Sup, 69

Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > La dimora delle anime dopo la morte


Supplemento
Questione 69
Proemio

Trattiamo ora le questioni riguardanti la resurrezione. Infatti, dopo aver parlato dei Sacramenti, per mezzo dei quali l'uomo viene liberato dalla morte del peccato, è logico parlare della resurrezione, per mezzo della quale egli è liberato dalla morte, che ne è il castigo.
In proposito vanno considerate queste tre cose: ciò che precede la resurrezione; ciò che l'accompagna; ciò che la segue. In primo luogo perciò bisogna parlare di quelle cose che in parte soltanto e non totalmente precedono la resurrezione; secondo, della resurrezione stessa e delle circostanze che l'accompagnano; terzo, di ciò che avviene dopo la resurrezione.
La prima questione relativa a ciò che precede la resurrezione tratta delle dimore destinate alle anime dopo la morte; la seconda della condizione delle anime separate e della pena loro inflitta dal fuoco; la terza tratta dei suffragi coi quali i vivi possono giovare alle anime dei defunti; la quarta delle preghiere dei Santi in cielo, la quinta dei segni precursori del giudizio finale; la sesta della conflagrazione universale, che precederà l'apparizione del divin Giudice.
Sul primo argomento si pongono sette quesiti:

1. Se dopo la morte alle anime saranno destinate delle dimore;
2. Se quivi le anime saranno collocate subito dopo la morte;
3. Se possano uscire da codeste dimore;
4. Se il limbo degli inferi si identifichi col seno di Abramo;
5. Se il limbo si identifichi con l'inferno dei dannati;
6. Se il limbo dei Patriarchi si identifichi con quello dei bambini;
7. Se sia necessario distinguere tante dimore.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > La dimora delle anime dopo la morte > Se dopo la morte alle anime saranno assegnate speciali dimore


Supplemento
Questione 69
Articolo 1

SEMBRA che dopo la morte non siano assegnate alle anime speciali dimore. Infatti:
1. Come ricorda Boezio, "si ritiene comunemente dai sapienti che le sostanze incorporee non occupano un luogo". S. Agostino concorda con lui, quando afferma: "È facile replicare che l'anima non può essere condotta in un luogo, se non perché è unita a un corpo". Ma l'anima separata, come dice lo stesso Santo, non ha corpo. Quindi sarebbe ridicolo assegnare delle dimore alle anime separate.

2. Tutto ciò che ha un luogo determinato è più attinente a quello che ad altri luoghi. Ma le anime separate, come tutte le sostanze spirituali, sono indifferenti a qualsiasi luogo; né si può affermare che abbiano maggiore attinenza con alcuni corpi piuttosto che con altri, essendo affatto immuni dalle condizioni dei corpi. Perciò non si possono loro assegnare speciali dimore.

3. Alle anime separate, dopo la morte, si attribuisce solo quanto ridonda loro in premio o in pena. Ma il luogo materiale non può avere tali effetti; perché nulla esse ricevono dai corpi. Quindi non si devono loro assegnare dimore speciali.

IN CONTRARIO: 1. Il cielo empireo è un luogo materiale e tuttavia, come afferma S. Beda, "esso fu riempito, appena fatto, dagli angeli santi". Ma essendo questi incorporei come le anime separate, bisogna che anche esse abbiano dimore speciali.

2. Ciò è ancora più evidente da quanto racconta S. Gregorio, il quale parla di alcune anime addotte in luoghi materiali diversi; come quella di Pascasio, incontrata ai bagni dal vescovo di Capua Germano, e quella del re Teodorico che egli dice trascinata all'inferno. Quindi dopo la morte le anime hanno una ben delimitata dimora.

RISPONDO: Le sostanze spirituali sono indipendenti dal corpo quanto al loro essere; tuttavia, come affermano S. Agostino e S. Gregorio, siccome Dio governa le cose corporali mediante quelle spirituali, c'è un certo legame tra le sostanze spirituali e quelle corporali. Di qui la convenienza che alle sostanze spirituali più eccelse siano destinati corpi più nobili. Ecco perché anche i filosofi concepiscono l'ordine delle sostanze separate in base all'ordine dei corpi mobili.
Pur essendo vero, dunque, che dopo la morte le anime non sono né forme, né motori di corpi determinati, tuttavia sono loro assegnate particolari dimore, nelle quali esse si trovano in qualche modo localizzate, come possono esserlo delle sostanze incorporee, secondo il loro grado di nobiltà; esse cioè si avvicinano, di più o di meno, alla prima sostanza, cioè a Dio, cui va attribuito il luogo più eccelso, vale a dire il cielo, come si legge nella sacra Scrittura. Perciò affermiamo che le anime, le quali partecipano perfettamente della divinità, si trovano in cielo; quelle invece che ne sono escluse, sono destinate al luogo opposto.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli esseri incorporei non stanno in un determinato luogo nel modo ordinario e comune che noi conosciamo. Tuttavia essi occupano il luogo in una maniera speciale che si addice alle sostanze spirituali, ma che noi mal riusciamo a comprendere.

2. La convenienza o somiglianza di una cosa con un'altra può essere di due specie. La prima si ha per la partecipazione di una medesima qualità: i corpi caldi, p. es., sono affini per il calore. E naturalmente questa affinità non si può verificare nello cose incorporee rispetto al luogo corporeo o materiale. La seconda somiglianza invece nasce da una certa analogia di proporzionalità, mediante la quale nella sacra Scrittura si applicano in senso metaforico le cose materiali a quelle spirituali: in tal modo Dio è chiamato sole, perché egli è principio della vita spirituale, come il sole lo è di quella materiale. Ed è appunto in questo senso che certe anime meglio convengono a determinati luoghi corporali: così alle anime illuminate spiritualmente convengono i corpi luminosi, ed a quelle ottenebrate dalla colpa i luoghi tenebrosi.

3. L'anima separata non riceve direttamente alcun influsso dai luoghi materiali, a differenza dei corpi che al luogo connaturale devono la conservazione; ma le stesse anime separate, dal fatto che sanno di essere destinate a tali luoghi ne ricevono gioia o tristezza; ed in questo senso anche il luogo contribuisce alla loro pena o al loro premio.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > La dimora delle anime dopo la morte > Se le anime siano destinate al ciclo o all'inferno subito dopo la morte


Supplemento
Questione 69
Articolo 2

SEMBRA che subito dopo la morte le anime non raggiungano il cielo o l'inferno, infatti:
1. La Glossa, commentando quel versetto del Salmo: "Ancora un poco e l'empio non sarà", dice che "i santi saranno liberati alla fine del mondo"; ma dopo questa vita tu non sarai dove saranno i santi, ai quali sarà detto: "Venite, benedetti dal Padre mio". Ma quei santi sono destinati al cielo. Quindi i santi non vanno subito in cielo, dopo questa vita.

2. S. Agostino dice che "nel periodo che intercorre tra la morte e l'ultima resurrezione dell'uomo, l'anima se ne sta in misteriose dimore, a seconda che essa è degna di pace o di dolore". Ma queste dimore misteriose non si possono identificare col cielo o con l'inferno, perché anche dopo l'ultima resurrezione le anime saranno là insieme ai loro corpi: e allora sarebbe stato inutile distinguere il tempo che precede da quello che segue la resurrezione. Quindi le anime non andranno né all'inferno, né in paradiso prima del giorno del giudizio.

3. È più grande la gloria dell'anima che quella dei corpi. Ma la gloria dei corpi sarà data a tutti insieme, affinché dal gaudio comune ne risulti più grande la gioia dei singoli, come è chiaro da ciò che dice la Glossa: "Affinché nel comune gaudio di tutti, sia più grande il gaudio di ognuno". Perciò a maggior ragione si deve differire alla fine del mondo la gloria delle anime in modo da concederla a tutte insieme.

4. Il premio o la pena che si danno mediante la sentenza del giudice non devono precedere il giudizio. Ora, il fuoco dell'inferno o il gaudio del paradiso saranno dati a tutti per mezzo della sentenza di Cristo Giudice nell'ultimo giudizio, come è chiaro dalle parole evangeliche. Quindi, prima del giorno del giudizio, nessuno ascende in cielo o discende all'inferno.

IN CONTRARIO: 1. S. Paolo afferma: "Se l'abitazione nostra terrestre sarà disfatta, avremo una casa non manufatta, preparata nei cieli". Quindi, l'anima libera dai lacci della carne ha una dimora preparata nei cieli.

2. Dice ancora l'Apostolo: "Desidero andarmene ed essere con Cristo"; per cui conclude S. Gregorio: "Chi non dubita della presenza di Cristo in Cielo, neppure può negare che vi sia l'anima di S. Paolo". Ma siccome non possiamo negare che Cristo sia in cielo, perché è un articolo di fede, neanche è lecito dubitare che le anime dei santi siano portate in cielo. - Che poi vi siano delle anime che immediatamente dopo la morte discendono all'inferno, è chiaro da quanto dice Luca: "Morì anche il ricco e fu sepolto all'inferno".

RISPONDO: Come i corpi tendono al proprio luogo, che è il fine del loro moto, secondo la gravità o la leggerezza, così le anime giungono al premio o alla pena, fine delle loro azioni, per il merito o il demerito. Quindi, come i corpi, se non ne sono impediti, subito tendono al proprio luogo; così le anime, libere dai legami della carne, che le tratteneva allo stato di viatrici, subito ricevono il premio o la pena se non ne sono impedite. L'impedimento al premio può provenire talvolta dal peccato veniale che prima deve essere scontato. Ma poiché l'ultima dimora è connessa col premio o con la pena, appena liberata dal corpo, l'anima è sprofondata nell'inferno, o se ne vola al cielo; a meno che non ne sia impedita da qualche reato che richieda la sua purificazione.
Questa verità è comprovata dalla Sacra Scrittura e dagli scritti dei santi Padri; perciò sarebbe eretico pensare il contrario, come è chiaro in S. Gregorio e nel De Ecclesiasticis Dogmatibus.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La Glossa spiega se stessa, aggiungendo subito: "Cioè non avrai duplice stola come i Santi nella resurrezione finale".

2. Tra queste misteriose dimore di cui parla S. Agostino, sono compresi l'inferno e il paradiso, nei quali certe anime vengono a trovarsi prima della resurrezione. Ma egli distingue il tempo che precede la resurrezione da quello che segue, sia perché prima della resurrezione le anime sono in quelle dimore senza il corpo, dopo invece avranno anche quello, sia perché in certe dimore [ultraterrene] le anime non ci saranno più dopo la resurrezione.

3. In relazione al corpo, gli uomini hanno fra loro un certo legame di continuità, perché è vero ciò che leggiamo negli Atti: "Dio fece da uno solo tutto il genere umano". Le anime invece sono state plasmate una per una. Perciò la congruenza che tutti gli uomini risorgano insieme nel corpo è molto più grande di quanto non sia quella che vorrebbe tutti gli nomini glorificati insieme anche nell'anima. Quindi per i santi sarebbe maggior danno il ritardo nella gloria dell'anima di quanto non sia invece il ritardo di quella del corpo. Né questa lacuna sarebbe colmata dal fatto che i singoli avrebbero un maggior gaudio dalla gioia di tutti.

4. L'obbiezione è posta da S. Gregorio e dallo stesso è risolta: "Se dunque", egli dice, "le anime dei giusti sono già in cielo, che cosa potranno ricevere in premio della loro giustizia nel giorno del giudizio?". E risponde: "Nel giorno del giudizio avranno un aumento di beatitudine; la quale, mentre attualmente è goduta soltanto dall'anima, dopo sarà partecipata anche ai corpi: affinché essi godano anche nella loro carne nella quale per amore del Signore sopportarono travagli e martiri". Lo stesso argomento vale analogamente per i dannati.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > La dimora delle anime dopo la morte > Se le anime del paradiso o dell'inferno possano uscirne


Supplemento
Questione 69
Articolo 3

SEMBRA che le anime del paradiso o dell'inferno non possano uscirne.
Infatti:
1. Dice S. Agostino: "Se le anime dei defunti si potessero occupare delle cose dei vivi, la mia santa madre per non parlare di altri non mi lascerebbe solo neppure una notte; lei che mi ha seguito per mare e per terra pur di vivere assieme a me"; e ne conclude che le anime dei defunti non prendono parte agli affari dei vivi. Ma esse potrebbero prendervi parte se potessero uscire dalle loro dimore. Dunque non possono uscirne.

2. Il Salmista pregava: "...perché io abiti nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita". E in Giobbe si legge: "Chi sarà disceso agli inferi non ne risale". Quindi tanto i buoni che i cattivi non escono mai dalle loro dimore.

3. Abbiamo visto sopra che dopo la morte alle anime verranno assegnate delle dimore in premio o in pena. Ma dopo la morte non diminuiscono né i premi dei santi, né le pene dei dannati. Quindi essi non escono dalle loro dimore.

IN CONTRARIO: 1. S. Girolamo così redarguisce Vigilanzio: "Tu affermi che le anime degli apostoli e dei martiri han preso dimora, o nel seno d'Abramo, o nel luogo di riposo, o sotto l'altare di Dio, e che esse non possono quando vogliono essere presenti presso le proprie tombe. E così tu vuoi dettar legge a Dio! Vuoi mettere le catene agli apostoli, condannandoli al carcere fino al giorno del giudizio, in modo che non possano stare col loro Signore quelli di cui è scritto che 'seguono l'Agnello dovunque egli vada'. Ma se l'Agnello è dovunque, bisogna ritenere che anche quelli che lo accompagnano sono da per tutto". È quindi ridicolo affermare che le anime non escono dalle loro dimore.

2. Inoltre, nello stesso luogo, S. Girolamo dice: "Se il diavolo e i demoni scorrazzano in tutto il mondo e sono presenti ovunque con incredibile velocità, perché i martiri, che hanno profuso il loro sangue dovrebbero rimanere tappati nel loro sepolcro senza poterne uscire?". Dal quale argomento si può concludere che non soltanto i buoni, ma anche i cattivi escano talvolta dalle loro dimore, in quanto la loro dannazione non è più grande di quella dei demoni, i quali scorrazzano ovunque.

3. La stessa verità si può provare dai Dialoghi di S. Gregorio, dove si raccontano molte apparizioni dei defunti.

RISPONDO: Dal paradiso o dall'inferno si può uscire in due modi: primo, abbandonando del tutto quei luoghi per avere altra dimora, e in tal senso, come in appresso si dirà, nessuno, destinato definitivamente al paradiso o all'inferno può uscirne. Ma si può pensare anche ad una sortita provvisoria; ed in questo caso bisogna distinguere ciò che conviene alle anime secondo la legge naturale, da ciò che conviene secondo l'ordine della divina provvidenza; perché come dice S. Agostino "altri sono i limiti delle umane cose, altri i segni della potenza divina: altra cosa ciò che avviene naturalmente, altra ciò che avviene in modo miracoloso".
Orbene, dal punto di vista puramente naturale le anime separate e destinate già alle proprie dimore, sono assolutamente estranee alla compagnia dei viventi. Infatti, gli uomini, che tuttora vivono nel loro corpo, non possono comunicare direttamente con gli esseri spirituali, perché ogni nostra cognizione scaturisce dai sensi: e d'altra parte quelli dovrebbero uscire dalle proprie dimore solo per prender parte alle umane vicende.
Ma per disposizione della divina provvidenza, talvolta le anime separate escono dalla loro dimora per apparire agli uomini; come S. Felice martire apparve visibilmente agli abitanti di Nola, a quanto narra S. Agostino, mentre erano assediati dai barbari. E si può ritenere che talvolta sia concesso anche ai dannati di apparire ai vivi per ammaestrarli o per spaventarli, oppure per chiedere suffragi, se si tratta di anime che si trovano in purgatorio, come è chiaro dalla lunga trattazione in merito che troviamo in S. Gregorio. Ma c'è una differenza tra i santi e i dannati, che i primi possono apparire quando vogliono, i secondi no. Infatti, come i santi, mentre sono tuttora in vita, ricevono, come grazia carismatica, il dono dei miracoli, che solo la potenza divina può fare, e non quelli che sono privi di questo dono, così non c'è nulla di sconveniente che in virtù della loro gloria, si conceda ai santi la facoltà di poter apparire ai vivi quando vogliono; mentre gli altri appariscono solo quando Dio lo permette.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino, come è chiaro dal contesto, si riferisce al comune ordine di natura. Non segue però che i morti, pur potendo apparire quando vogliono, di fatto appariscono con la stessa frequenza di quando erano in vita; perché i disincarnati o si conformano in tutto al divino volere, in modo che non è loro permesso di fare se non quello che essi intuiscono conforme alle divine disposizioni; oppure sono talmente afflitti dalle pene, da pensare più alla propria miseria che a fare delle apparizioni agli altri.

2. I testi addotti si riferiscono all'uscita definitiva dal paradiso o dall'inferno e non a quella provvisoria.

3. Come è stato detto sopra, il luogo destinato alle anime ridonda in premio o in pena delle stesse in quanto ne ricevono gioia o dolore. Questa gioia o questo dolore non cessano però nell'anima che esce da tali luoghi; come il prestigio di un vescovo, che in chiesa ha la cattedra quale posto onorifico, non diminuisce affatto quando se ne allontana; perché anche se lui non vi siede attualmente quel luogo gli compete per diritto.

Bisogna rispondere ancora agli argomenti in contrario:
1. S. Girolamo tratta di ciò che forma la sovrabbondanza della gloria eterna degli apostoli e dei martiri e non di ciò che loro conviene per natura. E quando afferma che essi sono dovunque, non vuol dire che si trovino nello stesso momento in più luoghi o dovunque, ma che essi possono essere presenti dove vogliono.

2. La posizione dei demoni o degli angeli non è la stessa delle anime beate o dannate. Infatti gli angeli, buoni o cattivi, hanno sugli uomini la missione di vigilarli o di provarli. Ma questo non si può dire delle anime dei santi: alla cui gloria però compete la facoltà di essere presente dove vogliono. Ed è questo che voleva dire S. Girolamo.

3. Sebbene talvolta le anime dei santi o dei dannati siano presenti dove appariscono visibilmente, non bisogna credere che ciò avvenga sempre. Talvolta infatti codeste apparizioni avvengono, durante il sonno o la veglia, per opera dei buoni o cattivi spiriti, per istruire o per ingannare i vivi. Anzi si da' il caso che appariscano anche i vivi e dicano agli altri tante cose durante il sonno, senza naturalmente essere presenti, come S. Agostino dimostra con numerosi esempi.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > La dimora delle anime dopo la morte > Se il limbo degl'inferi sia da identificarsi col seno di Abramo


Supplemento
Questione 69
Articolo 4

SEMBRA che il limbo non sia da identificarsi col seno di Abramo.
Infatti:
1. Scrive S. Agostino: "Non ho mai trovato che la parola inferi sia stata usata dalla Scrittura in senso buono". Ma il seno di Abramo è preso in senso buono, come soggiunge lo stesso Santo: "Non credo si possa tollerare che non sia da prendersi in senso buono il seno di Abramo e quel luogo di pace dove fu portato dagli angeli il pio povero [Lazzaro]". Dunque il seno di Abramo non s'identifica con il limbo degli inferi.

2. Quelli che sono all'inferno non vedono Dio, come è chiaro da quelle parole di S. Agostino: "Checché voglia significare l'espressione il seno di Abramo, certo è che là vive il mio caro Nebridio"; e ancora: "Egli ormai non porge più alla mia bocca l'orecchio; ma sì la bocca sua spirituale porge alla fonte e beve a suo potere e a suo talento della tua sapienza, senza fine beato". Perciò il limbo infernale non si identifica col seno di Abramo.

3. La Chiesa non prega perché qualcuno vada all'inferno. Eppure supplica nelle esequie che gli angeli portino l'anima del defunto nel seno di Abramo. Quindi il seno di Abramo non è la stessa cosa del limbo.

IN CONTRARIO: 1. Il seno di Abramo è quel luogo dove fu condotto il povero Lazzaro; ma Lazzaro fu portato all'inferno; infatti, commentando le parole di Giobbe, "Dove è stata costruita la casa per tutti i viventi", la Glossa dice che "gli Inferi erano la dimora di tutti i viventi, prima della venuta di Gesù Cristo"; perciò il seno di Abramo va identificato con il limbo.

2. Un altro argomento lo troviamo nelle parole di Giacobbe ai suoi figli: "Farete discendere con dolore la mia canizie agli inferi". Quindi Giacobbe sapeva che morendo sarebbe disceso agli inferi. Ma per lo stesso motivo là fu portato anche Abramo dopo la morte. Dunque il seno di Abramo non è altro che un reparto dell'inferno.

RISPONDO: L'anima umana, dopo la morte, non può giungere allo stato di quiete se non per merito della fede; poiché "per avvicinarsi a Dio, è necessario credere". Ora, il prototipo di questa fede gli uomini lo hanno in Abramo, che per primo si segregò dalla massa degli infedeli ed ebbe da Dio un particolare "riconoscimento per la sua fede". Ecco perché quella pace che è elargita agli uomini dopo la morte, si chiama seno di Abramo, come dichiara S. Agostino.
Ma le anime sante non ebbero in ogni tempo la stessa pace. Perché, dopo la morte di Cristo, hanno pace perfetta, in quanto godono la visione di Dio. Prima invece l'avevano perché libere dalle pene, ma senza l'appagamento di ogni desiderio, per il fine raggiunto. Perciò prima di Cristo, lo stato dello anime sante in rapporto a quel che aveva di pace si chiamava "seno di Abramo", ma per quel che a questa pace mancava era detto "limbo infernale".
Quindi, prima di Cristo il limbo infernale e il seno di Abramo formavano, solo occasionalmente, non già essenzialmente, la stessa cosa. Perciò niente impedisce che dopo la venuta di Cristo il seno di Abramo sia del tutto diverso dal limbo, perché quelle cose che sono unite occasionalmente possono separarsi tra loro.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Lo stato dei santi patriarchi per quanto vi era di bene si chiamava "seno di Abramo"; ma per quel che vi era di imperfezione si denominava "inferno". Perciò il seno di Abramo non è preso in senso cattivo, e neppure l'inferno in senso buono, benché in qualche modo siano la stessa cosa.

2. Il luogo di riposo dei santi patriarchi è chiamato seno di Abramo prima e dopo la venuta di Cristo; ma con significati diversi. Poiché la pace dei santi, prima della venuta di Cristo, essendo difettosa, si chiamava, indifferentemente inferno o seno d'Abramo, mancando in essa la visione di Dio. Siccome invece, dopo quella venuta, la pace dei giusti è perfetta, per la visione di Dio, può chiamarsi ancora seno di Abramo, ma non inferno. La Chiesa perciò prega che a questo seno d'Abramo siano condotti i suoi fedeli.

3. La risposta alla terza obiezione è quindi ovvia. E in tal senso va intesa la Glossa alle parole di S. Luca: "Avvenne che morì anche il mendico ecc.": "Il seno di Abramo è il luogo di pace dei poveri beati, dei quali è il regno dei cieli".



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > La dimora delle anime dopo la morte > Se il limbo si identifichi con l'inferno dei dannati


Supplemento
Questione 69
Articolo 5

SEMBRA che il limbo si identifichi con l'inferno dei dannati. Infatti:
1. È detto che Cristo "ha morso" l'inferno, non che l'ha assorbito: perché ne tirò fuori solo alcuni e non tutti quelli che c'erano. L'espressione non sarebbe valida se i liberati da lui non avessero fatto parte della moltitudine che si trovava all'inferno. Ma siccome quelli che egli liberò erano nel limbo dell'inferno, è chiaro che essi stavano e nel limbo e nell'inferno. Quindi ne segue che il limbo è lo stesso che l'inferno o ne è una parte.

2. Nel Credo si dice che Cristo "discese all'inferno". Ma si sa bene che egli discese nel limbo dei patriarchi; quindi codesto limbo si identificava con l'inferno.

3. Sta scritto in Giobbe: "Tutte le mie cose scenderanno nell'inferno più profondo". Ora, il Santo e giusto Giobbe discese al limbo. Dunque il limbo si identifica con l'inferno più profondo.

IN CONTRARIO: "Nell'inferno non c'è redenzione alcuna". Siccome invece i santi furono redenti dal limbo, è chiaro che questo non è l'inferno.

2. Si legge in S. Agostino: "Come si possa pensare che quella pace", concessa a Lazzaro, "si trovi all'inferno, io non riesco a capirlo". Ma l'anima di Lazzaro discese al limbo. Perciò il limbo e l'inferno non sono la stessa cosa.

RISPONDO: Le dimore delle anime si possono distinguere per la loro ubicazione, o per la loro qualità, cioè in quanto sono destinate al premio o al castigo. In questo ultimo senso non c'è dubbio che il limbo dei patriarchi è distinto dall'inferno; sia perché nell'inferno c'è la pena del senso, che non esiste nel limbo, sia perché nell'inferno la pena è eterna, mentre nel limbo i santi erano trattenuti solo per un certo tempo.
Ma rispetto all'ubicazione, è probabile che l'inferno e il limbo abbiano lo stesso luogo, o luoghi quasi contigui, in maniera però che una certa parte superiore dell'inferno si chiami limbo dei Patriarchi. I dannati infatti patiscono una pena proporzionata alla diversità della loro colpevolezza. Perciò quanto più i loro peccati sono gravi, tanto più profondo e più oscuro sarà il luogo assegnato nell'inferno. Dunque ai santi Patriarchi, oberati da minime colpe, dovette essere riservato un posto più in alto e meno tenebroso di tutti gli altri che quivi sono puniti.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si può dire che Cristo ha morso l'inferno e vi è disceso a liberare i patriarchi, per il fatto che l'inferno e il limbo hanno la stessa ubicazione.

2. La stessa risposta vale per questa seconda difficoltà.

3. Giobbe non discese all'inferno dei dannati, ma al limbo dei patriarchi, che è chiamato "luogo profondissimo", non perché luogo di pena ma per connessione con gli altri luoghi, poiché in esso ai suole includere ogni luogo di pena.
Oppure si può spiegare il passo citato con l'esposizione di S. Agostino: "Giacobbe, dicendo ai figli, 'Farete discendere la mia vecchiaia con tristezza all'inferno', sembra aver voluto manifestare la paura di essere talmente afflitto, da temere di non giungere alla pace dei giusti e di dover andare invece nell'inferno dei reprobi". Allo stesso modo si possono interpretare le parole di Giacobbe, ritenendole, non tanto un'asserzione, quanto piuttosto la manifestazione di un timore.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > La dimora delle anime dopo la morte > Se il limbo dei bambini si identifichi con quello dei patriarchi


Supplemento
Questione 69
Articolo 6

SEMBRA che il limbo dei bambini si identifichi con quello dei patriarchi. Infatti:
1. La pena deve essere proporzionata alla colpa. Ora, la colpa che teneva prigionieri i patriarchi e i bambini era la stessa, cioè la colpa originale. Quindi identico deve essere il luogo di pena per gli uni e per gli altri.

2. S. Agostino afferma che "la pena dei bambini che muoiono col solo peccato originale è mitissima". Ora nessuna pena è più mite di quella subita dai patriarchi. Dunque è identico il luogo della loro pena.

IN CONTRARIO: Come per il peccato attuale c'è una pena temporale in purgatorio e una eterna nell'inferno, così per il peccato originale vi era una pena temporale nel limbo dei patriarchi e ve n'è una eterna nel limbo dei bambini. Perciò come non si identificano l'inferno e il purgatorio, così neppure il limbo dei bambini e quello dei patriarchi.
Circa l'identità di luogo dell'inferno con quello del purgatorio, abbiamo già trattato in precedenza.

RISPONDO: Il limbo dei patriarchi e quello dei bambini sono indubbiamente diversi riguardo alla qualità del premio o della pena. Infatti i bambini sono privi di quella speranza di beatitudine che avevano i patriarchi, insieme alla luce della fede e della grazia. Ma riguardo all'ubicazione, si ritiene che probabilmente sia la stessa: solo che il limbo dei patriarchi era ancora al disopra del limbo dei bambini, cioè, stando alle spiegazioni date, tutto il limbo è la parte superiore dell'inferno.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I patriarchi e i bambini non hanno la stessa relazione col peccato originale. Nei patriarchi la colpa originale era già stata espiata, per quel che contaminava la loro persona, pur rimanendo nell'umana natura un impedimento non ancora perfettamente soddisfatto. Nei bambini invece c'è un duplice impedimento: personale e naturale. Ecco perché dovevano esser destinate dimore differenti ai bambini e ai patriarchi.

2. S. Agostino parla di castighi dovuti alle singole persone, tra i quali il più piccolo è quello del solo peccato originale. Ma c'è un castigo anche più mite ed è quello di coloro che sono impediti di possedere la gloria non da menomazioni personali, bensì da una menomazione di natura, riducendosi la pena alla sola privazione della gloria.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > La dimora delle anime dopo la morte > Se sia necessario distinguere tutte queste dimore


Supplemento
Questione 69
Articolo 7

SEMBRA che non sia necessario distinguere tutte queste dimore. Infatti:
1. Le dimore vengono attribuite alle anime dei trapassati in rapporto non solo al peccato, ma anche al merito. Ma per il merito non c'è che una dimora, cioè il paradiso. Quindi anche per i peccati basta una sola dimora.

2. La destinazione delle anime alle diverse dimore dopo la morte avviene secondo il merito o demerito. Ma il luogo per acquistare meriti o demeriti è uno solo. Perciò ci deve essere per le anime un solo luogo, anche dopo la morte.

3. I luoghi di pena devono corrispondere alle colpe. Ora, le colpe sono soltanto di tre specie: originale, veniale e mortale. Dunque tre devono essere i luoghi di pena.

IN CONTRARIO: Sembra che non bastino le dimore generalmente ammesse, ma ce ne vogliano molte di più. Quest'aria tenebrosa, p. es., è il carcere dei demoni, come scrive S. Pietro. E tuttavia essa non è computata tra le cinque dimore suddette. Dunque i regni d'oltretomba devono essere più di cinque.

2. Il paradiso terrestre è distinto da quello celeste. Ma alcuni, dopo questa vita, sono stati trasferiti al paradiso terrestre, come si dice di Enoc e di Elia. Quindi, non essendo il paradiso terrestre computato tra le suddette cinque dimore, queste devono essere più di cinque.

3. Ad ogni genere di peccatori deve corrispondere un particolare luogo di pena. Ma, nell'ipotesi che uno, contaminato dal peccato originale, muoia col solo peccato veniale, non troverebbe un luogo dove stare. Infatti non potrebbe andare in paradiso né al limbo dei patriarchi perché privo della grazia. Ma neppure potrebbe andare nel limbo dei bambini, dove non c'è pena sensibile, dovuta al peccato veniale. Non in purgatorio, dove la pena è solo temporanea, mentre a lui spetta una pena eterna. Mancando poi il peccato mortale, non può andare all'inferno. Bisogna quindi ammettere una sesta dimora.

4. La gravità delle pene dipende dalla diversità delle colpe e dei meriti. Ma i gradi dell'una e degli altri sono infiniti. Dunque bisogna che ci siano infinite dimore, per punire o premiare le anime dopo la morte.

5. Talvolta la punizione delle anime avviene nei luoghi stessi dove peccarono, come è chiaro da quel che racconta S. Gregorio. Ma esse peccarono dove noi abitiamo. Perciò tra i luoghi d'oltretomba bisogna metterci anche questa terra: tanto più che alcuni, come afferma più sopra il Maestro [delle Sentenze] sono puniti anche in questo mondo per i loro peccati.

6. Alcuni, che muoiono in grazia, hanno delle venialità le quali sono degne di pena; ma altri, pur morendo in peccato mortale, hanno dei meriti, per i quali dovrebbero ricevere un premio. Ora, per quelli che muoiono in grazia col peccato veniale c'è un luogo, in cui vengono puniti prima di ricevere il premio, cioè il purgatorio. Quindi ci deve essere un luogo anche per quelli che muoiono in peccato mortale, ma con qualche opera buona.

7. I patriarchi, come prima della venuta di Cristo erano in attesa della gloria perfetta dell'anima, così ora sono in attesa della gloria del loro corpo, quindi, allo stesso modo che si ammette un luogo per i santi, prima della venuta di Cristo, diverso da quello in cui ora si trovano, cosi si deve ammettere per loro un luogo, diverso dal presente, sul quale si troveranno dopo la resurrezione.

RISPONDO: Le dimore vanno distinte in base allo stato delle anime. L'anima che è unita al corpo mortale è in grado di meritare; libera da questo è in grado di ricevere il premio o la pena secondo i meriti. Quindi, dopo la morte, l'anima è in grado di ricevere il premio finale, oppure ne è impedita. Se può ricevere la retribuzione finale, due sono i casi: o merita il premio, e allora c'è il paradiso: o merita il castigo, e allora, per la colpa attuale, c'è l'inferno; altrimenti, per il peccato originale, il limbo dei bambini. Se invece c'è qualche impedimento a ricevere la retribuzione finale, questo può dipendere da una colpa personale, e allora c'è il purgatorio, in cui vanno le anime che non possono conseguire subito il premio a causa dei peccati commessi; oppure l'impedimento è nella natura, e allora c'è il limbo dei patriarchi, dove erano trattenute le anime in attesa di raggiungere la gloria, perché il peccato dell'umana specie non si poteva ancora espiare.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. "Il bene avviene in una sola maniera, il male in tanti modi", come Dionigi e Aristotele dimostrano. Quindi, nulla di strano, se il luogo del premio eterno è uno solo e i luoghi di pena siano invece molti.

2. Lo stato di merito e di demerito è uno solo: perché chi può meritare può anche demeritare. Perciò è giusto che ci sia per questo un solo luogo per tutti. Invece gli stati dei premiati o dei puniti sono diversi. Perciò il paragone non regge.

3. Per la colpa originale si può essere puniti in due maniere, come è stato dichiarato sopra: a titolo personale, o soltanto a motivo della natura. Di qui la necessità di un doppio limbo per quell'unica colpa.

4. L'aere tenebroso non è assegnato ai demoni come luogo di retribuzione per i meriti, ma solo come luogo conveniente al loro ufficio, che è quello di metterci alla prova. Perciò non è compreso tra i luoghi dei quali trattiamo; ché ai demoni spetta innanzi tutto il fuoco dell'inferno, come è chiaro dal Vangelo.

5. Il paradiso terrestre più che per i trapassati da rimunerare era adatto per lo stato dei viatori. Ecco perché non è compreso tra i luoghi dei quali ora trattiamo.

6. L'ipotesi è assurda. Ma, ammettendola come possibile, costui sarebbe punito nell'inferno per tutta l'eternità. Poiché se il peccato veniale è punito in purgatorio, ciò si deve al fatto che occasionalmente è unito con lo stato di grazia. Se infatti è unito al peccato mortale, e quindi senza la grazia, allora è punito all'inferno con la pena eterna.

7. Le diversità di grado nella pena o nel merito non costituiscono stati diversi in base ai quali si distinguono le varie dimore. Perciò la ragione addotta non vale.
8. Se talvolta le anime separate sono punite nei luoghi abitati da noi, ciò non avviene perché codesti siano specifici luoghi di pena: ma solo per nostro ammaestramento; affinché conoscendo le loro pene ci teniamo lontani dalla colpa. L'esempio delle anime, punite per i loro peccati nello stato di unione col corpo, non fa a proposito. Perché quella pena non modifica lo stato di merito o di demerito dell'uomo; e noi ora trattiamo delle dimore destinate alle anime dopo lo stato predetto.

9. Il male non può mai essere assoluto, senza alcuna mescolanza di bene, mentre invece il bene può essere senza alcuna mescolanza di male. Perciò quelli che sono destinati alla beatitudine, cioè al sommo bene, devono essere purificati da ogni male. E quindi deve esserci un luogo in cui vengono purificati quelli che muoiono non completamente puri. Quelli invece che saranno imprigionati nell'inferno non saranno privi di ogni bene. Quindi non vale il paragone: perché i dannati possono ricevere il premio delle opere buone da essi fatte in passato con una mitigazione della pena.

10. La gloria dell'anima costituisce il premio essenziale; quella del corpo invece, derivando dall'anima, è radicalmente tutta nella stessa anima. Perciò mentre la mancata gloria dell'anima costituisce uno stato, non lo costituisce la mancata gloria del corpo.
Ecco perché uno solo è il luogo per le anime sante liberate dal corpo e per quelle riunite al corpo glorioso, cioè il cielo empireo. Invece non poteva essere unico il luogo destinato alle anime dei patriarchi prima e dopo il conseguimento della gloria.

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