Sup, 8

Terza parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il ministro della confessione


Supplemento
Questione 8
Proemio

Ed eccoci a considerare il ministro della confessione. Sull'argomento si pongono sette quesiti:
1. Se sia necessario confessarsi a un sacerdote;
2. Se in qualche caso ci si possa confessare ad altri che al sacerdote;
3. Se fuori dei casi di necessità chi non è sacerdote possa ascoltare la confessione dei peccati veniali;
4. Se sia indispensabile che uno si confessi al proprio sacerdote;
5. Se ci si possa confessare da altri che dal proprio sacerdote, per un privilegio o per incarico di un superiore;
6. Se il penitente negli ultimi istanti della vita possa essere assolto da qualsiasi sacerdote;
7. Se la pena temporale debba essere determinata secondo la gravità della colpa.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il ministro della confessione > Se sia necessario confessarsi a un sacerdote


Supplemento
Questione 8
Articolo 1

SEMBRA che non sia necessario confessarsi a un sacerdote. Infatti:
1. A confessarci non siamo obbligati che dall'istituzione divina. Ma codesta istituzione viene così proposta da S. Giacomo: "Confessate l'uno all'altro i vostri peccati", senza accennare affatto al sacerdote. Dunque non è necessario confessarsi al sacerdote.

2. La penitenza è un sacramento di necessità, come il battesimo. Ma del battesimo, data la necessità del sacramento, ministro è qualsiasi uomo. Quindi anche della penitenza. Perciò basta confessarsi da chiunque.

3. La confessione è necessaria per determinare al penitente la misura della soddisfazione. Ma alcuni potrebbero determinare codesta misura con maggior discrezione di molti sacerdoti. Dunque non è necessario che la confessione si faccia al sacerdote.

4. La confessione è stata istituita nella Chiesa affinché i rettori (o parroci) "conoscano la faccia delle loro pecore". Talora però rettori e prelati non sono sacerdoti. Perciò la confessione non sempre va fatta a un sacerdote.

IN CONTRARIO: 1. L'assoluzione del penitente, in vista della quale si fa la confessione, non spetta che ai sacerdoti, cui sono state affidate le chiavi. Quindi la confessione va fatta al sacerdote.

2. La confessione fu prefigurata nella resurrezione di Lazzaro. Ebbene il Signore solo ai discepoli comandò di sciogliere Lazzaro, come si legge nel Vangelo. Dunque la confessione va fatta ai sacerdoti.

RISPONDO: La grazia che viene conferita nei sacramenti discende dal capo alle membra. Quindi ministro dei sacramenti in cui si conferisce la grazia, può essere soltanto chi può esercitare una funzione ministeriale sul corpo vero di Cristo. Ciò appartiene solo al sacerdote che ha la facoltà di consacrare l'Eucarestia. Quindi, poiché nel sacramento della penitenza viene conferita la grazia, solo il sacerdote è ministro di questo sacramento. Perciò a lui soltanto va fatta la confessione sacramentale, dovuta ai ministri della Chiesa.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Giacomo parla presupponendo l'istituzione divina (della confessione). E poiché tale istituzione della confessione da farsi ai sacerdoti era stata compiuta quando il Signore diede loro nella persona degli Apostoli il potere di rimettere i peccati, come risulta dal Vangelo di Giovanni, le parole di S. Giacomo vanno intese nel senso di un ammonimento a confessarsi dai sacerdoti.

2. Il battesimo è un sacramento più necessario della penitenza rispetto alla confessione e all'assoluzione: poiché in certi casi il battesimo non si può omettere senza pericolo per la salvezza eterna, com'è evidente nel caso dei bambini privi dell'uso di ragione; non è così invece della confessione e dell'assoluzione, che spetta solo agli adulti, per i quali la sola contrizione col proposito di confessarsi e col desiderio dell'assoluzione basta a liberare dalla morte eterna. Quindi non c'è parità tra battesimo e confessione.

3. Nella soddisfazione non va considerata soltanto la misura della pena, ma anche la sua efficacia quale parte del sacramento. E sotto tale aspetto richiede il dispensatore dei sacramenti: sebbene la misura della pena possa essere fissata anche da chi non è sacerdote.

4. Conoscere la faccia delle pecore può essere necessario per due scopi. Primo, per oganizzarle nel gregge di Cristo. E da questo lato la conoscenza delle pecore appartiene alla cura e alla sollecitudine pastorale, che talora incombe anche su persone che non sono sacerdoti. - Secondo, per provvedere a ciascuna la medicina di salvezza. E da questo lato conoscere la faccia delle pecore spetta a colui che ha il compito di somministrare la medicina di salvezza, cioè l'Eucarestia e gli altri sacramenti, ossia al sacerdote. E la confessione è ordinata a quest'ultima conoscenza.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il ministro della confessione > Se in qualche caso sia lecito confessarsi da chi non è sacerdote


Supplemento
Questione 8
Articolo 2

SEMBRA che in nessun caso sia lecito confessarsi da chi non è sacerdote. Infatti:
1. La confessione è "un'accusa sacramentale", come abbiamo visto nella definizione illustrata in precedenza. Ma l'amministrazione di un sacramento spetta solo al suo ministro. Quindi, poiché ministro del sacramento della penitenza è il sacerdote, è chiaro che la confessione non va fatta a nessun altro.

2. In qualsiasi tribunale la confessione è ordinata alla sentenza. Ora, in foro contenzioso la sentenza data da chi non è giudice autorizzato è nulla: quindi la confessione non va fatta che al giudice. Ma nel foro della coscienza non c'è altro giudice che il sacerdote, il quale ha il potere di legare e di sciogliere. Dunque la confessione non si deve fare ad altri.

3. Il battesimo, proprio perché chiunque può battezzare, se viene amministrato da un laico, anche senza il caso di necessità, non deve essere reiterato dal sacerdote. Se invece uno in caso di necessità si confessa a un laico, è tenuto a riconfessarsi al sacerdote, superato il pericolo. Perciò la confessione non si può fare a un laico (neppure) in casi di necessità.

IN CONTRARIO: 1. Il Maestro nelle Sentenze determina il contrario.

RISPONDO: La penitenza è, come il battesimo, un sacramento di necessità. Ora, il battesimo, quale sacramento di necessità, ha due categorie di ministri: l'una cui incombe di battezzare per ufficio, ed è formata dai sacerdoti; l'altra è quella cui si affida il compito di battezzare in caso di necessità. Così anche per la penitenza, il ministro cui la confessione va fatta per ufficio è il sacerdote: ma in caso di necessità un laico può supplire il sacerdote, così da poter ascoltare la confessione.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nel sacramento della penitenza non ci sono soltanto le parti che spettano al ministro, cioè l'assoluzione e l'imposizione della soddisfazione: ma ci sono anche quelle di chi riceve il sacramento, e che sono essenziali per esso, come la contrizione e la confessione. La soddisfazione invece deve l'inizio al ministro, in quanto è lui a imporla; ma dipende dal penitente in quanto è quest'ultimo che la compie. Ora, alla pienezza del sacramento devono concorrere per quanto è possibile entrambe le parti in causa. Ma quando c'è una necessità che urge, il penitente deve fare quanto dipende da lui, cioè pentirsi e confessarsi a chi può; e costui, sebbene non possa compiere il sacramento facendo le parti del sacerdote, cioè dando l'assoluzione, tuttavia il Sommo Sacerdote ne supplisce la mancanza. Ciò nonostante la confessione fatta a un laico nel desiderio del sacerdote è, in un certo senso, sacramentale: sebbene non sia un sacramento perfetto, perché manca di quanto riguarda la parte del sacerdote.

2. Il laico pur non essendo in senso assoluto giudice di chi a lui si confessa, tuttavia a motivo della necessità ne assume le funzioni circa quanto costui gli sottopone nel desiderio del sacerdote.

3. Mediante i sacramenti l'uomo non solo va riconciliato con Dio, ma deve esserlo anche con la Chiesa. Ora, egli non può riconciliarsi con questa senza che la santificazione della Chiesa lo raggiunga. Ebbene, nel battesimo tale santificazione raggiunge l'uomo mediante l'elemento stesso adoperato esternamente, santificato "dalla parola di vita" secondo il rito della Chiesa, da chiunque venga compiuto. Quindi per il fatto che uno, da chiunque, è stato battezzato una volta, non occorre che venga di nuovo battezzato. - Invece nella penitenza la santificazione della Chiesa non raggiunge l'uomo che mediante il ministro; poiché qui non c'è un elemento corporale usato esternamente, che per la sua santità conferisca la grazia. Quindi sebbene chi si è confessato da un laico in caso di necessità abbia ricevuto il perdono da Dio, avendo adempiuto come poteva il precetto divino di confessarsi, tuttavia non si è riconciliato con la Chiesa così da poter essere ammesso ai sacramenti, se prima non viene assolto dal sacerdote: precisamente come chi è stato battezzato col (solo) battesimo di desiderio non viene ammesso all'Eucarestia. Perciò è necessario che costui si riconfessi al sacerdote, quando potrà averlo a disposizione; specialmente perché il sacramento della penitenza non fu completo. Quindi è necessario che venga completato: affinché dal ricevere direttamente il sacramento possa conseguire in pieno gli effetti, e anche per adempiere il precetto che comanda di accostarsi al sacramento della penitenza.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il ministro della confessione > Se fuori del caso di necessità chi non è sacerdote possa ascoltare la confessione dei peccati veniali


Supplemento
Questione 8
Articolo 3

SEMBRA che fuori del caso di necessità nessuno che non sia sacerdote possa ascoltare la confessione dei peccati veniali. Infatti:
1. Si affida a un laico l'amministrazione di un sacramento per un motivo di necessità. Ora, la confessione dei peccati veniali non è di necessità. Quindi non può esser fatta a un laico.

2. A cancellare i peccati veniali è ordinata, sia l'estrema unzione che la penitenza. Ma quella non può mai essere amministrata da un laico, come risulta dalle parole di S. Giacomo. Dunque a un laico non si può fare neppure la confessione dei peccati veniali.

IN CONTRARIO: Sta il passo di S. Beda riferito dalle Sentenze.

RISPONDO: Dal peccato veniale l'uomo non viene separato né da Dio né dai sacramenti della Chiesa. Cosicché per la remissione di esso egli non ha bisogno né di un nuovo conferimento della grazia, né di essere riconciliato con la Chiesa. Per questo non è necessario che si confessino i peccati veniali al sacerdote: poiché la stessa confessione fatta a un laico è un sacramentale (pur non essendo un perfetto sacramento) e un atto compiuto nella carità; ora, azioni di questo genere, quali il battersi il petto e segnarsi con l'acqua benedetta, sono fatte appunto per rimettere il peccato veniale.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È così risolta anche la prima difficoltà. Infatti per la remissione dei peccati veniali non si richiede un sacramento, ma basta un sacramentale, quale l'acqua benedetta e altre pratiche del genere.

2. L'estrema unzione non è ordinata direttamente a rimettere i peccati veniali, e così nessun altro sacramento.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il ministro della confessione > Se sia necessario confessarsi al proprio sacerdote


Supplemento
Questione 8
Articolo 4

SEMBRA che non sia necessario confessarsi al proprio sacerdote. Infatti:
1. S. Gregorio afferma: "Per autorità apostolica e per dovere di pietà abbiamo stabilito che ai sacerdoti monaci, che rappresentano gli Apostoli, sia lecito predicare, battezzare, dare la comunione, pregare per i peccatori, imporre la penitenza e assolvere i peccati". Ora, i monaci non sono sacerdoti propri di nessuno, non avendo essi cura d'anime. Quindi, poiché la confessione si fa per l'assoluzione, basta confessarsi a qualsiasi sacerdote.

2. Il sacerdote è ministro di questo sacramento come dell'Eucarestia. Ma qualsiasi sacerdote è in grado di consacrare. Perciò qualsiasi sacerdote può amministrare il sacramento della penitenza. Quindi non importa che ci si confessi dal proprio sacerdote.

3. Quanto ci è imposto in modo determinato non è lasciato alla nostra scelta. Invece è lasciato alla nostra scelta il sacerdote cui dobbiamo confessarci, come risulta da quelle parole di S. Agostino: "Chi per ricevere la grazia vuol confessare i suoi peccati, cerchi un sacerdote che sappia sciogliere e legare". Dunque non è necessario che uno si confessi al proprio sacerdote.

4. Ci sono alcuni, i prelati, p. es., i quali non hanno un proprio sacerdote, non avendo essi nessun superiore. Eppure costoro son tenuti alla confessione. Dunque non sempre si è tenuti a confessarsi dal proprio sacerdote.

5. Come dice S. Bernardo, "ciò che è stato istituito per la carità non può mai essere contro la carità". Ora la confessione, istituita per la carità, sarebbe contro la carità, se si fosse obbligati a confessarsi da un unico sacerdote: nel caso, p. es., che il penitente sapesse che il proprio sacerdote è eretico, o sollecitatore al male, oppure così fragile da esser proclive al peccato di cui sente la confessione; ovvero se questi è sospettato di rivelare il segreto di confessione; o se il peccato da confessare sia stato commesso contro di lui. Perciò non sembra che sia sempre necessario confessarsi dal proprio confessore.

6. Nelle cose necessarie alla salvezza gli uomini non devono mai essere coartati, per non impedire la loro salvezza. Ma se fosse necessario confessarsi da un solo uomo, si avrebbe una grande coartazione: cosicché molti potrebbero essere distolti dalla confessione per timore, per vergogna o per altre cose del genere. Quindi, essendo la confessione necessaria alla salvezza, gli uomini non devono essere costretti a confessarsi al proprio sacerdote.

IN CONTRARIO: 1. Il decreto di Innocenzo III prescrive che "tutti (i fedeli) dell'uno e dell'altro sesso una volta l'anno si confessino al proprio sacerdote".

2. Come il vescovo sta alla sua diocesi, così il sacerdote sta alla propria parrocchia. Ma a un vescovo, secondo i canoni, non è lecito esercitare l'ufficio episcopale nella diocesi di un altro. Dunque a un sacerdote non è lecito ascoltare in confessione il parrocchiano di un altro.

RISPONDO: Negli altri sacramenti non si richiede che chi li pratica compia degli atti costitutivi per essi, ma solo che li riceva: il che è evidente nel caso del battesimo; cosicché l'atto che si richiede per percepire l'effetto del sacramento, in chi ha l'esercizio del libero arbitrio, è solo per togliere gli ostacoli, cioè la finzione. Nella penitenza invece l'atto di chi accede al sacramento è essenziale per il sacramento: poiché contrizione, confessione e soddisfazione, che sono atti del penitente, sono parti della penitenza. Ora, i nostri atti, avendo in noi il loro principio, non possono essere disposti da altri se non mediante il comando. Perciò chi ha il compito di amministrare questo sacramento, deve essere in grado di poterci comandare. Ma nessuno ha il potere di comandare a un altro, se non ha la giurisdizione su di lui. Dunque è indispensabile per questo sacramento che il ministro non solo abbia l'ordine, come per gli altri sacramenti, ma anche la giurisdizione. Perciò, come non può conferire questo sacramento chi non è sacerdote, così non può conferirlo chi non ha la giurisdizione. Ed è per questo che si richiede che la confessione si faccia al proprio sacerdote, come è richiesto che si faccia al sacerdote. Infatti poiché il sacerdote non assolve se non obbligando il penitente a fare qualche cosa, può dare l'assoluzione solo chi ha la facoltà di obbligare con il comando a compiere codesta penitenza.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Gregorio in quel testo parla dei monaci che hanno la giurisdizione, avendo ricevuto la cura di qualche parrocchia: di costoro alcuni negavano che avessero facoltà di assolvere e d'imporre penitenze, per il fatto stesso che erano monaci. Il che è falso.

2. Il sacramento dell'Eucarestia non richiede il comando su altri uomini. Non così questo sacramento, come abbiamo spiegato. Perciò il paragone non regge. Tuttavia non è lecito ricevere l'Eucarestia che dal proprio sacerdote: sebbene sia un vero sacramento la comunione che si riceve da un altro sacerdote.

3. La scelta di un sacerdote assennato non è lasciata al nostro arbitrio, ma va fatta col permesso dei superiori, qualora il proprio sacerdote fosse poco indicato per somministrare il rimedio adatto per il peccato.

4. Poiché i prelati hanno il compito di distribuire i sacramenti, che solo i puri possono amministrare, è stato loro concesso dal diritto di potersi scegliere i sacerdoti confessori, che in tale compito sono ad essi superiori: allo stesso modo che un medico è curato da un altro, non in quanto medico, ma in quanto infermo.

5. Nei casi in cui il penitente ha ragioni per temere che dalla confessione possa risultare un pericolo per sé, o per il (proprio) sacerdote, deve ricorrere al superiore, o chiedere il permesso di confessarsi da un altro. Se poi non riesce ad averne il permesso, egli va giudicato come colui che non ha a disposizione il sacerdote. Quindi deve preferire di confessarsi a un laico. Né con ciò egli trasgredisce il precetto della Chiesa: poiché i precetti della legge positiva non si estendono al di là dell'intenzione del legislatore, che è il fine del precetto; e questo, come insegna l'Apostolo, è la carità. E neppure fa un torto al sacerdote: poiché "chi abusa del proprio potere merita perdere le sue prerogative".

6. L'obbligo di confessarsi al proprio sacerdote non coarta la via della salvezza, ma le dà un'ampiezza sufficiente. Peccherebbe però il parroco sacerdote, se non fosse facile a concedere il permesso di confessarsi da altri: poiché molti sono così mal disposti che morirebbero senza confessione, piuttosto che confessarsi da quel determinato sacerdote. Perciò coloro che sono troppo bramosi di conoscere la coscienza dei sudditi mediante la confessione, "tendono il laccio" della dannazione a molti, e per conseguenza a se stessi.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il ministro della confessione > Se uno possa confessarsi da altri e non dal proprio sacerdote, per un privilegio o per un ordine dei suoi superiori


Supplemento
Questione 8
Articolo 5

SEMBRA che uno non possa confessarsi da altri che dal proprio sacerdote nemmeno per un privilegio, o per ordine dei propri superiori. Infatti:
1. Un privilegio non si può concedere a danno di un'altra persona. Ma sarebbe a danno di un sacerdote, se un altro ascoltasse la confessione di un suo suddito. Quindi ciò non si può ottenere per privilegio, ovvero per un permesso o comando di un superiore.

2. Ciò che impedisce l'esecuzione di un comando divino non può essere concesso dal comando e dal privilegio di nessun uomo. Ora, i rettori di chiese hanno il comando divino di ben "conoscere la faccia delle loro pecore", il che è impedito, se altri e non loro ne ascoltano la confessione. Dunque né per privilegio né per comando di nessun uomo si può ordinare una cosa simile.

3. Colui che ascolta la confessione dev'essere il giudice proprio del penitente: altrimenti non lo potrebbe sciogliere e legare. Ma di un unico suddito non ci possono essere più giudici o sacerdoti propri; poiché allora egli sarebbe tenuto a ubbidire a più persone, il che è impossibile quando comandano cose contrarie o incompatibili. Quindi uno non può confessarsi che al sacerdote proprio, nonostante il permesso dell'autorità superiore.

4. Fa ingiuria al sacramento chi lo ripete sulla medesima materia: o per lo meno compie un'azione inutile. Ma chi si è confessato a un sacerdote estraneo è tenuto a riconfessarsi dal proprio sacerdote, se questi lo richiede: poiché non è dispensato dall'obbedienza che a lui deve in questo. Perciò non può esser lecito confessarsi da altri che dal proprio sacerdote.

IN CONTRARIO: 1. Le funzioni proprie di un ordine sacro possono essere affidate, da chi ha la facoltà di compierle, a chi possiede codesto ordine. Ora, il superiore, il vescovo, p. es., può ascoltare la confessione dei parrocchiani dei suoi preti; ché anzi talora si riserva alcune cose, essendo egli il pastore principale. Quindi egli può anche incaricare altri sacerdoti di ascoltare le confessioni.

2. Ciò che può l'inferiore lo può anche il superiore. Ma il sacerdote può dare al proprio parrocchiano il permesso di confessarsi da un altro. A fortiori quindi codesto permesso può darlo il superiore.

3. Il potere che il sacerdote ha sul popolo lo riceve dal vescovo. Ora, da codesto potere deriva la facoltà di ascoltare la confessione. Dunque per lo stesso principio ha codesta facoltà un altro cui il vescovo la concede.

RISPONDO: Un sacerdote può essere impedito dall'ascoltare la confessione di qualcuno per due motivi: primo, per mancanza di giurisdizione; secondo, perché impedito nell'esercizio dell'ordine, come gli scomunicati, i degradati e simili. Ma chiunque abbia la giurisdizione, può affidare ad altri gli atti della medesima. Perciò se uno è inabile ad ascoltare le confessioni per mancanza di giurisdizione sui penitenti, può ottenere la facoltà di ascoltare le confessioni e di assolvere da chi ha la giurisdizione immediata su di essi, cioè dal parroco, dal vescovo, o dal Papa. Se invece uno non può ascoltare le confessioni perché impedito nell'esercizio dell'ordine, può ottenere la facoltà da colui che può togliere tale impedimento.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si arreca danno a una persona quando si defrauda di quanto era stato concesso a suo vantaggio. Ora, il potere di giurisdizione non viene concesso a favore del depositario, ma per il bene del popolo e per l'onore di Dio. Quindi se i prelati superiori giudicano, per il bene del popolo e per l'onore di Dio, di dover estendere ad altri i compiti della giurisdizione, non si arreca nessun pregiudizio ai prelati inferiori: se non a quelli i quali "cercano il proprio interesse e non quello di Cristo", e che conducono le pecore, "non per pascerle, ma per esserne pasciuti".

2. I rettori di chiese devono conoscere "la faccia delle loro pecore" in due modi. Primo considerando con attenzione il loro comportamento esterno, vigilando così sul gregge loro affidato. E in questo non è necessario che essi credano ai loro sudditi, ma per quanto è possibile devono accertarsi dei fatti. - Secondo, mediante le rivelazioni avute in confessione. E in questo tipo di conoscenza non si può ottenere maggiore certezza che quella possibile credendo al penitente: perché questa cognizione è ordinata a sollievo della sua coscienza. Ecco perché in confessione si deve credere al penitente sia a favore che a disfavore; non così invece in foro esterno. Quindi per tale conoscenza basta che i rettori di Chiese credano al suddito che dice di essersi confessato da uno che era in grado di assolvere. È evidente perciò che il privilegio concesso ad alcuni di ascoltare le confessioni non impedisce questa conoscenza.

3. L'inconveniente ci sarebbe, se nel medesimo popolo venissero costituiti due superiori alla pari. Ma l'inconveniente non esiste se dei due uno è superiore all'altro. E in tal senso sul medesimo popolo sono costituiti il parroco, il vescovo e il Papa: e ciascuno di essi è in grado di affidare ad altri i compiti giurisdizionali che a lui spettano. - Se a dare l'incarico è il superiore principale, tale incarico può esser conferito in due modi: Primo, costituendo il delegato quale suo vicario, ossia come il Papa e i vescovi costituiscono i loro penitenziari; e allora il delegato è superiore rispetto ai prelati inferiori; il penitenziere del Papa, p. es., è sopra il vescovo, e il penitenziere del vescovo è sopra il parroco: cosicché il penitente è tenuto a ubbidirgli di più. - Secondo, costituendo il delegato coadiutore del sacerdote (in cura d'anime). E poiché il coadiutore è subordinato al sacerdote col quale deve cooperare, il coadiutore è meno importante. Perciò il penitente non deve ubbidire a lui più che al proprio sacerdote.

4. Nessuno è tenuto a confessare i peccati che non ha. Perciò se uno si è confessato dal penitenziere del vescovo, oppure da un altro delegato dell'autorità vescovile, poiché i suoi peccati sono stati rimessi sia di fronte a Dio che alla Chiesa, non è tenuto a riconfessarli al proprio sacerdote, per quanto costui lo reclami. Ma per il precetto ecclesiastico di confessarsi "una volta l'anno dal proprio sacerdote", deve comportarsi come chi ha soltanto dei peccati veniali. Costui infatti deve confessare solo i veniali, come dicono alcuni, oppure dichiarare soltanto di essere senza peccati mortali. E il sacerdote (parroco) in foro interno è tenuto a crederlo.
Tuttavia anche se egli fosse tenuto a riconfessarsi, la prima confessione non sarebbe stata inutile: poiché quanto più numerosi sono i sacerdoti cui uno si confessa, tanto più gli viene condonata la pena; sia per la vergogna della confessione, che si risolve in una pena satisfattoria; sia per il potere delle chiavi. Cosicché uno potrebbe esser liberato da ogni pena ripetendo molte volte la confessione. Né la ripetizione reca ingiuria al sacramento, se non in quei sacramenti che implicano una consacrazione, o perché imprimono il carattere, o perché consacrano la materia: il che non avviene nella confessione. Perciò è bene che colui, il quale ascolta la confessione come delegato del vescovo, esorti il penitente a riconfessarsi dal proprio sacerdote. Però se egli si rifiuta, lo deve assolvere ugualmente.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il ministro della confessione > Se in fin di vita un penitente possa essere assolto da qualsiasi sacerdote


Supplemento
Questione 8
Articolo 6

SEMBRA che in fin di vita un penitente non possa essere assolto da qualsiasi sacerdote. Infatti:
1. Per assolvere si richiede la giurisdizione, come sopra abbiamo detto. Ma il sacerdote non acquista la giurisdizione sul penitente dal fatto che questi è in fin di vita. Quindi neppure allora può assolverlo.

2. Chi in punto di morte riceve il battesimo da altri, non deve essere ribattezzato dal proprio sacerdote. Perciò se in punto di morte qualsiasi sacerdote potesse assolvere da qualsiasi peccato, il penitente che sopravvive non sarebbe mai tenuto a ricorrere al sacerdote proprio. Il che è falso: perché altrimenti costui non potrebbe "conoscere la faccia della sua pecora".

3. In punto di morte la facoltà di battezzare viene data sia a un sacerdote estraneo, che a un non sacerdote. Ma chi non è sacerdote non può mai assolvere in confessione. Perciò neppure in punto di morte un sacerdote può assolvere chi non è sotto la sua giurisdizione.

IN CONTRARIO: 1. La necessità spirituale è più impellente di quella materiale. Ora, nell'estrema necessità chiunque può servirsi della roba altrui, anche contro il volere del padrone, per i bisogni del proprio corpo. Quindi in pericolo di morte, per soddisfare una necessità spirituale, si può essere assolti da un sacerdote qualsiasi.

2. In tal senso si esprimono i testi riferiti dalle Sentenze.

RISPONDO: Ogni sacerdote per il potere delle chiavi ha facoltà su tutti i fedeli e per tutti i peccati: ma il fatto che non possa assolvere tutti da tutti i peccati dipende dalla limitazione, o dalla privazione totale della giurisdizione, imposta dalla legge ecclesiastica. Ma poiché "la necessità non ha legge", in caso di urgente necessità la disposizione della Chiesa non impedisce che egli possa assolvere anche sacramentalmente, dal momento che ha il potere delle chiavi: e l'effetto di tale assoluzione è pari a quello ottenuto mediante l'assoluzione dal sacerdote proprio. Anzi in codesto caso uno può essere assolto da qualsiasi sacerdote, non solo da qualunque peccato, ma anche da qualsiasi scomunica da chiunque sia stata data. E anche questa assoluzione rientra in quella giurisdizione, che viene coartata dalle leggi ecclesiastiche.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Poiché i compiti che implicano giurisdizione si possono delegare, uno può sempre usare la giurisdizione di un altro col permesso di quest'ultimo. Ora, dal fatto stesso che la Chiesa ammette che qualsiasi sacerdote possa assolvere in pericolo di morte, ogni sacerdote che non abbia la giurisdizione, ne acquista l'uso.

2. Costui è tenuto a ricorrere al sacerdote proprio, non per essere assolto di nuovo dai peccati dei quali era stato assolto in punto di morte, ma perché il parroco sappia che egli è stato assolto. - Così pure chi fu assolto dalla scomunica deve andare dal suo giudice che aveva la facoltà di assolverlo, non per chiedere l'assoluzione, ma per offrire soddisfazione.

3. Il battesimo deve la sua efficacia alla consacrazione della materia sacramentale: perciò da chiunque sia amministrato, uno riceve il sacramento. Invece l'efficacia del sacramento della penitenza deriva dalla consacrazione del ministro. Quindi colui che si confessa a un laico, sebbene per parte sua compia quanto spetta alla confessione, tuttavia non può ricevere l'assoluzione sacramentale. Ecco perché codesta confessione gli vale per quella diminuzione della pena, che è dovuta al merito e al valore espiatorio del proprio atto: ma egli non ottiene quella diminuzione di pena che deriva dal potere delle chiavi. Ecco perché è tenuto a riconfessarsi dal sacerdote; e perché, morendo dopo tale confessione, viene punito di più che se si fosse confessato da un sacerdote.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il ministro della confessione > Se la pena temporale, che rimane da espiare dopo la confessione, debba essere determinata secondo la gravità della colpa


Supplemento
Questione 8
Articolo 7

SEMBRA che la pena temporale, che rimane da espiare dopo la confessione, non debba essere determinata secondo la gravità della colpa. Infatti:
1. Essa va determinata secondo l'intensità del piacere goduto nel peccato, come risulta dalle parole dell'Apocalisse: "Quanto si è gloriata e tuffata nelle delizie, tanto datele di tormento e di pianto". Ma talora laddove il piacere è più grande, la colpa è meno grave: infatti i peccati carnali che offrono piaceri più intensi di quelli spirituali, come insegna S. Gregorio, hanno minore colpevolezza. Dunque la pena o penitenza non va determinata secondo la gravità della colpa.

2. I precetti morali obbligano nella legge nuova come nell'antica. Ora, nella legge antica per il peccato era fissata la pena di sette giorni: i peccatori cioè, venivano considerati immondi per sette giorni. Poiché dunque nel nuovo Testamento viene imposta per il peccato mortale la pena di sette anni, è chiaro che la quantità della pena non è misurata dalla gravità della colpa.

3. L'omicidio commesso da un laico è un peccato più grave che la fornicazione di un sacerdote: poiché la qualifica derivante dalla specie del peccato è un aggravante molto maggiore di quella desunta dalla condizione di persona. Ora, al laico per l'omicidio viene imposta dai Canoni la penitenza di sette anni, mentre al sacerdote per la fornicazione vengono imposti dieci anni di penitenza. Quindi la pena non viene determinata secondo la gravità della colpa.

4. Il peccato più grave è quello che si commette verso il corpo stesso di Cristo: poiché il peccato è tanto più grave, quanto più grave è la persona verso la quale si pecca. Ora, per chi versa il sangue di Cristo contenuto nel sacramento dell'altare viene imposta la penitenza di quaranta giorni, o poco più; invece per la fornicazione semplice i Canoni impongono la penitenza di sette anni. Dunque la gravità della pena non corrisponde alla gravità della colpa.

IN CONTRARIO: 1. In Isaia si legge: "In misura rimisurata la punirò gettandola nell'esilio". Perciò la gravità della punizione del peccato è secondo la gravità della colpa.

2. L'uomo viene ricondotto all'uguaglianza della giustizia mediante il castigo. Ora, questo non avverrebbe, se tra la gravità della colpa e della pena non ci fosse corrispondenza. Dunque l'una corrisponde all'altra.

RISPONDO: Dopo la remissione della colpa, la pena si esige per due motivi: per saldare il debito e per guarire dal peccato. Perciò la determinazione della pena va considerata sotto questi due aspetti. Primo, rispetto al debito. E da questo lato la gravità della pena corrisponde radicalmente alla gravità della colpa, prima che questa venga perdonata. Però secondo che è più o meno grande la misura della remissione apportata dal primo di quegli atti, che per loro natura sono ordinati a rimettere la pena, rimane da espiare di più o meno mediante quelli successivi: quanto più efficace, cioè, è stata la contrizione nel rimettere la pena, tanto meno resta da espiare con la confessione. - Secondo, rispetto alla guarigione del peccato, sia del peccatore stesso che degli altri. E da questo lato talora per un peccato meno grave viene stabilita una pena maggiore. O perché opporsi al peccato di un dato soggetto è più difficile che opporsi a quello di altri: ed ecco perché per la fornicazione è imposta a un giovane una pena più grave che a un vecchio, sebbene il primo pecchi meno gravemente. Oppure perché in un dato soggetto, in un sacerdote, p. es., il peccato è più pernicioso, che in un altro. Ovvero perché il popolo è più proclive per quel peccato, e quindi con la punizione del colpevole si deve cercare d'intimorire gli altri.
Perciò nel tribunale di penitenza la pena va determinata tenendo conto di questi due aspetti. Ecco perché non sempre per un peccato più grave viene imposta una penitenza maggiore. - La pena del purgatorio invece serve solo a saldare il debito: non essendovi più la possibilità di peccare. Perciò tale pena viene stabilita solo secondo la gravità del peccato: tenendo conto però dell'intensità della contrizione, della confessione e dell'assoluzione; perché tutti questi atti rimettono in parte la pena stessa. Perciò di essi deve tener conto anche il sacerdote nell'imporre la soddisfazione.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In quelle parole si accenna a due elementi della colpa, cioè alla vantazione e alle delizie. Il primo rientra nell'orgoglio del peccatore, col quale egli si contrappone a Dio; il secondo nel piacere del peccato. Ora, sebbene talora in una colpa più grave il piacere sia minore, tuttavia è sempre più grave l'orgoglio. Perciò l'argomento non regge.

2. La suddetta pena di sette giorni non serviva a espiare la pena dovuta al peccato: cosicché qualora uno fosse morto dopo quella settimana, ne sarebbe stato punito in purgatorio. Ma espiava da una certa irregolarità, come tutti i sacrifici dell'antica legge.
Però, a parità di condizioni, uno pecca più gravemente nella legge nuova che in quella antica: sia per la consacrazione più grande che si riceve nel battesimo; sia per i maggiori benefici di Dio offerti al genere umano. Ciò risulta evidente dalle parole di S. Paolo: "Di quanto più severo castigo, ecc.?".
Tuttavia non è sempre vero che per ogni peccato mortale si richiedono sette anni di penitenza: ma questa è una specie di norma comune, che vale per la maggior parte dei casi, che bisogna però abbandonare nelle varie circostanze in cui si trovano i penitenti.

3. I peccati dei vescovi e dei sacerdoti sono più dannosi per essi stessi e per gli altri. Ecco perché i Canoni intervengono con più sollecitudine a ritrarli dal peccato infliggendo loro una pena più grave, quale rimedio del peccato; sebbene la colpa non ne meritasse tanta per saldare il debito. Cosicché in purgatorio non si esigerà altrettanto da loro.

4. La pena ricordata vale per quando ciò accade contro la volontà del sacerdote celebrante. Se infatti tale spargimento fosse fatto di proposito, egli sarebbe degno di una pena molto più grave.

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