II-II, 104

Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > L'obbedienza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 104
Prooemium

[43413] IIª-IIae q. 104 pr.
Deinde considerandum est de obedientia. Et circa hoc quaeruntur sex.
Primo, utrum homo debeat homini obedire.
Secundo, utrum obedientia sit specialis virtus.
Tertio, de comparatione eius ad alias virtutes.
Quarto, utrum Deo sit in omnibus obediendum.
Quinto, utrum subditi suis praelatis teneantur in omnibus obedire.
Sexto, utrum fideles teneantur saecularibus potestatibus obedire.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 104
Proemio

[43413] IIª-IIae q. 104 pr.
Passiamo quindi a parlare dell'obbedienza.
Sull'argomento si pongono sei quesiti:

1. Se un uomo sia tenuto a ubbidire a un altro uomo;
2. Se l'obbedienza sia una speciale virtù;
3. Confronto di essa con le altre virtù;
4. Se a Dio si debba ubbidire in tutto;
5. Se i sudditi sian tenuti a ubbidire in tutto ai loro superiori;
6. Se i fedeli siano tenuti a ubbidire alle autorità civili.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > L'obbedienza > Se un uomo sia tenuto a ubbidire a un altro


Secunda pars secundae partis
Quaestio 104
Articulus 1

[43414] IIª-IIae q. 104 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod unus homo non teneatur alii obedire. Non enim est aliquid faciendum contra institutionem divinam. Sed hoc habet divina institutio, ut homo suo consilio regatur, secundum illud Eccli. XV, Deus ab initio constituit hominem, et reliquit illum in manu consilii sui. Ergo non tenetur unus homo alteri obedire.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 104
Articolo 1

[43414] IIª-IIae q. 104 a. 1 arg. 1
SEMBRA che un uomo non sia tenuto a ubbidire a un altro. Infatti:
1. Non si può far nulla contro ciò che Dio ha istituito. Ora, per istituzione divina l'uomo deve essere governato dalla propria deliberazione, secondo le parole della Scrittura: "Dio da principio creò l'uomo e lo lasciò in mano della sua deliberazione". Dunque un uomo non è tenuto a ubbidire a un altro uomo.

[43415] IIª-IIae q. 104 a. 1 arg. 2
Praeterea, si aliquis alicui teneretur obedire, oporteret quod haberet voluntatem praecipientis tanquam regulam suae actionis. Sed sola divina voluntas, quae semper est recta, est regula humanae actionis. Ergo non tenetur homo obedire nisi Deo.

 

[43415] IIª-IIae q. 104 a. 1 arg. 2
2. Se uno fosse tenuto a ubbidire, dovrebbe tenere la volontà di chi comanda come regola del proprio agire. Ma soltanto la volontà di Dio, che è sempre retta, costituisce la regola dell'agire umano. Perciò l'uomo è tenuto a ubbidire soltanto a Dio.

[43416] IIª-IIae q. 104 a. 1 arg. 3
Praeterea, servitia, quanto sunt magis gratuita, tanto sunt magis accepta. Sed illud quod homo ex debito facit non est gratuitum. Si ergo homo ex debito teneretur aliis obedire in bonis operibus faciendis, ex hoc ipso redderetur minus acceptabile opus bonum quod ex obedientia fieret. Non ergo tenetur homo alteri obedire.

 

[43416] IIª-IIae q. 104 a. 1 arg. 3
3. I servizi tanto più sono graditi quanto più sono spontanei. Ma ciò che uno compie perché dovuto non è spontaneo. Quindi se uno fosse tenuto a ubbidire ad altri nel compiere opere buone, per ciò stesso le opere imposte dall'obbedienza diventerebbero meno gradite. Dunque non si è tenuti a ubbidire a un altro uomo.

[43417] IIª-IIae q. 104 a. 1 s. c.
Sed contra est quod praecipitur ad Heb. ult., obedite praepositis vestris, et subiacete eis.

 

[43417] IIª-IIae q. 104 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Ubbidite ai vostri superiori e siate loro sottomessi".

[43418] IIª-IIae q. 104 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod sicut actiones rerum naturalium procedunt ex potentiis naturalibus, ita etiam operationes humanae procedunt ex humana voluntate. Oportuit autem in rebus naturalibus ut superiora moverent inferiora ad suas actiones, per excellentiam naturalis virtutis collatae divinitus. Unde etiam oportet in rebus humanis quod superiores moveant inferiores per suam voluntatem, ex vi auctoritatis divinitus ordinatae. Movere autem per rationem et voluntatem est praecipere. Et ideo, sicut ex ipso ordine naturali divinitus instituto inferiora in rebus naturalibus necesse habent subdi motioni superiorum, ita etiam in rebus humanis, ex ordine iuris naturalis et divini, tenentur inferiores suis superioribus obedire.

 

[43418] IIª-IIae q. 104 a. 1 co.
RISPONDO: Come le attività degli esseri fisici derivano dalle loro capacità naturali, così le azioni umane derivano dalla volontà dell'uomo. Ora, per gli esseri fisici si esige che i corpi inferiori siano mossi alle loro attività dai corpi superiori, in forza della virtù naturale più efficace che Dio loro concede. Perciò anche nell'attività umana è necessario che i superiori con la loro volontà muovano gli inferiori, in forza dell'autorità che Dio ha loro conferito. E questo muovere mediante la ragione e la volontà è comandare. Quindi, come l'ordine naturale istituito da Dio esige che tra gli esseri fisici ci sia subordinazione all'influsso degli esseri superiori, così la vita umana esige, per disposizione del diritto naturale e divino, che gli inferiori ubbidiscano ai loro superiori.

[43419] IIª-IIae q. 104 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Deus reliquit hominem in manu consilii sui, non quia liceat ei facere omne quod velit, sed quia ad id quod faciendum est non cogitur necessitate naturae, sicut creaturae irrationales, sed libera electione ex proprio consilio procedente. Et sicut ad alia facienda debet procedere proprio consilio, ita etiam ad hoc quod obediat suis superioribus, dicit enim Gregorius, ult. Moral., quod dum alienae voci humiliter subdimur, nosmetipsos in corde superamus.

 

[43419] IIª-IIae q. 104 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio ha lasciato l'uomo nelle mani della propria deliberazione, non perché gli sia lecito fare quello che vuole; ma perché a compiere il da farsi egli non viene costretto da una necessità naturale, come le creature prive di ragione, bensì viene guidato da una libera scelta scaturita dalla propria deliberazione. E quindi, come codesta deliberazione lo porta a fare le altre cose, così lo porta anche a ubbidire ai propri superiori; infatti, a dire di S. Gregorio, "quando ci sottomettiamo umilmente all'ordine di un altro, nel nostro cuore vinciamo noi stessi".

[43420] IIª-IIae q. 104 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod divina voluntas est prima regula, qua regulantur omnes rationales voluntates, cui una magis appropinquat quam alia, secundum ordinem divinitus institutum. Et ideo voluntas unius hominis praecipientis potest esse quasi secunda regula voluntatis alterius obedientis.

 

[43420] IIª-IIae q. 104 a. 1 ad 2
2. La volontà di Dio è la prima norma che deve regolare tutte le volontà create; ma ad essa ciascuna si avvicina di più o di meno, secondo l'ordine stabilito da Dio. Ecco perché la volontà di un uomo che comanda può essere come una norma secondaria del volere di chi è tenuto a ubbidire.

[43421] IIª-IIae q. 104 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod aliquid potest iudicari gratuitum dupliciter. Uno modo, ex parte ipsius operis, quia scilicet ad id homo non obligatur. Alio modo, ex parte operantis, quia scilicet libera voluntate hoc facit. Opus autem redditur virtuosum et laudabile et meritorium praecipue secundum quod ex voluntate procedit. Et ideo, quamvis obedire sit debitum, si prompta voluntate aliquis obediat, non propter hoc minuitur eius meritum, maxime apud Deum, qui non solum exteriora opera, verum etiam interiorem voluntatem videt.

 

[43421] IIª-IIae q. 104 a. 1 ad 3
3. Una cosa può essere spontanea in due maniere. Primo, per l'azione stessa compiuta; cioè nel senso che uno non è obbligato a farla. Secondo, per parte di chi la compie: nel senso che uno la compie con volontà libera. Orbene, un atto è virtuoso, lodevole e meritorio specialmente in quanto deriva dalla volontà. Perciò, pur essendo doveroso ubbidire, tuttavia se si ubbidisce con prontezza di volontà, non per questo viene diminuito il merito: specialmente ciò non avviene presso Dio, il quale non vede soltanto le azioni esterne, ma anche l'interno volere.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > L'obbedienza > Se l'obbedienza sia una virtù specificamente distinta


Secunda pars secundae partis
Quaestio 104
Articulus 2

[43422] IIª-IIae q. 104 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod obedientia non sit specialis virtus. Obedientiae enim inobedientia opponitur. Sed inobedientia est generale peccatum, dicit enim Ambrosius quod peccatum est inobedientia legis divinae. Ergo obedientia non est specialis virtus, sed generalis.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 104
Articolo 2

[43422] IIª-IIae q. 104 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l'obbedienza non sia una virtù specificamente distinta. Infatti:
1. L'obbedienza si contrappone alla disobbedienza. Ma la disobbedienza è un peccato generico: infatti S. Ambrogio ha scritto che il peccato è "una disobbedienza alla legge di Dio". Perciò l'obbedienza non è una virtù specifica, ma generica.

[43423] IIª-IIae q. 104 a. 2 arg. 2
Praeterea, omnis virtus specialis aut est theologica, aut moralis. Sed obedientia non est virtus theologica, quia neque continetur sub fide, neque sub spe, neque sub caritate. Similiter etiam non est virtus moralis, quia non est in medio superflui et diminuti; quanto enim aliquis est magis obediens, tanto magis laudatur. Ergo obedientia non est specialis virtus.

 

[43423] IIª-IIae q. 104 a. 2 arg. 2
2. Una virtù specifica o è teologale, o è una virtù morale. Ora, l'obbedienza non è una virtù teologale: poiché non si riduce né alla fede, né alla speranza, né alla carità. E neppure è una virtù morale: poiché non consiste nel giusto mezzo fra il troppo poco e il superfluo; infatti più uno è obbediente più merita lode. Dunque l'obbedienza non è una speciale virtù.

[43424] IIª-IIae q. 104 a. 2 arg. 3
Praeterea, Gregorius dicit, ult. Moral., quod obedientia tanto magis est meritoria et laudabilis quanto minus habet de suo. Sed quaelibet specialis virtus tanto magis laudatur quanto magis habet de suo, eo quod ad virtutem requiritur ut sit volens et eligens, sicut dicitur in II Ethic. Ergo obedientia non est specialis virtus.

 

[43424] IIª-IIae q. 104 a. 2 arg. 3
3. S. Gregorio afferma che "l'obbedienza tanto più è meritoria e lodevole, quanto meno uno ci mette del suo". Invece qualsiasi virtù specifica tanto più viene lodata quanto più uno ci mette del suo: poiché per la virtù si richiede volizione ed elezione, come nota Aristotele. Perciò l'obbedienza non è una virtù specificamente distinta.

[43425] IIª-IIae q. 104 a. 2 arg. 4
Praeterea, virtutes differunt specie secundum obiecta. Obiectum autem obedientiae esse videtur superioris praeceptum, quod multipliciter diversificari videtur, secundum diversos superioritatis gradus. Ergo obedientia est virtus generalis sub se multas virtutes speciales comprehendens.

 

[43425] IIª-IIae q. 104 a. 2 arg. 4
4. Le virtù si distinguono tra loro specificamente in base all'oggetto. Ma oggetto dell'obbedienza è il comando dei superiori: i quali possono essere molto diversi, secondo le diversità del loro grado. Dunque l'obbedienza è una virtù generica, che abbraccia molte virtù specifiche.

[43426] IIª-IIae q. 104 a. 2 s. c.
Sed contra est quod obedientia a quibusdam ponitur pars iustitiae, ut supra dictum est.

 

[43426] IIª-IIae q. 104 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: L'obbedienza, come abbiamo detto, è elencata da alcuni tra le parti della giustizia.

[43427] IIª-IIae q. 104 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod ad omnia opera bona quae specialem laudis rationem habent, specialis virtus determinatur, hoc enim proprie competit virtuti, ut opus bonum reddat. Obedire autem superiori debitum est secundum divinum ordinem rebus inditum, ut ostensum est, et per consequens est bonum, cum bonum consistat in modo, specie et ordine, ut Augustinus dicit, in libro de Nat. boni. Habet autem hic actus specialem rationem laudis ex speciali obiecto. Cum enim inferiores suis superioribus multa debeant exhibere, inter cetera hoc est unum speciale, quod tenentur eius praeceptis obedire. Unde obedientia est specialis virtus, et eius speciale obiectum est praeceptum tacitum vel expressum. Voluntas enim superioris, quocumque modo innotescat, est quoddam tacitum praeceptum, et tanto videtur obedientia promptior quanto praeceptum expressum obediendo praevenit, voluntate superioris intellecta.

 

[43427] IIª-IIae q. 104 a. 2 co.
RISPONDO: Per ogni opera buona che ha un motivo specifico di lode va determinata una speciale virtù: infatti è proprio della virtù "render buona l'opera" che si compie. Ma ubbidire ai superiori è un dovere, come abbiamo visto, stabilito dall'ordine che Dio ha posto nelle cose; e quindi è un bene, poiché il bene consiste, a detta di S. Agostino, "nel modo o misura, nella specie e nell'ordine". Ora, questo atto riceve un motivo speciale di lode da un oggetto specifico. Infatti mentre gli inferiori sono tenuti a rendere più cose ai loro superiori, tra le altre c'è quest'obbligo speciale, che son tenuti a ubbidire ai loro comandi. Dunque l'obbedienza è una speciale virtù: e il suo oggetto specifico è il comando tacito o espresso. Poiché la volontà del superiore, comunque venga conosciuta, è un tacito precetto: e l'obbedienza è tanto più pronta, quanto più previene il comando espresso, una volta conosciuta la volontà del superiore.

[43428] IIª-IIae q. 104 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod nihil prohibet duas speciales rationes, ad quas duae speciales virtutes respiciunt, in uno et eodem materiali obiecto concurrere, sicut miles, defendendo castrum regis, implet opus fortitudinis non refugiens mortis pericula propter bonum, et opus iustitiae debitum servitium domino suo reddens. Sic igitur ratio praecepti, quam attendit obedientia, concurrit cum actibus omnium virtutum, non tamen cum omnibus virtutum actibus, quia non omnes actus virtutum sunt in praecepto, ut supra habitum est. Similiter etiam quaedam quandoque sub praecepto cadunt quae ad nullam aliam virtutem pertinent, ut patet in his quae non sunt mala nisi quia prohibita. Sic ergo, si obedientia proprie accipiatur, secundum quod respicit per intentionem formalem rationem praecepti, erit specialis virtus et inobedientia speciale peccatum. Secundum hoc ad obedientiam requiretur quod impleat aliquis actum iustitiae, vel alterius virtutis, intendens implere praeceptum, et ad inobedientiam requiretur quod actualiter contemnat praeceptum. Si vero obedientia large accipiatur pro executione cuiuscumque quod potest cadere sub praecepto, et inobedientia pro omissione eiusdem ex quacumque intentione, sic obedientia erit generalis virtus, et inobedientia generale peccatum.

 

[43428] IIª-IIae q. 104 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Niente impedisce che in un identico oggetto materiale si riscontrino due aspetti specifici cui si riferiscono due specifiche virtù: un soldato, p. es., nel difendere un castello del suo re compie un atto di fortezza perché rischia il bene proprio affrontando pericoli di morte, e fa un atto di giustizia rendendo al suo sovrano il doveroso servizio. Perciò l'aspetto o formalità del comando, che è oggetto dell'obbedienza, può riscontrarsi in atti di tutte le virtù: ma non si riscontra in qualsiasi atto di virtù, poiché non tutti codesti atti sono di precetto, come sopra abbiamo notato. Parimenti talora sono oggetto di comando cose indifferenti, che non appartengono a nessuna virtù: com'è evidente nelle azioni che son cattive solo perché proibite.
Perciò se prendiamo l'obbedienza in senso rigoroso, in quanto ha di mira il precetto o comando come tale, allora si tratta di una virtù specifica, e anche la disobbedienza correlativa è un peccato specifico. Si richiede allora, per l'obbedienza, che uno compia un atto di giustizia o di altra virtù, volendo adempiere così un comando: e per la disobbedienza si richiede che uno abbia l'intenzione attuale di trasgredirlo. - Se invece si prende il termine obbedienza in senso lato per l'esecuzione di un atto qualsiasi che può essere comandato, o quello di disobbedienza per l'omissione di esso con un'intenzione qualsiasi; allora l'obbedienza è virtù generica, e la disobbedienza è un peccato generico.

[43429] IIª-IIae q. 104 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod obedientia non est virtus theologica. Non enim per se obiectum eius est Deus, sed praeceptum superioris cuiuscumque, vel expressum vel interpretativum, scilicet simplex verbum praelati eius indicans voluntatem, cui obedit promptus obediens, secundum illud Tit. III, dicto obedire. Est autem virtus moralis, cum sit pars iustitiae, et est medium inter superfluum et diminutum. Attenditur autem eius superfluum non quidem secundum quantum, sed secundum alias circumstantias, inquantum scilicet aliquis obedit vel cui non debet vel in quibus sicut etiam supra de religione dictum est. Potest etiam dici quod sicut in iustitia superfluum est in eo qui retinet alienum, diminutum autem in eo cui non redditur quod debetur, ut philosophus dicit, in V Ethic.; ita etiam obedientia medium est inter superfluum quod attenditur ex parte eius qui subtrahit superiori obedientiae debitum, quia superabundat in implendo propriam voluntatem, diminutum autem ex parte superioris cui non obeditur. Unde secundum hoc, obedientia non erit medium duarum malitiarum, sicut supra de iustitia dictum est.

 

[43429] IIª-IIae q. 104 a. 2 ad 2
2. L'obbedienza non è una virtù teologale. Essa infatti non ha per oggetto Dio, ma il comando di qualunque superiore, sia espresso che interpretativo, cioè, anche la semplice parola del superiore che ne indichi la volontà, al quale l'obbediente prontamente ubbidisce, secondo l'esortazione paolina: "Ubbidiscano a una parola". - Essa è una virtù morale, essendo tra le parti della giustizia: e consiste nel giusto mezzo tra il troppo poco e il superfluo.
Ma qui il superfluo non si misura dalla quantità, bensì da altre circostanze: e cioè dal fatto che uno ubbidisce o a chi non deve, oppure in cose inammissibili, come abbiamo detto sopra parlando della religione. - Si potrebbe però anche rispondere che la condizione della giustizia, in cui il superfiuo si riscontra in colui che possiede la roba d'altri, e la menomazione in chi non riceve quanto gli è dovuto, si ripete anche per l'obbedienza, il cui giusto mezzo sta tra il superfluo di chi nega al superiore il debito dell'obbedienza, perché esagera nel compiere la propria volontà, e la menomazione di cui soffre il superiore al quale non si ubbidisce. Sotto quest'aspetto l'obbedienza, come la giustizia di cui abbiamo già parlato, non consiste nel giusto mezzo tra due cose cattive.

[43430] IIª-IIae q. 104 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod obedientia, sicut et quaelibet virtus, debet habere promptam voluntatem in suum proprium obiectum, non autem in id quod repugnans est ei. Proprium autem obiectum obedientiae est praeceptum, quod quidem ex alterius voluntate procedit. Unde obedientia reddit promptam hominis voluntatem ad implendam voluntatem alterius, scilicet praecipientis. Si autem id quod ei praecipitur sit propter se ei volitum, etiam absque ratione praecepti, sicut accidit in prosperis; iam ex propria voluntate tendit in illud, et non videtur illud implere propter praeceptum, sed propter propriam voluntatem. Sed quando illud quod praecipitur nullo modo est secundum se volitum, sed est, secundum se consideratum, propriae voluntati repugnans, sicut accidit in asperis; tunc omnino manifestum est quod non impletur nisi propter praeceptum. Et ideo Gregorius dicit, in libro Moral., quod obedientia quae habet aliquid de suo in prosperis, est nulla vel minor, quia scilicet voluntas propria non videtur principaliter tendere ad implendum praeceptum, sed ad assequendum proprium volitum, in adversis autem vel difficilibus est maior, quia propria voluntas in nihil aliud tendit quam in praeceptum. Sed hoc intelligendum est secundum illud quod exterius apparet. Secundum tamen Dei iudicium, qui corda rimatur, potest contingere quod etiam in prosperis obedientia, aliquid de suo habens, non propter hoc sit minus laudabilis, si scilicet propria voluntas obedientis non minus devote tendat ad impletionem praecepti.

 

[43430] IIª-IIae q. 104 a. 2 ad 3
3. L'obbedienza, come ogni altra virtù, deve avere la volontà pronta verso l'oggetto suo proprio, non già verso quanto è con esso incompatibile. Ora, oggetto proprio dell'obbedienza è il precetto, che promana dalla volontà di un altro. Quindi l'obbedienza rende pronta la volontà di un uomo a compiere la volontà altrui, cioè di chi comanda. Ma se quanto gli si comanda è a lui per se stesso gradito a prescindere dal comando, come avviene nelle cose piacevoli, allora egli vi tende di propria volontà, e non sembra che adempia il comando, ma che lo faccia di proprio arbitrio. Invece quando le cose comandate in nessun modo son volute direttamente, ma di suo ripugnano alla propria volontà, come avviene nelle cose difficili, allora è ben chiaro che esse si adempiono solo per il comando ricevuto. Ecco perché S. Gregorio afferma, che "l'obbedienza la quale mette qualche cosa di suo nelle azioni piacevoli è nulla, oppure è minima", poiché la propria volontà non sembra tendere a soddisfare il precetto, bensì a conseguire ciò che vuole; "invece nelle cose avverse e difficili essa è più grande", poiché la volontà tende unicamente a eseguire il comando.
Questo però vale per quello che appare all'esterno. Ma nel giudizio di Dio, scrutatore di cuori, può capitare che anche l'obbedienza nelle cose piacevoli, pur avendo qualche cosa di proprio, non sia per questo meno lodevole: e cioè se la volontà propria di chi ubbidisce non tenda con meno devozione a eseguire il comando.

[43431] IIª-IIae q. 104 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod reverentia directe respicit personam excellentem, et ideo secundum diversam rationem excellentiae, diversas species habet. Obedientia vero respicit praeceptum personae excellentis, et ideo est unius rationis. Sed quia propter reverentiam personae obedientia debetur eius praecepto, consequens est quod obedientia omnis sit eadem specie, ex diversis tamen specie causis procedens.

 

[43431] IIª-IIae q. 104 a. 2 ad 4
4. Di suo la riverenza, o rispetto ha di mira direttamente la persona del superiore: e quindi secondo i vari gradi di superiorità presenta una varietà di specie. L'obbedienza invece ha di mira il precetto del superiore: e quindi è sempre di una stessa natura. Però, siccome l'obbedienza è dovuta al comando per il rispetto che merita la persona, è evidente che essa è sempre della medesima specie, pur derivando da cause specificamente diverse.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > L'obbedienza > Se l'obbedienza sia la più grande delle virtù


Secunda pars secundae partis
Quaestio 104
Articulus 3

[43432] IIª-IIae q. 104 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod obedientia sit maxima virtutum. Dicitur enim I Reg. XV, melior est obedientia quam victimae. Sed oblatio victimarum pertinet ad religionem, quae est potissima inter omnes virtutes morales, ut ex supra dictis patet. Ergo obedientia est potissima inter virtutes.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 104
Articolo 3

[43432] IIª-IIae q. 104 a. 3 arg. 1
SEMBRA che l'obbedienza sia la più grande delle virtù. Infatti:
1. Nella Scrittura si legge: "L'obbedienza vale assai più delle vittime". Ma l'offerta delle vittime appartiene alla religione che è la prima tra le virtù morali, come sopra abbiamo detto. Dunque l'obbedienza è la prima tra tutte le virtù.

[43433] IIª-IIae q. 104 a. 3 arg. 2
Praeterea, Gregorius dicit, ult. Moral., quod obedientia sola virtus est quae virtutes ceteras menti inserit, insertasque custodit. Sed causa est potior effectu. Ergo obedientia est potior omnibus virtutibus.

 

[43433] IIª-IIae q. 104 a. 3 arg. 2
2. S. Gregorio insegna, che "l'obbedienza è la sola virtù che semina nell'animo le altre virtù, e ve le custodisce". Ma la causa è superiore all'effetto. Perciò l'obbedienza è superiore a ogni altra virtù.

[43434] IIª-IIae q. 104 a. 3 arg. 3
Praeterea, Gregorius dicit, ult. Moral., quod nunquam per obedientiam malum fieri, aliquando autem debet per obedientiam bonum quod agitur intermitti. Sed non praetermittitur aliquid nisi pro meliori. Ergo obedientia, pro qua praetermittuntur bona aliarum virtutum, est virtutibus aliis melior.

 

[43434] IIª-IIae q. 104 a. 3 arg. 3
3. Lo stesso S. Gregorio ha scritto, che "per obbedienza mai si deve far del male, però talora per obbedienza si deve tralasciare il bene che si sta facendo". Ma un bene non si può lasciare che per un bene maggiore. Dunque l'obbedienza, per cui si tralasciano gli atti buoni delle altre virtù, è superiore ad esse.

[43435] IIª-IIae q. 104 a. 3 s. c.
Sed contra est quod obedientia habet laudem ex eo quod ex caritate procedit, dicit enim Gregorius, ult. Moral., quod obedientia non servili metu, sed caritatis affectu servanda est, non timore poenae, sed amore iustitiae. Ergo caritas est potior virtus quam obedientia.

 

[43435] IIª-IIae q. 104 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: L'obbedienza è lodevole in quanto procede dalla carità; poiché, a detta di S. Gregorio, "l'obbedienza non va osservata per timore servile, ma per un trasporto di carità: non per timore del castigo, ma per amore della giustizia". Perciò la carità è una virtù superiore all'obbedienza.

[43436] IIª-IIae q. 104 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod sicut peccatum consistit in hoc quod homo, contempto Deo, commutabilibus bonis inhaeret; ita meritum virtuosi actus consistit e contrario in hoc quod homo, contemptis bonis creatis, Deo inhaeret. Finis autem potior est his quae sunt ad finem. Si ergo bona creata propter hoc contemnantur ut Deo inhaereatur, maior est laus virtutis ex hoc quod Deo inhaeret quam ex hoc quod bona terrena contemnit. Et ideo illae virtutes quibus Deo secundum se inhaeretur, scilicet theologicae, sunt potiores virtutibus moralibus, quibus aliquid terrenum contemnitur ut Deo inhaereatur. Inter virtutes autem morales, tanto aliqua potior est quanto maius aliquid contemnit ut Deo inhaereat. Sunt autem tria genera bonorum humanorum quae homo potest contemnere propter Deum, quorum infimum sunt exteriora bona; medium autem sunt bona corporis; supremum autem sunt bona animae, inter quae quodammodo praecipuum est voluntas, inquantum scilicet per voluntatem homo omnibus aliis bonis utitur. Et ideo, per se loquendo, laudabilior est obedientiae virtus, quae propter Deum contemnit propriam voluntatem, quam aliae virtutes morales, quae propter Deum aliqua alia bona contemnunt. Unde Gregorius dicit, in ult. Moral., quod obedientia victimis iure praeponitur, quia per victimas aliena caro, per obedientiam vero voluntas propria mactatur. Unde etiam quaecumque alia virtutum opera ex hoc meritoria sunt apud Deum quod sint ut obediatur voluntati divinae. Nam si quis etiam martyrium sustineret, vel omnia sua pauperibus erogaret, nisi haec ordinaret ad impletionem divinae voluntatis, quod recte ad obedientiam pertinet, meritoria esse non possent, sicut nec si fierent sine caritate, quae sine obedientia esse non potest. Dicitur enim I Ioan. II, quod qui dicit se nosse Deum, et mandata eius non custodit, mendax est, qui autem servat verba eius, vere in hoc caritas Dei perfecta est. Et hoc ideo est quia amicitia facit idem velle et nolle.

 

[43436] IIª-IIae q. 104 a. 3 co.
RISPONDO: Come il peccato consiste nel fatto che l'uomo aderisce a dei beni corruttibili, disprezzando Dio, così il merito dell'atto virtuoso consiste al contrario nel fatto che egli aderisce a Dio, disprezzando i beni creati. Ora, il fine è sempre superiore ai mezzi fatti per raggiungerlo. Perciò se i beni creati vengono disprezzati per aderire a Dio, la virtù merita più lode nell'atto in cui aderisce a Dio, che in quello in cui disprezza i beni terreni. Ecco quindi che le virtù con le quali direttamente si aderisce a Dio, ossia le virtù teologali, sono superiori a quelle morali, che hanno il compito di disprezzare qualche bene terreno per aderire a Dio.
E tra le virtù morali una è superiore all'altra nella misura in cui, per aderire a Dio, si disprezza un bene più grande. Ora, tre sono i generi di bene che l'uomo può disprezzare per Dio: all'infimo grado ci sono i beni esterni; in quello intermedio i beni del corpo; e in quello più alto i beni dell'anima, tra i quali occupa il primo posto, in qualche modo, la volontà; cioè in quanto con la volontà l'uomo fa uso di tutti gli altri beni. Perciò di suo è più lodevole l'obbedienza la quale sacrifica a Dio la propria volontà, che le altre virtù morali, con cui si sacrificano a Dio altri beni. Ecco perché S. Gregorio afferma che "giustamente l'obbedienza vien preferita alle vittime; poiché con le vittime si uccide la carne altrui, mentre con l'obbedienza si uccide la propria volontà".
Del resto tutte le altre opere di bene in tanto sono meritorie presso Dio, in quanto si ubbidisce ai divini voleri. Infatti anche se uno subisse il martirio, o distribuisse tutti i suoi beni ai poveri, se non ordinasse tutto questo al compimento della volontà di Dio, che direttamente appartiene all'obbedienza, i suoi atti non potrebbero essere meritori: allo stesso modo che se fossero compiuti senza la carità, la quale è inconcepibile senza l'obbedienza. Poiché sta scritto: "Chi dice di conoscere Dio e non osserva i suoi comandamenti è bugiardo; invece chi osserva la sua parola, in lui la carità di Dio è veramente perfetta". Ecco perché si dice che l'amicizia fa "volere o non volere le medesime cose".

[43437] IIª-IIae q. 104 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod obedientia procedit ex reverentia, quae exhibet cultum et honorem superiori. Et quantum ad hoc, sub diversis virtutibus continetur, licet secundum se considerata, prout respicit rationem praecepti, sit una specialis virtus. Inquantum ergo procedit ex reverentia praelatorum, continetur quodammodo sub observantia. Inquantum vero procedit ex reverentia parentum, sub pietate. Inquantum vero procedit ex reverentia Dei, sub religione, et pertinet ad devotionem, quae est principalis actus religionis. Unde secundum hoc, laudabilius est obedire Deo quam sacrificium offerre. Et etiam quia in sacrificio immolatur aliena caro, per obedientiam autem propria voluntas, ut Gregorius dicit. Specialiter tamen in casu in quo loquebatur Samuel, melius fuisset Sauli obedire Deo quam animalia pinguia Amalecitarum in sacrificium offerre, contra Dei mandatum.

 

[43437] IIª-IIae q. 104 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'obbedienza nasce dal rispetto, il quale offre ai superiori prestazioni e onore. E sotto quest'aspetto essa rientra in molte virtù: sebbene considerata in se stessa, in quanto ha di mira il comando come tale, sia una virtù specifica. Perciò in quanto deriva dal rispetto verso le autorità rientra in qualche modo nell'osservanza. In quanto deriva dal rispetto verso i genitori rientra nella pietà. E in quanto deriva dal rispetto verso Dio ricade nella religione: e precisamente nella devozione, che è l'atto principale di tale virtù. Ecco perché è cosa più lodevole ubbidire a Dio che offrire sacrifici. - Anche perché, come dice S. Gregorio, "nel sacrificio viene uccisa la carne altrui, mentre con l'obbedienza si uccide la propria volontà".
Tuttavia nel caso particolare, di cui parlava Samuele, sarebbe stato semplicemente meglio che Saul avesse ubbidito a Dio, piuttosto che sacrificare i pingui animali degli Amaleciti contro il comando di Dio.

[43438] IIª-IIae q. 104 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod ad obedientiam pertinent omnes actus virtutum prout sunt in praecepto. Inquantum ergo actus virtutum operantur causaliter vel dispositive ad earum generationem et conservationem, intantum dicitur quod obedientia omnes virtutes menti inserit et custodit. Nec tamen sequitur quod obedientia sit simpliciter omnibus virtutibus prior, propter duo. Primo quidem, quia licet actus virtutis cadat sub praecepto, tamen potest aliquis implere actum virtutis non attendens ad rationem praecepti. Unde si aliqua virtus sit cuius obiectum sit naturaliter prius quam praeceptum, illa virtus dicitur naturaliter prior quam obedientia, ut patet de fide, per quam nobis divinae auctoritatis sublimitas innotescit, ex qua competit ei potestas praecipiendi. Secundo, quia infusio gratiae et virtutum potest praecedere, etiam tempore, omnem actum virtuosum. Et secundum hoc, neque tempore neque natura est obedientia omnibus aliis virtutibus prior.

 

[43438] IIª-IIae q. 104 a. 3 ad 2
2. Nell'obbedienza rientrano tutti gli atti di virtù in quanto sono comandati. Perciò in quanto gli atti di tutte le virtù agiscono in maniera causale o dispositiva alla produzione e alla conservazione di esse, si può dire che l'obbedienza semina e custodisce tutte le virtù.
Non ne segue però che l'obbedienza sia in modo assoluto la virtù principale, e questo per due motivi. Primo, perché sebbene un atto virtuoso possa sempre essere oggetto di un comando, tuttavia uno può compierlo senza badare al comando. E quindi se ci sono delle virtù il cui oggetto è per natura anteriore al precetto, codeste virtù sono per natura superiori all'obbedienza: tale è il caso della fede che ci fa conoscere la sublimità della rivelazione divina, da cui deriva ad essa il potere di comandare. - Secondo, perché l'infusione della grazia e delle virtù può precedere, anche cronologicamente, qualsiasi atto di virtù. Perciò l'obbedienza non è la prima delle virtù, né in ordine di natura, né in ordine di tempo.

[43439] IIª-IIae q. 104 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod duplex est bonum. Quoddam ad quod faciendum homo ex necessitate tenetur, sicut amare Deum, vel aliquid huiusmodi. Et tale bonum nullo modo debet propter obedientiam praetermitti. Est autem aliud bonum ad quod homo non tenetur ex necessitate. Et tale bonum debet homo quandoque propter obedientiam praetermittere, ad quam ex necessitate homo tenetur, quia non debet homo aliquid bonum facere culpam incurrendo. Et tamen, sicut ibidem Gregorius dicit, qui ab uno quolibet bono subiectos vetat, necesse est ut multa concedat, ne obedientis mens funditus intereat, si a bonis omnibus penitus repulsa ieiunet. Et sic per obedientiam et alia bona potest damnum unius boni recompensari.

 

[43439] IIª-IIae q. 104 a. 3 ad 3
3. Il bene è di due specie. C'è un bene che si è tenuti a compiere per necessità: come amare Dio e altre azioni del genere. E codesto bene in nessun modo si deve tralasciare. - C'è poi un bene cui non si è tenuti per necessità. E questo bene talora uno è tenuto a tralasciarlo per obbedienza, essendo tenuto ad essa per necessità: poiché nessuno deve compiere un bene commettendo una colpa. Tuttavia, come dice lo stesso S. Gregorio, "chi proibisce ai sudditi un bene qualsiasi, deve permetterne molti altri, per non uccidere alla radice l'animo di chi deve ubbidire, rendendolo rigorosamente digiuno di ogni bene". Ecco allora che con l'obbedienza e con le altre opere buone si può compensare la privazione di un bene.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > L'obbedienza > Se a Dio si debba ubbidire in tutto


Secunda pars secundae partis
Quaestio 104
Articulus 4

[43440] IIª-IIae q. 104 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod non in omnibus sit Deo obediendum. Dicitur enim Matth. IX, quod dominus duobus caecis curatis praecepit dicens, videte ne quis sciat. Illi autem, exeuntes, diffamaverunt eum per totam terram illam. Nec tamen ex hoc inculpantur. Ergo videtur quod non teneamur in omnibus obedire Deo.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 104
Articolo 4

[43440] IIª-IIae q. 104 a. 4 arg. 1
SEMBRA che a Dio non si debba ubbidire in tutto. Infatti:
1. Nel Vangelo si legge che il Signore diede questo comando ai due ciechi guariti: "Badate che nessuno lo venga a sapere. Ma quelli usciti di là diffusero la notizia per tutta la contrada". E tuttavia essi non vengono rimproverati. Perciò è chiaro che non in tutto siamo tenuti a ubbidire a Dio.

[43441] IIª-IIae q. 104 a. 4 arg. 2
Praeterea, nullus tenetur aliquid facere contra virtutem. Sed inveniuntur quaedam praecepta Dei contra virtutem, sicut quod praecepit Abrahae quod occideret filium innocentem, ut habetur Gen. XXII, et Iudaeis ut furarentur res Aegyptiorum, ut habetur Exod. XI, quae sunt contra iustitiam; et Osee quod acciperet mulierem adulteram, quod est contra castitatem. Ergo non in omnibus est obediendum Deo.

 

[43441] IIª-IIae q. 104 a. 4 arg. 2
2. Nessuno può esser tenuto a compiere delle cose contrarie alla virtù. Ma Dio ha dato dei comandi contrari alla virtù: come quando comandò ad Abramo di uccidere il figlio innocente; e quando impose agli Ebrei di rubare la roba degli Egiziani, cose che son contrarie alla giustizia; o quando ad Osea impose di prendere per moglie un'adultera, il che è contro la castità. Perciò a Dio non si deve ubbidire in tutto.

[43442] IIª-IIae q. 104 a. 4 arg. 3
Praeterea, quicumque obedit Deo, conformat voluntatem suam voluntati divinae etiam in volito. Sed non quantum ad omnia tenemur conformare voluntatem nostram voluntati divinae in volito, ut supra habitum est. Ergo non in omnibus tenetur homo Deo obedire.

 

[43442] IIª-IIae q. 104 a. 4 arg. 3
3. Chi ubbidisce a Dio uniforma la propria volontà a quella di Dio anche nelle cose volute. Ora, noi non siamo tenuti, come sopra abbiamo detto, a uniformare la nostra volontà a quella di Dio in tutte le cose da essa volute. Dunque non si è tenuti a ubbidire a Dio in tutte le cose.

[43443] IIª-IIae q. 104 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Exod. XXIV, omnia quae locutus est dominus faciemus, et erimus obedientes.

 

[43443] IIª-IIae q. 104 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Nell'Esodo si legge: "Tutto quello che il Signore ha detto l'eseguiremo, e gli saremo obbedienti".

[43444] IIª-IIae q. 104 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, ille qui obedit movetur per imperium eius cui obedit, sicut res naturales moventur per suos motores. Sicut autem Deus est primus motor omnium quae naturaliter moventur, ita etiam est primus motor omnium voluntatum, ut ex supra dictis patet. Et ideo sicut naturali necessitate omnia naturalia subduntur divinae motioni, ita etiam quadam necessitate iustitiae omnes voluntates tenentur obedire divino imperio.

 

[43444] IIª-IIae q. 104 a. 4 co.
RISPONDO: Secondo le spiegazioni date, chi ubbidisce viene mosso dal comando del superiore, come gli esseri fisici, o materiali son mossi dai loro motori. Dio però, come è il primo motore di tutte le cose materiali, è anche il primo motore di tutte le volontà, come abbiamo dimostrato in precedenza. Perciò come tutti gli esseri materiali sottostanno per naturale necessità alla mozione divina, così per una necessità (morale, o) di giustizia tutte le volontà son tenute a ubbidire al comando di Dio.

[43445] IIª-IIae q. 104 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod dominus caecis dixit ut miraculum occultarent, non quasi intendens eos per virtutem divini praecepti obligare, sed, sicut Gregorius dicit, XIX Moral., servis suis se sequentibus exemplum dedit, ut ipsi quidem virtutes suas occultare desiderent; et tamen, ut alii eorum exemplo proficiant, prodantur inviti.

 

[43445] IIª-IIae q. 104 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Signore disse ai due ciechi di tener nascosto il miracolo, non con l'intenzione di obbligarli con un comando divino; bensì, come spiega S. Gregorio, "per dare un esempio ai suoi seguaci: affinché desiderino anch'essi di nascondere le loro virtù; e tuttavia siano di esempio agli altri per la manifestazione di esse, fatta loro malgrado".

[43446] IIª-IIae q. 104 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod sicut Deus nihil operatur contra naturam, quia haec est natura uniuscuiusque rei quod in ea Deus operatur, ut habetur in Glossa Rom. XI, operatur tamen aliquid contra solitum cursum naturae; ita etiam Deus nihil potest praecipere contra virtutem, quia in hoc principaliter consistit virtus et rectitudo voluntatis humanae quod Dei voluntati conformetur et eius sequatur imperium, quamvis sit contra consuetum virtutis modum. Secundum hoc ergo, praeceptum Abrahae factum quod filium innocentem occideret, non fuit contra iustitiam, quia Deus est auctor mortis et vitae. Similiter nec fuit contra iustitiam quod mandavit Iudaeis ut res Aegyptiorum acciperent, quia eius sunt omnia, et cui voluerit dat illa. Similiter etiam non fuit contra castitatem praeceptum ad Osee factum ut mulierem adulteram acciperet, quia ipse Deus est humanae generationis ordinator, et ille est debitus modus mulieribus utendi quem Deus instituit. Unde patet quod praedicti nec obediendo Deo, nec obedire volendo, peccaverunt.

 

[43446] IIª-IIae q. 104 a. 4 ad 2
2. Dio, come non compie nulla contro natura, poiché, a detta della Glossa, "la natura di ogni cosa consiste nel fatto che Dio opera in essa", tuttavia compie alcune cose contro il corso ordinario della natura; così egli non può comandare nulla contro la virtù, poiché la virtù e la rettitudine della volontà umana consiste principalmente nel conformarsi ai voleri di Dio e nell'eseguire i suoi comandi, sebbene siano contrari alla norma ordinaria della virtù. Ecco perché il comando fatto ad Abramo di uccidere il figlio innocente non era contro la giustizia: poiché Dio è la causa della vita e della morte. - Parimenti non era contro la giustizia l'ordine dato agli ebrei di prendere la roba degli egiziani: poiché tutte le cose appartengono a Dio, ed egli può darle a chi vuole. - Finalmente non era contro la castità il comando dato ad Osea di prendere una sposa adultera: perché Dio è egli stesso l'ordinatore della generazione umana, e quindi il modo di usar le donne è precisamente quello che Dio ha stabilito. - È chiaro, quindi, che nell'ubbidire a Dio, o nel volergli ubbidire, costoro non fecero peccato.

[43447] IIª-IIae q. 104 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod etsi non semper teneatur homo velle quod Deus vult, semper tamen tenetur velle quod Deus vult eum velle. Et hoc homini praecipue innotescit per praeceptum divinum. Et ideo tenetur homo in omnibus divinis praeceptis obedire.

 

[43447] IIª-IIae q. 104 a. 4 ad 3
3. Sebbene non si sia tenuti sempre a volere le cose che Dio vuole (o dispone), tuttavia siamo tenuti a voler sempre quanto Dio vuole che noi vogliamo. E questo lo conosciamo specialmente dai precetti di Dio. Perciò siamo tenuti a ubbidire a tutti i comandi divini.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > L'obbedienza > Se i sudditi sian tenuti a ubbidire in tutto ai loro superiori


Secunda pars secundae partis
Quaestio 104
Articulus 5

[43448] IIª-IIae q. 104 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod subditi teneantur suis superioribus in omnibus obedire. Dicit enim apostolus, ad Coloss. III, filii, obedite parentibus per omnia. Et postea subdit, servi, obedite per omnia dominis carnalibus. Ergo, eadem ratione, alii subditi debent suis praelatis in omnibus obedire.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 104
Articolo 5

[43448] IIª-IIae q. 104 a. 5 arg. 1
SEMBRA che i sudditi sian tenuti a ubbidire in tutto ai loro superiori. Infatti:
1. L'Apostolo così scrive ai Colossesi: "Figli, siate obbedienti ai genitori in tutto". E continua poco dopo: "Servi, ubbidite in tutto a quelli che secondo la carne sono vostri padroni". Quindi per gli stessi motivi anche gli altri sudditi devono ubbidire in tutto ai loro superiori.

[43449] IIª-IIae q. 104 a. 5 arg. 2
Praeterea, praelati sunt medii inter Deum et subditos, secundum illud Deut. V, ego sequester et medius fui inter Deum et vos in tempore illo, ut annuntiarem vobis verba eius. Sed ab extremo in extremum non pervenitur nisi per medium. Ergo praecepta praelati sunt reputanda tanquam praecepta Dei. Unde et apostolus dicit, Gal. IV, sicut Angelum Dei accepistis me, sicut Christum Iesum; et I ad Thess. II, cum accepissetis a nobis verbum auditus Dei, accepistis illud non ut verbum hominum, sed, sicut vere est, verbum Dei. Ergo sicut Deo debet homo in omnibus obedire, ita etiam et praelatis.

 

[43449] IIª-IIae q. 104 a. 5 arg. 2
2. I superiori sono gli intermediari tra Dio e i sudditi, secondo quelle parole di Mosè: "Io fui in quel tempo rappresentante vostro e intermediario fra il Signore e voi, per riferirvi le sue parole". Ora, da un estremo non si raggiunge l'estremo opposto, se non attraverso le cose intermedie. Perciò i comandi dei superiori sono da ritenersi come comandi di Dio. Infatti S. Paolo ai Galati scriveva: "Mi avete accolto come un angelo di Dio, come Cristo Gesù"; e ai Tessalonicesi: "Avete accolto la parola di Dio da noi udita, e l'avete accettata non come parola di uomini, ma, com'è davvero, quale parola di Dio". Perciò un uomo com'è tenuto a ubbidire a Dio in tutto, così è tenuto a farlo anche verso i superiori.

[43450] IIª-IIae q. 104 a. 5 arg. 3
Praeterea, sicut religiosi profitendo vovent castitatem et paupertatem, ita et obedientiam. Sed religiosus tenetur quantum ad omnia servare castitatem et paupertatem. Ergo similiter quantum ad omnia tenetur obedire.

 

[43450] IIª-IIae q. 104 a. 5 arg. 3
3. Nella loro professione i religiosi accettano l'obbedienza come accettano la castità e la povertà. Ma il religioso è tenuto a osservare la castità e la povertà in tutto. Dunque è tenuto anche a ubbidire in tutto.

[43451] IIª-IIae q. 104 a. 5 s. c.
Sed contra est quod dicitur Act. V, obedire oportet Deo magis quam hominibus. Sed quandoque praecepta praelatorum sunt contra Deum. Ergo non in omnibus praelatis est obediendum.

 

[43451] IIª-IIae q. 104 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Bisogna ubbidire a Dio più che agli uomini". Ma talora i comandi dei superiori sono contro Dio. Dunque non in tutto si deve ubbidire ai superiori.

[43452] IIª-IIae q. 104 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, obediens movetur ad imperium praecipientis quadam necessitate iustitiae, sicut res naturalis movetur ex virtute sui motoris necessitate naturae. Quod autem aliqua res naturalis non moveatur a suo motore, potest contingere dupliciter. Uno modo, propter impedimentum quod provenit ex fortiori virtute alterius moventis, sicut lignum non comburitur ab igne si fortior vis aquae impediat. Alio modo, ex defectu ordinis mobilis ad motorem, quia etsi subiiciatur eius actioni quantum ad aliquid, non tamen quantum ad omnia, sicut humor quandoque subiicitur actioni caloris quantum ad calefieri, non autem quantum ad exsiccari sive consumi. Et similiter ex duobus potest contingere quod subditus suo superiori non teneatur in omnibus obedire. Uno modo, propter praeceptum maioris potestatis. Ut enim dicitur Rom. XIII, super illud, qui resistunt, ipsi sibi damnationem acquirunt, dicit Glossa, si quid iusserit curator, numquid tibi faciendum est si contra proconsulem iubeat? Rursum, si quid ipse proconsul iubeat, et aliud imperator, numquid dubitatur, illo contempto, illi esse serviendum? Ergo, si aliud imperator, aliud Deus iubeat, contempto illo, obtemperandum est Deo. Alio modo, non tenetur inferior suo superiori obedire, si ei aliquid praecipiat in quo ei non subdatur. Dicit enim Seneca, in III de Benefic., errat si quis existimat servitutem in totum hominem descendere. Pars eius melior excepta est. Corpora obnoxia sunt et adscripta dominis, mens quidem est sui iuris. Et ideo in his quae pertinent ad interiorem motum voluntatis, homo non tenetur homini obedire, sed solum Deo. Tenetur autem homo homini obedire in his quae exterius per corpus sunt agenda. In quibus tamen etiam, secundum ea quae ad naturam corporis pertinent, homo homini obedire non tenetur, sed solum Deo, quia omnes homines natura sunt pares, puta in his quae pertinent ad corporis sustentationem et prolis generationem. Unde non tenentur nec servi dominis, nec filii parentibus obedire de matrimonio contrahendo vel virginitate servanda, aut aliquo alio huiusmodi. Sed in his quae pertinent ad dispositionem actuum et rerum humanarum, tenetur subditus suo superiori obedire secundum rationem superioritatis, sicut miles duci exercitus in his quae pertinent ad bellum; servus domino in his quae pertinent ad servilia opera exequenda; filius patri in his quae pertinent ad disciplinam vitae et curam domesticam; et sic de aliis.

 

[43452] IIª-IIae q. 104 a. 5 co.
RISPONDO: Secondo le spiegazioni date, chi ubbidisce vien mosso da chi comanda con una certa necessità (morale o) di giustizia, come gli esseri fisici, o materiali sono mossi dal loro motore con una necessità naturale. Ora, due sono le ragioni per cui un essere materiale può non subire la mozione del suo motore. Primo, per l'ostacolo posto dalla virtù superiore di un'altra causa movente: il legno, p. es., non viene bruciato dal fuoco se trova l'ostacolo della forza superiore dell'acqua. Secondo, da una mancanza di disposizione da parte del soggetto in rapporto alla mozione della causa agente. Poiché sebbene il soggetto sia disposto all'influsso di essa per certe cose, non lo è in tutto e per tutto: l'umido, p. es., talora è disposto all'azione del calore flno ad esserne riscaldato, ma non fino all'essiccazione e alla consunzione.
Parimenti, due sono i motivi per cui un suddito può non esser tenuto a ubbidire in tutto al proprio superiore. Primo, per il comando di un'autorità più grande. Nel commentare, infatti, quel detto dell'Apostolo: "Coloro che resistono si tirano addosso la condanna", la Glossa commenta: "Se l'amministratore comanda una cosa, dovrai forse farla, se comanda contro gli ordini del proconsole? E se lo stesso proconsole ti comanda una cosa, mentre l'imperatore ne comanda un'altra, c'è forse da dubitare che bisogna ubbidire a quest'ultimo senza badare al primo? Perciò se l'imperatore comanda una cosa, e Dio comanda il contrario, si deve ubbidire a Dio senza badare all'imperatore".
Secondo, un suddito non è tenuto a ubbidire al superiore, se questi gli comanda cose nelle quali non è a lui sottoposto. Seneca infatti afferma: "Sbaglia chi pensa che il dominio sullo schiavo abbracci tutto l'uomo. La sua parte più nobile ne è eccettuata. Ai padroni sono sottoposti e assegnati i corpi: ma l'anima è libera". Perciò nelle cose riguardanti i moti interiori della volontà non siamo tenuti a ubbidire agli uomini, ma soltanto a Dio.
Siamo tenuti invece a ubbidire agli uomini negli atti esterni da eseguirsi col corpo. Tuttavia anche in questi atti, quando incidono sulla natura del corpo, come il sostentamento, o la generazione della prole, un uomo non è tenuto a ubbidire ad altri uomini, ma a Dio soltanto, poiché quanto alla natura tutti gli uomini sono uguali. Perciò gli schiavi non son tenuti a ubbidire ai padroni, né i figli ai genitori, quando si tratta di contrarre il matrimonio, o di custodire la verginità, o di altre cose del genere. - Ma un suddito è tenuto a ubbidire nelle cose riguardanti la disposizione degli atti e delle cose umane, secondo l'autorità specifica di chi comanda: il soldato p. es., è tenuto a ubbidire al capo dell'esercito nelle cose relative alla guerra; lo schiavo, o servo, è obbligato a sottostare al padrone nell'esercizio delle sue mansioni; un figlio deve ubbidire al padre nelle cose riguardanti la condotta e la cura della casa; e così via.

[43453] IIª-IIae q. 104 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod hoc quod apostolus dixit, per omnia, intelligendum est quantum ad illa quae pertinent ad ius patriae vel dominativae potestatis.

 

[43453] IIª-IIae q. 104 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'espressione dell'Apostolo, "in tutto", va intesa per le cose che rientrano nei diritti del padre, o del padrone.

[43454] IIª-IIae q. 104 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod Deo subiicitur homo simpliciter quantum ad omnia, et interiora et exteriora, et ideo in omnibus ei obedire tenetur. Subditi autem non subiiciuntur suis superioribus quantum ad omnia, sed quantum ad aliqua determinate. Et quantum ad illa, medii sunt inter Deum et subditos. Quantum ad alia vero, immediate subduntur Deo, a quo instruuntur per legem naturalem vel scriptam.

 

[43454] IIª-IIae q. 104 a. 5 ad 2
2. A Dio l'uomo è soggetto in modo assoluto e in tutte le cose, sia interne che esterne: ecco perché è tenuto a ubbidirgli in tutto. Ma i sudditi non sono soggetti in tutto ai loro superiori, bensì in alcune cose determinate. E solo in rapporto a queste essi sono intermediari tra Dio e i sudditi. Invece per tutte le altre cose sono sottoposti a Dio, il quale li guida con la legge naturale, o con quella scritta.

[43455] IIª-IIae q. 104 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod religiosi obedientiam profitentur quantum ad regularem conversationem, secundum quam suis praelatis subduntur. Et ideo quantum ad illa sola obedire tenentur quae possunt ad regularem conversationem pertinere. Et haec est obedientia sufficiens ad salutem. Si autem etiam in aliis obedire voluerint, hoc pertinebit ad cumulum perfectionis, dum tamen illa non sint contra Deum, aut contra professionem regulae; quia talis obedientia esset illicita. Sic ergo potest triplex obedientia distingui, una sufficiens ad salutem, quae scilicet obedit in his ad quae obligatur; alia perfecta, quae obedit in omnibus licitis; alia indiscreta, quae etiam in illicitis obedit.

 

[43455] IIª-IIae q. 104 a. 5 ad 3
3. I religiosi professano obbedienza per quel che riguarda la vita regolare, in cui sono soggetti ai loro superiori. Perciò essi son tenuti a ubbidire soltanto nelle cose che possono riguardare codesta vita. E questa obbedienza è sufficiente per salvarsi. Se poi essi vogliono ubbidire anche in altre cose, questo contribuisce a una maggiore perfezione: purché non si tratti di cose contro Dio, o contro la regola; poiché tale obbedienza sarebbe illecita.
Si possono così distinguere tre tipi di obbedienza: la prima, sufficiente per salvarsi, si ferma a ubbidire nelle cose d'obbligo; la seconda, perfetta, ubbidisce in tutte le cose lecite; la terza, disordinata, ubbidisce anche nelle cose illecite.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > L'obbedienza > Se i cristiani sian tenuti a ubbidire alle autorità civili


Secunda pars secundae partis
Quaestio 104
Articulus 6

[43456] IIª-IIae q. 104 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod Christiani non teneantur saecularibus potestatibus obedire. Quia super illud Matth. XVII, ergo liberi sunt filii, dicit Glossa, si in quolibet regno filii illius regis qui regno illi praefertur sunt liberi, tunc filii regis cui omnia regna subduntur, in quolibet regno liberi esse debent. Sed Christiani per fidem Christi facti sunt filii Dei, secundum illud Ioan. I, dedit eis potestatem filios Dei fieri, his qui credunt in nomine eius. Ergo non tenentur potestatibus saecularibus obedire.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 104
Articolo 6

[43456] IIª-IIae q. 104 a. 6 arg. 1
SEMBRA che i cristiani non sian tenuti a ubbidire alle autorità civili. Infatti:
1. A proposito di quel testo evangelico: "Dunque i figli ne sono esenti", la Glossa commenta: "Se in qualsiasi regno i figli del re che lo governa sono esenti, è chiaro che i figli di quel Re cui sono soggetti tutti i regni devono essere esenti e liberi in qualsiasi regno". Ma i cristiani mediante la fede di Cristo son diventati figli di Dio, secondo le parole di S. Giovanni: "A quelli che credono nel suo nome ha dato il potere di diventare figli di Dio". Essi, dunque, non son tenuti a ubbidire alle autorità civili.

[43457] IIª-IIae q. 104 a. 6 arg. 2
Praeterea, Rom. VII dicitur, mortificati estis legi per corpus Christi, et loquitur de lege divina veteris testamenti. Sed minor est lex humana, per quam homines potestatibus saecularibus subduntur, quam lex divina veteris testamenti. Ergo multo magis homines, per hoc quod sunt facti membra corporis Christi, liberantur a lege subiectionis qua saecularibus principibus adstringebantur.

 

[43457] IIª-IIae q. 104 a. 6 arg. 2
2. S. Paolo afferma: "Voi siete morti alla legge per il corpo di Cristo"; e parla della legge divina dell'antico Testamento. Ora, la legge umana, che sottomette gli uomini ai poteri civili, è inferiore alla legge divina del vecchio Testamento. Perciò a maggior ragione coloro che son diventati membra del corpo di Cristo sono stati liberati dalla legge per cui erano sottoposti ai principi secolari.

[43458] IIª-IIae q. 104 a. 6 arg. 3
Praeterea, latronibus, qui per violentiam opprimunt, homines obedire non tenentur. Sed Augustinus dicit, IV de Civ. Dei, remota iustitia, quid sunt regna nisi magna latrocinia? Cum igitur dominia saecularia principum plerumque cum iniustitia exerceantur, vel ab aliqua iniusta usurpatione principium sumpserint, videtur quod non sit principibus saecularibus obediendum a Christianis.

 

[43458] IIª-IIae q. 104 a. 6 arg. 3
3. Gli uomini non son tenuti a ubbidire ai briganti che li opprimono con la violenza. Ma S. Agostino si domanda: "Se viene a mancare la giustizia, che cosa sono i regni se non dei grandi latrocini?". E siccome il potere dei principi secolari per lo più viene esercitato nell'ingiustizia, oppure ha avuto origine da ingiuste usurpazioni, è chiaro che i cristiani non son tenuti a ubbidire a codesti principi.

[43459] IIª-IIae q. 104 a. 6 s. c.
Sed contra est quod dicitur Tit. III, admone illos principibus et potestatibus subditos esse; et I Pet. II, subiecti estote omni humanae creaturae propter Deum, sive regi, quasi praecellenti; sive ducibus, tanquam ab eo Missis.

 

[43459] IIª-IIae q. 104 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: S. Paolo raccomanda a Tito: "Rammenta loro che siano soggetti ai principi e alle autorità"; e S. Pietro ammonisce: "Siate soggetti per amore del Signore a ogni istituzione umana: tanto al re, che è sopra tutti; quanto ai governatori, che ne sono i rappresentanti".

[43460] IIª-IIae q. 104 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod fides Christi est iustitiae principium et causa, secundum illud Rom. III, iustitia Dei per fidem Iesu Christi. Et ideo per fidem Christi non tollitur ordo iustitiae, sed magis firmatur. Ordo autem iustitiae requirit ut inferiores suis superioribus obediant, aliter enim non posset humanarum rerum status conservari. Et ideo per fidem Christi non excusantur fideles quin principibus saecularibus obedire teneantur.

 

[43460] IIª-IIae q. 104 a. 6 co.
RISPONDO: La fede di Cristo è principio e causa di (ogni) giustizia, secondo le parole di S. Paolo: "La giustizia di Dio deriva dalla fede in Gesù Cristo". Perciò la fede di Cristo non elimina l'ordine della giustizia, ma piuttosto lo rende stabile. Ora, l'ordine della giustizia esige che gli inferiori ubbidiscano ai loro superiori: altrimenti la convivenza umana non potrebbe sussistere. Dunque i fedeli per la loro fede in Cristo non vengono dispensati dall'obbedienza alle autorità civili.

[43461] IIª-IIae q. 104 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut supra dictum est, servitus qua homo homini subiicitur ad corpus pertinet, non ad animam, quae libera manet. Nunc autem, in statu huius vitae, per gratiam Christi liberamur a defectibus animae, non autem a defectibus corporis, ut patet per apostolum, Rom. VII, qui dicit de seipso quod mente servit legi Dei, carne autem legi peccati. Et ideo illi qui fiunt filii Dei per gratiam, liberi sunt a spirituali servitute peccati, non autem a servitute corporali, qua temporalibus dominis tenentur adstricti, ut dicit Glossa, super illud I ad Tim. VI, quicumque sunt sub iugo servi, et cetera.

 

[43461] IIª-IIae q. 104 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come abbiamo già detto, la sottomissione di un uomo a un altro riguarda il corpo soltanto, non l'anima, la quale rimane libera. Ora nella vita presente la grazia di Cristo ci libera dalle miserie dell'anima, ma non da quelle del corpo, com'è evidente dall'esperienza dell'Apostolo, il quale dice di se stesso, che "con la mente era servo della legge di Dio, ma con la carne lo era della legge del peccato". Perciò coloro che diventano con la grazia figli di Dio son liberi o esenti dalla servitù spirituale del peccato: ma non dalla servitù del corpo, per cui son tenuti a sottostare ai padroni di questo mondo, come nota la Glossa a commento di quel testo paolino: "Quanti sono sotto il giogo schiavi, ecc.".

[43462] IIª-IIae q. 104 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod lex vetus fuit figura novi testamenti, et ideo debuit cessare, veritate veniente. Non autem est simile de lege humana, per quam homo subiicitur homini. Et tamen etiam ex lege divina homo tenetur homini obedire.

 

[43462] IIª-IIae q. 104 a. 6 ad 2
2. L'antica legge era figura del nuovo Testamento: perciò essa doveva cessare alla venuta della realtà. Ma della legge umana, che prescrive la sottomissione di un uomo a un altro, non si può dire altrettanto. - Inoltre anche in forza della legge divina un uomo è tenuto a ubbidire ad altri uomini.

[43463] IIª-IIae q. 104 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod principibus saecularibus intantum homo obedire tenetur, inquantum ordo iustitiae requirit. Et ideo si non habeant iustum principatum sed usurpatum, vel si iniusta praecipiant, non tenentur eis subditi obedire, nisi forte per accidens, propter vitandum scandalum vel periculum.

 

[43463] IIª-IIae q. 104 a. 6 ad 3
3. Si è tenuti a ubbidire ai principi secolari per quanto lo esige l'ordine della giustizia. Perciò se essi non hanno un potere legittimo, ma usurpato, oppure se comandano cose ingiuste, i sudditi non son tenuti a ubbidire, se non per accidens, ossia per evitare scandali o pericoli.

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