Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le proprietà dell’anima separata dal corpo e la pena inflittale dal fuoco materiale >
Se l'anima separata possa essere tormentata dal fuoco materiale
Supplemento
Questione 70
Articolo 3
SEMBRA che l'anima separata non possa essere tormentata dal fuoco materiale. Infatti:
1. "Non le cose corporee, ma quelle simili alle corporee", dice S. Agostino, "influiscono, in modo favorevole o contrario, nelle anime spogliate del proprio corpo". Quindi l'anima separata non è punita col fuoco materiale.
2. Lo stesso S. Agostino asserisce che "l'agente è sempre più nobile del paziente". Ma non è possibile che un corpo possa essere più nobile dell'anima separata. Dunque essa non può essere punita da un corpo.
3. Secondo Aristotele e Boezio, solo quelle cose che hanno in comune la materia hanno anche passioni e attività reciproche. Ma l'anima e il fuoco materiale non hanno questa base comune, perché manca la materia comune tra le cose spirituali e quelle materiali. Cosicché non è possibile, come afferma Boezio, che una si tramuti in un'altra. Dunque l'anima separata non può subire il fuoco materiale.
4. Il paziente riceve qualche cosa dall'agente. Se quindi l'anima soffrisse per il fuoco materiale, riceverebbe da esso qualcosa.
Ma tutto ciò che si riceve si riceve al modo del recipiente. Quindi ciò che l'anima riceve dal fuoco è in lei in modo spirituale e non materiale. Ma le forme delle cose che esistono spiritualmente nell'anima vengono ad essere sue perfezioni. Anche ammesso, perciò, che l'anima patisca per il fuoco materiale, questo non rappresenterebbe per essa una pena, ma piuttosto una perfezione.
5. All'affermazione che "l'anima è punita col fuoco al solo vederlo", secondo la frase riferita da S. Gregorio, si può obbiettare in contrario, che se l'anima vede il fuoco dell'inferno, può vederlo soltanto mediante una visione intellettuale, essendo essa priva di organi capaci di visioni immaginarie o sensibili. Ma la visione intellettuale non pare che possa causare tristezza, poiché, come scrive il Filosofo, "non c'è tristezza che si contrapponga al diletto della conoscenza". Quindi l'anima con una tale visione non subisce un castigo.
6. Se poi si afferma che l'anima patisce il fuoco materiale in quanto ne è prigioniera, come ora che è in vita è prigioniera del proprio corpo, si può replicare che l'anima mentre vive nel corpo ne è prigioniera, perché con esso costituisce una cosa sola come la materia e la forma. L'anima invece non sarà allora forma del fuoco materiale. Perciò non può esserne prigioniera nel modo suddetto.
7. Qualunque causa materiale agisce mediante il contatto. Ma non ci può essere contatto tra il fuoco materiale e l'anima, perché il contatto si verifica solo tra cose materiali le cui estremità hanno un punto in comune. Dunque l'anima non può soffrire da parte del fuoco materiale.
8. Nessun agente organico può agire su cose lontane senza influire sullo spazio intermedio: cosicché il suo influsso arriva solo a una distanza determinata in proporzione della sua virtù. Ora, le anime, o almeno i demoni, che in questo sono alla pari, talvolta possono trovarsi fuori del luogo dell'inferno; anzi talora appariscono agli uomini. Né per questo sono liberi dalla pena; perché la gloria dei Santi e la pena dei dannati non subiscono interruzioni. Tuttavia noi constatiamo che il loro percorso non è tutto infestato dal fuoco dell'inferno. E d'altra parte non è credibile che un elemento corporeo come il fuoco abbia tanta efficacia da irradiare la sua azione a una distanza così considerevole. Quindi sembra che le pene delle anime dei dannati non provengano dal fuoco materiale.
IN CONTRARIO: Le anime separate e i demoni si trovano alla pari nel soffrire il fuoco materiale. Ora, i demoni soffrono per quel fuoco dove saranno gettati i corpi dei dannati dopo la resurrezione, il quale fuoco deve essere materiale, come risulta dalle parole del Signore: "Via da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo, etc.". Quindi le anime separate possono essere tormentate dal fuoco materiale.
2. La pena deve corrispondere alla colpa. Ma con la prava concupiscenza l'anima si è fatta schiava del corpo. Dunque è giusto che sia tormentata da una pena inflittale da un essere corporeo.
3. L'unione della forma con la materia è più intima di quella esistente tra l'agente e il paziente. Ma la diversità di natura non impedisce che l'anima spirituale sia forma del corpo materiale. Quindi tale diversità non può impedire che l'anima sia tormentata dal fuoco materiale.
RISPONDO: Ammesso che il fuoco dell'inferno non si debba intendere in modo metaforico ma reale, bisogna affermare che l'anima ne sarà tormentata come è chiaro dalle parole del Signore il quale asserisce che quel fuoco "fu preparato per il diavolo e i suoi angeli", i quali sono incorporei come l'anima. Ma le opinioni sono contrastanti nello spiegare la maniera di questa sofferenza del fuoco.
Alcuni infatti, come riferisce S. Gregorio, hanno affermato che l'anima è tormentata dal fuoco al solo vederlo: "L'anima soffre perché lo vede".
Ma tale spiegazione non sembra soddisfacente. Infatti ciò che si vede rappresenta una perfezione per la potenza visiva. Cosicché dal vedere non può derivare nessuna pena. Tuttavia indirettamente ciò che si vede può essere di pena o di affanno, quando è ritenuto come nocivo. Quindi non basta che l'anima veda il fuoco per soffrirne, ma è necessario che vi sia un altro fatto che lo renda nocivo.
Perciò altri, pur ammettendo che il fuoco materiale non può bruciare l'anima, dicono che essa ne è tormentata perché lo considera nocivo, e per tale considerazione ne riceve dolore e timore; cosicché si adempie nei dannati quanto è stato scritto nel salmo: "Trepidavano di spavento, là dove non c'era da temere". È ciò che S. Gregorio esprime in quelle parole: "L'anima brucia perché si vede bruciare".
Ma neppure questa spiegazione è sufficiente. Infatti in questo caso l'effetto del fuoco nell'anima non sarebbe reale ma solo apparente. È vero che si può provare tristezza e dolore per una falsa immaginazione, come dice S. Agostino, allora però la sofferenza non è causata dalla realtà delle cose, ma solo dall'apparenza. - Inoltre tale sofferenza sarebbe ancora più remota dalla realtà di una sofferenza immaginaria; perché questa è prodotta da immagini di cose reali, mentre quella nasce solo da false idee fabbricate dall'anima stessa. - E poi non è probabile che le anime separate o i demoni, dato l'acume del loro ingegno, credano di essere bruciate dal fuoco materiale, se di fatto non ne subissero alcuna molestia.
Ecco perché altri ritengono che la sofferenza prodotta nell'anima dal fuoco è reale. S. Gregorio infatti scrive: "Dai passi del Vangelo possiamo concludere che l'anima è tormentata dal fuoco, non solo perché lo vede, ma perché ne subisce l'effetto". Ed ecco la spiegazione di come ciò possa essere. Il fuoco materiale si può considerare sotto un doppio punto di vista: in quanto esso è qualcosa di corporeo, e così non può agire nell'anima; oppure in quanto esso e strumento della divina giustizia vendicatrice, la quale giustamente esige che l'anima, divenuta schiava delle cose corporali per il peccato, ne diventi schiava anche nella pena. Lo strumento infatti non solo agisce in virtù della propria natura, ma anche in virtù dell'agente principale. In questo senso non c'è alcun inconveniente ad ammettere che quel fuoco, mosso dall'azione di un agente spirituale, influisca nello spirito dell'uomo o del demonio, analogamente a quanto e stato spiegato a proposito dell'azione dei sacramenti, che santificano l'anima.
Ma neppure questi argomenti sembrano convincenti, perché qualsiasi strumento agisce in virtù di una potenza che gli è connaturale, oltre che per virtù dell'agente principale; anzi lo strumento ottiene il secondo effetto attraverso il primo, come avviene nel caso dell'acqua battesimale che santifica l'anima lavando il corpo, oppure della sega la quale costruisce la casa segando il legno. Bisogna quindi ammettere che il fuoco, destinato ad essere strumento della giustizia divina vendicativa, produca nell'anima un effetto che in qualche modo sia a lui connaturale.
Perciò affermiamo che un corpo non può, per sua natura, agire in senso buono o cattivo nello spirito e neppure arrecargli molestia, se non in quanto gli è in qualche modo unito: infatti, come dice la Scrittura, "il corpo soggetto a corruzione aggrava l'anima".
Ora, lo spirito può essere unito ad un corpo in due maniere. Primo, come la materia alla forma, in modo che ne risulti un composto unico. E allora lo spirito umano è unito al proprio corpo e lo vivifica, mentre da esso è in qualche modo oberato. Ma né lo spirito umano né quello del demonio sono uniti al fuoco in codesto modo. - Secondo, come un movente è unito a ciò che è mosso, oppure come ciò che si trova in un luogo è unito al luogo stesso, alla maniera che le cose incorporee possono essere in un luogo.
In questo senso gli spiriti creati incorporei sono coartati dal luogo dove si trovano così che non possono essere altrove. Ebbene la realtà corporea, pur essendo per sua natura capace di delimitare lo spirito incorporeo entro i limiti di un dato luogo, non può per sua natura trattenerlo in modo che sia legato a quel luogo, così da impedirgli di andare altrove, perché è contro la natura dello spirito essere coartato a un luogo. Ma la facoltà di imprigionare lo spirito è qualche cosa che viene concesso al fuoco materiale da parte della divina giustizia vendicatrice di cui esso e strumento. E così quel fuoco diventa un tormento e impedisce all'anima ogni libertà di azione.
S. Gregorio parla così del fuoco là dove spiega come l'anima ne sia tormentata: "Se l'eterna verità afferma che il ricco epulone è condannato al fuoco, quale persona assennata oserà negare che le anime dei reprobi siano schiave del fuoco?". Lo stesso afferma S. Giuliano [vescovo di Toledo], come riferisce il Maestro delle Sentenze: "Se lo spirito incorporeo dell'uomo è trattenuto dal corpo mentre egli vive, perché non può essere trattenuto dal fuoco dopo la morte?". E S. Agostino dice che l'anima dell'uomo è legata al fuoco "che lo tormenta" e di cui prova orrore, come prima era legata al corpo, cui dava vita e verso cui nutriva un grande affetto per l'unione tra essi evidente, nonostante la loro differenza di natura.
Per capire come l'anima possa soffrire del fuoco materiale, bisogna compendiare tutte le opinioni precedenti e dire che il fuoco per natura ha la capacità di unire a sé lo spirito, come il luogo unisce a sé quanto vi si trova: ma quale strumento della giustizia divina esso ha la capacità di tenerlo in qualche modo prigioniero; ed è così che il fuoco fa soffrire lo spirito: e l'anima è tormentata dal fuoco scorgendolo come causa del suo tormento. S. Gregorio nei Dialoghi ha parlato organicamente di tutto questo, come è chiaro dai testi sopra allegati.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino nel testo riferito parla da ricercatore. Infatti nel De Civitate Dei, come abbiamo riferito, egli risolve il problema in ben altro modo.
Oppure si può rispondere che per S. Agostino la causa prossima del dolore, o dell'afflizione dell'anima è spirituale: cosicché essa non soffrirebbe, se non concepisse il fuoco come nocivo. Quindi la causa prossima della pena è il fuoco da lei conosciuto, la causa remota però è il fuoco materiale esistente fuori dell'anima.
2. Quantunque l'anima sia naturalmente più nobile del fuoco, questo tuttavia è più nobile dell'anima in quanto è strumento della divina giustizia.
3. Aristotele e Boezio parlano di quella azione in cui il paziente si tramuta nella natura dell'agente. Ma l'azione del fuoco nell'anima non è di questa specie. Perciò l'obbiezione non regge.
4. Il fuoco influisce sull'anima non quale causa agente, ma nel senso che la tiene prigioniera. Perciò la difficoltà è insussistente.
5. Nella visione intellettuale la pena non può derivare dal fatto che uno vede qualcosa, perché nella conoscenza intellettiva la contrarietà non può mai menomare l'intelligenza. La menomazione invece può esserci indirettamente nella visione sensibile, qualora l'oggetto per l'azione che esercita nell'atto del vedere lede l'organo visivo. Ma anche la visione intellettuale può essere dolorosa, quando ciò che si percepisce lo si percepisce come nocivo; non perché nuoce nell'atto della conoscenza, ma per altri motivi. Ed è così che l'anima patisce vedendo il fuoco.
6. Il paragone regge solo in parte, come è chiaro da quanto abbiamo detto.
7. Quantunque tra l'anima e il corpo non vi sia contatto materiale, c'è tuttavia fra loro una specie di contatto spirituale; come quello che esiste tra il cielo e il suo motore spirituale, ossia, secondo l'espressione di Aristotele, come si può dire che tocca chi contrista. Ora, nel caso per agire tale contatto è sufficiente.
8. Le anime dei dannati non escono dall'inferno se non per concessione divina, per ammonire o per provare gli eletti. Ma dovunque essi si trovino, hanno sempre presente il fuoco dell'inferno destinato al loro castigo. E siccome questa vista del fuoco costituisce la loro forza immediata, come abbiamo già visto, sono tormentati dal fuoco ovunque essi siano; come i condannati, anche quando si trovano fuori del carcere, sono in qualche modo afflitti dal carcere, sapendo che a quello sono destinati. Quindi, come la gloria degli eletti non diminuisce né quanto al premio essenziale né quanto a quello accidentale, se talvolta essi si trovano fuori del cielo empireo, che in un certo senso costituisce la loro gloria; così non diminuisce la pena dei dannati quando momentaneamente per divina disposizione sono fuori dell'inferno. È ciò che dice la Glossa: "Il demonio, ovunque si trovi, nell'aria o sotterra, porta con sé il tormento delle sue fiamme". L'obbiezione invece suppone che il fuoco affligga immediatamente gli spiriti, come affligge i corpi.
|