Sup, 99

Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Misericordia e giustizia di Dio verso i dannati


Supplemento
Questione 99
Proemio

Passiamo ora a considerare la giustizia e la misericordia di Dio verso i dannati.
Sull'argomento si pongono cinque quesiti:

1. Se dalla divina giustizia venga inflitta ai peccatori una pena eterna;
2. Se per divina misericordia ogni pena sia degli uomini che dei demoni, debba avere un termine;
3. Se termini almeno la pena degli uomini;
4. Se almeno termini quella dei cristiani;
5. Se termini quella di coloro che hanno fatto opere di misericordia.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Misericordia e giustizia di Dio verso i dannati > Se dalla divina giustizia sia inflitta ai peccatori una pena eterna


Supplemento
Questione 99
Articolo 1

SEMBRA che dalla divina giustizia non venga inflitta ai peccatori una pena eterna. Infatti:
1. La pena non deve superare la colpa: poiché sta scritto: "Secondo la gravità del delitto sarà la misura del castigo". Ma la colpa è temporanea. Dunque la pena non deve essere eterna.
2. Di due peccati mortali l'uno è più grave dell'altro. Quindi l'uno deve essere punito con una pena maggiore dell'altro. Ma nessuna pena può essere maggiore della pena eterna, essendo questa infinita. Dunque la pena eterna non è dovuta per tutti i peccati mortali. Ma se a uno di essi non è dovuta, non è dovuta a nessuno: perché la distanza tra loro non può essere infinita.
3. Un giudice giusto non infligge delle pene che per correggere: poiché, come nota Aristotele, "i castighi sono delle medicine". Ma punire i reprobi por l'eternità non serve alla loro correzione: e neppure serve alla correzione di altri, perché allora non ci saranno più dei soggetti capaci di correggersi per questo. Perciò la divina giustizia per i peccati non può infliggere una pena eterna.
4. Ciò che non è desiderato per se stesso, nessuno lo vuole, se non per qualche utilità. Ora, le punizioni non sono volute da Dio per se stesse; poiché egli non gode dei castighi. Siccome quindi non può ricavarsi nessuna utilità dalla perpetuità delle pene, è chiaro che per il peccato non viene inflitta una pena perpetua.
5. Come dice il Filosofo, niente di ciò che è per accidens può essere perpetuo. Ma il castigo è tra le cose per accidens, essendo contro natura. Dunque non può essere perpetuo.
6. La giustizia di Dio sembra esigere che i peccatori vengano annichilati. Infatti per l'ingratitudine uno merita di perdere i benefici ricevuti. Ora, tra gli altri benefici di Dio c'è anche l'esistenza. Perciò sembra giusto che il peccatore, per l'ingratitudine verso Dio, perda la stessa esistenza. Ma se egli viene annichilato la pena non può essere perpetua. Quindi non sembra consono alla divina giustizia che i peccatori vengano puniti per l'eternità.

IN CONTRARIO: 1. Nel Vangalo si legge: "Andranno costoro", cioè i peccatori, "all'eterno supplizio".
2. Come il premio sta al merito, così il castigo sta alla colpa. Ora, secondo la divina giustizia a un merito temporale è dovuto un premio eterno: "Chiunque vede il Figlio di Dio e crede in lui avrà la vita eterna". Dunque secondo la divina giustizia per una colpa temporale è dovuta una pena eterna.
3. Come nota il Filosofo, la pena va determinata in base alla dignità della persona contro la quale si pecca: cosicché viene punito con una pena più grave chi da uno schiaffo al sovrano, che chi schiaffeggia un privato qualsiasi. Ma chi pecca mortalmente pecca contro Dio, di cui trasgredisce i comandamenti, e dà ad altri l'onore a lui dovuto, mettendo il proprio fine in altre cose. Ora, la maestà di Dio è infinita. Perciò chi pecca mortalmente è degno d'una pena infinita. Quindi è giusto che per il peccato mortale uno venga punito in perpetuo.

RISPONDO: Poiché la pena ha due dimensioni, cioè intensità del dolore e durata, la gravità della pena corrisponde alla gravità della colpa sotto l'aspetto dell'intensità del dolore, cosicché in base alla maggiore gravità del suo peccato uno deve ricevere un castigo più doloroso, secondo le parole dell'Apocalisse: "Quanto si è gloriata e ha lussureggiato, tanto datele di tormento e di lutto".
Ma la durata della pena non corrisponde alla durata della colpa, come nota S. Agostino: infatti l'adulterio che viene perpetrato in un momento anche secondo le leggi umane non viene punito con una pena momentanea. Ma la durata della pena si riferisce alla disposizione di chi pecca. Chi pecca, p. es., in una data città, o stato, per ciò stesso talora diventa degno di essere eliminato del tutto da quella comunità, o con l'esilio perpetuo, oppure con la morte. Talora invece non diventa degno di essere escluso del tutto dal consorzio civile: e per renderlo un membro adatto della collettività gli viene inflitta una pena più lunga o più breve secondo che richiede la sua guarigione, in modo che impari a vivere nel consorzio civile in maniera conveniente e pacifica.
Ebbene, anche secondo la divina giustizia uno per il peccato può rendersi degno di essere del tutto separato dalla città di Dio: e ciò avviene per ogni peccato in cui uno pecca contro la carità; la quale è il vincolo che tiene unita la città suddetta. Perciò: per il peccato mortale, che è contrario alla carità, uno viene escluso in eterno dalla società dei santi, e condannato alla pena eterna: poiché, come nota ancora S. Agostino, "quello che per gli uomini nella città dei mortali è il supplizio della prima morte; nella città immortale è il supplizio della seconda morte". Il fatto che la pena inflitta dalla città terrestre non viene considerata perpetua è solo per accidens, sia perché l'uomo qui non dura in perpetuo, sia perché la città stessa ha un termine. Ma se un uomo vivesse in perpetuo, la pena dell'esilio o della schiavitù, inflitte dalla legge umana, resterebbero in lui in perpetuo. - Per coloro invece che non peccano in modo così grave da esser degni della totale separazione dalla città dei santi, p. es., quelli che fanno peccati veniali, la pena sarà più breve o più lunga secondo la necessità della loro purificazione, in base al loro attaccamento al peccato. E questo criterio è seguito dalla divina giustizia per le pene di questo mondo e per quelle del purgatorio.
I santi portano anche altre ragioni per mostrare che giustamente per una colpa temporale si può essere puniti con una pena eterna. La prima è il fatto che i dannati hanno peccato contro un bene eterno, disprezzando la vita eterna. Vi accenna in questi termini lo stesso S. Agostino: "Si è reso degno di un male eterno colui che distrusse in se stesso un bene che avrebbe dovuto essere eterno".
La seconda sta nel fatto che l'uomo ha peccato con un atto che in lui è eterno. Di qui le parole di S. Gregorio: "Spetta alla grande giustizia del giudice che non cessi mai il supplizio a coloro che mai han voluto cessare il peccato". - Se poi uno replicasse che alcuni nel peccare mortalmente hanno il proposito di convertirsi, e quindi per questo non sembrano degni di un castigo eterno, si deve rispondere, secondo alcuni, che S. Gregorio parla del volere che si manifesta nelle azioni. Chi infatti cade in peccato di propria volontà, si pone in uno stato dal quale non può essere risollevato che dall'intervento di Dio. Perciò per il fatto che vuol peccare, vuoi rimanere perpetuamente in peccato: l'uomo infatti è "uno spirito che va" verso il peccato "e non ritorna" da se stesso. Se uno infatti si gettasse in una fossa dalla quale non può uscire senza essere aiutato, si potrebbe dire che vuole rimaner là in eterno, per quanto egli pensi diversamente. - Oppure si può rispondere, che per il fatto stesso di peccare mortalmente uno mette il proprio fine in una creatura. E poiché tutta la vita è ordinata al fine, così facendo ordina tutta la propria vita a quel peccato; e vorrebbe restare in perpetuo in tale colpa, se potesse farlo impunemente. Ecco perché S. Gregorio, a commento di quel passo di Giobbe, "Crederebbe che l'abisso sia invecchiato", scrive: "Gli iniqui hanno peccato fino a un dato termine, perché la loro vita ha avuto termine. Ma essi avrebbero voluto vivere senza fine per poter rimanere senza fine nelle loro iniquità: bramano infatti più di peccare che di vivere".
Si può addurre una terza ragione a favore dell'eternità della pena per il peccato mortale, nel fatto che in codesta colpa si pecca contro Dio che è infinito. Perciò, non potendo la pena essere infinita in intensità, perché la creatura non è capace di una grandezza infinita, non rimane altro se non che essa sia infinita per la durata.
C'è poi una quarta ragione nel fatto che la colpa medesima rimane in eterno, non potendo infatti essere rimessa che con la grazia, che l'uomo non può ricuperare dopo la morte. E d'altra parte la pena non deve cessare fino a che rimane la colpa.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La pena deve essere uguale alla colpa, ma non nella durata: com'è evidente anche secondo le leggi umane.
Oppure si può rispondere con S. Gregorio che la colpa, pur essendo temporanea nell'atto, è però eterna nella volontà.
2. Alla gravità del peccato corrisponde la gravità della pena secondo l'intensità. Perciò per dei peccati mortali di gravità differente, ci saranno dei castighi di differente intensità, ma uguali quanto alla durata.
3. I castighi inflitti a coloro che non vengono del tutto eliminati dalla collettività sono ordinati alla loro correzione; ma quelli che li sterminano totalmente dal consorzio civile non sono ordinati alla loro correzione. Tuttavia possono servire alla correzione e alla tranquillità di coloro che rimangono. Perciò anche la dannazione eterna dei reprobi serve alla correzione di coloro che attualmente fanno parte della Chiesa: poiché i castighi servono a correggere non solo col fatto di essere inflitti, ma anche con la loro comminazione.
4. Le pene dei reprobi che dureranno in eterno non saranno davvero del tutto inutili. Infatti esse servono a due cose. Primo, a mantenere la divina giustizia: la quale piace a Dio per se stessa. Di qui le parole di S. Gregorio: "Dio onnipotente perché pio non gode delle sofferenze dei miseri. Ma perché giusto non cesserà in eterno dalla vendetta sui perversi".
Secondo, codeste pene servono al godimento degli eletti, in quanto costoro contemplano in esse la giustizia di Dio, e insieme riconoscono di averle scampate. Di qui le parole dei Salmi: "Il giusto si rallegrerà nel vedere la vendetta"; e quelle di Isaia: "Gli empi esisteranno fino a saziare la vista", la vista "dei santi", come spiega la Glossa. L'identico concetto è così espresso da S. Gregorio: "Tutti i perversi, condannati all'eterno supplizio, sono puniti per la loro iniquità: e tuttavia essi bruceranno per uno scopo, cioè perché i giusti, mentre vedono in Dio la felicità raggiunta, vedano in quelli i supplizi da cui essi sono scampati; cosicché tanto più si sentiranno debitori verso la divina grazia, quanto più vedranno punite eternamente quelle iniquità che essi hanno superato con l'aiuto di Dio".
5. Sebbene il castigo abbia con l'anima una relazione per accidens, tuttavia con l'anima infetta dalla colpa ha una relazione per se. E poiché la colpa rimane in essa in perpetuo, anche la pena dovrà essere perpetua.
6. Il castigo corrisponde alla colpa, propriamente parlando, secondo il disordine che si riscontra in quest'ultima, non già secondo la dignità della persona offesa: perché allora a qualsiasi peccato corrisponderebbe una pena intensivamente infinita. Perciò sebbene per il fatto che uno pecca contro Dio, autore dell'essere, meriti di perdere la stessa esistenza; tuttavia, considerato il disordine intrinseco dell'atto, non è giusto che perda l'esistenza: perché l'esistenza è il presupposto sia del merito che del demerito, e d'altra parte essa non viene distrutta o compromessa dal disordine del peccato. Perciò la privazione dell'esistenza non può essere la pena dovuta a una colpa.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Misericordia e giustizia di Dio verso i dannati > Se per divina misericordia debba terminare ogni pena, sia degli uomini che dei demoni


Supplemento
Questione 99
Articolo 2

SEMBRA che per divina misericordia ogni pena, sia degli uomini che dei demoni, debba terminare. Infatti:
1. Nella Sapienza, si legge: "Tu, Signore, hai misericordia di tutti, perché su tutte le cose si estende il tuo potere". Ora, tra "tutte le cose" ci rientrano anche i demoni, che sono creature di Dio. Quindi la pena stessa dei demoni verrà a finire.
2. A detta di S. Paolo, "Dio ha rinchiuso tutto nel peccato per usare a tutti misericordia". Ma Dio rinchiuse così nel peccato anche i demoni, ossia permise che vi si rinchiudessero. Perciò finalmente avrà misericordia anche dei demoni.
3. Come dice S. Anselmo, "non è giusto che Dio permetta la perdita totale di una creatura da lui creata per la beatitudine". Quindi, poiché ogni creatura dotata di ragione è stata creata per la beatitudine, non è giusto che sia perduta per sempre.

IN CONTRARIO: 1. Nel Vangelo si legge: "Andate maledetti al fuoco eterno, che fu preparato per il diavolo e per i suoi angeli". Perciò questi saranno puniti eternamente.
2. Come gli angeli buoni divennero beati col loro volgersi a Dio, così gli angeli cattivi divennero miserabili con la loro avversione da Dio. Se quindi la misera condizione degli angeli cattivi dovesse finire, dovrebbe avere un termine anche la beatitudine di quelli buoni. Il che è inammissibile.

RISPONDO: Come riferisce S. Agostino, fu un errore di Origene ammettere che dopo un certo tempo anche i demoni sarebbero stati liberati dalle pene per la misericordia di Dio. Ma questo errore fu riprovato dalla Chiesa per due motivi. Primo, perché contraddice apertamente le affermazioni della Scrittura, tra le quali questa dell'Apocalisse: "E il diavolo loro seduttore fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono già la bestia e i falsi profeti, e saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli": espressione quest'ultima che nella Scrittura sta a indicare l'eternità.
Secondo, perché se da una parte Origene esagerava la misericordia di Dio, dall'altra la restringeva. Infatti è identica la ragione per cui si ammette che gli angeli buoni permangano nell'eterna beatitudine, e che gli angeli cattivi siano puniti eternamente. Perciò, come ammetteva che i demoni e le anime dei dannati a un dato momento verranno liberati dalle pene, così ammetteva che gli angeli e le anime dei beati dovranno finalmente essere sottoposte alle miserie della vita presente.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio per parte sua ha misericordia di tutti: siccome però la sua misericordia è regolata secondo l'ordine della saggezza, non si estende a coloro i quali si sono resi indegni di riceverla, come sono appunto i demoni e i dannati, che sono ostinati nel male. - Tuttavia si può dire che anche verso costoro viene usata la misericordia, in quanto sono puniti meno di quanto meriterebbero: mai però al punto da essere del tutto liberati dalla pena.
2. Il termine tutti in quel testo va inteso per tutti i generi dei singoli esseri, e non per i singoli soggetti dei vari generi; cosicché l'affermazione vale per gli uomini viatori, nel senso che Dio ha avuto misericordia e dei Giudei e dei gentili, ma non di tutti i gentili, o di tutti i Giudei.
3. S. Anselmo vuol dire che non è giusto, secondo le esigenze della bontà divina; ma parla di ogni creatura nel suo genere. Infatti non si addice alla bontà divina che tutto un genere di creature non raggiunga il fine per cui è stato creato. Perciò non sarebbe stato conveniente che tutti gli uomini, o tutti gli angeli si dannassero. Ma niente impedisce che alcuni tra gli uomini e tra gli angeli periscano eternamente, poiché gli intenti della volontà divina vengono raggiunti negli altri che si salvano.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Misericordia e giustizia di Dio verso i dannati > Se la misericordia divina risparmi almeno gli uomini dalla pena eterna


Supplemento
Questione 99
Articolo 3

SEMBRA che la divina misericordia risparmi almeno gli uomini dalla pena eterna. Infatti:
1. Nella Genesi si legge: "Lo spirito mio non rimarrà nell'uomo per sempre, perché egli è carne"; ora, qui spirito sta per indignazione, come fa rilevare la Glossa. E poiché l'indignazione di Dio non è altro che il suo castigo, l'uomo non sarà punito in eterno.
2. La carità spinge attualmente i santi a pregare per i loro nemici. Ma i santi avranno allora una carità più perfetta. Quindi essi pregheranno per i nemici che si sono dannati. Ora, le loro preghiere non possono essere inutili, essendo sommamente accette a Dio. Dunque per le preghiere dei santi la divina misericordia finalmente libererà dalla pena i dannati.
3. La predizione divina circa la pena eterna dei dannati rientra nelle profezie "comminatorie". Ma la profezia comminatoria non sempre si adempie: il che è evidente nella predizione della rovina di Ninive, la quale non fu distrutta come era stato predetto dal profeta, che anzi se ne rattristò. Perciò sembra che a maggior ragione la minaccia della pena eterna sarà mutata dalla misericordia divina in una sentenza più mite, quando ciò potrà avvenire senza contristare nessuno, ma essere di consolazione per tutti.
4. Alla stessa conclusione portano le parole del Salmista: "Che forse il Signore sarà adirato per sempre?". Infatti l'ira di Dio non è che la sua punizione. Dunque Dio non punirà gli uomini per l'eternità.
5. A commento delle parole di Isaia: "Tu invece fosti strappato, ecc.", la Glossa afferma, parlando del demonio: "Se tutte le anime avessero finalmente riposo, tu non l'avrai giammai". Sembra quindi che tutte le anime umane debbano finalmente cessare le loro pene.

IN CONTRARIO: 1. Il Vangelo così parla cumulativamente degli eletti e dei reprobi: "Se n'andranno questi all'eterno supplizio, i giusti invece alla vita eterna". Ora, è da escludere che la vita dei giusti a un certo punto debba finire. Dunque va anche escluso che termini il supplizio dei reprobi.
2. Come dice il Damasceno, "per gli uomini la morte è quello che per gli angeli fu la caduta". Ma gli angeli dopo il peccato sono diventati irrecuperabili. Così il supplizio dei reprobi sarà senza fine.

RISPONDO: Come scrive S. Agostino, alcuni furono indotti dall'errore di Origene a pensare che i demoni saranno puniti in perpetuo, mentre gli uomini finalmente saranno liberati dalla pena, compresi gli increduli. - Ma questa opinione è del tutto irragionevole. Infatti come sono ostinati i demoni, che perciò meritano di essere puniti eternamente, così sono ostinate nel male le anime degli uomini che muoiono senza la carità: poiché, come dice il Damasceno, "per gli uomini la morte è quello che per gli angeli fu la caduta".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La suddetta affermazione si riferisce all'uomo considerato come genere: poiché dal genere umano finalmente è stata tolta l'indignazione di Dio con la venuta di Cristo. Ma coloro che non hanno voluto aver parte o perseverare nella riconciliazione compiuta da Cristo, hanno perpetuato in se stessi l'ira di Dio: poiché non ci è dato altro modo di riconciliarci, se non per la mediazione di Cristo.
2. Come spiegano S. Agostino e S. Gregorio, i santi in questa vita pregano per i loro nemici, perché si convertano a Dio, mentre sono in grado di farlo. Se infatti noi sapessimo che essi sono tra i presciti alla [seconda] morte, la nostra preghiera per loro sarebbe come quella fatta per i demoni. E poiché, per coloro che son morti senza la grazia, dopo la vita presente non c'è più tempo di convertirsi, non si fa per essi nessuna preghiera, né da parte della Chiesa militante, né da parte di quella trionfante. Adesso invece dobbiamo pregare per loro, secondo le parole dell'Apostolo, "affinché Dio conceda loro il pentimento, e si liberino dai lacci del diavolo".
3. La profezia comminatoria di un castigo allora soltanto è revocata, quando cambia il merito di colui contro il quale era stata fatta. Di qui le parole di Geremia: "Io posso a un tratto dire una parola contro una nazione e contro un regno per sradicarli, rovesciarli e disperderli. Ma se quella nazione si sarà pentita del suo peccato, anch'io mi ripentirò del male che avevo divisato di farle". Perciò, siccome i meriti dei dannati non possono imitare, la comminazione della pena si compirà in essi per sempre. - Tuttavia anche la profezia comminatoria in un certo senso si avvera sempre. Poiché, come nota S. Agostino commentando il libro di Giona, "Ninive che era perversa fu distrutta, e fu edificata la Ninive buona che non esisteva: pur restando intatte le mura e le case, la città fa distrutta nei suoi costumi depravati".
4. Le parole del Salmista si riferiscono ai "vasi di misericordia" i quali non si sono resi indegni della misericordia divina: poiché nella vita presente, una certa ira di Dio, che si manifesta nelle miserie della vita, fa mutare in meglio i vasi di misericordia. Di qui le successive parole del Salmista: "Questo è un mutamento della destra dell'Altissimo".
Oppure le suddette parole vanno riferite alla misericordia che condona qualche cosa, e non a quella che libera totalmente, se si vogliono applicare anche ai dannati. Ecco perché il Salmista non si domanda se Dio "distoglierà le sue misericordie dall'ira", bensì "nell'ira"; perché la pena non vorrà eliminata del tutto, ma mentre essa perdura la misericordia interverrà a diminuirla.
5. La Glossa suddetta non parla in senso assoluto, ma per ipotesi impossibile, per mettere in risalto la gravità del peccato, o del diavolo stesso, o di Nabucodonosor.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Misericordia e giustizia di Dio verso i dannati > Se almeno la pena dei cristiani venga abbreviata dalla divina misericordia


Supplemento
Questione 99
Articolo 4

SEMBRA che almeno la pena dei cristiani venga abbreviata dalla divina misericordia. Infatti:
1. Nel Vangelo sta scritto: "Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo". Ora, questo si è verificato per tutti i cristiani. Dunque tutti i cristiani dovranno finalmente salvarsi.
2. Il Signore ha detto: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna". Ma questo cibo e questa bevanda sono comuni a tutti i cristiani. Perciò tutti i cristiani in definitiva dovranno salvarsi.
3. S. Paolo scrive: "Se l'opera di qualcuno sarà bruciata, ne soffrirà danno; egli però sarà salvo, così però come attraverso il fuoco"; e parla di coloro che hanno avuto il fondamento della fede cristiana. Perciò tutti costoro finalmente si salveranno.

IN CONTRARIO: 1. Sta scritto: "Gli iniqui non possederanno il regno di Dio". Ora, certi cristiani sono iniqui. Dunque non tutti i cristiani raggiungeranno quel regno. E quindi saranno puniti eternamente.
2. S. Pietro scrive: "Meglio sarebbe stato per loro non conoscere la via della giustizia, anziché, dopo averla conosciuta, rivolgersi indietro dal comandamento santo". Ora, quelli che non hanno conosciuto la via della verità saranno puniti eternamente. Dunque lo saranno anche i cristiani che se ne scostarono dopo averla conosciuta.

RISPONDO: Ci furono alcuni, come riferisce S, Agostino, i quali promisero il condono della pena eterna non a tutti gli uomini ma ai soli cristiani. Però essi si divisero in varie opinioni. Alcuni infatti affermarono che chiunque abbia ricevuto i sacramenti della fede sarebbe immune dalla pena eterna. - Ma questo è contro la verità; perché alcuni, pur avendo ricevuto i sacramenti della fede, non hanno la fede, "senza la quale è impossibile piacere a Dio", come dice S. Paolo.
Perciò altri affermarono che saranno immuni dalla pena eterna solo quelli che hanno ricevuto i sacramenti della fede e professato la fede cattolica. - Ma contro di essi sta il fatto che alcuni per un dato tempo professano la fede cattolica e poi la perdono: e questi non sono certo degni di una pena più piccola, ma più grave; poiché, come dice S. Pietro, "sarebbe stato meglio per loro non conoscere la via della verità, che abbandonarla dopo averla conosciuta". - Inoltre è evidente che è più grave il peccato degli eresiarchi, i quali si allontanarono dalla fede cattolica, che quello di coloro i quali sono nati professando un'eresia.
Ecco perché altri affermarono che saranno immuni dalla pena eterna coloro i quali perseverano fino alla fine nella fede cattolica, per quanto siano immersi in altri delitti. - Questo però è manifestatamente contrario alla Scrittura. Poiché S. Giacomo dichiara: "La fede senza le opere è morta"; e nel Vangelo si legge: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli"; e in molti altri testi la Scrittura minaccia le pene eterne a coloro che peccano.
Perciò coloro che perseverano nella fede sino alla fine non saranno tutti immuni dalla pena eterna, se alla fine non saranno trovati assolti anche dagli altri gravi peccati.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Signore in quel passo parla della fede formata "che opera nella carità": cosicché morendo in essa chiunque sarà salvo. Ma con codesta fede è incompatibile non il solo peccato d'incredulità, ma qualsiasi peccato mortale.
2. Le riferite parole del Signore vanno applicate non a coloro che ne mangiano solo sacramentalmente, e che sumendolo talora indegnamente, "mangiano e bevono la loro condanna", come dice S. Paolo; ma il Signore parla di coloro che ne mangiano spiritualmente, e che vengono a lui incorporati con la carità, la quale incorporazione viene effettuata dalla consumazione del sacramento, se uno vi accede degnamente. Perciò quanto alla virtù del sacramento esso certo introduce alla vita eterna; tuttavia uno può essere privato di codesto frutto col peccato, anche dopo aver ricevuto degnamente il sacramento.
3. Nell'affermazione dell'Apostolo per "fondamento" s'intende la fede formata: sopra la quale se uno edifica dei peccati veniali, "soffrirà danno", perché per essi egli sarà punito da Dio; "egli però sarà salvo" finalmente, "come attraverso il fuoco", o delle tribolazioni della vita presente, o delle pene del purgatorio, dopo la morte.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Misericordia e giustizia di Dio verso i dannati > Se siano puniti per l'eternità anche coloro che compiono opere di misericordia, oppure solo coloro che trascurano codeste opere


Supplemento
Questione 99
Articolo 5

SEMBRA che tutti coloro che compiono opere di misericordia non siano puniti per l'eternità; ma solo quelli che trascurano codeste opere. Infatti:
1. S. Giacomo afferma: "Il giudizio sarà senza misericordia per chi non ha usato misericordia". E nel Vangelo si legge: "Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia".
2. S. Matteo riferisce l'esame che il Signore farà degli eletti e dei reprobi. Ora, codesto esame non ha altro oggetto che le opere di misericordia. Perciò solo per le opere di misericordia omesse alcuni verranno puniti con la pena eterna.
3. Nella preghiera il Signore ci fa dire: "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori"; e prosegue: "Se infatti rimetterete agli uomini, ecc.". Perciò è evidente che i misericordiosi, i quali perdonano i peccati altrui, otterranno il perdono dei propri peccati. Quindi non saranno puniti per l'eternità.
4. A proposito di quel testo paolino: "La pietà serve a tutto", S. Ambrogio spiega, che "tutto il succo della disciplina cristiana si riduce alla misericordia, ovvero alla pietà: seguendo la quale, anche se uno subisce una caduta carnale, certamente sarà castigato, ma non perirà. Se invece avrà compiuto solo delle opere carnali, dovrà subire le pene eterne". Perciò coloro che insistono nelle opere di misericordia, pur essendo irretiti dai peccati carnali, non saranno puniti eternamente.

IN CONTRARIO: 1. S. Paolo dichiara: "Né i fornicatori, né gli adulteri... erediteranno il regno di Dio". Ora, molti di coloro che si esercitano in opere di misericordia sono in queste categorie. Dunque non tutti i misericordiosi raggiungeranno il regno eterno. Perciò alcuni di essi saranno soggetti alla pena eterna.
2. Sta scritto: "Chiunque osserverà tutta la legge, ma ne trasgredirà un punto solo, diventa reo di tutto". Chi dunque osserva la legge quanto alle opere di misericordia, e trascura, le altre opere, incorre nel reato di trasgressore della legge. E quindi sarà punito eternamente.

RISPONDO: Come riferisce S. Agostino, alcuni pensarono che non tutti coloro che professano la fede cattolica saranno liberati dalla pena eterna, ma solo quelli che attendono alle opere di misericordia, anche se sono soggetti ad altri peccati. - Ma questo è insostenibile. Perché senza la carità niente può essere accetto a Dio, e senza di essa niente può giovare per la vita eterna. Ora, capita che alcuni attendono alle opere di misericordia senza avere la carità. Perciò a costoro tutto questo niente giova per il possesso della vita eterna, o per scansare la pena eterna, com'è evidente dall'insegnamento di S. Paolo. Ciò appare in tutta la sua assurdità nel caso di quei briganti, i quali predano molti beni, e tuttavia ne elargiscono una parte in opere di misericordia.
Perciò si deve concludere che chiunque muore in peccato mortale, non potrà essere liberato dalla pena eterna, né per la fede, né per le opere di misericordia, neppure dopo uno spazio indefinito di tempo.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Conseguiranno misericordia coloro che usano misericordia ordinatamente. Ora, non l'usano ordinatamente coloro che non hanno misericordia di se stessi: ma sono ostili a se stessi commettendo il male. Perciò costoro non conseguiranno la misericordia che condona ogni pena: anche se conseguono quella che condona in parte le pene meritate.
2. Nel Vangelo si riferisce l'esame solo circa le opere di misericordia, non perché soltanto per l'omissione di esse alcuni sono condannati alla pena eterna: ma perché da quella dopo il peccato saranno liberati solo coloro che avranno impetrato il perdono con le opere di misericordia, "facendosi degli amici con le ricchezze ingiuste".
3. Il Signore fa quella promessa per coloro che chiedono il condono dei loro debiti; non già per quelli che persistono nel peccato. Perciò soltanto i peccatori pentiti otterranno la misericordia che libera da ogni pena, mediante le opere di misericordia.
4. Il commento di S. Ambrogio parla della caduta del peccato veniale, da cui uno viene assolto dopo le pene purificatrici, che vengono qui chiamate "castighi", mediante le opere di misericordia.
Oppure se intende parlare della caduta del peccato mortale, l'affermazione va intesa nel senso che quanti cadono per fragilità nei peccati della carne fino a che sono in vita, vengono predisposti al pentimento dalle opere di misericordia. Perciò l'espressione: "non perirà", dice soltanto che da codeste opere costui verrà predisposto a non perire.

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