., quod multi prodigorum fiunt intemperati.

 

[43933] IIª-IIae q. 119 a. 1 ad 3
3. Il prodigo esagera nel dare, non sempre però per i piaceri, che sono oggetto dell'intemperanza: ma talora perché è del tutto trascurato verso le ricchezze, oppure per altri motivi. Ordinariamente però i prodighi si orientano verso l'intemperanza: sia perché spendendo a profusione per altre cose, non hanno ritegno a spendere per i piaceri, ai quali sono portati dalla concupiscenza della carne; sia perché essi, non gustando il bene della virtù, cercano un compenso nei piaceri corporali. Ecco perché il Filosofo afferma, che "molti prodighi diventano intemperanti".




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La prodigalità > Se la prodigalità sia peccato


Secunda pars secundae partis
Quaestio 119
Articulus 2

[43934] IIª-IIae q. 119 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod prodigalitas non sit peccatum. Dicit enim apostolus, I ad Tim. ult., radix omnium malorum est cupiditas. Non autem est radix prodigalitatis, quae ei opponitur. Ergo prodigalitas non est peccatum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 119
Articolo 2

[43934] IIª-IIae q. 119 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la prodigalità non sia peccato. Infatti:
1. L'Apostolo afferma: "Radice di tutti i mali è la cupidigia". Ora, essa non può essere radice della prodigalità, che è il suo contrario. Dunque la prodigalità non è peccato.

[43935] IIª-IIae q. 119 a. 2 arg. 2
Praeterea, apostolus, I ad Tim. ult., dicit, divitibus huius saeculi praecipe facile tribuere, communicare. Sed hoc maxime faciunt prodigi. Ergo prodigalitas non est peccatum.

 

[43935] IIª-IIae q. 119 a. 2 arg. 2
2. L'Apostolo inoltre raccomanda a Timoteo: "Comanda ai ricchi del secolo di dare, di partecipare". Ma i prodighi fanno proprio questo in maniera superiore. Perciò la prodigalità non è peccato.

[43936] IIª-IIae q. 119 a. 2 arg. 3
Praeterea, ad prodigalitatem pertinet superabundare in datione et deficere in sollicitudine divitiarum. Sed hoc maxime convenit viris perfectis implentibus quod dominus dicit, Matth. VI, nolite solliciti esse in crastinum; et XIX, vende omnia quae habes, et da pauperibus. Ergo prodigalitas non est peccatum.

 

[43936] IIª-IIae q. 119 a. 2 arg. 3
3. È proprio della prodigalità esagerare nel dare e difettare nella sollecitudine delle ricchezze. Ma questo conviene pienamente ai perfetti, che adempiono il consiglio del Signore: "Non vi preoccupate del domani"; "Vendi ciò che hai e donalo ai poveri". Quindi la prodigalità non è peccato.

[43937] IIª-IIae q. 119 a. 2 s. c.
Sed contra est quod filius prodigus vituperatur de sua prodigalitate, Luc. XV.

 

[43937] IIª-IIae q. 119 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Il Vangelo rimprovera il figliol prodigo della sua prodigalità.

[43938] IIª-IIae q. 119 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, prodigalitas opponitur avaritiae secundum oppositionem superabundantiae et defectus. Medium autem virtutis per utrumque horum corrumpitur. Ex hoc autem est aliquid vitiosum et peccatum quod corrumpit bonum virtutis. Unde relinquitur quod prodigalitas sit peccatum.

 

[43938] IIª-IIae q. 119 a. 2 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, la prodigalità si contrappone all'avarizia per eccesso e per difetto. Ora, il giusto mezzo della virtù viene distrutto sia dall'eccesso che dal difetto. Ma una cosa è peccato perché distrugge il bene della virtù. Dunque la prodigalità è peccato.

[43939] IIª-IIae q. 119 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod illud verbum apostoli quidam exponunt non de cupiditate actuali, sed de quadam habituali cupiditate, quae est concupiscentia fomitis, ex qua omnia peccata oriuntur. Alii vero dicunt quod loquitur de cupiditate generali respectu cuiuscumque boni. Et sic manifestum est quod etiam prodigalitas ex cupiditate oritur, prodigus enim aliquod bonum temporale cupit consequi inordinate; vel placere aliis, vel saltem satisfacere suae voluntati in dando. Sed si quis recte consideret, apostolus ibi loquitur, ad litteram, de cupiditate divitiarum, nam supra praemiserat, qui volunt divites fieri, et cetera. Et sic dicitur esse avaritia radix omnium malorum, non quia omnia mala semper ex avaritia oriantur, sed quia nullum malum est quod non interdum ex avaritia oriatur. Unde et prodigalitas quandoque ex avaritia nascitur, sicut cum aliquis prodige multa consumit intentione captandi favorem aliquorum, a quibus divitias accipiat.

 

[43939] IIª-IIae q. 119 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Alcuni ritengono che l'Apostolo non parli della cupidigia in atto, ma di una certa cupidigia allo stato di abito, ossia della concupiscenza del fomite, da cui derivano tutti i peccati. - Altri invece pensano che egli parli della cupidigia in genere in ordine a qualsiasi bene. E allora risulta evidente che anche la prodigalità nasce dalla cupidigia; infatti il prodigo brama di conseguire disordinatamente un bene temporale: p. es., il prestigio presso gli altri, oppure la soddisfazione di spendere a capriccio.
Ma a ben riflettere dobbiamo concludere che l'Apostolo letteralmente qui parla della cupidigia delle ricchezze; infatti nel versetto precedente aveva detto: "Quelli che vogliono arricchire, ecc.". Egli quindi afferma che l'avarizia è la radice di ogni male; non perché tutti i mali nascono sempre dall'avarizia; ma perché non ce n'è uno il quale talora non nasca da essa. Perciò anche la prodigalità talora nasce dall'avarizia: come quando uno sperpera prodigalmente dei beni, con l'intenzione di ottenere il favore di persone da cui spera grandi ricchezze.

[43940] IIª-IIae q. 119 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod apostolus monet divites ut facile tribuant et communicent sua secundum quod oportet. Quod non faciunt prodigi, quia, ut philosophus dicit, in IV Ethic., dationes eorum non sunt bonae, neque boni gratia, neque secundum quod oportet, sed quandoque dant multa illis quos oporteret pauperes esse, scilicet histrionibus et adulatoribus, bonis autem nihil darent.

 

[43940] IIª-IIae q. 119 a. 2 ad 2
2. L'Apostolo esorta i ricchi a dare e a partecipare i loro beni, ma come si deve. Non è così invece che agiscono i prodighi; poiché, come dice il Filosofo, "le loro elargizioni non sono buone e non mirano al bene, né sono come si deve: ma talora arricchiscono quelli che dovrebbero esser poveri, cioè gli istrioni e gli adulatori, mentre ai buoni non darebbero nulla".

[43941] IIª-IIae q. 119 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod superexcessus prodigalitatis non attenditur principaliter secundum quantitatem dati, sed magis inquantum excedit id quod fieri oportet. Unde quandoque liberalis maiora dat quam prodigus, si necessarium sit. Sic ergo dicendum est quod illi qui, intentione sequendi Christum, omnia sua dant, et ab animo suo omnem temporalium sollicitudinem removent, non sunt prodigi, sed perfecte liberales.

 

[43941] IIª-IIae q. 119 a. 2 ad 3
3. L'esagerazione della prodigalità risulta principalmente, non dalla quantità di ciò che vien dato, ma dal fatto che non si dà come si deve. Infatti talora l'uomo liberale dà più del prodigo, se è necessario. Perciò coloro che danno tutti i loro beni per seguire Cristo, e per togliere dal proprio animo ogni preoccupazione delle cose temporali, non sono dei prodighi, ma esercitano la liberalità nella maniera più perfetta.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La prodigalità > Se la prodigalità sia un peccato più grave dell'avarizia


Secunda pars secundae partis
Quaestio 119
Articulus 3

[43942] IIª-IIae q. 119 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod prodigalitas sit gravius peccatum quam avaritia. Per avaritiam enim aliquis nocet proximo, cui bona sua non communicat. Per prodigalitatem autem aliquis sibi ipsi nocet, dicit enim philosophus, in IV Ethic., quod corruptio divitiarum, per quas homo vivit, est quaedam ipsius esse perditio. Gravius autem peccat qui sibi ipsi nocet, secundum illud Eccli. XIV, qui sibi nequam est, cui bonus erit? Ergo prodigalitas erit gravius peccatum quam avaritia.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 119
Articolo 3

[43942] IIª-IIae q. 119 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la prodigalità sia un peccato più grave dell'avarizia. Infatti: 1. Con l'avarizia uno danneggia il prossimo, al quale non comunica i propri beni. Ma con la prodigalità uno danneggia se stesso: infatti il Filosofo afferma, che "la distruzione delle ricchezze, le quali danno all'uomo da vivere, è una specie di suicidio". Ora, chi fa del male a se stesso pecca più gravemente, come si rileva dalle parole dell'Ecclesiastico: "Chi è cattivo con se stesso, con chi sarà egli buono?". Dunque la prodigalità è un peccato più grave dell'avarizia.

[43943] IIª-IIae q. 119 a. 3 arg. 2
Praeterea, inordinatio quae provenit cum aliqua conditione laudabili, minus est vitiosa. Sed inordinatio avaritiae quandoque est cum aliqua laudabili conditione, ut patet in illis qui nolunt sua expendere nec aliena accipere. Prodigalitatis autem inordinatio provenit cum conditione vituperabili, unde et prodigalitatem attribuimus intemperatis hominibus, ut philosophus dicit, in IV Ethic. Ergo prodigalitas est gravius vitium quam avaritia.

 

[43943] IIª-IIae q. 119 a. 3 arg. 2
2. Il disordine che è accompagnato da una circostanza attenuante è meno peccaminoso. Ora, il disordine dell'avarizia più volte è accompagnato da una circostanza attenuante: p. es., nel caso di coloro che non vogliono né dispensare i loro beni, né prendere la roba altrui. Invece la prodigalità è accompagnata da una circostanza aggravante: poiché, a detta del Filosofo, "la prodigalità noi l'attribuiamo a chi è intemperante". Perciò la prodigalità è un peccato più grave dell'avarizia.

[43944] IIª-IIae q. 119 a. 3 arg. 3
Praeterea, prudentia est praecipua inter morales virtutes, ut supra habitum est. Sed prodigalitas magis opponitur prudentiae quam avaritia, dicitur enim Prov. XXI, thesaurus desiderabilis et oleum in tabernaculo iusti, et imprudens homo dissipabit illud; et philosophus dicit, in IV Ethic., quod insipientis est superabundanter dare et non accipere. Ergo prodigalitas est gravius peccatum quam avaritia.

 

[43944] IIª-IIae q. 119 a. 3 arg. 3
3. La prudenza è la prima tra le virtù morali, come sopra abbiamo visto. Ora, la prodigalità è in contrasto con la prudenza più dell'avarizia: infatti nei Proverbi si legge: "Nella dimora del giusto c'è un tesoro vistoso, c'è dell'aroma: ma l'uomo imprudente lo dissiperà"; e il Filosofo insegna, che "è proprio dello stolto dare a profusione senza niente ricevere". Quindi la prodigalità è un peccato più grave dell'avarizia.

[43945] IIª-IIae q. 119 a. 3 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in IV Ethic., quod prodigus multum videtur melior illiberali.

 

[43945] IIª-IIae q. 119 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo afferma, che il prodigo "sembra essere assai migliore dell'avaro".

[43946] IIª-IIae q. 119 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod prodigalitas, secundum se considerata, minus peccatum est quam avaritia. Et hoc triplici ratione. Primo quidem, quia avaritia magis differt a virtute opposita. Magis enim ad liberalem pertinet dare, in quo superabundat prodigus, quam accipere vel retinere, in quo superabundat avarus. Secundo, quia prodigus est multis utilis, quibus dat, avarus autem nulli, sed nec sibi ipsi, ut dicitur in IV Ethic. Tertio, quia prodigalitas est facile sanabilis. Et per hoc quod declinat ad aetatem senectutis, quae est contraria prodigalitati. Et per hoc quod pervenit ad egestatem de facili, dum multa inutiliter consumit, et sic, pauper factus, non potest in dando superabundare. Et etiam quia de facili perducitur ad virtutem, propter similitudinem quam habet ad ipsam. Sed avarus non de facili sanatur, ratione supradicta.

 

[43946] IIª-IIae q. 119 a. 3 co.
RISPONDO: In se stessa considerata, la prodigalità è un peccato meno grave dell'avarizia. E questo per tre motivi. Primo, perché l'avarizia si allontana maggiormente dalle virtù contrarie. Infatti alla liberalità è più consono il dare, in cui esagera il prodigo, che il prendere e il ritenere, in cui esagera l'avaro.
Secondo, perché, come dice Aristotele, "il prodigo è utile a molti", cioè alle persone cui dà: "l'avaro invece non è utile a nessuno, e neppure a se stesso".
Terzo, la prodigalità è più curabile. Sia perché si va verso la vecchiaia, che è contraria alla prodigalità. Sia perché presto si giunge all'indigenza, sperperando inutilmente grandi somme: e allora il prodigo caduto nella miseria non può continuare a scialacquare. E sia anche perché più facilmente il prodigo si può ricondurre alla virtù, data la sua affinità con essa. - Invece l'avaro non è facilmente curabile, per le ragioni indicate nella questione precedente.

[43947] IIª-IIae q. 119 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod differentia prodigi et avari non attenditur secundum hoc quod est peccare in seipsum, et in alium. Nam prodigus peccat in seipsum, dum bona sua consumit, unde vivere debet, peccat etiam in alterum, consumendo bona ex quibus aliis deberet providere. Et praecipue hoc apparet in clericis, qui sunt dispensatores bonorum Ecclesiae, quae sunt pauperum, quos defraudant prodige expendendo. Similiter etiam avarus peccat in alios, inquantum deficit in dationibus, peccat etiam in seipsum, inquantum deficit in sumptibus; unde dicitur Eccle. VI, vir cui Deus dedit divitias, nec tribuit ei potestatem ut comedat ex eis. Sed tamen in hoc superabundat prodigus, quia sic sibi et quibusdam aliis nocet quod tamen aliquibus prodest. Avarus autem nec sibi nec aliis prodest, quia non audet uti etiam ad suam utilitatem bonis suis.

 

[43947] IIª-IIae q. 119 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La differenza tra il prodigo e l'avaro non dipende dal fatto che l'uno pecca contro se stesso e l'altro contro il prossimo. Infatti il prodigo pecca contro se stesso, sciupando le proprie sostanze, con le quali deve vivere; ma pecca anche contro il prossimo, sciupando i beni con i quali dovrebbe provvedere agli altrui bisogni. E questo è particolarmente evidente nel caso dei chierici, che essendo i dispensatori dei beni della Chiesa i quali appartengono ai poveri, defraudano questi ultimi con le loro prodigalità. Parimenti l'avaro pecca contro il prossimo rifiutando di dare; ma pecca pure contro se stesso col rifiutare di spendere a sufficienza, meritandosi quelle parole dell'Ecclesiaste: "Un uomo a cui Dio ha dato le ricchezze..., senza concedergli la facoltà di fruirne". Tuttavia il prodigo ha questo vantagglo, che pur facendo del male a se stesso e ad altri, almeno giova a qualcuno. Invece l'avaro non giova né agli altri, né a se stesso: perché non osa adoperare i propri beni neppure a suo vantaggio.

[43948] IIª-IIae q. 119 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod cum de vitiis communiter loquimur, iudicamus de eis secundum proprias rationes ipsorum, sicut circa prodigalitatem attendimus quod superflue consumit divitias, circa avaritiam vero quod superflue eas retinet. Quod autem aliquis propter intemperantiam superflue consumat, hoc iam nominat simul multa peccata, unde et tales prodigi sunt peiores, ut dicitur IV Ethic. Quod autem illiberalis sive avarus abstineat ab accipiendis alienis, etsi in se laudabile videatur, tamen ex causa propter quam facit, vituperabile est, dum ideo non vult ab aliis accipere ne cogatur aliis dare.

 

[43948] IIª-IIae q. 119 a. 3 ad 2
2. Quando parliamo dei vizi in astratto dobbiamo giudicarli in base al loro elemento costitutivo: così consideriamo la prodigalità quale sperpero eccessivo delle ricchezze, e l'avarizia quale attaccamento eccessivo verso di esse. Il fatto invece che uno sperpera il denaro per l'intemperanza già richiama una pluralità di peccati: perciò codesti prodighi sono da giudicarsi peggiori, come nota Aristotele. Ma il fatto che un avaro si astenga dal prendere la roba altrui, sebbene sia lodevole in se stesso, è però riprovevole per il motivo che lo determina, poiché costui non vuol ricevere nulla da nessuno, per non essere costretto a dare agli altri.

[43949] IIª-IIae q. 119 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod omnia vitia prudentiae opponuntur, sicut et omnes virtutes a prudentia diriguntur. Et ideo vitium ex hoc ipso quod opponitur soli prudentiae, levius reputatur.

 

[43949] IIª-IIae q. 119 a. 3 ad 3
3. Tutti i vizi sono contro la prudenza, dal momento che tutte le virtù sono governate da essa. Perciò un vizio, per il fatto che si contrappone soltanto alla prudenza, è da considerarsi meno grave.

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