II-II, 110

Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > I vizi contrari alla veracità


Secunda pars secundae partis
Quaestio 110
Prooemium

[43642] IIª-IIae q. 110 pr.
Deinde considerandum est de vitiis oppositis veritati. Et primo, de mendacio; secundo, de simulatione sive hypocrisi; tertio, de iactantia et opposito vitio. Circa mendacium quaeruntur quatuor.
Primo, utrum mendacium semper opponatur veritati, quasi continens falsitatem.
Secundo, de speciebus mendacii.
Tertio, utrum mendacium semper sit peccatum.
Quarto, utrum semper sit peccatum mortale.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 110
Proemio

[43642] IIª-IIae q. 110 pr.
Passiamo quindi a considerare i vizi contrari alla veracità. Primo, la menzogna; secondo, la simulazione, o ipocrisia; terzo, la millanteria e il vizio contrario.
A proposito della menzogna tratteremo quattro argomenti:

1. Se la menzogna si contrapponga alla verità o veracità, implicando essa una falsità;
2. Quali siano le specie della menzogna;
3. Se la menzogna sia sempre peccato;
4. Se sia sempre peccato mortale.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > I vizi contrari alla veracità > Se la menzogna sia sempre l'opposto della verità


Secunda pars secundae partis
Quaestio 110
Articulus 1

[43643] IIª-IIae q. 110 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod mendacium non semper opponatur veritati. Opposita enim non possunt esse simul. Sed mendacium simul potest esse cum veritate, qui enim verum loquitur quod falsum esse credit, mentitur, ut Augustinus dicit, in libro contra mendacium. Ergo mendacium non opponitur veritati.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 110
Articolo 1

[43643] IIª-IIae q. 110 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la menzogna non sempre sia l'opposto della verità, o veracità. Infatti:
1. Gli opposti non possono coesistere assieme. Ora, la menzogna può coesistere con la veracità: chi infatti dice una cosa vera credendola falsa mente, come nota S. Agostino. Dunque la menzogna non si contrappone alla verità.

[43644] IIª-IIae q. 110 a. 1 arg. 2
Praeterea, virtus veritatis non solum consistit in verbis, sed etiam in factis, quia secundum philosophum, in IV Ethic., secundum hanc virtutem aliquis verum dicit et in sermone et in vita. Sed mendacium consistit solum in verbis, dicitur enim quod mendacium est falsa vocis significatio. Ergo videtur quod mendacium non directe opponatur virtuti veritatis.

 

[43644] IIª-IIae q. 110 a. 1 arg. 2
2. La virtù della veracità non consiste solo nelle parole, ma anche nelle azioni: poiché, a detta del Filosofo, in forza di questa virtù uno dice il vero "e nelle parole e negli atti". Invece la menzogna consiste solo nelle parole: poiché essa viene definita "una parola che esprime il falso". Perciò la menzogna non si contrappone direttamente alla virtù della veracità.

[43645] IIª-IIae q. 110 a. 1 arg. 3
Praeterea, Augustinus dicit, in libro contra mendacium, quod culpa mentientis est fallendi cupiditas. Sed hoc non opponitur veritati, sed magis benevolentiae vel iustitiae. Ergo mendacium non opponitur veritati.

 

[43645] IIª-IIae q. 110 a. 1 arg. 3
3. S. Agostino insegna, che "la colpa del bugiardo è il desiderio d'ingannare". Ma l'inganno non si contrappone alla veracità, bensì alla benevolenza e alla giustizia. Dunque la menzogna non è l'opposto della veracità.

[43646] IIª-IIae q. 110 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro contra mendacium, nemo dubitet mentiri eum qui falsum enuntiat causa fallendi. Quapropter enuntiationem falsi cum voluntate ad fallendum prolatam, manifestum est esse mendacium. Sed hoc opponitur veritati. Ergo mendacium veritati opponitur.

 

[43646] IIª-IIae q. 110 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino ha scritto: "Nessuno può dubitare che mente colui il quale dice il falso per ingannare. Perciò la menzogna è una dichiarazione falsa fatta con l'intenzione d'ingannare". Ma questo è l'opposto della veracità. Quindi la menzogna si contrappone a quest'ultima.

[43647] IIª-IIae q. 110 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod actus moralis ex duobus speciem sortitur, scilicet ex obiecto, et ex fine. Nam finis est obiectum voluntatis, quae est primum movens in moralibus actibus. Potentia autem a voluntate mota habet suum obiectum, quod est proximum obiectum voluntarii actus, et se habet in actu voluntatis ad finem sicut materiale ad formale, ut ex supra dictis patet. Dictum est autem quod virtus veritatis, et per consequens opposita vitia, in manifestatione consistit, quae fit per aliqua signa. Quae quidem manifestatio, sive enuntiatio, est rationis actus conferentis signum ad signatum, omnis enim repraesentatio consistit in quadam collatione, quae proprie pertinet ad rationem; unde etsi bruta animalia aliquid manifestent, non tamen manifestationem intendunt, sed naturali instinctu aliquid agunt ad quod manifestatio sequitur. Inquantum tamen huiusmodi manifestatio sive enuntiatio est actus moralis, oportet quod sit voluntarius et ex intentione voluntatis dependens. Obiectum autem proprium manifestationis sive enuntiationis est verum vel falsum. Intentio vero voluntatis inordinatae potest ad duo ferri, quorum unum est ut falsum enuntietur; aliud quidem est effectus proprius falsae enuntiationis, ut scilicet aliquis fallatur. Si ergo ista tria concurrant, scilicet quod falsum sit id quod enuntiatur, et quod adsit voluntas falsum enuntiandi, et iterum intentio fallendi, tunc est falsitas materialiter, quia falsum dicitur; et formaliter, propter voluntatem falsum dicendi; et effective, propter voluntatem falsitatem imprimendi. Sed tamen ratio mendacii sumitur a formali falsitate, ex hoc scilicet quod aliquis habet voluntatem falsum enuntiandi. Unde et mendacium nominatur ex eo quod contra mentem dicitur. Et ideo si quis falsum enuntiet credens illud verum esse, est quidem falsum materialiter, sed non formaliter, quia falsitas est praeter intentionem dicentis. Unde non habet perfectam rationem mendacii, id enim quod praeter intentionem est, per accidens est; unde non potest esse specifica differentia. Si vero formaliter aliquis falsum dicat, habens voluntatem falsum dicendi, licet sit verum id quod dicitur, inquantum tamen huiusmodi actus est voluntarius et moralis, habet per se falsitatem, et per accidens veritatem. Unde ad speciem mendacii pertingit. Quod autem aliquis intendat falsitatem in opinione alterius constituere fallendo ipsum, non pertinet ad speciem mendacii, sed ad quandam perfectionem ipsius, sicut et in rebus naturalibus aliquid speciem sortitur si formam habeat, etiam si desit formae effectus; sicut patet in gravi quod violenter sursum detinetur, ne descendat secundum exigentiam suae formae. Sic ergo patet quod mendacium directe et formaliter opponitur virtuti veritatis.

 

[43647] IIª-IIae q. 110 a. 1 co.
RISPONDO: Un atto morale è specificato da due cose: dall'oggetto e dal fine. Il fine infatti è oggetto della volontà, che è il primo motore nelle azioni morali. Invece le potenze che sono mosse dalla volontà hanno il loro oggetto che è l'oggetto immediato di questi atti volontari: ed esso, secondo le spiegazioni già date, sta al fine come l'elemento materiale sta a quello formale. - Ora, sopra abbiamo visto che la virtù della veracità, e conseguentemente i vizi opposti, consiste nel manifestare i propri pensieri con dei segni. E questa manifestazione, o enunciazione, è un atto della mente, la quale confronta il segno con la cosa significata: poiché ogni rappresentazione consiste in una specie di confronto, il quale atto è proprio della ragione. Infatti gli animali bruti, sebbene manifestino qualche cosa, lo fanno però senza volerlo; ma compiono certi atti dai quali seguono determinate manifestazioni. Tuttavia, questo manifestare o enunciare, in quanto è un'azione morale, dev'essere volontario, e dipende dall'intenzione della volontà. Invece l'oggetto proprio della manifestazione, o dell'enunciato è il vero o il falso. Ora, l'intenzione di una volontà disordinata può mirare a due cose distinte: la prima è l'enunciazione del falso; la seconda è l'effetto proprio di tale enunciazione, cioè l'inganno di qualcuno. Perciò se nell'atto concorrono queste tre cose: la falsità di quanto vien detto, la volontà di dire il falso, e finalmente l'intenzione d'ingannare, allora si ha: falsità materiale, perché vien detto il falso; falsità formale, per la volontà di dirlo; e falsità effettiva per la volontà d'ingannare. Tuttavia la ragione formale della menzogna si desume dalla falsità formale, cioè dall'intenzione di dichiarare il falso. Infatti il termine menzogna deriva dal fatto che è una cosa "contro la mente".
Se uno, quindi, dichiara il falso credendo che sia vero, si ha una bugia materiale, ma non formale, essendo essa estranea all'intenzione di chi la dice. Perciò tale affermazione non ha vera e perfetta natura di menzogna: poiché le cose preterintenzionali sono per accidens e quindi non possono essere differenze specifiche. - Se invece uno dice il falso formalmente, cioè con l'intenzione di dire il falso, anche se quel che dice fosse vero, codesto suo atto, in quanto volontario e morale, di per sé contiene la falsità, e solo per accidens la verità. E quindi raggiunge la specie di una menzogna. - L'intenzione poi di creare la falsità nell'opinione altrui con l'inganno, non è un elemento specifico della menzogna, ma ne è un complemento. Avviene, cioè, come nelle cose materiali, che la specie è assicurata dalla forma, anche se manca l'effetto di essa: ciò è evidente nei corpi gravi cui la violenza impedisce di scendere in basso secondo l'esigenza della loro forma.
Perciò è evidente che la menzogna si oppone direttamente e formalmente alla veracità.

[43648] IIª-IIae q. 110 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod unumquodque magis iudicatur secundum id quod est in eo formaliter et per se, quam secundum id quod est in eo materialiter et per accidens. Et ideo magis opponitur veritati, inquantum est virtus moralis, quod aliquis dicat verum intendens dicere falsum, quam quod dicat falsum intendens dicere verum.

 

[43648] IIª-IIae q. 110 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ogni cosa è qualificata più secondo i suoi elementi formali ed essenziali, che secondo gli elementi materiali e accidentali. Perciò dire il vero con l'intenzione di dire il falso si oppone di più alla virtù morale della veracità, che dire il falso con l'intenzione di dire il vero.

[43649] IIª-IIae q. 110 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in II de Doctr. Christ., voces praecipuum locum tenent inter alia signa. Et ideo cum dicitur quod mendacium est falsa vocis significatio, nomine vocis intelligitur omne signum. Unde ille qui aliquod falsum nutibus significare intenderet, non esset a mendacio immunis.

 

[43649] IIª-IIae q. 110 a. 1 ad 2
2. Come nota S. Agostino, la parola occupa il primo posto tra le espressioni, o segni. Perciò quando si dice che la menzogna è "una parola che esprime il falso", col termine parola si vuol intendere qualsiasi espressione. E quindi chi cercasse di esprimere una falsità con i gesti, non sarebbe immune dalla menzogna.

[43650] IIª-IIae q. 110 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod cupiditas fallendi pertinet ad perfectionem mendacii, non autem ad speciem ipsius, sicut nec aliquis effectus pertinet ad speciem suae causae.

 

[43650] IIª-IIae q. 110 a. 1 ad 3
3. Il desiderio d'ingannare è un elemento complementare della menzogna, e non un elemento specifico: come qualsiasi effetto non è un dato specifico della causa che lo produce.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > I vizi contrari alla veracità > Se sia sufficiente dividere la menzogna in ufficiosa, giocosa e dannosa


Secunda pars secundae partis
Quaestio 110
Articulus 2

[43651] IIª-IIae q. 110 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod insufficienter mendacium dividatur per mendacium officiosum, iocosum et perniciosum. Divisio enim est danda secundum ea quae per se conveniunt rei, ut patet per philosophum, in VII Metaphys. Sed intentio effectus est praeter speciem actus moralis, et per accidens se habet ad illum, ut videtur, unde et infiniti effectus possunt consequi ex uno actu. Haec autem divisio datur secundum intentionem effectus, nam mendacium iocosum est quod fit causa ludi; mendacium autem officiosum, quod fit causa utilitatis; mendacium autem perniciosum, quod fit causa nocumenti. Ergo inconvenienter hoc modo dividitur mendacium.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 110
Articolo 2

[43651] IIª-IIae q. 110 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la divisione della menzogna in ufficiosa, giocosa e dannosa non sia sufficiente. Infatti:
1. La divisione va fatta in base agli elementi essenziali di una cosa, come insegna il Filosofo. Ora, l'effetto è un elemento estraneo alla specie di un atto morale, ed è evidentemente accidentale per esso: infatti da un atto può derivare un numero indefinito di effetti. Ma la divisione proposta è basata sugli effetti: poiché la bugia giocosa è quella che si dice per gioco; bugia ufficiosa quella che si dice per un'utilità; e bugia dannosa quella che si dice per fare del male. Questa dunque non è una buona divisione della menzogna.

[43652] IIª-IIae q. 110 a. 2 arg. 2
Praeterea, Augustinus, in libro contra mendacium, dividit mendacium in octo partes. Quorum primum est in doctrina religionis; secundum est ut nulli prosit et obsit alicui; tertium est quod prodest uni ita ut alteri obsit; quartum est quod fit sola mentiendi fallendique libidine; quintum est quod fit placendi cupiditate; sextum est quod nulli obest, et prodest alicui ad conservandam pecuniam; septimum est quod nulli obest, et prodest alicui ad vitandum mortem; octavum quod nulli obest, et prodest alicui ad vitandum immunditiam corporalem. Ergo videtur quod prima divisio mendacii sit insufficiens.

 

[43652] IIª-IIae q. 110 a. 2 arg. 2
2. S. Agostino divide la menzogna in otto specie. La prima ha per oggetto "l'insegnamento religioso"; la seconda è quella che "non giova a nessuno e danneggia qualcuno"; la terza è la bugia che "giova a una persona danneggiandone un'altra"; la quarta è quella che "vien detta per il solo gusto di mentire e d'ingannare"; la quinta è la bugia "detta solo per divertire"; la sesta è la bugia "che non danneggia nessuno e giova a conservare il denaro di qualcuno"; la settima è "quella che, senza danneggiare nessuno, giova a evitare la morte di qualcuno"; e l'ottava è la bugia "che non danneggia nessuno, e giova a qualcuno evitando un peccato carnale". Perciò la divisione precedente della menzogna è insufficiente.

[43653] IIª-IIae q. 110 a. 2 arg. 3
Praeterea, philosophus, in IV Ethic., dividit mendacium in iactantiam, quae verum excedit in dicendo, et ironiam, quae deficit a vero in minus. Quae duo sub nullo praedictorum membrorum continentur. Ergo videtur quod praedicta divisio mendacii sit incompetens.

 

[43653] IIª-IIae q. 110 a. 2 arg. 3
3. Il Filosofo divide la menzogna in "millanteria", che nel parlare va al di là del vero per esagerazione, e "ironia", che rimane al di sotto del vero. Ma queste due cose non si riscontrano nella suddivisione riferita. Dunque la suddetta divisione della bugia, o menzogna non è accettabile.

[43654] IIª-IIae q. 110 a. 2 s. c.
Sed contra est quod super illud Psalm., perdes omnes qui loquuntur mendacium, dicit Glossa quod sunt tria genera mendaciorum. Quaedam enim sunt pro salute et commodo alicuius; est etiam aliud genus mendacii, quod fit ioco; tertium vero mendacii genus est quod fit ex malignitate. Primum autem horum dicitur officiosum; secundum, iocosum; tertium, perniciosum. Ergo mendacium in tria praedicta dividitur.

 

[43654] IIª-IIae q. 110 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Commentando quel testo dei Salmi: "Disperdi tutti quei che parlan menzogna", la Glossa afferma, che "ci sono tre generi di menzogne. Alcune infatti son dette per dare scampo o aiuto a qualcuno; il secondo genere è formato da quelle bugie che son dette per gioco; il terzo da quelle dette per far del male". Il primo tipo è la bugia ufficiosa, il secondo quella giocosa, e il terzo è la bugia dannosa. Dunque la menzogna si divide nelle specie suddette.

[43655] IIª-IIae q. 110 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod mendacium tripliciter dividi potest. Uno modo, secundum ipsam mendacii rationem, quae est propria et per se mendacii divisio. Et secundum hoc, mendacium in duo dividitur, scilicet in mendacium quod transcendit veritatem in maius, quod pertinet ad iactantiam; et in mendacium quod deficit a veritate in minus, quod pertinet ad ironiam; ut patet per philosophum, in IV Ethic. Haec autem divisio ideo per se est ipsius mendacii, quia mendacium, inquantum huiusmodi, opponitur veritati, ut dictum est, veritas autem aequalitas quaedam est, cui per se opponitur maius et minus. Alio modo potest dividi mendacium inquantum habet rationem culpae, secundum ea quae aggravant vel diminuunt culpam mendacii ex parte finis intenti. Aggravat autem culpam mendacii si aliquis per mendacium intendat alterius nocumentum, quod vocatur mendacium perniciosum. Diminuitur autem culpa mendacii si ordinetur ad aliquod bonum, vel delectabile et sic est mendacium iocosum; vel, utile, et sic est mendacium officiosum, sive quo intenditur iuvamentum alterius vel remotio nocumenti. Et secundum hoc, dividitur mendacium in tria praedicta. Tertio modo dividitur mendacium universalius secundum ordinem ad finem, sive ex hoc addatur vel diminuatur ad culpam mendacii, sive non. Et secundum hoc, est divisio octo membrorum quae dicta est. In qua quidem tria prima membra continentur sub mendacio pernicioso. Quod quidem fit vel contra Deum, et ad hoc pertinet primum mendacium, quod est in doctrina religionis. Vel est contra hominem, sive sola intentione nocendi alicui, et sic est secundum mendacium, quod scilicet nulli prodest et obest alicui; sive etiam intendatur in nocumento unius utilitas alterius, et hoc est tertium mendacium, quod uni prodest et alteri obest. Inter quae tria primum est gravissimum, quia semper peccata contra Deum sunt graviora, ut supra dictum est. Secundum autem est gravius tertio, quod diminuitur ex intentione utilitatis alterius. Post haec autem tria quae superaddunt ad gravitatem culpae mendacii, ponitur quartum, quod habet propriam quantitatem sine additione vel diminutione. Et hoc est mendacium quod fit ex sola mentiendi libidine, quod procedit ex habitu, unde et philosophus dicit, in IV Ethic., quod mendax, eo quod talis est secundum habitum, ipso mendacio gaudet. Quatuor vero subsequentes modi diminuunt de culpa mendacii. Nam quintum est mendacium iocosum, quod fit placendi cupiditate. Alia vero tria continentur sub mendacio officioso. In quo intenditur quod est alteri utile vel quantum ad res exteriores, et sic est sextum mendacium, quod prodest alicui ad pecuniam conservandam; vel est utile corpori, et hoc est septimum mendacium, quo impeditur mors hominis; vel est utile etiam ad honestatem virtutis, et hoc est octavum mendacium, in quo impeditur illicita pollutio corporalis. Patet autem quod quanto bonum intentum est melius, tanto magis minuitur culpa mendacii. Et ideo, si quis diligenter consideret, secundum ordinem praedictae enumerationis est ordo gravitatis culpae in istis mendaciis, nam bonum utile praefertur delectabili; et vita corporalis praefertur pecuniae; honestas autem etiam ipsi corporali vitae.

 

[43655] IIª-IIae q. 110 a. 2 co.
RISPONDO: La menzogna si può dividere in tre maniere. Primo, in base all'essenza stessa della menzogna: e questa ne costituisce la divisione propria ed essenziale. In base a questo la menzogna si divide in due specie, come vuole il Filosofo: nella menzogna che va al di là del vero per esagerazione, e costituisce la millanteria; e nella menzogna che rimane al di sotto della verità, e costituisce l'ironia. E questa divisione è essenziale per la menzogna, perché la menzogna come tale si contrappone alla veracità, come sopra abbiamo spiegato: la veracità infatti consiste in una certa adeguazione cui si contrappone il di più e il meno.
Secondo, la menzogna si può dividere sotto l'aspetto di colpa: e cioè in base a ciò che aggrava o diminuisce la colpa in rapporto al fine perseguito. Ora, è un'aggravante per il peccato di menzogna che uno tenda con esso a danneggiare il prossimo: e in questo abbiamo la bugia dannosa. Invece la colpa viene diminuita, se uno ordina la menzogna a un bene qualsiasi: o al bene dilettevole, e allora abbiamo la bugia giocosa; o al bene utile, e allora abbiamo la bugia ufficiosa, con la quale si cerca di dare aiuto o di evitare noie a qualche persona. Ed è in questo modo che vien fatta la divisione della menzogna nei tre tipi di cui stiamo discutendo.
Terzo, la menzogna si può dividere ancora più radicalmente in ordine al fine, senza badare se questo incida o meno sull'aumento o sulla diminuzione della colpa. Abbiamo così la divisione agostiniana in otto membri. In essa i primi tre tipi di menzogna rientrano nella bugia dannosa. La quale può essere detta contro Dio: e abbiamo il primo tipo, che ha per oggetto "l'insegnamento religioso". Oppure è detta contro l'uomo: o con la sola intenzione di nuocere a qualcuno, e allora abbiamo il secondo tipo, cioè la bugia che "non giova a nessuno e danneggia qualcuno"; o con l'intenzione di nuocere a una persona per giovare a un'altra, e allora abbiamo il terzo tipo di menzogna, "che giova all'uno danneggiando l'altro". E tra questi tre tipi il primo è il più grave: poiché i peccati contro Dio sono sempre quelli più gravi, come sopra abbiamo spiegato. Il secondo poi è più grave del terzo, il quale ha un'attenuante nell'intenzione di giovare a un altro. - A questi tre tipi di bugia, che aggiungono elementi aggravanti al peccato di menzogna, segue il quarto che ha un'intrinseca gravità, senza aggravanti o attenuanti. E questa è la bugia detta "per il solo gusto di mentire", il che deriva dall'abito vizioso: ecco perché il Filosofo afferma che il bugiardo, "essendo tale per abito, gode della menzogna stessa". - I quattro tipi che seguono attenuano la gravità della menzogna. Infatti il quinto è la bugia giocosa, detta "per il gusto di divertire". Gli altri tre rientrano nella bugia ufficiosa. E l'utilità verso una persona può riguardare, o i beni esterni, e allora abbiamo il sesto tipo di bugia, "che giova a conservare il denaro di qualcuno"; o il vantaggio del corpo, e abbiamo il settimo tipo di bugia, "che giova a evitare la morte di un uomo"; oppure la salvaguardia dell'onestà e della virtù, e abbiamo l'ottavo tipo di bugia, "con la quale s'impediscono peccati carnali". Ora, è evidente che la colpevolezza della menzogna diminuisce in proporzione inversa del valore dei beni perseguiti. Perciò a ben considerare si nota che l'ordine dell'enumerazione descritta segue l'ordine della gravità morale della menzogna: infatti il bene utile va preferito al bene dilettevole; la vita corporale alle ricchezze; e l'onestà alla stessa vita del corpo.

[43656] IIª-IIae q. 110 a. 2 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[43656] IIª-IIae q. 110 a. 2 ad arg.
Sono così risolte anche le difficoltà.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > I vizi contrari alla veracità > Se la menzogna sia sempre peccato


Secunda pars secundae partis
Quaestio 110
Articulus 3

[43657] IIª-IIae q. 110 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod non omne mendacium sit peccatum. Manifestum est enim quod Evangelistae scribendo Evangelium non peccaverunt. Videntur tamen aliquid falsum dixisse, quia verba Christi, et etiam aliorum, frequenter aliter unus et aliter retulit alius; unde videtur quod alter eorum dixerit falsum. Non ergo omne mendacium est peccatum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 110
Articolo 3

[43657] IIª-IIae q. 110 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la menzogna non sempre sia peccato. Infatti:
1. È evidente che gli evangelisti scrivendo il Vangelo non fecero peccato. Eppure è chiaro che essi hanno scritto delle cose false; poiché nel riferire le parole di Cristo o di altri spesso uno le riporta in un modo e uno in un altro; e quindi l'uno o l'altro deve aver detto il falso. Dunque non tutte le bugie sono peccato.

[43658] IIª-IIae q. 110 a. 3 arg. 2
Praeterea, nullus remuneratur a Deo pro peccato. Sed obstetrices Aegypti remuneratae sunt a Deo propter mendacium, dicitur enim Exod. I, quod aedificavit illis Deus domos. Ergo mendacium non est peccatum.

 

[43658] IIª-IIae q. 110 a. 3 arg. 2
2. Nessuno è ricompensato da Dio per dei peccati. Ora, le levatrici egiziane furono ricompensate da Dio per una menzogna, come si legge nell'Esodo: "Dio fece prosperare le loro famiglie". Perciò la menzogna non è peccato.

[43659] IIª-IIae q. 110 a. 3 arg. 3
Praeterea, gesta sanctorum narrantur in sacra Scriptura ad informationem vitae humanae. Sed de quibusdam sanctissimis viris legitur quod sunt mentiti, sicut legitur Gen. XII et XX quod Abraham dixit de uxore sua quod soror sua esset. Iacob etiam mentitus est dicens se Esau, tamen benedictionem adeptus est, ut habetur Gen. XXVII. Iudith etiam commendatur, quae tamen Holoferni mentita est. Non ergo omne mendacium est peccatum.

 

[43659] IIª-IIae q. 110 a. 3 arg. 3
3. Le gesta dei Santi sono narrate dalla sacra Scrittura per formare gli uomini alla virtù. Eppure di certi personaggi santissimi si legge che hanno mentito: nella Genesi, p. es., si legge che Abramo disse che sua moglie era sua sorella. Giacobbe inoltre mentì dicendo di essere Esaù: eppure ottenne la benedizione. Viene poi esaltata Giuditta, la quale mentì ad Oloferne. Dunque non sempre la bugia è peccato.

[43660] IIª-IIae q. 110 a. 3 arg. 4
Praeterea, minus malum est eligendum ut vitetur maius malum, sicut medicus praecidit membrum ne corrumpatur totum corpus. Sed minus nocumentum est quod aliquis generet falsam opinionem in animo alicuius quam quod aliquis occidat vel occidatur. Ergo licite potest homo mentiri ut unum praeservet ab homicidio, et alium praeservet a morte.

 

[43660] IIª-IIae q. 110 a. 3 arg. 4
4. Per evitare un male più grave bisogna rassegnarsi a un male minore: come fa il chirurgo, il quale asporta un organo per salvare tutto il corpo. Ora, creare un'opinione falsa nell'animo di una persona è un male minore rispetto all'assassinio che altrimenti ne potrebbe nascere. Dunque si può mentire per preservare una persona dall'omicidio, e l'altra dalla morte.

[43661] IIª-IIae q. 110 a. 3 arg. 5
Praeterea, mendacium est si quis non impleat quod promisit. Sed non omnia promissa sunt implenda, dicit enim Isidorus, in malis promissis rescinde fidem. Ergo non omne mendacium est vitandum.

 

[43661] IIª-IIae q. 110 a. 3 arg. 5
5. Si ha una menzogna, se uno non mantiene ciò che ha promesso. Ma non tutte le promesse vanno mantenute; poiché S. Isidoro ammonisce: "Alle cattive promesse sii infedele". Quindi non tutte le bugie sono da evitarsi.

[43662] IIª-IIae q. 110 a. 3 arg. 6
Praeterea, mendacium ob hoc videtur esse peccatum quia per ipsum homo decipit proximum, unde Augustinus dicit, in libro contra mendacium, quisquis esse aliquod genus mendacii quod peccatum non sit, putaverit, decipiet seipsum turpiter, cum honestum se deceptorem arbitretur aliorum. Sed non omne mendacium est deceptionis causa, quia per mendacium iocosum nullus decipitur. Non enim ad hoc dicuntur huiusmodi mendacia ut credantur, sed propter delectationem solam, unde et hyperbolicae locutiones quandoque etiam in sacra Scriptura inveniuntur. Non ergo omne mendacium est peccatum.

 

[43662] IIª-IIae q. 110 a. 3 arg. 6
6. La bugia è peccato per il fatto che con essa s'inganna il prossimo; di qui le parole di S. Agostino: "Pensare che ci sia un genere di menzogna che non sia peccato è ingannare grossolanamente se stessi, ritenendo di poter onestamente ingannare gli altri". Ma non tutte le bugie sono causa d'inganno: poiché con la bugia giocosa non s'inganna nessuno. Infatti queste bugie non vengono dette perché vi si creda, ma solo per divertimento: d'altra parte anche nella sacra Scrittura non mancano le espressioni iperboliche. Dunque non sempre la bugia è peccato.

[43663] IIª-IIae q. 110 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur Eccli. VII, noli velle mentiri omne mendacium.

 

[43663] IIª-IIae q. 110 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Nell'Ecclesiastico si legge: "Non voler mai dire nessuna bugia".

[43664] IIª-IIae q. 110 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod illud quod est secundum se malum ex genere, nullo modo potest esse bonum et licitum, quia ad hoc quod aliquid sit bonum, requiritur quod omnia recte concurrant; bonum enim est ex integra causa, malum autem est ex singularibus defectibus, ut Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom. Mendacium autem est malum ex genere. Est enim actus cadens super indebitam materiam, cum enim voces sint signa naturaliter intellectuum, innaturale est et indebitum quod aliquis voce significet id quod non habet in mente. Unde philosophus dicit, in IV Ethic., quod mendacium est per se pravum et fugiendum, verum autem et bonum et laudabile. Unde omne mendacium est peccatum, sicut etiam Augustinus asserit, in libro contra mendacium.

 

[43664] IIª-IIae q. 110 a. 3 co.
RISPONDO: In nessun modo può essere buono e lecito ciò che è cattivo nel suo genere: poiché la bontà richiede il concorso ordinato di tutti gli elementi; infatti "il bene deriva dal concorso integrale delle cause, il male invece da ogni singolo difetto", come scrive Dionigi. Ora, la menzogna è cattiva nel suo genere. Essa infatti è un'azione che si esercita su una materia sconveniente: poiché le parole, essendo per natura espressioni del pensiero, è cosa innaturale e sconveniente che uno esprima con le parole quello che non pensa. Ecco perché il Filosofo insegna, che "la menzoga è per se stessa cattiva e riprovevole: la verità invece è cosa buona e lodevole". Dunque la bugia è sempre peccato, come anche S. Agostino afferma.

[43665] IIª-IIae q. 110 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod nec in Evangelio, nec in aliqua Scriptura canonica fas est opinari aliquod falsum asseri, nec quod scriptores earum mendacium dixerunt, quia periret fidei certitudo, quae auctoritati sacrae Scripturae innititur. In hoc vero quod in Evangelio, et in aliis Scripturis sacris, verba aliquorum diversimode recitantur, non est mendacium. Unde Augustinus dicit, in libro de consensu Evangelist., nullo modo laborandum esse iudicat qui prudenter intelligit ipsas sententias esse necessarias cognoscendae veritati, quibuslibet verbis fuerint explicatae. Et in hoc apparet, ut ibidem subdit, non debere nos arbitrari mentiri quemquam si, pluribus reminiscentibus rem quam audierunt vel viderunt, non eodem modo atque eisdem verbis eadem res fuerit indicata.

 

[43665] IIª-IIae q. 110 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non è lecito pensare che nel Vangelo, o in qualsiasi altro libro ispirato, ci siano delle affermazioni false, o che i loro scrittori abbiano detto delle menzogne: poiché così verrebbe distrutta la certezza della fede, che si appoggia sull'autorità della sacra Scrittura. Il fatto che nel Vangelo e negli altri libri santi vengano riferite diversamente le parole dei vari personaggi, non è una menzogna. Dice infatti S. Agostino: "Questo problema non deve preoccupare colui il quale ritiene che la conoscenza della verità risulta dalle idee, quali che siano le parole con le quali viene presentata". E aggiunge: "Da ciò appare evidente che non dobbiamo accusare nessuno di menzogna, se più individui nel ricordare cose viste o udite, non le esprimono tutti allo stesso modo e con le stesse parole".

[43666] IIª-IIae q. 110 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod obstetrices non sunt remuneratae pro mendacio, sed pro timore Dei et benevolentia, ex qua processit mendacium. Unde signanter dicitur Exod. I, et quia timuerunt obstetrices Deum, aedificavit illis domos. Mendacium vero postea sequens non fuit meritorium.

 

[43666] IIª-IIae q. 110 a. 3 ad 2
2. Le levatrici non furono ricompensate della menzogna; ma del timor di Dio e della loro benevolenza, da cui derivò la bugia. Non per nulla l'Esodo si esprime in questi termini: "Siccome poi le levatrici avevano temuto Dio, questi fece prosperare le loro famiglie". Ma la bugia che ne derivò non era meritoria.

[43667] IIª-IIae q. 110 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod in sacra Scriptura, sicut Augustinus dicit, inducuntur aliquorum gesta quasi exempla perfectae virtutis, de quibus non est aestimandum eos fuisse mentitos. Si qua tamen in eorum dictis appareant quae mendacia videantur, intelligendum est ea figuraliter et prophetice dicta esse. Unde Augustinus dicit, in libro contra mendacium, credendum est illos homines qui propheticis temporibus digni auctoritate fuisse commemorantur, omnia quae scripta sunt de illis prophetice gessisse atque dixisse. Abraham tamen, ut Augustinus dicit, in quaest. Genes. Dicens Saram esse suam sororem, veritatem voluit celari, non mendacium dici, soror enim dicitur quia filia fratris erat. Unde et ipse Abraham dicit, Gen. XX, vere soror mea est, filia patris mei, et non matris meae filia, quia scilicet ex parte patris ei attinebat. Iacob vero mystice dixit se esse Esau, primogenitum Isaac, quia videlicet primogenita illius de iure ei debebantur. Usus autem est hoc modo loquendi per spiritum prophetiae, ad designandum mysterium, quia videlicet minor populus, scilicet gentilium, substituendus erat in locum primogeniti, scilicet in locum Iudaeorum. Quidam vero commendantur in Scriptura non propter perfectam virtutem, sed propter quandam virtutis indolem, quia scilicet apparebat in eis aliquis laudabilis affectus, ex quo movebantur ad quaedam indebita facienda. Et hoc modo Iudith laudatur, non quia mentita est Holoferni, sed propter affectum quem habuit ad salutem populi, pro qua periculis se exposuit. Quamvis etiam dici possit quod verba eius veritatem habent secundum aliquem mysticum intellectum.

 

[43667] IIª-IIae q. 110 a. 3 ad 3
3. Come insegna S. Agostino, nella sacra Scrittura sono riferite le gesta di alcuni personaggi come esempi di perfetta virtù: e di costoro non si può pensare che abbiano mentito. Se poi nelle loro parole si riscontrano espressioni che sembrano menzogne, bisogna intenderle in senso figurato, o profetico. Ecco le parole del Santo: "Si deve credere che quanto è stato detto sui personaggi la cui autorità fu indiscussa nei tempi profetici, sia stato da essi compiuto, o affermato in senso profetico".
Tuttavia, come nota lo stesso S. Agostino, quando Abramo disse che Sara era sua sorella, volle celare la verità senza dire una bugia: infatti poteva dirsi sorella perché figlia di un fratello. Ecco infatti le parole di Abramo: "È veramente mia sorella, perché figlia del padre mio, ma non della madre mia"; e cioè perché sua cugina per parte di suo padre. - Giacobbe poi disse di essere Esaù e primogenito di Isacco in senso mistico: e cioè per il fatto che giuridicamente spettava a lui la primogenitura. Egli ricorse a questo modo di parlare guidato dallo spirito profetico, per indicare un mistero: e cioè il fatto che il popolo minore, ossia quello dei gentili, doveva soppiantare quello primogenito, cioè gli Ebrei.
Altri personaggi invece sono lodati dalla Scrittura non come esempi di perfetta virtù, ma per certe loro inclinazioni virtuose: cioè perché appariva in essi un sentimento lodevole, che però li ha condotti a commettere anche delle cose sconvenienti. È in tal modo che viene lodata Giuditta, la quale mentì ad Oloferne, cioè per l'affetto che nutriva per la salvezza del suo popolo, per cui si espose a gravi pericoli. Si potrebbe però anche rispondere che le sue parole erano vere in senso mistico.

[43668] IIª-IIae q. 110 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod mendacium non solum habet rationem peccati ex damno quod infert proximo, sed ex sua inordinatione, ut dictum est. Non licet autem aliqua illicita inordinatione uti ad impediendum nocumenta et defectus aliorum, sicut non licet furari ad hoc quod homo eleemosynam faciat (nisi forte in casu necessitatis, in quo omnia sunt communia). Et ideo non est licitum mendacium dicere ad hoc quod aliquis alium a quocumque periculo liberet. Licet tamen veritatem occultare prudenter sub aliqua dissimulatione, ut Augustinus dicit, contra mendacium.

 

[43668] IIª-IIae q. 110 a. 3 ad 4
4. La menzogna, come abbiamo visto, non è peccato solo per il danno che arreca al prossimo, ma per il suo intrinseco disordine. Ora, non si può usare una cosa illecita e sconveniente per far fronte ai danni o ai bisogni del prossimo: non è lecito rubare, p. es., per fare l'elemosina (eccetto in caso di necessità estrema in cui tutto è comune). Perciò non è lecito dir bugie per stornare un pericolo qualsiasi da una persona. Però è lecito nascondere prudentemente la verità con qualche scusa, come spiega S. Agostino.

[43669] IIª-IIae q. 110 a. 3 ad 5
Ad quintum dicendum quod ille qui aliquid promittit, si habeat animum faciendi quod promittit, non mentitur, quia non loquitur contra id quod gerit in mente. Si vero non faciat quod promisit, tunc videtur infideliter agere per hoc quod animum mutat. Potest tamen excusari ex duobus. Uno modo, si promisit id quod est manifeste illicitum, quia promittendo peccavit, mutando autem propositum bene facit. Alio modo, si sint mutatae conditiones personarum et negotiorum. Ut enim Seneca dicit, in libro de Benefic., ad hoc quod homo teneatur facere quod promisit, requiritur quod omnia immutata permaneant, alioquin nec fuit mendax in promittendo, quia promisit quod habebat in mente, subintellectis debitis conditionibus; nec etiam est infidelis non implendo quod promisit, quia eaedem conditiones non extant. Unde et apostolus non est mentitus, qui non ivit Corinthum, quo se iturum esse promiserat, ut dicitur II Cor. I, et hoc propter impedimenta quae supervenerant.

 

[43669] IIª-IIae q. 110 a. 3 ad 5
5. Chi fa una promessa, se ha il proposito di mantenerla, non mente: poiché non parla contro ciò che ha in mente. Se poi non fa quello che ha promesso, allora va contro la fedeltà, per il fatto che cambia divisamento. Egli tuttavia può essere scusato in due casi. Primo, se aveva promesso cose manifestamente illecite: avendo infatti peccato col promettere, fa bene a mutare proposito. - Secondo, se sono mutate le condizioni delle persone e delle cose. Infatti, come dice Seneca, perché un uomo sia tenuto a fare ciò che aveva promesso si richiede che tutto sia rimasto immutato: altrimenti egli non può dirsi mendace nel promettere, perché promise quello che aveva in mente di fare, sottintendendo le debite condizioni: e non è infedele nel non mantenere ciò che aveva promesso, poiché non esistono più le medesime condizioni. Ecco perché l'Apostolo, il quale poi non andò a Corinto, non mentì quando promise di andarvi: ciò fu dovuto agli ostacoli che sopravvennero.

[43670] IIª-IIae q. 110 a. 3 ad 6
Ad sextum dicendum quod operatio aliqua potest considerari dupliciter, uno modo, secundum seipsam; alio modo, ex parte operantis. Mendacium igitur iocosum ex ipso genere operis habet rationem fallendi, quamvis ex intentione dicentis non dicatur ad fallendum, nec fallat ex modo dicendi. Nec est simile de hyperbolicis aut quibuscumque figurativis locutionibus, quae in sacra Scriptura inveniuntur, quia, sicut Augustinus dicit, in libro contra mendacium, quidquid figurate fit aut dicitur, non est mendacium. Omnis enim enuntiatio ad id quod enuntiat referenda est, omne autem figurate aut factum aut dictum hoc enuntiat quod significat eis quibus intelligendum prolatum est.

 

[43670] IIª-IIae q. 110 a. 3 ad 6
6. Un'azione può essere considerata sotto due punti di vista: primo, in se stessa; secondo, in colui che la compie. Ora, la bugia giocosa in se stessa considerata è fatta per ingannare, sebbene chi la dice non abbia questa intenzione, e non inganni per il modo col quale vien detta. Ma non si può mettere alla pari con le espressioni iperboliche e figurate che si riscontrano nella sacra Scrittura: poiché, come dice S. Agostino, "tutto ciò che si fa o si dice in senso figurato non è una menzogna. Infatti ogni enunziato va riferito alle cose che vengono enunciate: ebbene tutto ciò che vien fatto o detto in maniera figurata esprime ciò che significa per chi è chiamato a comprenderne il significato".




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > I vizi contrari alla veracità > Se qualsiasi menzogna sia peccato mortale


Secunda pars secundae partis
Quaestio 110
Articulus 4

[43671] IIª-IIae q. 110 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod omne mendacium sit peccatum mortale. Dicitur enim in Psalm., perdes omnes qui loquuntur mendacium, et Sap. I, os quod mentitur occidit animam. Sed perditio et mors animae non est nisi per peccatum mortale. Ergo omne mendacium est peccatum mortale.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 110
Articolo 4

[43671] IIª-IIae q. 110 a. 4 arg. 1
SEMBRA che tutte le menzogne siano peccato mortale. Infatti:
1. Nei Salmi si legge: "Disperdi tutti quei che parlan menzogna"; e nella Sapienza: "La bocca che mente dà morte all'anima". Ora, la perdizione e la morte dell'anima si ha solo per il peccato mortale. Dunque tutte le menzogne son peccati mortali.

[43672] IIª-IIae q. 110 a. 4 arg. 2
Praeterea, omne quod est contra praeceptum Decalogi est peccatum mortale. Sed mendacium est contra hoc praeceptum Decalogi, non falsum testimonium dices. Ergo omne mendacium est peccatum mortale.

 

[43672] IIª-IIae q. 110 a. 4 arg. 2
2. Tutto ciò che è contro un precetto del decalogo è peccato mortale. Ma la bugia è contro il precetto del decalogo: "Non dire falsa testimonianza". Quindi qualsiasi bugia è peccato mortale.

[43673] IIª-IIae q. 110 a. 4 arg. 3
Praeterea, Augustinus dicit, in I de Doct. Christ., nemo mentiens, in eo quod mentitur, servat fidem, nam hoc utique vult, ut cui mentitur fidem sibi habeat, quam tamen ei mentiendo non servat. Omnis autem fidei violator iniquus est. Nullus autem dicitur fidei violator vel iniquus propter peccatum veniale. Ergo nullum mendacium est peccatum veniale.

 

[43673] IIª-IIae q. 110 a. 4 arg. 3
3. Scrive S. Agostino: "Chiunque mente nel mentire fa oltraggio alla fede: poiché egli pretende che si abbia fede in lui nell'atto in cui l'oltraggia con la menzogna. E chiunque fa oltraggio alla fede è iniquo". Ora, nessuno merita il nome di violatore della fede, o d'iniquo per un peccato veniale. Dunque nessuna menzogna è solo peccato veniale.

[43674] IIª-IIae q. 110 a. 4 arg. 4
Praeterea, merces aeterna non perditur nisi pro peccato mortali. Sed pro mendacio perditur merces aeterna, commutata in temporale, dicit enim Gregorius quod in remuneratione obstetricum cognoscitur quid mendacii culpa mereatur. Nam benignitatis earum merces, quae eis potuit in aeterna vita tribui, praemissa culpa mendacii, in terrenam est remunerationem declinata. Ergo etiam mendacium officiosum, quale fuit obstetricum, quod videtur esse levissimum, est peccatum mortale.

 

[43674] IIª-IIae q. 110 a. 4 arg. 4
4. L'eterna mercede non può essere perduta che per un peccato mortale. Ma con una menzogna si può perdere l'eterna mercede, che viene perciò commutata in compenso temporale. Infatti S. Gregorio afferma, che "dalla ricompensa delle levatrici (egiziane) si può conoscere che cosa meriti il peccato di menzogna. Poiché la mercede della loro bontà, che poteva essere ricompensata nella vita eterna, con l'intervento della menzogna fu ridotta a una ricompensa terrena". Perciò anche una bugia ufficiosa, p. es., quella delle levatrici, che pure sembra una colpa lievissima, è peccato mortale.

[43675] IIª-IIae q. 110 a. 4 arg. 5
Praeterea, Augustinus dicit, in libro contra mendacium, quod perfectorum praeceptum est omnino non solum non mentiri, sed nec velle mentiri. Sed facere contra praeceptum est peccatum mortale. Ergo omne mendacium perfectorum est peccatum mortale. Pari ergo ratione et quorumlibet aliorum, alioquin essent peioris conditionis.

 

[43675] IIª-IIae q. 110 a. 4 arg. 5
5. S. Agostino ha scritto, che "per i perfetti è di precetto non solo non mentire, ma persino non voler mentire". Ma agire contro un precetto è peccato mortale. Dunque tutte le bugie dei perfetti son peccati mortali. E quindi anche quelle di qualsiasi altra persona: altrimenti i perfetti sarebbero in una condizione peggiore.

[43676] IIª-IIae q. 110 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in V Psalm., duo sunt genera mendaciorum in quibus non est magna culpa, sed tamen non sunt sine culpa, cum aut iocamur, aut proximo consulendo mentimur. Sed omne peccatum mortale habet gravem culpam. Ergo mendacium iocosum et officiosum non sunt peccata mortalia.

 

[43676] IIª-IIae q. 110 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna: "Ci sono due generi di menzogne in cui la colpa non è grave, e tuttavia non sono senza colpa: mentire per scherzo, o mentire per giovare al prossimo". Ma qualsiasi peccato mortale implica una colpa grave. Dunque le bugie giocose e ufficiose non sono peccati mortali.

[43677] IIª-IIae q. 110 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod peccatum mortale proprie est quod repugnat caritati, per quam anima vivit Deo coniuncta, ut dictum est. Potest autem mendacium contrariari caritati tripliciter, uno modo, secundum se; alio modo, secundum finem intentum; tertio modo, per accidens. Secundum se quidem contrariatur caritati ex ipsa falsa significatione. Quae quidem si sit circa res divinas, contrariatur caritati Dei, cuius veritatem aliquis tali mendacio occultat vel corrumpit. Unde huiusmodi mendacium non solum opponitur virtuti veritatis, sed etiam virtuti fidei et religionis. Et ideo hoc mendacium est gravissimum, et mortale. Si vero falsa significatio sit circa aliquid cuius cognitio pertineat ad hominis bonum, puta quae pertinent ad perfectionem scientiae et informationem morum, tale mendacium, inquantum infert damnum falsae opinionis proximo, contrariatur caritati quantum ad dilectionem proximi. Unde est peccatum mortale. Si vero sit falsa opinio ex mendacio generata circa aliquid de quo non referat utrum sic vel aliter cognoscatur, tunc ex tali mendacio non damnificatur proximus, sicut si aliquis fallatur in aliquibus particularibus contingentibus ad se non pertinentibus. Unde tale mendacium secundum se non est peccatum mortale. Ratione vero finis intenti, aliquod mendacium contrariatur caritati, puta quod dicitur aut in iniuriam Dei, quod semper est peccatum mortale, utpote religioni contrarium; aut in nocumentum proximi, quantum ad personam, divitias vel famam. Et hoc etiam est peccatum mortale, cum nocere proximo sit peccatum mortale; ex sola autem intentione peccati mortalis, aliquis mortaliter peccat. Si vero finis intentus non sit contrarium caritati, nec mendacium secundum hanc rationem erit peccatum mortale, sicut apparet in mendacio iocoso, in quo intenditur aliqua levis delectatio; et in mendacio officioso, in quo intenditur etiam utilitas proximi. Per accidens autem potest contrariari caritati ratione scandali, vel cuiuscumque damni consequentis. Et sic erit etiam peccatum mortale, dum scilicet aliquis non veretur propter scandalum publice mentiri.

 

[43677] IIª-IIae q. 110 a. 4 co.
RISPONDO: Peccato mortale propriamente è quello che è in contrasto con la carità, mediante la quale, come abbiamo spiegato, l'anima vive unita a Dio. Ora, la menzogna può essere in contrasto con la carità in tre modi: primo, per se stessa; secondo, per il fine cui mira; terzo per accidens. Per se stessa la bugia può essere contraria alla carità per la falsità che esprime. Ora, quando espressioni del genere riguardano le cose divine, la bugia è contro la carità di Dio, di cui si nasconde o si corrompe la verità con la menzogna. Perciò codesta menzogna non solo è in contrasto con la virtù della veracità, ma anche con le virtù della fede e della religione. Ecco perché questa menzogna è peccato gravissimo e mortale. - Se invece le espressioni false del bugiardo hanno per oggetto il bene dell'uomo, cioè le verità essenziali per il suo sapere e la rettitudine dei costumi, tale menzogna è incompatibile con l'amore del prossimo, poiché lo danneggia con delle false opinioni. Perciò anche questo è un peccato mortale. - Se invece le false opinioni prodotte dalla menzogna hanno per oggetto cose di nessuna importanza, allora il prossimo non riceve un danno da codeste bugie: come nel caso che uno viene ingannato in certi fatti particolari e contingenti che non lo riguardano. E quindi tale bugia non è peccato mortale.
Invece la menzogna può essere in contrasto con la carità per il fine che viene perseguito: quella, p. es., che è detta per insultare Dio, e che è sempre peccato mortale, perché contraria alla religione; e quella detta per danneggiare il prossimo nella persona, nelle ricchezze e nella fama. E anche questa è peccato mortale, perché danneggiare il prossimo è peccato mortale; e si sa che uno pecca mortalmente anche con la sola intenzione di fare un peccato mortale. - Se invece il fine cui si mira non è contro la carità, neppure la bugia da questo lato è peccato mortale: il che è evidente nella bugia giocosa, in cui si mira a un piacere moderato; e nella bugia ufficiosa in cui si mira persino a far del bene al prossimo.
Per accidens, finalmente, la menzogna può essere in contrasto con la carità a motivo dello scandalo, o di altri danni che possono derivarne. E anche allora il peccato è mortale: per il fatto che uno non si astiene dal mentire pubblicamente in previsione dello scandalo.

[43678] IIª-IIae q. 110 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod auctoritates illae intelliguntur de mendacio pernicioso, ut Glossa exponit, super illud Psalm., perdes omnes qui loquuntur mendacium.

 

[43678] IIª-IIae q. 110 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I testi citati vanno riferiti alle bugie dannose, come spiega la Glossa a proposito di quelle parole dei Salmi: "Disperdi tutti quei che parlan menzogna".

[43679] IIª-IIae q. 110 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod, cum omnia praecepta Decalogi ordinentur ad dilectionem Dei et proximi, sicut supra dictum est, intantum mendacium est contra praeceptum Decalogi inquantum est contra dilectionem Dei et proximi. Unde signanter prohibetur contra proximum falsum testimonium.

 

[43679] IIª-IIae q. 110 a. 4 ad 2
2. Siccome tutti i precetti del decalogo sono ordinati all'amore di Dio e del prossimo, come abbiamo spiegato in precedenza, la menzogna in tanto è contro un precetto del decalogo in quanto è contro la carità verso Dio e verso il prossimo. Non per nulla viene espressamente proibito di dire falsa testimonianza "contro il prossimo".

[43680] IIª-IIae q. 110 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod etiam peccatum veniale largo modo potest dici iniquitas, inquantum est praeter aequitatem iustitiae. Unde dicitur I Ioan. III, omne peccatum est iniquitas. Et hoc modo loquitur Augustinus.

 

[43680] IIª-IIae q. 110 a. 4 ad 3
3. Anche il peccato veniale in senso lato si può chiamare un'iniquità, essendo estraneo all'equità della giustizia. Infatti S. Giovanni ha scritto: "Ogni peccato è un'iniquità". Ed è in tal senso che parla S. Agostino.

[43681] IIª-IIae q. 110 a. 4 ad 4
Ad quartum dicendum quod mendacium obstetricum potest dupliciter considerari. Uno modo, quantum ad effectum benevolentiae in Iudaeos, et quantum ad reverentiam divini timoris, ex quibus commendatur in eis indoles virtutis. Et sic debetur eis remuneratio aeterna. Unde Hieronymus exponit quod Deus aedificavit illis domos spirituales. Alio modo potest considerari quantum ad ipsum exteriorem actum mendacii. Quo quidem non potuerunt aeternam remunerationem mereri, sed forte aliquam remunerationem temporalem, cuius merito non repugnabat deformitas illius mendacii, sicut repugnabat merito remunerationis aeternae. Et sic intelligenda sunt verba Gregorii, non quod per illud mendacium mererentur amittere remunerationem aeternam quam iam ex praecedenti affectu meruerant, sicut ratio procedebat.

 

[43681] IIª-IIae q. 110 a. 4 ad 4
4. La menzogna delle levatrici (egiziane) si può considerare da due punti di vista. Primo avendo di mira il loro sentimento di benevolenza verso gli Ebrei, e il rispetto per il timor di Dio, per le quali disposizioni viene lodata in esse la propensione alla virtù. E sotto questo aspetto è loro dovuta la ricompensa eterna. Ecco perché S. Girolamo spiega il testo nel senso che Dio edificò per esse delle dimore spirituali. - Secondo, il loro comportamento si può considerare in rapporto all'atto esterno della menzogna. E con esso non potevano certo meritare l'eterna mercede: ma tutt'al più una ricompensa temporale, che non è incompatibile, come la ricompensa eterna, con la deformità della menzogna. E in tal senso sono da intendersi le parole di S. Gregorio: non già nel senso che esse con quella bugia abbiano meritato di perdere, come vuole l'obiezione, l'eterna mercede che avevano meritato con i sentimenti precedenti.

[43682] IIª-IIae q. 110 a. 4 ad 5
Ad quintum dicendum quod quidam dicunt quod perfectis viris omne mendacium est peccatum mortale. Sed hoc irrationabiliter dicitur. Nulla enim circumstantia aggravat in infinitum nisi quae transfert in aliam speciem. Circumstantia autem personae non trahit in aliam speciem, nisi forte ratione alicuius annexi, puta si sit contra votum ipsius; quod non potest dici de mendacio officioso vel iocoso. Et ideo mendacium officiosum vel iocosum non est peccatum mortale in viris perfectis, nisi forte per accidens, ratione scandali. Et ad hoc potest referri quod Augustinus dicit, perfectis esse praeceptum non solum non mentiri, sed nec velle mentiri. Quamvis hoc Augustinus non assertive, sed sub dubitatione dicat, praemittit enim, nisi forte ita ut perfectorum et cetera. Nec obstat quod ipsi ponuntur in statu conservandae veritatis qui ad veritatem tenentur ex suo officio in iudicio vel doctrina. Contra quae si mentiantur, erit mendacium quod est peccatum mortale. In aliis autem non oportet quod mortaliter peccent mentiendo.

 

[43682] IIª-IIae q. 110 a. 4 ad 5
5. Alcuni affermano che per i perfetti ogni bugia è peccato mortale. Ma questa affermazione è irragionevole. Infatti nessuna circostanza può aggravare infinitamente una colpa, se non ne muta la specie. Ora, la circostanza di persona non produce questo mutamento, se non per altri motivi connessi: se la colpa, p. es., è contro il voto di codesta persona; il che non si può dire della bugia ufficiosa o giocosa. Perciò codeste bugie non sono peccato mortale nei perfetti, se non per accidens, cioè per lo scandalo che ne può derivare. A questo può riferirsi l'affermazione di S. Agostino, che "per i perfetti è di precetto non solo non mentire, ma persino non voler mentire". Sebbene il Santo non dica questo in un'asserzione, bensì esprimendo un dubbio, come risulta dal contesto. - Né la conclusione è diversa per il fatto che tra costoro rientra pure chi è tenuto per ufficio a custodire la verità in giudizio, o nell'insegnamento. Certo, se essi mentono contro codesti obblighi, la loro menzogna è peccato mortale. Ma non è detto che pecchino mortalmente quando mentono in altre cose.

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