Sup, 6

Terza parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Necessità della confessione


Supplemento
Questione 6
Proemio

Passiamo ora a parlare della confessione. In proposito esamineremo sei argomenti: primo, la necessità della confessione; secondo, la natura di essa; terzo, il suo ministro; quarto, la sua qualità; quinto, i suoi effetti; sesto, il segreto della confessione.
Sul primo argomento si pongono sei quesiti:

1. Se la confessione sia necessaria per salvarsi;
2. Se sia di diritto naturale;
3. Se tutti siano tenuti alla confessione;
4. Se si possa confessare un peccato che non si è commesso;
5. Se i peccati si sia tenuti a confessarli immediatamente;
6. Se si possa mai dispensare una persona dal confessarsi a un uomo.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Necessità della confessione > Se la confessione sia necessaria per salvarsi


Supplemento
Questione 6
Articolo 1

SEMBRA che la confessione non sia necessaria per salvarsi. Infatti:
1. Il sacramento della penitenza è ordinato alla remissione della colpa. Ma la colpa viene rimessa efficacemente dall'infusione della grazia. Dunque per la penitenza dei peccati non è necessario confessarli.

2. Ad alcuni furono rimessi i peccati, senza nessun accenno alla loro confessione: ciò è evidente nel caso di S. Pietro, della Maddalena e di S. Paolo. - Ora, la grazia che rimette i peccati adesso non è meno efficace che per il passato. Quindi anche adesso non è necessario alla salvezza che uno confessi i peccati.

3. Una colpa contratta per l'influsso di altri, da altri può ricevere un rimedio. Perciò il peccato attuale, che ciascuno commette con i propri atti, deve ricevere il rimedio solo da chi lo commette. Ma contro tale peccato è ordinata la penitenza. Dunque la confessione non è indispensabile alla penitenza.

4. In giudizio la confessione è richiesta per poter infliggere alla colpa una pena proporzionata. Ma uno può da se stesso infliggersi una pena più grave di quella inflitta da altri. Perciò la confessione non è indispensabile per salvarsi.

IN CONTRARIO: 1. Boezio scrive: "Se attendi l'opera del medico, è necessario che tu riveli la malattia". Ma per l'uomo è necessario alla salvezza ricevere la medicina dei peccati. Dunque è indispensabile alla salvezza svelare la malattia con la confessione.

2. Nei tribunali civili l'identica persona non può essere giudice e reo. Ora, il tribunale spirituale è anche più ordinato. Quindi il peccatore, che è il reo, non può esser giudice di se stesso, ma va giudicato da un altro. Perciò egli è tenuto a confessarsi.

RISPONDO: La passione di Cristo, senza la cui virtù non può essere perdonato il peccato né originale né attuale, opera in noi mediante la pratica dei sacramenti, che da essa ricevono la loro efficacia. Quindi per la remissione della colpa, sia attuale che originale, si richiedono i sacramenti della Chiesa, ricevuti o di fatto o col desiderio, "quando cause di necessità, e non il disprezzo, escludono il sacramento". Perciò quei sacramenti che sono ordinati a cancellare la colpa, incompatibile con la salvezza, sono indispensabili per salvarsi. Quindi come il battesimo, fatto per cancellare il peccato originale, così anche il sacramento della penitenza è necessario alla salvezza. E come chiedendo il battesimo uno si sottomette ai ministri della Chiesa, cui appartiene l'amministrazione dei sacramenti; così confessando i propri peccati uno si sottomette al ministro della Chiesa, per conseguire la remissione mediante il sacramento della penitenza da questi amministrato. Il ministro può infatti applicare il rimedio solo conoscendo il peccato; il che avviene mediante la confessione del peccatore. Ecco perché la confessione è indispensabile alla salvezza per colui che è caduto in un peccato mortale attuale.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'infusione della grazia basta certo a rimettere i peccati, ma dopo la remissione della colpa il peccatore rimane con un debito di pena temporale. All'infusione della grazia però sono ordinati i sacramenti della grazia: perciò prima di riceverli, o di fatto, o nel desiderio, non si consegue la grazia, com'è evidente nel caso del battesimo. Lo stesso vale anche per la confessione. Inoltre la pena temporale viene espiata mediante la vergogna della confessione, il potere delle chiavi cui il penitente si sottomette, e la soddisfazione, che viene imposta dal sacerdote secondo la gravità dei peccati a lui svelati mediante la confessione.
Tuttavia la confessione deve la sua indispensabilità come mezzo di salvezza non al fatto che giova a rimettere la pena. Poiché questa pena, cui uno resta obbligato dopo la remissione della colpa, è temporale; perciò senza espiarla in questa vita, uno già sarebbe salvo. Ma essa deve tale indispensabilità al fatto che interviene nella remissione della colpa nel modo suddetto.

2. Sebbene niente si legga nella Scrittura circa la confessione di costoro, tuttavia potrebbe anche esserci stata: "molte infatti sono le cose che non furono scritte". - Inoltre Cristo aveva sui sacramenti un potere di eccellenza. Quindi poteva conferire la grazia del sacramento senza gli atti requisiti per il sacramento.

3. Il peccato contratto da altri, ossia quello originale, può ricevere un rimedio dall'esterno, com'è evidente nel caso dei bambini: ma il peccato attuale, che uno ha commesso da se stesso, non può essere espiato senza la cooperazione del peccatore. Questi però non basta da solo a espiarlo, come bastò invece per commetterlo: perché se dal lato della conversione, da cui il peccato fu sollecitato a commetterlo, il peccato è qualche cosa di finito, dal lato dell'aversione esso è infinito. Ed è da questo che deve iniziare la remissione del peccato; poiché, come dice Aristotele, "quanto è ultimo nella generazione è primo nella distruzione" di una cosa. Ecco perché anche il peccato attuale deve ricevere la medicina da altri.

4. La soddisfazione non sarebbe sufficiente ad espiare la pena dovuta al peccato per la gravità dell'opera imposta; ma è sufficiente in quanto è elemento e parte del sacramento che riveste una virtù sacramentale. Ecco perché deve essere imposta da chi amministra i sacramenti. E quindi è necessaria la confessione.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Necessità della confessione > Se la confessione sia di diritto naturale


Supplemento
Questione 6
Articolo 2

SEMBRA che la confessione sia di diritto naturale. Infatti:
1. Adamo e Caino non erano tenuti che ai precetti di legge naturale. Ora, essi vengono ripresi perché non confessarono il loro peccato. Dunque la confessione dei peccati è di legge naturale.

2. I precetti dell'antica legge che perdurano nella nuova sono di diritto naturale. Ma la confessione esisteva già nell'antica legge, secondo l'accenno di Isaia: "Racconta, se hai qualche cosa per giustificarti". Essa quindi è di diritto naturale.

3. Giobbe non era soggetto che alla legge naturale. Eppure egli confessava i suoi peccati, come risulta dalle sue stesse parole: "Io non nascosi, come fa l'uomo, il mio peccato". Quindi confessare i peccati è di legge naturale.

IN CONTRARIO: 1. S. Isidoro afferma, che "il diritto naturale è identico presso tutti". La confessione invece non si riscontra identica per tutti. Quindi non è di diritto naturale.

2. La confessione si fa a chi ha il potere delle chiavi. Ma le chiavi della Chiesa non sono un'istituzione di diritto naturale. Quindi neppure la confessione.

RISPONDO: I sacramenti sono delle proteste di fede: essi quindi devono essere proporzionati alla fede. Ma la fede è superiore alla conoscenza della ragione naturale. Perciò i sacramenti sono superiori al dettame della ragione naturale. E poiché il diritto o legge naturale, a detta di Cicerone, è "quanto non fu generato dall'opinione, ma piantato da un'innata forza interiore", i sacramenti non sono di legge naturale, ma di legge divina, superiore a quella naturale. Talora però si parla di legge naturale, nel senso che per ogni cosa può dirsi naturale quanto ad essa viene comandato dal suo Creatore: tuttavia propriamente si dicono naturali le cose che vengono causate dai principi di natura. Ma sono al di sopra della natura le cose che Dio si riserva di compiere da solo senza servirsi della natura: cioè i miracoli, la rivelazione dei misteri, e l'istituzione dei sacramenti. La confessione, quindi, che riveste un'obbligatorietà sacramentale, è di diritto non naturale, ma divino.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Adamo viene rimproverato perché non riconobbe il suo peccato davanti a Dio: infatti la confessione che si fa a Dio col riconoscere il peccato è di diritto naturale. Ma qui parliamo della confessione da farsi all'uomo.
Oppure si può rispondere che nel caso, confessare il proprio peccato era di legge naturale; perché quando uno viene interrogato dal giudice in tribunale, non deve mentire scusando e negando il proprio peccato, come fecero con biasimo Adamo e Caino. Ma la confessione che si fa spontaneamente a un uomo per avere da Dio la remissione dei peccati non è di diritto naturale.

2. I precetti di legge naturale rimangono identici per la legge di Mosè e per la nuova legge. Invece la confessione, sebbene in qualche maniera si riscontri nella legge mosaica, non era obbligatoria allo stesso modo che nella legge nuova e nella legge di natura. Nella legge di natura bastava il riconoscimento interno del proprio peccato davanti a Dio. Invece nella legge di Mosè bisognava protestare la propria colpa con qualche segno esterno, p. es., con l'oblazione di un sacrificio per il peccato, da cui altri potevano arguire che uno era in colpa. Però questi non era tenuto a manifestare il peccato particolare da lui commesso, né le sue circostanze; come invece è necessario nella nuova legge.

3. Giobbe, come nota la Glossa al passo citato, parla della dissimulazione del peccato fatto dal colpevole, negando e scusando la propria colpa.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Necessità della confessione > Se tutti siano tenuti alla confessione


Supplemento
Questione 6
Articolo 3

SEMBRA che non tutti siano tenuti alla confessione. Infatti:
1. A detta di S. Girolamo, "la penitenza è la seconda tavola dopo il naufragio". Ma alcuni dopo il battesimo non hanno subito naufragi. Dunque non occorre per essi la penitenza. Quindi neppure la confessione che è tra le parti della penitenza.

2. In qualsiasi tribunale la confessione va fatta al giudice. Ora, ci sono alcuni che non hanno un giudice sopra di sé. Quindi essi non son tenuti alla confessione.

3. C'è qualcuno che ha soltanto peccati veniali. Ma di essi nessuno è tenuto a confessarsi. Perciò non tutti son tenuti alla confessione.

IN CONTRARIO: 1. La confessione è parte della penitenza assieme alla soddisfazione e alla contrizione. Ora, tutti son tenuti alla contrizione e alla soddisfazione. Dunque tutti son tenuti alla confessione.

2. Ciò inoltre è evidente dal testo dei Canoni, dove si dice che "tutti i fedeli dell'uno e dell'altro sesso, giunti all'età della discrezione son tenuti a confessare i loro peccati".

RISPONDO: Due sono i motivi che possono obbligarci alla confessione. Il primo deriva dalla legge di Dio: per il fatto che essa è una medicina. E da questo lato non tutti son tenuti alla confessione, ma quelli soltanto che sono incorsi nel peccato mortale dopo il battesimo.
Il secondo deriva dal precetto della legge positiva. E da questo lato tutti vi son tenuti per una disposizione ecclesiastica, emanata dal Concilio Ecumenico tenuto sotto Innocenzo III. Sia perché ciascuno si riconosca peccatore: poiché "tutti hanno peccato e hanno bisogno della grazia di Dio". - Sia perché si accostino all'Eucarestia con maggior rispetto. - Sia perché i pastori d'anime conoscano i loro sudditi, sicché il lupo non si nasconda in mezzo al gregge.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In questa vita mortale, sebbene l'uomo dopo il battesimo possa evitare il naufragio dei peccati mortali, tuttavia non può evitare i peccati veniali, che predispongono al mortale, contro i quali è ordinata anche la penitenza. Perciò la penitenza, e conseguentemente la confessione, è possibile anche per coloro che non hanno mai commesso peccati mortali.

2. Non c'è nessuno che non abbia Cristo come giudice, cui sia tenuto a confessarsi nella persona che ne fa le veci. Quest'ultima, anche se inferiore al penitente suo prelato, tuttavia è a lui superiore in quanto quegli è peccatore mentre lui è ministro di Cristo.

3. In virtù dell'obbligo relativo al sacramento, uno non è tenuto a confessare i peccati veniali: vi è tenuto però per il precetto della Chiesa, quando non ha altri peccati da confessare.
Oppure si può rispondere, secondo alcuni, che dal canone riferito non vengono obbligati che coloro i quali hanno dei peccati mortali: ciò risulta evidente dall'essere obbligati a confessare "tutti i peccati", il che non può intendersi dei veniali, perché nessuno può confessarli tutti. Secondo quest'opinione colui che è senza peccati mortali non è tenuto alla confessione dei veniali, ma per adempiere il precetto della Chiesa basta che si presenti al sacerdote, dichiarando di non aver coscienza di peccato mortale: e questo gli conta come confessione.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Necessità della confessione > Se sia lecito confessare un peccato non commesso


Supplemento
Questione 6
Articolo 4

SEMBRA che sia lecito confessare un peccato non commesso. Infatti:
1. Come dice S. Gregorio, "è proprio delle anime buone riconoscere una colpa dove colpa non c'è". Quindi appartiene alle anime buone accusarsi di colpe non commesse.

2. C'è qualcuno che per umiltà si considera peggiore di chi è un pubblico peccatore, e in questo è da lodarsi. Ma è lecito confessare con la bocca ciò che si pensa con il cuore. Dunque è lecito confessarsi di avere un peccato più grave di quello commesso.

3. Talora uno dubita se un peccato sia mortale o veniale. Ora costui, così sembra, è tenuto a confessarlo come mortale. Perciò talora si è tenuti a confessare peccati che non si hanno.

4. La soddisfazione è proporzionata alla confessione. Ma uno può anche soddisfare per dei peccati non commessi. Quindi può anche confessare codesti peccati.

IN CONTRARIO: 1. Chi dice di aver fatto ciò che non ha fatto, mente. Ora, nessuno deve mentire in confessione: perché ogni menzogna è peccato. Dunque nessuno deve confessare peccati che non ha commesso.

2. Nei tribunali pubblici a nessuno si deve mai addebitare un crimine, che non si possa provare con validi testimoni. Ora, nel tribunale di penitenza il testimone è la coscienza. Perciò uno non deve accusarsi di un peccato che la coscienza non gli rimprovera.

RISPONDO: Mediante la confessione il penitente deve manifestare se stesso al confessore. Ma chi parla di se stesso al confessore diversamente da quello che ha nella coscienza, sia in bene che in male, non si manifesta, ma si nasconde al confessore. Perciò tale confessione non è corretta; ma perché sia tale si richiede che la bocca accusi ciò che la coscienza rimprovera.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In due modi può capitare di riconoscere una colpa dove colpa non c'è. Primo, così da ingannarsi sull'esistenza o natura dell'atto. E allora non è vero che ciò appartiene alle anime buone. Perché non è delle anime buone o rette, ma di quelle che sbagliano riconoscere di aver commesso un atto che non hanno commesso. - Secondo, così da esagerare sulla condizione dell'atto. E allora è vero ciò che dice S. Gregorio, che il giusto nell'atto che di suo sembra buono, teme che ci sia un difetto da parte sua; ed è in tal senso che Giobbe diceva: "Io temevo di tutte le mie azioni". Spetta quindi alle anime buone accusare con la lingua questo timore che nutrono internamente.

2. Abbiamo risposto così anche alla seconda difficoltà. Poiché il giusto, che è veramente umile, non si reputa peggiore attribuendosi il compimento di atti peggiori nel loro genere di quelli compiuti: ma teme di peccare maggiormente di superbia nelle opere buone che compie.

3. Quando uno dubita che un peccato sia mortale, è tenuto a confessarlo, finché è nel dubbio. Poiché come chi commette od omette una cosa, dubitando che si tratti di peccato mortale, pecca mortalmente esponendosi al pericolo, così si espone al pericolo chi trascura di confessarsi di quanto dubita che sia mortale. Tuttavia egli non deve asserire che il suo peccato è mortale: ma parlare in forma dubitativa, lasciando il giudizio al sacerdote cui spetta distinguere "tra lebbra e lebbra".

4. Per il fatto che uno espia un peccato non commesso non dice una menzogna, come fa invece chi confessa un peccato che crede di non aver commesso. Se invece uno denunzia un peccato che non ha fatto, credendo di averlo fatto, allora non mente. Perciò egli non pecca se lo confessa come lo sente nel cuore.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Necessità della confessione > Se si sia tenuti a confessarsi immediatamente


Supplemento
Questione 6
Articolo 5

SEMBRA che si sia tenuti a confessarsi immediatamente. Infatti:
1. Ugo di S. Vittore scrive: "Se non c'è una necessità che imponga la dilazione, niente può scusare il disprezzo". Ora, tutti son tenuti a evitare il disprezzo. Quindi tutti son tenuti a confessarsi subito.

2. Si è più tenuti ad evitare l'infermità spirituale che quella corporale. Ma chi è malato corporalmente, non senza danno per la salute, ritarda la chiamata del medico. Dunque non senza danno per la sua salvezza chi ha sacerdoti a disposizione trascura di confessarsi immediatamente.

3. A ciò cui siamo tenuti senza scadenze siamo tenuti immediatamente. Ora, senza scadenze l'uomo è tenuto verso Dio alla confessione. Quindi vi è tenuto immediatamente.

IN CONTRARIO: 1. Nei Canoni viene determinato il tempo per la confessione assieme a quello relativo alla comunione eucaristica. Ora, se uno non riceve l'Eucarestia prima del tempo stabilito dal diritto non commette peccato. Quindi neppure pecca se non si confessa prima di quel tempo.

2. Chi omette ciò cui è obbligato da un precetto, pecca mortalmente. Perciò se uno fosse tenuto a confessarsi immediatamente e non lo facesse quando ha dei sacerdoti a disposizione, peccherebbe di nuovo nel tempo successivo, e così di seguito. Cosicché uno incorrerebbe, per un'unica dilazione della penitenza, in molti peccati mortali. Il che è inammissibile.

RISPONDO: Essendo il proposito di confessarsi implicito nella contrizione, si è tenuti a codesto proposito tutte le volte che si è tenuti alla contrizione: quando cioè i peccati tornano a mente, e soprattutto in pericolo di morte, oppure quando uno si trova in tali circostanze da incorrere in peccato senza il perdono delle colpe passate: quando uno, p. es., è tenuto a celebrare, in mancanza di confessori è tenuto per lo meno a fare un atto di contrizione col proposito di confessarsi.
Ma a confessarsi di fatto si può essere obbligati in due modi. Primo, indirettamente: quando uno, cioè, è tenuto a compiere una cosa che non può essere compiuta senza peccato, se non ricorrendo alla confessione. Infatti allora si è tenuti a confessarsi: come quando si deve ricevere l'Eucarestia, cui nessuno, fuori dei casi urgenti, deve accedere dopo il peccato mortale se non dopo essersi riconfessato, avendo a disposizione il sacerdote. Da ciò è derivato il precetto della Chiesa che obbliga tutti a confessarsi una volta l'anno, poiché la Chiesa ha stabilito che una volta l'anno, ossia a Pasqua, tutti ricevano la santa comunione. Perciò prima di allora tutti son tenuti a confessarsi.
Secondo, uno può essere obbligato a confessarsi di fatto direttamente (per se). E per tale obbligo sembra che il differimento della confessione e del battesimo debba essere regolato dallo stesso criterio: poiché sono entrambi sacramenti di necessità. Ora, a ricevere il battesimo uno non è tenuto subito appena ne ha concepito il proposito, così da peccare mortalmente se non si battezza: e neppure c'è una scadenza oltre la quale il differimento costituisce peccato grave: ma può capitare che nella dilazione del battesimo si incorra o no nel peccato mortale. Ciò va determinato in base al motivo della dilazione: poiché, come dice Aristotele, la volontà non ritarda di compiere una cosa voluta, se non per un motivo suggerito dalla ragione. Perciò, se il motivo della dilazione del battesimo implica peccato mortale, p. es., il disprezzo, o altre cose del genere, tale dilazione è peccato mortale: altrimenti no. Sembra quindi che si debba dire lo stesso della confessione, la quale non è certo più necessaria del battesimo.
E poiché nella vita presente l'uomo è tenuto a compiere quanto è necessario alla salvezza, se incombe un pericolo di morte, di per sé allora uno è obbligato a confessarsi come a ricevere il battesimo. Ecco perché S. Giacomo prescrive simultaneamente di confessarsi e di ricevere l'estrema unzione.
Perciò sembra probabile l'opinione di coloro i quali affermano che uno non è tenuto a confessarsi immediatamente: sebbene differire sia pericoloso.
Altri invece affermano che il contrito è tenuto a confessarsi immediatamente, appena secondo il giusto criterio si presenta l'opportunità di farlo. Né fa difficoltà il termine stabilito dai Canoni, cioè che ci si confessi "una volta l'anno"; poiché la Chiesa non vuol favorire la dilazione, ma proibisce la negligenza di una dilazione più grave. Cosicché quel precetto non scusa dal peccato di dilazione in foro interno: ma scusa solo della pena in foro ecclesiastico, così da non esser privato della sepoltura regolare uno che viene a morire prima di quel tempo. - Ma questa opinione sembra essere troppo dura. Poiché i precetti affermativi non obbligano all'esecuzione immediata, ma a tempo debito; non per il solo fatto che si possono comodamente porre in esecuzione; poiché allora se uno non desse l'elemosina del suo superfluo appena si presenta un povero, peccherebbe mortalmente, il che è falso; bensì per il fatto che il tempo può condurre a un'urgente necessità. Quindi non è necessario che uno pecchi mortalmente se non si confessa subito appena si presenta l'occasione, senza aspettare un'occasione più propizia: ma quando col decorrere del tempo si presenta la necessità di confessarsi. Né si deve all'indulgenza della Chiesa il fatto di non esser tenuti a farlo immediatamente, ma alla natura del precetto affermativo. Cosicché prima che fosse così comandato dalla Chiesa uno vi era tenuto anche di meno.
Alcuni però dicono che i secolari non son tenuti a confessarsi prima della quaresima, che è il tempo penitenziale per essi: i religiosi invece sarebbero tenuti a farlo immediatamente, perché tutti i tempi sono per essi tempo di penitenza. - Ma questo non ha senso. Poiché i religiosi non hanno altri obblighi che quelli di tutti, all'infuori degli obblighi cui si sono legati con i voti.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ugo da S. Vittore parla di coloro che muoiono senza questo sacramento.

2. Per la salute del corpo non si richiede necessariamente che si chiami subito il medico, se non quando urge la necessità del rimedio. Lo stesso si dica per l'infermità spirituale.

3. Il possesso della roba altrui, contro la volontà del padrone è contro un precetto negativo, il quale obbliga sempre e di continuo. Ecco perché si è tenuti a restituire immediatamente. Diverso è invece il modo di adempiere un precetto affermativo, il quale obbliga sempre, ma non di continuo. Ed è per questo che non si è tenuti a eseguirlo immediatamente.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Necessità della confessione > Se si possa essere dispensati dal confessarsi a un uomo


Supplemento
Questione 6
Articolo 6

SEMBRA che si possa essere dispensati dal confessarsi a un uomo. Infatti:
1. I precetti della legge positiva ammettono la dispensa da parte dei prelati della Chiesa. Ora, tale è l'obbligo della confessione, come risulta da quanto abbiamo visto. Dunque qualcuno può essere dispensato dal confessarsi.

2. Ciò che l'uomo ha istituito, dall'uomo può essere dispensato. Ma la confessione risulta istituita non da Dio, ma dall'uomo, ossia da S. Giacomo: "Confessate l'uno all'altro i vostri peccati". Ora, il Papa ha la facoltà di dispensare quanto fu istituito dagli Apostoli: dispensa, p. es., dalla bigamia. Quindi egli può dispensare anche dalla confessione.

IN CONTRARIO: La penitenza, di cui fa parte la confessione, è un sacramento di necessità, come il battesimo. Ebbene come nessuno può dispensare dal battesimo, così nessuno può dispensare dalla confessione.

RISPONDO: I ministri della Chiesa non vengono istituiti che nella Chiesa fondata da Dio. Perciò le funzioni dei ministri presuppongono l'istituzione della Chiesa: come l'attività della natura presuppone la creazione. E poiché la Chiesa è fondata sulla fede e sui sacramenti, i ministri non hanno la facoltà di stabilire nuovi articoli di fede o di cancellare quelli esistenti, e neppure di istituire nuovi sacramenti, o di accantonare quelli istituiti; ma codesto compito rientra nel potere di eccellenza dovuto soltanto a Cristo, che è "il fondamento" della Chiesa. Perciò, come il Papa non può disporre che uno si salvi senza battesimo, così non può disporre che si salvi senza confessione, in quanto tale obbligo deriva dall'istituzione stessa del sacramento. Egli però può dispensare dalla confessione in quanto essa obbliga secondo il precetto della Chiesa, in modo da poter dilazionare la confessione oltre il tempo della prescrizione ecclesiastica.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I precetti della legge divina non obbligano meno di quelli di legge naturale. Quindi, come non si può essere dispensati dalla legge naturale, non si può esserlo dalla legge positivo-divina.

2. Il precetto della confessione inizialmente non fu istituito dall'uomo, pur essendo stato promulgato da S. Giacomo: la sua istituzione risale a Dio, sebbene la Scrittura non ne parli espressamente. Tuttavia ne abbiamo una prefigurazione sia nel fatto che quanti accedevano al battesimo di Giovanni, preparazione alla grazia di Cristo, confessavano i loro peccati: sia nel fatto che il Signore inviò i lebbrosi ai sacerdoti, i quali, pur non essendo sacerdoti del nuovo Testamento, ne prefiguravano il sacerdozio.

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