Sup, 98

Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Volontà e intelligenza dei dannati


Supplemento
Questione 98
Proemio

Passiamo ora a esaminare quanto riguarda la volontà e l'intelligenza dei dannati.
Sull'argomento si pongono nove quesiti:

1. Se ogni volere dei dannati sia cattivo;
2. Se essi talora si pentano del male commesso;
3. Se bramino più di non esistere che di esistere;
4. Se desiderino che gli altri si dannino;
5. Se i reprobi abbiano l'odio di Dio;
6. Se possano demeritare;
7. Se possano servirsi della scienza acquisita in questo mondo;
8. Se qualche volta pensino a Dio;
9. Se vedano la gloria dei beati.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Volontà e intelligenza dei dannati > Se ogni volere dei dannati sia cattivo


Supplemento
Questione 98
Articolo 1

SEMBRA che non ogni volere dei dannati sia cattivo. Infatti:
1. Dionigi scrive, che "i demoni bramano il bene e l'ottimo, cioè l'essere, il vivere e l'intendere". Perciò, siccome i dannati non sono in peggiori condizioni dei demoni, è chiaro che essi possono avere degli atti buoni di volontà.
2. "Il male", come afferma Dionigi, "è del tutto involontario". Perciò se i dannati vogliono qualche cosa, la vogliono in quanto buona. Ora, la volontà che per sé è ordinata al bene è buona. Dunque i dannati possono avere un atto buono di volontà.
3. Ci saranno dei dannati che da questo mondo porteranno con sé degli abiti di virtù: certi pagani, p. es., che in questo mondo ebbero le virtù politiche. Ma dagli abiti virtuosi promanano atti volontari lodevoli. Quindi in alcuni dannati potrà esserci un volere lodevole.

IN CONTRARIO: 1. Una volontà ostinata non potrà piegarsi che al male. Ma i dannati saranno ostinati come i demoni. Quindi il loro volere non potrà mai esser buono.
2. La volontà dei dannati sarà rispetto al male, come la volontà dei beati rispetto al bene. Ora, i beati non avranno mai un volere cattivo. Dunque i dannati non ne avranno mai uno buono.

RISPONDO: Nei dannati si possono considerare due voleri; il volere deliberato, e il volere naturale. Il volere naturale non dipende da essi, ma dall'autore della natura, il quale ha posto nella natura quell'inclinazione che si chiama appunto volere naturale. Perciò siccome nei dannati la natura rimane, da questo lato essi potranno avere buoni voleri naturali.
Ma il volere deliberativo deriva da loro stessi, in quanto è in loro potere inclinare con l'affetto verso questa o quell'altra cosa. E tale volere in essi è solo cattivo; questo perché essi sono del tutto stornati dall'ultimo fine del retto volere; e d'altronde non può esserci un atto buono di volontà, se non in ordine al fine predetto. Quindi anche se vogliono un bene, lo vogliono non bene, cosicché il loro volere anche in tal caso non può dirsi buono.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le parole di Dionigi si riferiscono al volere naturale, che è un'inclinazione della natura verso qualche bene. Tuttavia questa inclinazione naturale è viziata dalla malizia dei dannati, in quanto il bene che essi desiderano naturalmente, lo bramano per degli scopi cattivi.
2. Il male muove la volontà non in quanto male, ma in quanto è stimato un bene. Però dipende proprio dalla loro malizia che il male [dai dannati] venga considerato un bene. E per questo il loro volere è malvagio.
3. Gli abiti delle virtù politiche non rimangono nelle anime separate, perché codeste virtù valgono soltanto nella vita civile, che cesserà dopo la vita presente. E se anche restassero non passerebbero mai all'atto, perché impedite dall'ostinazione dell'anima.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Volontà e intelligenza dei dannati > Se i dannati si peritano del male commesso


Supplemento
Questione 98
Articolo 2

SEMBRA che i dannati mai si pentano del male commesso. Infatti:
1. S. Bernardo afferma che "il dannato vuole per sempre l'iniquità da lui commessa". Dunque i dannati non si pentono mai dei peccati commessi.
2. Voler non aver peccato è un buon volere. Ma i dannati non hanno mai un atto buono di volontà. Quindi non vogliono mai non aver peccato. Di qui l'identica conclusione.
3. Come si esprime il Damasceno, "la morte è per l'uomo ciò che per l'angelo fu la caduta". Ora, dopo la caduta la volontà dell'angelo è talmente fissa, da non poter recedere dalla deliberazione con la quale peccò. Perciò neanche i dannati possono pentirsi dei peccati commessi.
4. La perversità dei dannati che sono all'inferno è peggiore di quella dei peccatori esistenti in questo mondo. Ma in questo mondo certi peccatori non si pentono dei peccati commessi, o per l'accecamento della mente, come gli eretici, o per l'ostinazione, come "coloro che godono del mal fare e tripudiano nelle cose più perverse", secondo le parole della Scrittura. Dunque, ecc.

IN CONTRARIO: 1. Nella Sapienza è scritto a proposito dei dannati, che "si pentono dentro di sé".
2. Il Filosofo afferma che "i perversi sono pieni di pentimento"; essi infatti subito si rattristano di ciò in cui prima avevano trovato il piacere. Perciò, siccome i dannati sono sommamente perversi, si pentono anche più di costoro.

RISPONDO: In due modi ci si può pentirò del peccato: primo, direttamente; secondo, indirettamente. Si pente direttamente del peccato colui che detesta il peccato in quanto peccato. Se ne pente indirettamente invece colui che l'ha in odio a motivo delle sue conseguenze, quale il castigo e altre cose del genere. I reprobi, dunque, non si pentiranno del peccato direttamente e in senso proprio, perché resterà in essi l'attaccamento alla malizia del peccato. Ma se ne pentiranno indirettamente, in quanto si rattristeranno del castigo che soffrono per il peccato.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I dannati vogliono l'iniquità, però ne detestano il castigo. E così, indirettamente, essi si pentono dell'iniquità commessa.
2. Voler non aver peccato per la bruttezza dell'iniquità è un buon volere. Ma questo non si riscontra nei dannati.
3. I dannati si pentiranno dei peccati senza nessuna inversione della volontà; perché nei peccati essi non detesteranno quello che allora bramarono, ma un'altra cosa, cioè il castigo.
4. In questo mondo gli uomini, per quanto ostinati, indirettamente [almeno] si pentono dei loro peccati, se per essi vengono puniti; poiché, come nota S. Agostino, "vediamo che anche le bestie più feroci si astengono dai piaceri più grandi per il dolore dei castighi".



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Volontà e intelligenza dei dannati > Se i dannati mediante un atto retto e deliberato della ragione possano voler non esistere


Supplemento
Questione 98
Articolo 3

SEMBRA che i dannati mediante un atto retto e deliberato della ragione non possano voler non esistere. Infatti:
1. S. Agostino ha scritto: "Considera che gran bene è l'essere, il quale è voluto dai beati e dagli infelici": infatti essere, anche se miseri, è più che non essere affatto.
2. Nel medesimo libro il Santo così argomenta. La preferenza presuppone una scelta. Ora, il non essere non è materia di scelta: perché non ha un aspetto di bene, essendo nulla. Dunque il non esistere non può essere per i dannati più appetibile dell'esistenza.
3. Il male più è grave più deve essere fuggito. Ebbene, la non esistenza è il massimo dei mali; perché toglie radicalmente ogni bene, non lasciando più nulla. Quindi la non esistenza va fuggita più di un'esistenza infelice. Perciò vale la conclusione precedente.

IN CONTRARIO: 1. Nell'Apocalisse si legge: "In quei giorni gli uomini desidereranno di morire, e la morte fuggirà da loro".
2. La miseria dei dannati supera ogni miseria di questo mondo. Ma per fuggire la miseria di questo mondo per alcuni è desiderabile la morte; si legge infatti nell''Ecclesiastico: "O morte, quanto è gradito il tuo decreto all'uomo miserabile e privo di forze, a chi è carico di età, di preoccupazioni, e a chi ha perduto la sapienza". Dunque molto più è desiderabile non esistere per i dannati secondo un atto deliberato della ragione.

RISPONDO: La non esistenza si può considerare sotto due aspetti. Primo, in se stessa. E da questo lato non è desiderabile, non avendo essa nessun aspetto di bene, quale pura privazione di bene. - Secondo, si può considerare quale eliminazione di una vita penosa, ovvero di qualche sciagura. E da questo lato la non esistenza ha l'aspetto di un bene, "infatti la privazione di un male è un bene", come dice il Filosofo. E da questo punto di vista per i dannati è meglio non esistere, che esistere miseramente. Di qui le parole evangeliche: "sarebbe stato meglio per lui non essere mai nato"; e a commento di quel testo di Geremia, "Maledetto il giorno in cui sono nato, ecc.", la Glossa scrive: "È meglio non esistere, che esistere malamente". E da questo punto di vista i dannati possono preferire di non essere con atto deliberato della ragione.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le parole di S. Agostino vanno intese nel senso che la non esistenza non è eleggibile per se stessa, bensì per accidens, in quanto termine di uno stato di miseria. Infatti l'affermazione che l'essere e il vivere sono desiderati per natura da tutti, non va intesa, come spiega il Filosofo, anche per una vita miserabile, fatiscente e piena di sofferenze, ma in senso assoluto.
2. La non esistenza non è elegibile per se stessa e direttamente, ma può esserlo indirettamente, come abbiamo spiegato.
3. Sebbene la non esistenza sia il supremo dei mali, in quanto toglie l'esistenza, tuttavia è cosa assai buona in quanto toglie una miseria che è il supremo dei mali. E quindi può essere desiderabile.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Volontà e intelligenza dei dannati > Se nell'inferno i dannati desiderino la dannazione anche degli altri che non lo sono


Supplemento
Questione 98
Articolo 4

SEMBRA che nell'inferno i dannati non desiderino la dannazione anche degli altri che non lo sono. Infatti:
1. Nel Vangelo si legge che il ricco epulone pregava per i suoi fratelli, affinché non cadessero nel medesimo luogo di tormenti. Quindi per lo stesso motivo gli altri dannati non possono volere che almeno i loro amici carnali si dannino all'inferno.
2. Ai dannati non vengono tolti i loro affetti disordinati. Ora, certi dannati hanno amato disordinatamente certe persone. Dunque non possono volere il loro male, desiderando che siano dannate.
3. I dannati non desiderano d'accrescere la loro pena. Ma se molti altri si dannassero, la loro pena aumenterebbe, come il moltiplicarsi dei beati ne accresce la gioia. Perciò i dannati non possono volere che gli eletti si dannino.

IN CONTRARIO: 1. A commento delle parole di Isaia, "Dai loro troni si alzarono", la Glossa afferma: "È un sollievo per i malvagi avere molti compagni di pena".
2. Tra i dannati regna al massimo grado l'invidia. Perciò essi si rattristano della felicità dei beati, e ne bramano la dannazione.

RISPONDO: Come nella patria esiste tra i beati la più perfetta carità, così tra i dannati ci sarà un odio perfettissimo. Perciò come i santi di ogni bene godranno, così i reprobi se ne rattristeranno. Quindi anche la felicità dei santi farà molto soffrire questi ultimi, secondo le parole di Isaia: "Veggano a loro confusione gli invidiosi del tuo popolo, e il fuoco divori i tuoi nemici". Dunque essi vorrebbero che tutti i buoni fossero dannati.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sarà tanta l'invidia nei dannati che attenterà persino alla gloria dei loro congiunti, essendo essi in tanta miseria; cosa del resto che avviene anche nella vita presente, col crescere dell'invidia. Tuttavia essi avranno meno invidia per i propri congiunti che per gli altri; e la loro pena sarebbe maggiore, qualora tutti i loro congiunti si dannassero, mentre gli altri si salvano, che se alcuni dei congiunti si salvassero. Ecco perché il ricco epulone chiese che i suoi fratelli scampassero dalla dannazione; infatti egli sapeva che altri sarebbero scampati. Tuttavia egli avrebbe preferito che anche i suoi fratelli si dannassero con tutti gli altri.
2. L'amore che non è fondato sull'onestà facilmente si dilegua, specialmente tra i malvagi, come nota il Filosofo. Perciò i dannati non conserveranno l'amicizia verso coloro che hanno amato disordinatamente. Ma la loro volontà rimarrà perversa per il fatto che ameranno ancora la causa del loro amore perverso.
3. Sebbene dal moltiplicarsi dei dannati aumenti la pena di ciascuno, tuttavia tanto crescerà in essi l'odio e l'invidia, da preferire di essere tormentati con molti, piuttosto che soli.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Volontà e intelligenza dei dannati > Se i dannati abbiano odio verso Dio


Supplemento
Questione 98
Articolo 5

SEMBRA che i dannati non abbiano odio verso Dio. Infatti:
1. Come insegna Dionigi, il bene e il bello che è causa di ogni bene e di ogni bellezza è amabile per tutti. Ora, tale è appunto Dio. Quindi nessuno può odiare Dio.
2. Nessuno può avere in odio la stessa bontà: come del resto non può bramare la cattiveria in se stessa, poiché il male, come nota Dionigi, è del tutto "involontario". Ma Dio è la stessa bontà. Dunque nessuno può odiarlo.

IN CONTRARIO: Sta scritto: "La superbia di coloro che ti odiano cresce continuamente".

RISPONDO: I nostri affetti sono mossi dalla percezione del bene o del male. Ebbene, Dio noi lo possiamo percepire in due modi: in se stesso, come capita ai beati, i quali lo vedono per essenza; e nei suoi effetti, come capita a noi e ai dannati. Perciò egli in se stesso non può dispiacere a nessuna volontà, essendo la bontà per essenza. Chiunque perciò lo vede per essenza non può prenderlo in odio. - Invece certi suoi effetti sono ripugnanti alla volontà, perché in contrasto con certi desideri. E sotto quest'aspetto uno può odiare Dio, non in se stesso, ma a motivo dei suoi effetti.
Ecco perché i dannati, nel percepire Dio in quell'effetto della sua giustizia che è il castigo, e la sofferenza che subiscono, hanno odio verso di lui.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'affermazione di Dionigi va riferita all'appetito naturale. Questo però nei dannati viene pervertito dalle successive deliberazioni della volontà, come abbiamo notato sopra.
2. L'argomento suddetto varrebbe, se i dannati vedessero Dio in se stesso, in quanto è buono per essenza.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Volontà e intelligenza dei dannati > Se i dannati possano demeritare


Supplemento
Questione 98
Articolo 6

SEMBRA che i dannati possano demeritare. Infatti:
1. I dannati hanno "la volontà perversa", come dice il testo delle Sentenze. Ma per la cattiva volontà che ebbero nella vita presente essi demeritarono. Quindi, se là essi non demeritassero, dalla loro dannazione ricaverebbero un vantaggio.
2. I dannati si trovano nella condizione dei demoni. Ora, i demoni possono demeritare dopo la loro caduta: infatti al serpente che indusse l'uomo a peccare Dio infligge un castigo, come si legge nella Genesi. Dunque anche i dannati devono demeritare.
3. Un atto disordinato che deriva dal libero arbitrio non cessa di essere demeritorio, anche se è dovuto a una necessità di cui è causa il soggetto medesimo: infatti, come scrive Aristotele, "l'ubriaco merita duplice castigo", se per l'ubriachezza commette una colpa. Ora, i dannati furono causa essi stessi della propria ostinazione, per cui sono nella necessità di peccare. Perciò, siccome i loro atti disordinati derivano dal libero arbitrio, non cessano di essere demeritori.

IN CONTRARIO: 1. La pena si contrappone alla colpa. Ma nei dannati la volontà perversa deriva dall'ostinazione, che è per loro una pena. Dunque nei dannati la volontà perversa non è una colpa con la quale possano demeritare.
2. Raggiunto l'ultimo termine, non rimane nessun moto o progresso, sia nel bene che nel male. Ora, specialmente dopo il giorno del giudizio, i dannati raggiungeranno l'ultimo termine della loro dannazione: poiché, come si esprime S. Agostino, allora "le due città raggiungeranno il loro fine". Perciò i dannati dopo il giorno del giudizio non demeriteranno col loro volere perverso: perché altrimenti la loro dannazione si accrescerebbe.

RISPONDO: A proposito dei dannati si deve far distinzione tra prima e dopo il giorno del giudizio, Tutti infatti ammettono comunemente che dopo il giorno del giudizio non ci sarà più merito o demerito. Perché merito e demerito sono ordinati a un bene o a un male da conseguire in seguito. Ma dopo il giorno del giudizio si avrà l'ultimo stadio dei buoni e dei cattivi, cosicché non si potrà aggiunger nulla, né in bene né in male. Perciò il buon volere nei beati non sarà un merito, ma un premio; e il mal volere nei dannati non sarà un demerito, ma solo un castigo; infatti, come nota Aristotele, "gli atti virtuosi sono in relazione con la felicità, mentre gli atti contrari sono connessi con la miseria".
Ma prima del giudizio secondo alcuni i beati meriterebbero e i dannati potrebbero demeritare. - Ora, questo è impossibile rispetto al premio essenziale, o alla pena principale: perché in questo gli uni e gli altri sono ormai al loro termine. Ma questo può avvenire rispetto al premio accidentale, o alla pena secondaria, i quali possono crescere fino al giorno del giudizio. Specialmente ciò può avvenire per i diavoli e per gli angeli buoni: poiché per la loro opera alcuni vengono salvati, e così cresce la gioia degli angeli buoni; e altri vengono spinti alla dannazione, e così si accresce la pena dei demoni.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La somma sventura consiste nell'essere arrivati al fondo della miseria, dal che deriva nei dannati l'impossibilità a demeritare. È evidente perciò che dal peccato essi non ricavano un vantaggio.
2. Agli uomini dannati non spetta il compito di attirare gli altri alla dannazione, come invece spetta ai demoni, che con tale attività demeritano rispetto alle pene secondarie.
3. I dannati cessano di demeritare non perché si trovano nella necessità di peccare, ma perché sono giunti al fondo della miseria. Tuttavia la necessità di peccare, di cui siamo responsabili, in quanto è una necessità, scusa dalla colpa: perché ogni peccato deve essere volontario. Ma se non scusa, ciò si deve al fatto che essa è derivata dalla volontà. E allora tutto il demerito della colpa successiva si riduce evidentemente a quello della colpa precedente.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Volontà e intelligenza dei dannati > Se i dannati possano servirsi delle nozioni acquisite in questo mondo


Supplemento
Questione 98
Articolo 7

SEMBRA che i dannati non possano servirsi delle nozioni acquisite in questo mondo. Infatti:
1. Nella riflessione del sapere si ha un piacere grandissimo. Ma nei dannati non si può ammettere nessun godimento. Dunque essi non possono usare il sapere che avevano prima mediante una qualsiasi riflessione.
2. I dannati sono soggetti a pene più gravi di qualsiasi pena di questo mondo. Ora, in questo mondo mentre uno è sottoposto alle più gravi torture non può pensare a delle conclusioni di ordine intellettivo, essendo assorto nelle pene che soffre. Molto meno quindi ciò sarà possibile all'inferno.
3. I dannati sono soggetti al tempo. Ma il passare del tempo causa dimenticanza, come nota Aristotele. Dunque i dannati dimenticheranno le nozioni che avevano in vita.

IN CONTRARIO: 1. Nel Vangelo al ricco [epulone] dannato vengono rivolte le parole: "Ricordati che hai ricevuto dei beni, ecc.", Perciò i dannati possono ripensare le cose apprese in questo mondo.
2. Nell'anima separata, come sopra abbiamo visto, resteranno le specie intelligibili. Ora, se i dannati non potessero usarne, sarebbe inutile in essi la loro permanenza.

RISPONDO: Come per la perfetta beatitudine dei santi non mancherà in essi nulla che possa essere materia di gioia, così nei dannati non mancherà nulla che possa essere materia e causa di dolore, niente che possa contribuire alla sofferenza, affinché la loro miseria sia completa. Ebbene, la riflessione su certe conoscenze da un lato causa piacere: o dal lato delle cose stesse conosciute, in quanto sono amate; o dal lato del conoscimento stesso, in quanto è conveniente e perfetto. Ma può essere anche causa di tristezza: sia dal lato delle cose conosciute, fatte apposta per rattristare; sia dal lato della conoscenza, in quanto se ne percepisce l'imperfezione, come quando uno avverte la propria deficienza nel conoscimento di una cosa, in cui vorrebbe raggiungere la perfezione.
Perciò nei dannati ci sarà il pensiero attuale delle cose conosciute in precedenza quale materia di tristezza, non già quale causa di piacere. Essi infatti penseranno e al male commesso, per cui sono dannati; e ai beni diletti che hanno perduto; e da entrambe codeste riflessioni saranno tormentati. Così pure saranno tormentati dal pensiero che delle conoscenze speculative hanno raggiunto solo una nozione imperfetta, perdendo la somma perfezione che avrebbero potuto raggiungere.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene la riflessione sia di per sé piacevole, tuttavia accidentalmente può esser causa di tristezza. E così appunto avverrà nei dannati.
2. In questo mondo l'anima è unita a un corpo corruttibile. Perciò l'afflizione del corpo impedisce la riflessione dell'anima. Invece nel secolo futuro l'anima non sarà così soggetta alle condizioni del corpo: ma per quanto il corpo sia afflitto, l'anima considererà in maniera lucidissima le cose che potranno esserle causa di sofferenza.
3. Il tempo causa la dimenticanza indirettamente, in quanto il moto, di cui esso è misura, causa trasmutazioni. Ma dopo il giorno del giudizio il moto dei cieli verrà a cessare: quindi la dimenticanza non potrà avvenire nonostante il corso indefinito del tempo. D'altra parte prima del giudizio l'anima separata non subisce trasmutazioni dal moto dei cieli.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Volontà e intelligenza dei dannati > Se i dannati pensino a Dio


Supplemento
Questione 98
Articolo 8

SEMBRA che i dannati talora pensino a Dio. Infatti:
1. Non si può odiare in modo attuale se non ciò cui si pensa. Ora, i dannati come dice il testo delle Sentenze, odiano Dio. Quindi essi talora pensano a Dio.
2. I dannati avranno il rimorso della coscienza. Ma la coscienza sente il rimorso per gli atti compiuti contro Dio. Perciò essi dovranno qualche volta almeno pensare a Dio.

IN CONTRARIO: Il pensiero più perfetto di un uomo è quello rivolto a Dio. Ora, i dannati saranno in uno stato imperfettissimo. Dunque essi non penseranno a Dio.

RISPONDO: A Dio si può pensare in due maniere. Primo, pensandolo in se stesso o nelle sue proprietà, cioè quale principio di ogni bene. E in tal modo non si può pensare a lui senza goderne. Perciò in nessun modo potranno così pensare a lui i dannati. - Secondo, pensandolo per quello che gli è quasi accidentale nei suoi effetti, come la punizione e altri compiti del genere. E sotto tale aspetto il pensiero di Dio può provocare tristezza. Ed è in questo modo che i dannati pensano a Dio.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I dannati non odiano Dio se non a motivo della punizione e della proibizione di quanto trova la compiacenza della loro cattiva volontà. Perciò essi non lo pensano se non come autore del castigo e della proibizione.
2. È così risolta anche la seconda difficoltà. Perché la coscienza non rimorde per il peccato, se non in quanto questo è in contrasto con il precetto di Dio.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Volontà e intelligenza dei dannati > Se i dannati vedano la gloria dei beati


Supplemento
Questione 98
Articolo 9

SEMBRA che i dannati non vedano la gloria dei beati. Infatti:
1. Da essi dista di più la gloria dei beati che le cose attualmente compiute in questo mondo. Ora, i dannati non vedono le cose che si compiono tra noi; cosicché S. Gregorio, a commento di quelle parole di Giobbe, "Che i suoi figli siano onorati, o no, ecc." scrive: "Come i vivi ignorano in che luogo ai trovino le anime dei morti; così i morti, che sono vissuti in maniera carnale, ignorano le circostanze in cui si svolge la vita dei viventi".
Perciò molto meno essi potranno vedere la gloria dei beati.
2. Ciò che in questa vita viene concesso ai santi come un gran dono, in nessun modo viene concesso ai dannati. Ma vedere la vita in cui i santi vivono eternamente con Dio fu concesso a S. Paolo come un grande dono, secondo l'espressione della Glossa. Dunque i dannati non vedranno la gloria dei santi.

IN CONTRARIO: Come dice il Vangelo, "il ricco epulone posto nei tormenti vide Abramo e Lazzaro nel seno di lui".

RISPONDO: Prima del giorno del giudizio i dannati vedranno i beati nella gloria, non in modo però da conoscere quale sia la loro gloria, ma solo da sapere che essi sono in una gloria inestimabile. E questa conoscenza li turberà: sia per l'invidia, che li farà soffrire dell'altrui felicità; sia perché essi l'hanno perduta.
Di qui le parole della Sapienza: "Al vederli saranno turbati da tremenda paura". Ma dopo il giorno del giudizio essi saranno privati del tutto della visione dei beati. Questo però non diminuirà la loro pena, ma l'accrescerà. Perché avranno il ricordo della gloria dei beati, vista da essi il giorno del giudizio, o prima del giudizio: e questo sarà per loro un tormento. Inoltre essi soffriranno nel vedere che sono considerati indegni persino di vedere la gloria posseduta dai santi.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La visione delle cose che avvengono in questa vita non rattristano i dannati dell'inferno, come la visione della gloria dei santi. Ecco perché ai dannati non vengono mostrati gli avvenimenti presenti, come viene mostrata la gloria dei santi. Tuttavia anche tra gli avvenimenti presenti vengono loro mostrati quelli che possono accrescere la loro sofferenza.
2. S. Paolo contemplò la vita che i santi vivono con Dio, sia sperimentandola, che sperandola nel futuro. Questo invece non avviene per i dannati. Perciò il paragone non regge.

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