Sup, 90

Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > L'aspetto del giudice nell'atto di giudicare


Supplemento
Questione 90
Proemio

Veniamo quindi a considerare l'aspetto del giudice nell'atto di giudicare.
Sull'argomento si pongono tre quesiti:

1. Se Cristo giudicherà sotto l'aspetto di uomo;
2. Se apparirà sotto l'aspetto dell'umanità glorificata;
3. Se sia possibile vedere la divinità senza goderne.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > L'aspetto del giudice nell'atto di giudicare > Se Cristo verrà a giudicare gotto l'aspetto di servo


Supplemento
Questione 90
Articolo 1

SEMBRA che Cristo non debba venire a giudicare sotto l'aspetto di servo. Infatti:
1. Il giudizio richiede autorità da parte di colui che giudica. Ora, Cristo ha autorità sui vivi e sui morti in quanto Dio: è così infatti che egli è Signore e Creatore di tutte le cose. Quindi egli giudicherà presentandosi come Dio.
2. Nel giudice si richiede un potere invincibile. Di qui le parole dell'Ecclesiastico: "Non cercare di diventar giudice, se non hai la forza di sradicare le ingiustizie". Ora, a Cristo spetta una virtù invincibile in quanto Dio. Dunque egli giudicherà sotto l'aspetto della sua divinità.
3. Nel Vangelo si legge: "Il Padre ha rimesso ogni giudizio al Figlio, affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre". Ma al Figlio non è dovuto un onore uguale a quello del Padre secondo la natura umana. Perciò egli non verrà a giudicare sotto l'aspetto di uomo.
4. Daniele ha scritto: "Io guardavo fino a che furono disposti dei troni, e un Anziano di giorni si assise". Ebbene, i troni stanno a indicare il potere giudiziario; l'anzianità poi è attribuita a
Dio, come spiega Dionigi, a motivo della sua eternità. Dunque giudicare spetta al Figlio in quanto è eterno. Perciò non in quanto uomo.
5. S. Agostino scrive, come riferisce il testo delle Sentenze, che "per il Verbo di Dio si compie la resurrezione delle anime, mentre per il Verbo fattosi nella carne Figlio dell'uomo si compie la resurrezione dei corpi". Ora, il giudizio finale riguarda più l'anima che il corpo. Perciò giudicare spetta a Cristo più come Dio che come uomo.

IN CONTRARIO: 1. Sta scritto: "Gli ha dato il potere di giudicare, perché è il Figliuolo dell'uomo".
2. Sta scritto inoltre: "la tua causa come quella di un empio fu giudicata..."; "da Pilato", aggiunge la Glossa. "Perciò sarai incaricato del giudizio e della sentenza", "per giudicare con giustizia", dice ancora la Glossa. Ora, Cristo fu giudicato da Pilato nella sua natura umana. Dunque egli giudicherà sotto l'aspetto della sua natura umana.
3. Giudicare spetta a chi ha il diritto di fare le leggi. Ma Cristo ci ha dato la legge evangelica mostrandosi nella natura umana. Perciò egli giudicherà secondo codesta natura.

RISPONDO: Giudicare implica un dominio su chi è sottoposto al giudizio. Di qui le parole di S. Paolo: "Chi sei tu, che giudichi il servo di un altro?". Ecco perché a Cristo spetta giudicare in quanto ha un dominio sugli uomini, che saranno i principali imputati nel giudizio finale. Ora, egli è il Signore nostro non solo per la creazione: "Signore è Dio stesso, poiché ci ha fatti lui e non noi stessi"; ma anche per la redenzione, che gli va attribuita per la sua natura umana, secondo le parole di S. Paolo: "Per questo Cristo è risorto, per dominare sui vivi e sui morti".
Però per il premio della vita eterna non potrebbero bastare i beni a noi concessi con la creazione, se non fosse sopravvenuto il beneficio della redenzione, dato l'impedimento frapposto dal peccato di Adamo. Perciò, siccome il giudizio finale è ordinato a introdurre certuni nel Regno [dei cieli] e ad escluderne altri, è giusto che Cristo medesimo presieda codesto giudizio sotto l'aspetto della sua natura umana, dalla quale si ottiene di essere ammessi al Regno mediante il beneficio della redenzione. Ecco perché sta scritto che "egli è stato costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti". E poiché con la redenzione del genere umano egli ha restaurato non solo la natura umana, ma tutto l'universo, in quanto tutta la creazione ottiene un perfezionamento con la riparazione dell'uomo, come si esprime S. Paolo, che parla di "pacificazione nel sangue della sua croce, sia delle cose della terra che di quelle dei cieli"; Cristo con la sua passione ha meritato il dominio e il potere giudiziario non solo sugli uomini, ma su tutta la creazione, secondo il testo evangelico: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e terra".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Cristo sotto l'aspetto della natura divina ha autorità di dominio su tutte le creature per diritto di creazione. Ma sotto quello della sua natura umana egli ha l'autorità di dominio meritata con la sua passione: autorità, quest'ultima quasi secondaria e acquisita. Mentre la prima è naturale ed eterna.
2. Sebbene in quanto uomo Cristo non abbia per se stesso un potere invincibile dalla virtù naturale della specie umana, tuttavia egli per un dono della divinità ha un potere invincibile anche nella natura umana, per cui "tutte le cose sono soggette ai suoi piedi", come si esprime S. Paolo. Egli quindi giudicherà nella natura umana però in forza della propria divinità.
3. Se Cristo fosse stato un puro uomo, non sarebbe stato in grado di redimere il genere umano. Quindi il fatto che egli ha potuto con la natura umana redimere il genere umano e così conquistare la facoltà di giudicare, dimostra in modo evidente che è Dio, e che va onorato alla pari del Padre, non come uomo, ma come Dio.
4. Nell'accennata visione di Daniele viene mostrato tutto l'ordine del potere giudiziario. Esso risiede come nella sua prima origine in Dio e specialmente nel Padre, che è la fonte di tutta la divinità. Ecco perché si dice innanzi tutto che "l'Anziano di giorni si assise". Il potere giudiziario però dal Padre è derivato nel Figlio, non solo dall'eternità secondo la natura divina, ma anche nel tempo secondo quella umana, nella quale egli volle meritarla. Ecco perché in quella visione si aggiunge: "Ecco venire in mezzo alle nubi del cielo uno dalle sembianze del Figlio dell'uomo, e si avanzò fino all'Anziano di giorni: e questi gli conferì il potere, l'onore e il regno".
5. S. Agostino afferma tali cose basandosi su una certa appropriazione; in modo cioè da ridurre gli effetti prodotti da Cristo nella natura umana a delle cause consimili. E poiché secondo l'anima noi siamo "a immagine e somiglianza di Dio", mentre secondo il corpo siamo dell'identica specie di Cristo, le cose che Cristo ha compiuto nelle nostre anime egli le attribuì alla sua divinità; mentre quelle che compirà nel nostro corpo le attribuì alla sua carne. Sebbene la sua carne, in quanto, come dice il Damasceno, è "organo della divinità", eserciti la sua efficacia anche sulle nostre anime: e ciò secondo l'affermazione paolina, che "il suo sangue ha mondato le nostre coscienze dalle opere di morte". Perciò anche "il Verbo fatto carne" è causa della resurrezione delle nostre anime. Quindi è giusto che egli anche secondo la natura umana sia giudice, non solo delle cose corporali, bensì anche di quelle spirituali.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > L'aspetto del giudice nell'atto di giudicare > Se nel giudizio Cristo apparirà nella sua umanità glorificata


Supplemento
Questione 90
Articolo 2

SEMBRA che nel giudizio Cristo non apparirà nella sua umanità glorificata. Infatti:
1. Nel Vangelo si legge: "Guarderanno colui che hanno trafitto"; "poiché", spiega la Glossa, "egli tornerà con quella carne in cui è stato crocifisso". Ora, egli fu crocifisso nel suo aspetto d'infermità. Quindi apparirà nella sua infermità e non nella sua umanità glorificata.
2. Sta scritto, che "apparirà in cielo il segno del Figlio dell'uomo", cioè il segno della croce. E il Crisostomo spiega, che "Cristo nel giudizio non solo mostrerà le cicatrici delle sue piaghe, ma la sua stessa morte ignominiosa". Perciò è evidente che non apparirà nella gloria.
3. Nel giudizio Cristo apparirà in modo da poter esser veduto da tutti. Ma nella sua umanità glorificata egli non potrà esser visto da tutti, ossia dai buoni e dai cattivi: perché un occhio non glorificato non è proporzionato a vedere lo splendore di un corpo glorioso. Dunque Cristo non apparirà nella sua gloria.
4. Quanto è promesso ai giusti come premio non sarà concesso ai peccatori. Ora, vedere la gloria della santa umanità è stato promesso ai giusti come premio. "Egli entrerà ed uscirà e troverà pascolo", dice il Vangelo; e cioè, spiega S. Agostino, "troverà di che nutrirsi nella divinità e nell'umanità". E in Isaia si legge: "Vedremo il re nel suo splendore". Quindi nel giudizio Cristo non apparirà nel suo aspetto glorioso.
5. Cristo giudicherà sotto l'aspetto in cui fu giudicato. Infatti la Glossa, a commento delle parole evangeliche, "Così anche il Figlio glorifica chi vuole", spiega: "Sotto l'aspetto in cui fu ingiustamente giudicato, giudicherà con giustizia, in modo da poter esser veduto dai malvagi". Ma egli fu giudicato sotto l'aspetto della sua infermità. Dunque sotto tale aspetto comparirà anche nel giudizio.

IN CONTRARIO: 1. Nel Vangelo si legge: "Vedranno il Figlio dell'Uomo venire sulle nubi con grande potenza e maestà". Ora, maestà e potenza sono proprietà della gloria. Perciò Cristo apparirà nel suo aspetto glorioso.
2. Chi giudica dev'essere superiore a quelli che ha da giudicare. Ma gli eletti che dovranno essere giudicati da Cristo avranno i corpi gloriosi. A maggior ragione quindi il giudice dovrà apparire nel suo aspetto glorioso.
3. Come essere giudicato è un segno di infermità, così giudicare è segno di potenza e di gloria. Ora, nella sua prima venuta, in cui venne per essere giudicato, Cristo apparve come infermo. Perciò nella seconda venuta, in cui verrà per giudicare, egli apparirà nel suo aspetto glorioso.

RISPONDO: Cristo è denominato "mediatore tra Dio e gli uomini", sia perché ha soddisfatto per gli uomini e intercede per essi presso il Padre; sia perché comunica agli uomini le cose del Padre, secondo le sue parole: "Io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me". Ora, in base a questi due aspetti è giusto che egli comunichi con entrambe le parti: poiché in quanto è unito con gli uomini egli fa le veci degli uomini presso il Padre; e in quanto è in comunione col Padre trasmette agli uomini i doni del Padre. Perciò, siccome nella sua prima venuta egli venne per soddisfare per noi presso il Padre, apparve sotto l'aspetto della nostra infermità. Ma poiché nella seconda venuta verrà per eseguire sugli uomini la giustizia del Padre, dovrà mostrare la gloria che egli possiede per la sua intimità col Padre. Perciò egli apparirà nel suo aspetto glorioso.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Apparirà con la medesima carne, ma non nelle stesse condizioni.
2. Il segno della croce apparirà nel giudizio, non come indizio dell'infermità attuale, ma di quella passata: così da mostrare più che mai giusta la condanna di coloro che avranno disprezzata tanta misericordia, soprattutto di coloro che ingiustamente hanno perseguitato Cristo. Le cicatrici poi che appariranno nel suo corpo non implicheranno un'infermità, ma saranno l'indizio della grande virtù con la quale Cristo trionfò dei nemici mediante la sua passione. E la sua morte obbrobriosa verrà mostrata non già presentandola visibilmente, come se la soffrisse allora: ma dalle cose che allora appariranno, cioè dai segni della passione sofferta, gli uomini saranno indotti a ricordare quella morte.
3. I corpi gloriosi avranno il potere di mostrarsi o di non mostrarsi agli occhi non glorificati, come risulta dalle spiegazioni date in precedenza. Perciò Cristo potrà essere veduto da tutti nel suo aspetto glorioso.
4. Come la gloria di un amico è piacevole, così la gloria e la potenza di chi è oggetto di odio produce somma tristezza. Quindi la visione della umanità gloriosa di Cristo come sarà un premio per i giusti, così sarà un supplizio per i nemici di Cristo. Di qui le parole di Isaia: "Veggano, a loro confusione, coloro che invidiano il tuo popolo, e il fuoco" dell'invidia "divori i tuoi nemici".
5. Aspetto in quel testo sta a indicare la natura umana, secondo la quale egli fu giudicato e giudicherà: non già la condizione di tale natura, che nel giudicante non sarà identica a quella inferma del giudicato.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > L'aspetto del giudice nell'atto di giudicare > Se i reprobi possano vedere la divinità, senza goderne


Supplemento
Questione 90
Articolo 3

SEMBRA che la divinità possa esser vista dai reprobi senza godimento. Infatti:
1. È certo che gli empi conosceranno in modo evidentissimo che Cristo è Dio. Perciò essi vedranno la sua divinità. E tuttavia non godranno nel vedere Cristo. Dunque è possibile vedere la divinità, senza goderne.
2. La perversa volontà degli empi non è più contraria all'umanità di Cristo di quanto lo sia alla sua divinità. Ora, per essi vedere l'umanità sarà una pena, come abbiamo spiegato. Molto più dunque essi saranno rattristati che rallegrati, se vedranno la sua divinità.
3. Le cose esistenti nell'affetto non seguono necessariamente quelle esistenti nell'intelligenza. Infatti S. Agostino ha scritto: "L'intelletto precede, mentre l'affetto lo segue con ritardo o per niente". Ma la vista spetta all'intelletto, e il godimento all'affetto. Quindi è possibile la vista della divinità, senza il godimento.
4. "Ciò che si riceve viene ricevuto alla maniera del recipiente", e non alla maniera dell'oggetto stesso. Ora, quanto è visto in qualche modo è ricevuto in chi lo vede. Perciò sebbene la divinità sia in se stessa sommamente dilettevole, tuttavia vista da coloro che sono immersi nel dolore non darà diletto bensì maggiore tristezza.
5. Le cose sensibili stanno ai sensi, come le cose intelligibili all'intelletto. Ma nelle sensazioni, come nota S. Agostino, capita che "al palato non sano il pane sia disgustoso, che invece è piacevole a quello sano". Perciò siccome i dannati hanno l'intelletto indisposto, è chiaro che la visione della luce increata produce in essi più pena che gioia.

IN CONTRARIO: 1. Sta scritto: "Questa è la vita eterna, che conoscano te vero Dio"; dalle quali parole risulta che l'essenza della beatitudine consiste nella visione di Dio. Ma la beatitudine implica godimento. Dunque non sarà possibile vedere la divinità senza godimento.
2. L'essenza di Dio è l'essenza della verità. Ma per chiunque contemplare la verità è un godimento: perché, come dice Aristotele, "tutti gli uomini per natura desiderano conoscere". Quindi non si può vedere Dio senza goderne.
3. Se una data visione non è sempre piacevole, capita qualche volta che sia invece dolorosa. Ma la visione intellettiva non è mai dolorosa; perché, come nota il Filosofo, "al piacere dell'intellezione non si contrappone nessuna sofferenza". Perciò, siccome la divinità non può esser vista che dall'intelletto, è chiaro che la divinità non è mai visibile senza godimento.

RISPONDO: In ogni cosa appetibile o piacevole possiamo distinguere due elementi: l'oggetto appetibile o piacevole, e la ragione della sua appetibilità, o del diletto che in esso si trova. Però, come fa rilevare Boezio, questo vale per "quanto può avere qualche cosa in più di ciò che è esso stesso; ma l'essere stesso non ammette nient'altro fuori che se stesso": cosicché quanto è appetibile o piacevole può sempre avere qualche aspetto per cui non è appetibile e piacevole; ma ciò che costituisce la ragione dell'appetibilità non ha e non può avere niente per cui non sia piacevole ed appetibile. Le cose dunque che sono piacevoli per una partecipazione della bontà, che è la ragione dell'appetibilità e del diletto, è possibile apprenderle senza goderne: ma colui che è bontà per la sua essenza è impossibile apprenderlo nella sua essenza senza godimento. Perciò, essendo Dio essenzialmente la stessa bontà, non è possibile vederlo senza goderne.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli empi conosceranno con evidenza che Cristo è Dio, non perché ne vedranno la divinità, bensì per gli indizi evidentissimi della divinità stessa.
2. Vista in se medesima la divinità non può essere odiata da nessuno, come da nessuno può esser presa in odio la stessa bontà. Ma si dice che alcuni odiano la divinità per certi suoi effetti: p. es., perché compie o comanda cose che sono contrarie alla loro volontà. Dunque la visione della divinità non può non essere un godimento.
3. Le parole di S. Agostino si riferiscono ai casi in cui ciò che viene percepito dall'intelletto è una cosa buona per partecipazione e non per essenza, come lo sono appunto tutte le creature: cosicché può trovarsi in esse qualche cosa che non muove l'affetto. Anzi nella vita presente Dio stesso lo conosciamo così dagli effetti, e l'intelletto non raggiunge l'essenza della sua bontà. Perciò non è necessario che l'affetto segua l'intelligenza, come invece la seguirebbe se ne vedesse l'essenza, che è la stessa bontà.
4. Il dolore, o tristezza non è una disposizione, ma una passione. Ora, ogni passione viene eliminata dal sopravvento di una causa più forte, che non è in grado di eliminare. Quindi il dolore dei dannati verrebbe eliminato, se essi vedessero Dio per essenza.
5. La proporzione naturale esistente tra l'organo e l'oggetto che per natura gli è gradito viene distrutta dalla indisposizione dell'organo: per questo il piacere viene compromesso. Ma l'indisposizione che si riscontra nei dannati non elimina la proporzione naturale con la quale sono ordinati alla bontà di Dio; poiché in essi rimane per sempre la sua immagine. Perciò il paragone non regge.

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