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Se i dannati possano demeritare
Supplemento
Questione 98
Articolo 6
SEMBRA che i dannati possano demeritare. Infatti:
1. I dannati hanno "la volontà perversa", come dice il testo delle Sentenze. Ma per la cattiva volontà che ebbero nella vita presente essi demeritarono. Quindi, se là essi non demeritassero, dalla loro dannazione ricaverebbero un vantaggio.
2. I dannati si trovano nella condizione dei demoni. Ora, i demoni possono demeritare dopo la loro caduta: infatti al serpente che indusse l'uomo a peccare Dio infligge un castigo, come si legge nella Genesi. Dunque anche i dannati devono demeritare.
3. Un atto disordinato che deriva dal libero arbitrio non cessa di essere demeritorio, anche se è dovuto a una necessità di cui è causa il soggetto medesimo: infatti, come scrive Aristotele, "l'ubriaco merita duplice castigo", se per l'ubriachezza commette una colpa. Ora, i dannati furono causa essi stessi della propria ostinazione, per cui sono nella necessità di peccare. Perciò, siccome i loro atti disordinati derivano dal libero arbitrio, non cessano di essere demeritori.
IN CONTRARIO: 1. La pena si contrappone alla colpa. Ma nei dannati la volontà perversa deriva dall'ostinazione, che è per loro una pena. Dunque nei dannati la volontà perversa non è una colpa con la quale possano demeritare.
2. Raggiunto l'ultimo termine, non rimane nessun moto o progresso, sia nel bene che nel male. Ora, specialmente dopo il giorno del giudizio, i dannati raggiungeranno l'ultimo termine della loro dannazione: poiché, come si esprime S. Agostino, allora "le due città raggiungeranno il loro fine". Perciò i dannati dopo il giorno del giudizio non demeriteranno col loro volere perverso: perché altrimenti la loro dannazione si accrescerebbe.
RISPONDO: A proposito dei dannati si deve far distinzione tra prima e dopo il giorno del giudizio, Tutti infatti ammettono comunemente che dopo il giorno del giudizio non ci sarà più merito o demerito. Perché merito e demerito sono ordinati a un bene o a un male da conseguire in seguito. Ma dopo il giorno del giudizio si avrà l'ultimo stadio dei buoni e dei cattivi, cosicché non si potrà aggiunger nulla, né in bene né in male. Perciò il buon volere nei beati non sarà un merito, ma un premio; e il mal volere nei dannati non sarà un demerito, ma solo un castigo; infatti, come nota Aristotele, "gli atti virtuosi sono in relazione con la felicità, mentre gli atti contrari sono connessi con la miseria".
Ma prima del giudizio secondo alcuni i beati meriterebbero e i dannati potrebbero demeritare. - Ora, questo è impossibile rispetto al premio essenziale, o alla pena principale: perché in questo gli uni e gli altri sono ormai al loro termine. Ma questo può avvenire rispetto al premio accidentale, o alla pena secondaria, i quali possono crescere fino al giorno del giudizio. Specialmente ciò può avvenire per i diavoli e per gli angeli buoni: poiché per la loro opera alcuni vengono salvati, e così cresce la gioia degli angeli buoni; e altri vengono spinti alla dannazione, e così si accresce la pena dei demoni.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La somma sventura consiste nell'essere arrivati al fondo della miseria, dal che deriva nei dannati l'impossibilità a demeritare. È evidente perciò che dal peccato essi non ricavano un vantaggio.
2. Agli uomini dannati non spetta il compito di attirare gli altri alla dannazione, come invece spetta ai demoni, che con tale attività demeritano rispetto alle pene secondarie.
3. I dannati cessano di demeritare non perché si trovano nella necessità di peccare, ma perché sono giunti al fondo della miseria. Tuttavia la necessità di peccare, di cui siamo responsabili, in quanto è una necessità, scusa dalla colpa: perché ogni peccato deve essere volontario. Ma se non scusa, ciò si deve al fatto che essa è derivata dalla volontà. E allora tutto il demerito della colpa successiva si riduce evidentemente a quello della colpa precedente.
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