II-II, 109

Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La veracità


Secunda pars secundae partis
Quaestio 109
Prooemium

[43609] IIª-IIae q. 109 pr.
Deinde considerandum est de veritate, et vitiis oppositis. Circa veritatem autem quaeruntur quatuor.
Primo, utrum veritas sit virtus.
Secundo, utrum sit virtus specialis.
Tertio, utrum sit pars iustitiae.
Quarto, utrum magis declinet ad minus.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 109
Proemio

[43609] IIª-IIae q. 109 pr.
Ed eccoci a considerare la veracità e i vizi contrari.
Sulla veracità si pongono quattro quesiti:

1. Se la veracità sia una virtù;
2. Se sia una virtù specificamente distinta;
3. Se sia parte (potenziale) della giustizia;
4. Se inclini più a diminuire (che a esagerare).




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La veracità > Se la verità, o veracità sia una virtù


Secunda pars secundae partis
Quaestio 109
Articulus 1

[43610] IIª-IIae q. 109 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod veritas non sit virtus. Prima enim virtutum est fides, cuius obiectum est veritas. Cum igitur obiectum sit prius habitu et actu, videtur quod veritas non sit virtus, sed aliquid prius virtute.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 109
Articolo 1

[43610] IIª-IIae q. 109 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la verità, o veracità non sia una virtù. Infatti:
1. La prima di tutte le virtù è la fede, il cui oggetto è la verità. Ora, siccome l'oggetto è anteriore all'abito e all'atto correlativi; è chiaro che la verità non è una virtù, ma qualche cosa che è anteriore alla virtù.

[43611] IIª-IIae q. 109 a. 1 arg. 2
Praeterea, sicut philosophus dicit, in IV Ethic., ad veritatem pertinet quod aliquis confiteatur existentia circa seipsum, et neque maiora neque minora. Sed hoc non semper est laudabile, neque in bonis, quia dicitur Prov. XXVII, laudet te alienus, et non os tuum; nec etiam in malis, quia contra quosdam dicitur Isaiae III, peccatum suum quasi Sodoma praedicaverunt, nec absconderunt. Ergo veritas non est virtus.

 

[43611] IIª-IIae q. 109 a. 1 arg. 2
2. Come dice il Filosofo, è compito della verità, o veracità far sì che uno "dica di se stesso quello che è, né di più né di meno". Ma questo non sempre è cosa lodevole: non è lodevole dirne bene, poiché i Proverbi ammoniscono: "Ti lodi un altro, non la tua bocca"; e non è lodevole dirne male, poiché Isaia rivolge ad alcuni questo rimprovero: "Come Sodoma hanno proclamato il loro peccato e non l'hanno celato". Dunque la veracità non è una virtù.

[43612] IIª-IIae q. 109 a. 1 arg. 3
Praeterea, omnis virtus aut est theologica, aut intellectualis, aut moralis. Sed veritas non est virtus theologica, quia non habet Deum pro obiecto, sed res temporales; dicit enim Tullius quod veritas est per quam immutata ea quae sunt aut fuerunt aut futura sunt, dicuntur. Similiter etiam non est virtus intellectualis, sed finis earum. Neque etiam est virtus moralis, quia non consistit in medio inter superfluum et diminutum; quanto enim aliquis plus dicit verum, tanto melius est. Ergo veritas non est virtus.

 

[43612] IIª-IIae q. 109 a. 1 arg. 3
3. Una virtù può essere teologale, intellettuale, o morale. Ma la verità, o veracità non è una virtù teologale, non avendo Dio per oggetto, bensì le cose temporali; infatti Cicerone ha scritto che "la verità ha il compito di dire le cose come sono, furono o saranno". Parimenti non è una delle virtù intellettuali; ma è il fine di esse. E neppure è una virtù morale: poiché non consiste nel giusto mezzo tra un eccesso e un difetto; infatti più uno dice il vero meglio è. Perciò la verità, o veracità non è una virtù.

[43613] IIª-IIae q. 109 a. 1 s. c.
Sed contra est quod philosophus, in II et IV Ethic., ponit veritatem inter ceteras virtutes.

 

[43613] IIª-IIae q. 109 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo enumera la verità, o veracità tra le altre virtù.

[43614] IIª-IIae q. 109 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod veritas dupliciter accipi potest. Uno modo secundum quod veritate aliquid dicitur verum. Et sic veritas non est virtus, sed obiectum vel finis virtutis. Sic enim accepta veritas non est habitus, quod est genus virtutis, sed aequalitas quaedam intellectus vel signi ad rem intellectam et significatam, vel etiam rei ad suam regulam, ut in primo habitum est. Alio modo potest dici veritas qua aliquis verum dicit, secundum quod per eam aliquis dicitur verax. Et talis veritas, sive veracitas, necesse est quod sit virtus, quia hoc ipsum quod est dicere verum est bonus actus; virtus autem est quae bonum facit habentem, et opus eius bonum reddit.

 

[43614] IIª-IIae q. 109 a. 1 co.
RISPONDO: Il termine verità può avere due accezioni. Primo, è verità quella cosa per cui un oggetto si dice vero. E in questo senso la verità non è una virtù, bensì oggetto o fine della virtù. E neppure è un abito, che è il genere prossimo della virtù, ma è una certa uguaglianza o adeguazione tra l'intellezione, o l'espressione e la cosa conosciuta o espressa, oppure tra la cosa e l'esemplare da cui dipende, come spiegammo nella Prima Parte. - Secondo, è verità quella disposizione per cui uno dice il vero, così da meritare il titolo di verace. E tale verità, o veracità non può essere che una virtù: poiché dire il vero è un atto buono; e la virtù ha precisamente il compito di "render buono chi la possiede e l'opera che egli compie".

[43615] IIª-IIae q. 109 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit de veritate primo modo dicta.

 

[43615] IIª-IIae q. 109 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il primo argomento vale per la verità presa nella prima accezione.

[43616] IIª-IIae q. 109 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod confiteri id quod est circa seipsum, inquantum est confessio veri, est bonum ex genere. Sed hoc non sufficit ad hoc quod sit actus virtutis, sed ad hoc requiritur quod ulterius debitis circumstantiis vestiatur, quae si non observentur, erit actus vitiosus. Et secundum hoc, vitiosum est quod aliquis, sine debita causa, laudet seipsum etiam de vero. Vitiosum etiam est quod aliquis peccatum suum publicet, quasi se de hoc laudando, vel qualitercumque inutiliter manifestando.

 

[43616] IIª-IIae q. 109 a. 1 ad 2
2. Dichiarare le cose proprie in quanto ciò costituisce una manifestazione della verità è specificamente un bene. Ma non basta a farne un atto di virtù: poiché per questo si richiede che l'atto sia vestito delle debite circostanze, privo delle quali è vizioso. Per questo è riprovevole lodare se stessi, senza i debiti motivi. Così pure è riprovevole che uno parli apertamente dei propri peccati, come per vantarsene, oppure che ne parli senza nessuna utilità.

[43617] IIª-IIae q. 109 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod ille qui dicit verum profert aliqua signa conformia rebus, scilicet vel verba, vel aliqua facta exteriora, aut quascumque res exteriores. Circa huiusmodi autem res sunt solae virtutes morales, ad quas etiam usus pertinet exteriorum membrorum, secundum quod fit per imperium voluntatis. Unde veritas non est virtus theologica neque intellectualis, sed moralis. Est autem in medio inter superfluum et diminutum dupliciter, uno quidem modo, ex parte obiecti; alio modo, ex parte actus. Ex parte quidem obiecti, quia verum secundum suam rationem importat quandam aequalitatem. Aequale autem est medium inter maius et minus. Unde ex hoc ipso quod aliquis verum dicit de seipso, medium tenet inter eum qui maiora dicit de seipso, et inter eum qui minora. Ex parte autem actus medium tenet, inquantum verum dicit quando oportet, et secundum quod oportet. Superfluum autem convenit illi qui importune ea quae sua sunt manifestat, defectus autem competit illi qui occultat, quando manifestare oportet.

 

[43617] IIª-IIae q. 109 a. 1 ad 3
3. Chi dice il vero proferisce dei segni conformi alla realtà: cioè parole, gesti, oppure qualsiasi altra manifestazione esterna. Ma di codeste cose esterne si occupano solo le virtù morali, che hanno il compito di regolare l'uso delle membra esterne, il quale dipende dalla volontà. Perciò la verità, o veracità non è una virtù teologale, bensì morale.
E consiste nel giusto mezzo tra l'eccesso e il difetto in due maniere: in rapporto all'oggetto, e in rapporto all'atto. In rapporto all'oggetto, poiché il vero implica nella sua nozione una certa adeguazione, o uguaglianza. E ciò che è uguale sta in mezzo tra il più e il meno. Perciò per il fatto che uno dice il vero di se stesso, sta nel giusto mezzo tra chi esagera e chi dice di meno. - La veracità inoltre sta nel giusto mezzo in rapporto all'atto, poiché dice il vero quando e come è opportuno. Invece si ha l'eccesso in chi dice le sue cose quando non occorre; e si ha il difetto in chi le nasconde quando bisognerebbe manifestarle.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La veracità > Se la veracità sia una virtù specificamente distinta


Secunda pars secundae partis
Quaestio 109
Articulus 2

[43618] IIª-IIae q. 109 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod veritas non sit specialis virtus. Verum enim et bonum convertuntur. Sed bonitas non est specialis virtus, quinimmo omnis virtus est bonitas, quia bonum facit habentem. Ergo veritas non est specialis virtus.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 109
Articolo 2

[43618] IIª-IIae q. 109 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la veracità non sia una virtù specificamente distinta. Infatti:
1. Il vero e il bene coincidono e si equivalgono. Ma la bontà non è una virtù speciale, ché anzi qualsiasi virtù è buona, poiché "rende buono chi la possiede". Dunque la veracità, o verità non è una virtù speciale.

[43619] IIª-IIae q. 109 a. 2 arg. 2
Praeterea, manifestatio eius quod ad ipsum hominem pertinet, est actus veritatis de qua nunc loquimur. Sed hoc pertinet ad quamlibet virtutem, quilibet enim virtutis habitus manifestatur per proprium actum. Ergo veritas non est specialis virtus.

 

[43619] IIª-IIae q. 109 a. 2 arg. 2
2. L'atto della veracità di cui parliamo è la manifestazione di cose riguardanti la persona che lo emette. Ma questo è proprio di qualsiasi virtù: infatti qualsiasi abito virtuoso viene manifestato dall'atto rispettivo. Perciò la veracità non è una virtù specificamente distinta.

[43620] IIª-IIae q. 109 a. 2 arg. 3
Praeterea, veritas vitae dicitur qua aliquis recte vivit, de qua dicitur Isaiae XXXVIII, memento, quaeso, quomodo ambulaverim coram te in veritate et in corde perfecto. Sed qualibet virtute recte vivitur, ut patet per definitionem virtutis supra positam. Ergo veritas non est specialis virtus.

 

[43620] IIª-IIae q. 109 a. 2 arg. 3
3. "La verità della vita" equivale a vivere nella rettitudine, secondo l'espressione della Scrittura: "Ricorda, te ne prego, come io ho camminato dinanzi a te nella verità e con cuore perfetto". Ma si vive rettamente nell'esercizio di qualsiasi virtù, com'è evidente dalla definizione sopra ricordata. Dunque la verità, o veracità non è una virtù specifica.

[43621] IIª-IIae q. 109 a. 2 arg. 4
Praeterea, veritas videtur idem esse simplicitati, quia utrique opponitur simulatio. Sed simplicitas non est specialis virtus, quia facit intentionem rectam, quod requiritur in omni virtute. Ergo etiam veritas non est specialis virtus.

 

[43621] IIª-IIae q. 109 a. 2 arg. 4
4. La veracità sembra identificarsi con la semplicità: poiché l'una e l'altra si contrappongono alla finzione. Ora, la semplicità non è una virtù speciale, "rettificando essa l'intenzione", il che si richiede in tutte le virtù. Perciò la veracità non è una virtù speciale.

[43622] IIª-IIae q. 109 a. 2 s. c.
Sed contra est quia in II Ethic. connumeratur aliis virtutibus.

 

[43622] IIª-IIae q. 109 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Aristotele la enumera tra le altre virtù.

[43623] IIª-IIae q. 109 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod ad rationem virtutis humanae pertinet quod opus hominis bonum reddat. Unde ubi in actu hominis invenitur specialis ratio bonitatis, necesse est quod ad hoc disponatur homo per specialem virtutem. Cum autem bonum, secundum Augustinum, in libro de natura boni, consistat in ordine, necesse est specialem rationem boni considerari ex determinato ordine. Est autem specialis quidam ordo secundum quod exteriora nostra vel verba vel facta debite ordinantur ad aliquid sicut signum ad signatum. Et ad hoc perficitur homo per virtutem veritatis. Unde manifestum est quod veritas est specialis virtus.

 

[43623] IIª-IIae q. 109 a. 2 co.
RISPONDO: La virtù ha il compito di "render buone le azioni umane". Perciò là dove nell'agire umano si riscontra un aspetto specifico di bontà, è necessario che l'uomo vi sia orientato e disposto da una speciale virtù. E poiché il bene, a detta di S. Agostino, ha tra i suoi costitutivi l'ordine, è necessario rilevare da ogni determinato ordine uno specifico aspetto di bene. Ora, uno speciale ordine si ha nel fatto che il nostro atteggiamento esterno, le parole e le azioni corrispondono debitamente come segni alle cose significate. E a questo l'uomo viene predisposto dalla virtù della veracità. Perciò è evidente che la veracità è una virtù specificamente distinta.

[43624] IIª-IIae q. 109 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod verum et bonum subiecto quidem convertuntur, quia omne verum est bonum, et omne bonum est verum. Sed secundum rationem, invicem se excedunt, sicut intellectus et voluntas invicem se includunt; nam intellectus intelligit voluntatem, et multa alia, et voluntas appetit ea quae pertinent ad intellectum, et multa alia. Unde verum, secundum rationem propriam, qua est perfectio intellectus, est quoddam particulare bonum, inquantum est appetibile quoddam. Et similiter bonum, secundum propriam rationem, prout est finis appetitus, est quoddam verum, inquantum est quoddam intelligibile. Quia ergo virtus includit rationem bonitatis, potest esse quod veritas sit specialis virtus, sicut verum est speciale bonum. Non autem potest esse quod bonitas sit specialis virtus, cum magis secundum rationem sit genus virtutis.

 

[43624] IIª-IIae q. 109 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il vero e il bene coincidono e si equivalgono quanto al soggetto concreto: poiché ogni vero è un bene e ogni bene è un vero. Ma per la loro formalità si eccedono a vicenda. L'intelletto e la volontà (per portare un esempio affine) si includono a vicenda: l'intelletto infatti conosce la volontà e molte altre cose; e la volontà vuole le cose che appartengono all'intelletto, e insieme molte altre cose. Perciò il vero, nella sua formalità, cioè come perfezione dell'intelletto, è un bene particolare, essendo un determinato appetibile. Parimenti il bene nella sua formalità, in quanto fine cui tende la volontà è un determinato vero, essendo un particolare intelligibile. Per il fatto, dunque, che la virtù implica la qualifica di bontà, può essere benissimo che la veracità sia una speciale virtù, come il vero è uno speciale bene. Invece non può essere che sia una speciale virtù la bontà, essendo quest'ultima una nozione generica che include la virtù.

[43625] IIª-IIae q. 109 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod habitus virtutum et vitiorum sortiuntur speciem ex eo quod est per se intentum, non autem ab eo quod est per accidens et praeter intentionem. Quod autem aliquis manifestat quod circa ipsum est, pertinet quidem ad virtutem veritatis sicut per se intentum, ad alias autem virtutes potest pertinere ex consequenti, praeter principalem intentionem. Fortis enim intendit fortiter agere, quod autem fortiter agendo aliquis manifestet fortitudinem quam habet, hoc consequitur praeter eius principalem intentionem.

 

[43625] IIª-IIae q. 109 a. 2 ad 2
2. Gli abiti delle virtù e dei vizi vengono specificati dall'oggetto direttamente perseguito, e non dagli elementi accidentali, o preterintenzionali. Ora, manifestare con sincerità le proprie cose appartiene direttamente ed espressamente alla virtù della veracità: mentre alle altre virtù può appartenere in modo indiretto. Infatti l'uomo forte mira ad agire coraggiosamente: che poi, agendo in tal modo, manifesti il coraggio che possiede, è solo una conseguenza della sua intenzione principale.

[43626] IIª-IIae q. 109 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod veritas vitae est veritas secundum quam aliquid est verum, non veritas secundum quam aliquis dicit verum. Dicitur autem vita vera, sicut etiam quaelibet alia res, ex hoc quod attingit suam regulam et mensuram, scilicet divinam legem, per cuius conformitatem rectitudinem habet. Et talis veritas, sive rectitudo, communis est ad quamlibet virtutem.

 

[43626] IIª-IIae q. 109 a. 2 ad 3
3. La verità della vita è la verità in senso oggettivo, non già la verità in senso soggettivo per cui una persona si dice verace. Ora, la vita può dirsi vera, come qualsiasi altra cosa, per il fatto che si adegua alla sua norma, o misura, cioè alla legge divina, conformandosi alla quale ottiene la sua rettitudine. E tale verità, o rettitudine è un elemento comune a qualsiasi virtù.

[43627] IIª-IIae q. 109 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod simplicitas dicitur per oppositum duplicitati, qua scilicet aliquis aliud habet in corde, aliud ostendit exterius. Et sic simplicitas ad hanc virtutem pertinet. Facit autem intentionem rectam, non quidem directe, quia hoc pertinet ad omnem virtutem, sed excludendo duplicitatem, qua homo unum praetendit et aliud intendit.

 

[43627] IIª-IIae q. 109 a. 2 ad 4
4. La semplicità si contrappone alla doppiezza, che consiste nel mostrarsi esternamente diversi da quello che si è interiormente. Quindi la semplicità si riduce alla veracità. Essa rettifica l'intenzione non già direttamente, perché questo è compito di qualsiasi virtù, ma escludendo la doppiezza, che porta a manifestare un'intenzione e a perseguirne un'altra.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La veracità > Se la veracità sia tra le parti (potenziali) della giustizia


Secunda pars secundae partis
Quaestio 109
Articulus 3

[43628] IIª-IIae q. 109 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod veritas non sit pars iustitiae. Iustitiae enim proprium esse videtur quod reddat alteri debitum. Sed ex hoc quod aliquis verum dicit, non videtur alteri debitum reddere, sicut fit in omnibus praemissis iustitiae partibus. Ergo veritas non est iustitiae pars.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 109
Articolo 3

[43628] IIª-IIae q. 109 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la veracità non sia tra le parti (potenziali) della giustizia. Infatti:
1. È proprio della giustizia rendere ad altri ciò che si deve. Ma per il fatto che uno dice la verità non sembra che renda ad altri ciò che deve, come avviene nelle altre virtù annesse alla giustizia. Dunque la veracità non è tra le parti della giustizia.

[43629] IIª-IIae q. 109 a. 3 arg. 2
Praeterea, veritas pertinet ad intellectum. Iustitia autem est in voluntate, ut supra habitum est. Ergo veritas non est pars iustitiae.

 

[43629] IIª-IIae q. 109 a. 3 arg. 2
2. La veracità, o verità appartiene all'intelletto. La giustizia invece risiede nella volontà, come abbiamo visto sopra. Perciò la veracità non è parte (potenziale) della giustizia.

[43630] IIª-IIae q. 109 a. 3 arg. 3
Praeterea, triplex distinguitur veritas, secundum Hieronymum, scilicet veritas vitae, et veritas iustitiae, et veritas doctrinae. Sed nulla istarum est pars iustitiae. Nam veritas vitae continet in se omnem virtutem, ut dictum est. Veritas autem iustitiae est idem iustitiae, unde non est pars eius. Veritas autem doctrinae pertinet magis ad virtutes intellectuales. Ergo veritas nullo modo est pars iustitiae.

 

[43630] IIª-IIae q. 109 a. 3 arg. 3
3. Secondo S. Girolamo ci sono tre tipi di verità: "la verità della vita", "la verità della giustizia", e "la verità della dottrina". Ma nessuna di esse è tra le parti della giustizia. Infatti la verità della vita, l'abbiamo già visto, abbraccia tutte le virtù. La verità della giustizia s'identifica con la giustizia, e quindi non è parte di essa. E la verità della dottrina appartiene piuttosto alle virtù intellettive. Dunque in nessun modo la verità, o veracità è parte (potenziale) della giustizia.

[43631] IIª-IIae q. 109 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Tullius ponit veritatem inter partes iustitiae.

 

[43631] IIª-IIae q. 109 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Cicerone enumera la verità, o veracità tra le parti della giustizia.

[43632] IIª-IIae q. 109 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, ex hoc aliqua virtus iustitiae annectitur sicut secundaria principali, quod partim quidem cum iustitia convenit, partim autem deficit ab eius perfecta ratione. Virtus autem veritatis convenit quidem cum iustitia in duobus. Uno quidem modo, in hoc quod est ad alterum. Manifestatio enim, quam diximus esse actum veritatis, est ad alterum, inquantum scilicet ea quae circa ipsum sunt, unus homo alteri manifestat. Alio modo, inquantum iustitia aequalitatem quandam in rebus constituit. Et hoc etiam facit virtus veritatis, adaequat enim signa rebus existentibus circa ipsum. Deficit autem a propria ratione iustitiae quantum ad rationem debiti. Non enim haec virtus attendit debitum legale, quod attendit iustitia, sed potius debitum morale, inquantum scilicet ex honestate unus homo alteri debet veritatis manifestationem. Unde veritas est pars iustitiae, inquantum annectitur ei sicut virtus secundaria principali.

 

[43632] IIª-IIae q. 109 a. 3 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto sopra, una virtù è annessa alla giustizia come virtù secondaria, per il fatto che in parte somiglia alla giustizia; e in parte si scosta dalla perfetta natura di essa. Ora, la virtù della veracità somiglia alla giustizia sotto due aspetti. Primo, in quanto dice rapporto ad altri. Infatti l'atto di manifestare, che è proprio della veracità, è rivolto ad altri: poiché con essa uno manifesta agli altri le cose che lo riguardano. - Secondo, in quanto la giustizia stabilisce una certa adeguazione tra una cosa e un'altra. E questo si riscontra anche nella veracità; con essa infatti si adeguano le espressioni ai fatti e alle cose che ci riguardano.
Invece la veracità si discosta dalla giustizia sotto l'aspetto del debito. Infatti questa virtù non soddisfa a un debito legale, come la giustizia: ma piuttosto a un debito morale, poiché un uomo deve la manifestazione della verità a un altro solo per un'esigenza dell'onestà, o della virtù. Ecco perché la veracità è parte della giustizia, cui è annessa come virtù secondaria alla virtù principale.

[43633] IIª-IIae q. 109 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod quia homo est animal sociale, naturaliter unus homo debet alteri id sine quo societas humana conservari non posset. Non autem possent homines ad invicem convivere nisi sibi invicem crederent, tanquam sibi invicem veritatem manifestantibus. Et ideo virtus veritatis aliquo modo attendit rationem debiti.

 

[43633] IIª-IIae q. 109 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Essendo l'uomo un animale fatto per vivere in società, per natura un uomo deve all'altro ciò che è indispensabile per la conservazione della società umana. Ora, gli uomini non potrebbero convivere senza credersi reciprocamente, dicendo l'uno la verità all'altro. Dunque anche la virtù della veracità a suo modo ha di mira un debito.

[43634] IIª-IIae q. 109 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod veritas secundum quod est cognita, pertinet ad intellectum. Sed homo per propriam voluntatem, per quam utitur et habitibus et membris, profert exteriora signa ad veritatem manifestandam. Et secundum hoc, manifestatio veritatis est actus voluntatis.

 

[43634] IIª-IIae q. 109 a. 3 ad 2
2. Per la conoscenza la verità appartiene all'intelletto. Ma è con la volontà che l'uomo usa dei suoi abiti e delle sue membra per esprimere i segni adatti a manifestare la verità. Ecco perché codesta manifestazione è un atto della volontà.

[43635] IIª-IIae q. 109 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod veritas de qua nunc loquimur, differt a veritate vitae ut dictum est. Veritas autem iustitiae dicitur dupliciter. Uno modo, secundum quod ipsa iustitia est rectitudo quaedam regulata secundum regulam divinae legis. Et secundum hoc, differt veritas iustitiae a veritate vitae, quia veritas vitae est secundum quam aliquis recte vivit in seipso; veritas autem iustitiae est secundum quam aliquis rectitudinem legis in iudiciis, quae sunt ad alterum, servat. Et secundum hoc, veritas iustitiae non pertinet ad veritatem de qua nunc loquimur, sicut nec veritas vitae. Alio modo potest intelligi veritas iustitiae secundum quod aliquis ex iustitia veritatem manifestat, puta cum aliquis in iudicio verum confitetur aut verum testimonium dicit. Et haec veritas est quidam particularis actus iustitiae. Et non pertinet directe ad hanc veritatem de qua nunc loquimur, quia scilicet in hac manifestatione veritatis principaliter homo intendit ius suum alteri reddere. Unde philosophus, in IV Ethic., de hac veritate determinans, dicit, non de veridico in confessionibus dicimus, neque quaecumque ad iustitiam vel iniustitiam contendunt. Veritas autem doctrinae consistit in quadam manifestatione verorum de quibus est scientia. Unde nec ista veritas directe pertinet ad hanc virtutem, sed solum veritas qua aliquis et vita et sermone talem se demonstrat qualis est, et non alia quam circa ipsum sint, nec maiora nec minora. Veruntamen quia vera scibilia, inquantum sunt a nobis cognita, circa nos sunt et ad nos pertinent; secundum hoc veritas doctrinae potest ad hanc virtutem pertinere, et quaecumque alia veritas qua quis manifestat verbo vel facto quod cognoscit.

 

[43635] IIª-IIae q. 109 a. 3 ad 3
3. La verità, o veracità di cui ora parliamo, differisce, come abbiamo detto, dalla verità della vita.
La verità poi della giustizia si può intendere in due modi. Primo, nel senso che la giustizia è una certa rettitudine regolata secondo le norme della legge divina. E allora la verità della giustizia differisce dalla verità della vita, poiché quest'ultima verità ha il compito di far sì che uno viva rettamente in se stesso; mentre la verità della giustizia porta l'individuo a osservare la rettitudine legale nei giudizi relativi ad altre persone. E in questo caso la verità della giustizia, come la verità della vita, non rientra nella verità, o veracità, di cui ora parliamo. - Secondo, la verità della giustizia si può intendere nel senso che uno per giustizia manifesta la verità: p. es., quando confessa il vero, o rende una testimonianza verace in giudizio. Ebbene, questa verità è un atto particolare della giustizia. Ma non appartiene direttamente alla verità, o veracità di cui ora parliamo: poiché in codeste dichiarazioni veritiere una persona intende principalmente di rendere a un'altra quanto le spetta. Ecco perché il Filosofo, nel parlare della veracità, si esprime in questi termini: "Noi non parliamo qui della veridicità delle confessioni, né di tutto quello che riguarda la giustizia o l'ingiustizia".
Finalmente la verità della dottrina consiste nel manifestare verità di scienza. Perciò neppure questa appartiene alla virtù di cui parliamo: ma soltanto la verità con la quale "uno si mostra in atti e in parole così com'è e non altrimenti, e non dice di se stesso né di più né di meno". - Tuttavia siccome le nozioni di scienza, in quanto sono conosciute da noi, riguardano noi e ci appartengono, da questo lato la verità della dottrina può rientrare in questa virtù della veracità, come qualsiasi altra verità che uno conosce e manifesta con le parole o con le azioni.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La veracità > Se la virtù della veracità inclini piuttosto a diminuire


Secunda pars secundae partis
Quaestio 109
Articulus 4

[43636] IIª-IIae q. 109 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod virtus veritatis non declinet in minus. Sicut enim aliquis dicendo maius incurrit falsitatem, ita et dicendo minus, non enim magis est falsum quatuor esse quinque quam quatuor esse tria. Sed omne falsum est secundum se malum et fugiendum, ut philosophus dicit, in IV Ethic. Ergo veritatis virtus non plus declinat in minus quam in maius.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 109
Articolo 4

[43636] IIª-IIae q. 109 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la virtù della veracità non inclini piuttosto a diminuire (che a esagerare). Infatti:
1. Come s'incorre la falsità esagerando, così s'incorre diminuendo: dire, p. es., che quattro cose son cinque, non è più falso del dire che son tre. Ora, a detta del Filosofo, "ogni falsità è male ed è da fuggirsi". Dunque la virtù della veracità non inclina più a diminuire che a esagerare.

[43637] IIª-IIae q. 109 a. 4 arg. 2
Praeterea, quod una virtus magis declinet ad unum extremum quam ad aliud, contingit ex hoc quod virtutis medium est propinquius uni extremo quam alteri, sicut fortitudo est propinquior audaciae quam timiditati. Sed veritatis medium non est propinquius uni extremo quam alteri, quia veritas, cum sit aequalitas quaedam, in medio punctali consistit. Ergo veritas non magis declinat in minus.

 

[43637] IIª-IIae q. 109 a. 4 arg. 2
2. Che una virtù inclini maggiormente verso l'uno degli estremi opposti dipende dal fatto che il giusto mezzo di essa è più vicino all'uno che all'altro: è in tal modo, p. es., che la fortezza è più vicina all'audacia che alla timidezza. Ma il giusto mezzo della veracità, o verità, non può essere più vicino a un estremo che al suo opposto; perché, consistendo la verità in un'adeguazione, il suo giusto mezzo si riduce a punto indivisibile. Perciò non è vero che la veracità inclina piuttosto a diminuire.

[43638] IIª-IIae q. 109 a. 4 arg. 3
Praeterea, in minus videtur a veritate recedere qui veritatem negat, in maius autem qui veritati aliquid superaddit. Sed magis repugnat veritati qui veritatem negat quam qui superaddit, quia veritas non compatitur secum negationem veritatis, compatitur autem secum superadditionem. Ergo videtur quod veritas magis debeat declinare in maius quam in minus.

 

[43638] IIª-IIae q. 109 a. 4 arg. 3
3. Chi sminuisce si allontana dalla verità negandola, chi invece esagera aggiunge ad essa qualche cosa. Ma è più incompatibile con la verità il negarla che l'aggiungervi qualche cosa: poiché una verità non coesiste con la negazione della verità, mentre può coesistere con delle aggiunte. Dunque la veracità deve inclinare più a esagerare che a diminuire.

[43639] IIª-IIae q. 109 a. 4 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in IV Ethic., quod homo secundum hanc virtutem magis a vero declinat in minus.

 

[43639] IIª-IIae q. 109 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo afferma che con questa virtù l'uomo "propende piuttosto ad attenuare la verità".

[43640] IIª-IIae q. 109 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod declinare in minus a veritate contingit dupliciter. Uno modo, affirmando, puta cum aliquis non manifestat totum bonum quod in ipso est, puta scientiam vel sanctitatem vel aliquid huiusmodi. Quod fit sine praeiudicio veritatis, quia in maiori est etiam minus. Et secundum hoc, haec virtus declinat in minus. Hoc enim, ut philosophus dicit ibidem, videtur esse prudentius, propter onerosas superabundantias esse. Homines enim qui maiora de seipsis dicunt quam sint, sunt aliis onerosi, quasi excellere alios volentes, homines autem qui minora de seipsis dicunt, gratiosi sunt, quasi aliis condescendentes per quandam moderationem. Unde apostolus dicit, II ad Cor. XII, si voluero gloriari, non ero insipiens, veritatem enim dicam. Parco autem, ne quis me existimet supra id quod videt in me, aut audit aliquid ex me. Alio modo potest aliquis declinare in minus negando, scilicet ut neget sibi inesse quod inest. Et sic non pertinet ad hanc virtutem declinare in minus, quia per hoc incurret falsum. Et tamen hoc ipsum esset minus repugnans virtuti, non quidem secundum propriam rationem veritatis, sed secundum rationem prudentiae, quam oportet salvari in omnibus virtutibus. Magis enim repugnat prudentiae, quia periculosius est et onerosius aliis, quod aliquis existimet vel iactet se habere quod non habet, quam quod non existimet, vel dicat se non habere quod habet.

 

[43640] IIª-IIae q. 109 a. 4 co.
RISPONDO: La propensione a sminuire la verità può prodursi in due maniere. Primo, mediante l'affermazione: quando uno, p. es., nel suo dire non manifesta tutto il bene che è in lui, cioè il sapere, la santità, ecc. E questo si può fare senza pregiudizio della verità: poiché nel più c'è anche il meno. Ed è in tal senso che la veracità inclina piuttosto a diminuire. Questo infatti, come dice il Filosofo, "sembra più prudente, perché le esagerazioni sono insopportabili". Sicché coloro che esagerano i propri meriti sono insopportabili agli altri, sui quali sembrano voler sovrastare: invece quelli che dicono meno di quel che valgono sono graditi, per la loro condiscendenza e modestia nei riguardi del prossimo. Così si spiegano le parole di S. Paolo: "Se volessi vantarmi, non sarei stolto, perché direi il vero. Ma mi astengo, perché nessuno faccia conto di me oltre quello che vede in me e sente da me".
Secondo, uno può inclinare alla diminuzione mediante la negazione: cioè negando di essere quello che è. E questo esula dalla virtù della veracità: poiché così s'incorre nella falsità. - Tuttavia anche questo è meno ripugnante alla virtù: non in rapporto alla veracità come tale, ma alla prudenza che va salvaguardata in tutte le virtù. Infatti alla prudenza ripugna di più presumere di avere quello che non si ha, essendo ciò più pericoloso e insopportabile agli altri, piuttosto che pensare, o dire di non avere quel che si ha.

[43641] IIª-IIae q. 109 a. 4 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[43641] IIª-IIae q. 109 a. 4 ad arg.
Sono così risolte anche le difficoltà.

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