Sup, 49

Terza parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > I beni del matrimonio


Supplemento
Questione 49
Proemio

Passiamo ora a considerare i beni del matrimonio.
Sull'argomento si pongono sei quesiti:

1. Se ci debbano essere dei beni per coonestare il matrimonio;
2. Se la loro enumerazione sia sufficiente;
3. Se il bene del sacramento sia il principale;
4. Se l'atto matrimoniale venga coonestato da codesti beni;
5. Se si possa mai scusare dal peccato senza di essi;
6. Se in mancanza di essi sia sempre peccato mortale.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > I beni del matrimonio > Se il matrimonio debba essere coonestato da certi beni connessi


Supplemento
Questione 49
Articolo 1

SEMBRA che il matrimonio non debba essere coonestato da certi beni connessi. Infatti:
1. Come rientra nell'intenzione della natura la conservazione dell'individuo affidata alla nutrizione, così vi rientra la conservazione della specie, che si ottiene col matrimonio; anzi in grado maggiore: quanto cioè il bene della specie è superiore al bene dell'individuo. Ma l'atto della nutrizione non ha bisogno di nessuna giustificazione. Quindi neppure il matrimonio.

2. A detta del Filosofo, l'amicizia tra marito e moglie è naturale, e racchiude in se "il bene onesto, utile e dilettevole". Ma ciò che è onesto in se stesso non ha bisogno di scusanti. Perciò per il matrimonio non si devono elencare dei beni che servano a scusarlo.

3. Il matrimonio fu istituito come rimedio [al peccato] e come ufficio [di natura]. Ma esso come compito naturale non ha bisogno di scuse: che allora ne avrebbe avuto bisogno anche nel paradiso terrestre, il che è falso: là infatti, come scrive S. Agostino, "le nozze sarebbero state encomiabili, e senza macchia il letto matrimoniale". E neppure ne ha bisogno in quanto rimedio al peccato: come non ne han bisogno gli altri sacramenti, i quali furono istituiti come rimedio del peccato. Dunque per il matrimonio non debbono esserci codeste scusanti.

4. In tutte le cose che si possono compiere onestamente si ha la guida delle virtù. Perciò se il matrimonio può essere coonestato da determinati beni, non ha bisogno d'altro che delle virtù. E quindi non si devono determinare dei beni per coonestare il matrimonio: come non si fa per le altre cose in cui siamo guidati dalle virtù.

IN CONTRARIO: 1. Dovunque c'è un atto di condiscendenza è necessario un motivo di scusa. Ora, il matrimonio dopo il peccato viene concesso "per un atto di condiscendenza", come scrive l'Apostolo. Dunque ha bisogno di essere coonestato da certi beni.

2. L'atto matrimoniale e la fornicazione sono fisicamente della stessa specie. Ma la copula fornicaria è per se stessa peccaminosa. Quindi perché non lo sia anche quella matrimoniale, bisogna aggiungervi qualche cosa che la renda onesta, dandole una specie morale diversa.

RISPONDO: Una persona sensata non deve mai subire una menomazione, senza il compenso di un bene uguale o maggiore. Perciò l'accettazione di una cosa cui è annessa una menomazione ha bisogno di essere accompagnata da qualche bene che la renda ordinata ed onesta. Ora, nell'atto coniugale avviene una menomazione della ragione: sia perché questa viene sommersa dalla violenza del piacere, in modo "da non poter capir nulla in quell'atto", come pi esprime il Filosofo; sia per "la tribolazione della carne", di cui parla S. Paolo, che gli sposati devono subire per la preoccupazione dei beni temporali. Perciò la volizione dell'atto coniugale non può essere ordinata, che per il compenso di certi beni, i quali coonestano quell'atto. E questi sono i beni che scusano il matrimonio e lo rendono onesto.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nell'atto del mangiare il piacere non è così violento da sommergere la ragione, come nel piacere suddetto. Sia perché la potenza generativa, per cui si trasmette il peccato originale, è infetta e corrotta; mentre la nutritiva, che non lo trasmette, è corrotta, ma non infetta. - Sia anche perché ciascuno sente di più le necessità individuali, che le necessità della specie. E quindi per eccitare alla ricerca del cibo basta la sensazione del proprio bisogno. Mentre per eccitare alla propagazione della specie la divina provvidenza ha annesso all'atto correlativo un piacere, che smuove persino gli animali bruti in cui non c'è l'infezione del peccato. - Perciò il paragone non regge.

2. I beni che lo coonestano sono essenziali al matrimonio. Questo quindi non ne ha bisogno come se si trattasse di elementi esterni, ma solo in quanto ne causano l'onestà che gli compete per se stesso.

3. Il matrimonio si presenta come utile ed onesto proprio per il fatto che è istituito come ufficio [di natura] e come rimedio al peccato: ma queste due qualifiche sono ad esso dovute in quanto implica quei beni, che lo rendono un dovere sociale e un rimedio alla concupiscenza.

4. Un atto virtuoso deve la sua onestà alla virtù che è il principio da cui promana, e alle circostanze che ne sono come le cause formali. Ora, i beni suddetti stanno al matrimonio come le circostanze all'atto virtuoso, cioè come quelle circostanze da cui dipende che possa considerarsi un atto di virtù.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > I beni del matrimonio > Se sia sufficiente l'enumerazione che dei beni del matrimonio fa il Maestro delle Sentenze: fede, prole e sacramento


Supplemento
Questione 49
Articolo 2

SEMBRA che non sia sufficiente l'enumerazione che dei beni del matrimonio fa il Maestro delle Sentenze: fede, prole e sacramento.
Infatti:
1. Gli uomini non si sposano soltanto per procreare ed allevare dei figli, ma anche per vivere insieme, scambiandosi i servizi, come nota Aristotele. Quindi, come tra i beni del matrimonio si enumera la prole, dovrebbe anche enumerarsi l'aiuto reciproco.

2. L'unione di Cristo con la Chiesa, simboleggiata dal matrimonio, viene compiuta con la carità. Perciò tra i beni del matrimonio doveva elencarsi più la carità che la fede.

3. Nel matrimonio come si esige che nessuno dei due coniugi abbia rapporti sessuali con altri, così si richiede che reciprocamente si rendano il debito. Ora, a detta del Maestro, al primo di questi doveri soddisfa la fede. Dunque bisognava elencare tra i beni del matrimonio anche la giustizia, che soddisfa al secondo.

4. Nel matrimonio, in quanto sta a simboleggiare l'unione di Cristo con la Chiesa, come si richiede l'indivisibilità si richiede anche l'unità, cioè la monogamia. Ma il "sacramento", che è elencato tra i beni del matrimonio, riguarda l'indivisibilità. Quindi doveva esserci un altro termine che riguardasse l'unità.

IN CONTRARIO: Sembra che detta enumerazione sia troppo abbondante. Perché a rendere onesta un'azione basta una sola virtù. Ora, la fede è una virtù. Dunque gli altri due beni non sono necessari per coonestare il matrimonio.

2. Un atto può essere utile ed onesto non per lo stesso motivo: poiché utile ed onesto dividono il bene per contrapposizione. Ora, con la prole il matrimonio diventa utile. Perciò la prole non doveva computarsi tra i beni che lo rendono onesto.

3. Una cosa non può porsi tra le proprietà o le condizioni di se medesima. Ma i beni sono posti come condizioni del matrimonio. Quindi, essendo il matrimonio un sacramento, non doveva porsi il sacramento tra i beni del matrimonio.

RISPONDO: Il matrimonio è insieme compito naturale e sacramento della Chiesa. Perciò in quanto compito naturale, come ogni atto di virtù, esso deve essere coonestato da due cose. La prima, necessaria da parte dell'agente, è l'intenzione del debito fine. E a ciò corrisponde, tra i beni del matrimonio, la prole. - La seconda, richiesta da parte dell'atto medesimo, è che questo sia buono cadendo sulla materia debita. E così si ha la fede, o fedeltà, per cui l'uomo pratica esclusivamente la propria moglie. - Inoltre il matrimonio deve un aspetto della sua bontà al fatto che è un sacramento. E ciò è indicato appunto col termine sacramento.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nel termine prole non va inclusa solo la procreazione, ma anche l'educazione della prole, cui è ordinata tutta l'attività in comune dei due coniugi; poiché i genitori, come dice S. Paolo, "accumulano tesori per i figli". Perciò nella prole, come nel fine principale, è incluso anche l'altro che è secondario.

2. La fede, di cui si parla non è la virtù teologale, ma la fedeltà che è tra le parti della giustizia: in quanto si è fedeli con essa alla parola data nelle promesse. Poiché il matrimonio, essendo un contratto, implica una promessa che lega un uomo a una data donna.

3. La promessa fatta nel matrimonio implica, sia che nessuno dei contraenti abbia rapporto sessuale con altri, sia che reciprocamente si rendano il debito coniugale. Anzi quest'ultimo dovere è più importante: seguendo direttamente dal dominio scambievole concesso col matrimonio. Perciò entrambi i doveri sono inclusi nella fede. Ma nelle Sentenze si ricorda solo quello meno evidente.

4. Col termine sacramento non va intesa solo l'indivisibilità, ma tutto ciò che accompagna il matrimonio per il fatto che sta a rappresentare l'unione di Cristo con la Chiesa.
Oppure si può rispondere che l'unità cui accenna l'obbiezione rientra nella fede, come l'indivisibilità nel sacramento.

5. Qui la fede non va presa per una virtù; ma per una condizione della virtù, che va posta tra le parti potenziali della giustizia.

6. Come il debito uso di un bene utile acquista la natura di bene onesto, non dall'utile, ma dalla ragione che ne fa retto uso, così l'intenzione di un bene utile può produrre un bene onesto in forza della ragione che stabilisce l'intenzione debita. E in tal modo il matrimonio, per il fatto che viene ordinato alla prole, è utile e insieme onesto, in quanto debitamente ordinato.

7. Come spiega Pietro Lombardo, sacramento qui non si riferisce al matrimonio, ma alla sua indissolubilità, che è il segno dell'identica realtà sacra di cui è segno il matrimonio.
Oppure si può rispondere che, sebbene il matrimonio sia un sacramento, tuttavia per il matrimonio una cosa è essere matrimonio, e un'altra essere sacramento: poiché esso fu istituito non soltanto per essere un segno di una cosa sacra, ma quale compito di natura. Perciò l'aspetto sacramentale è una condizione complementare, rispetto al matrimonio in se stesso considerato, la quale conferisce alla sua onestà. Ecco perché la sacramentalità è posta tra i beni coonestanti il matrimonio. Perciò, secondo questa spiegazione, il terzo bene del matrimonio, cioè il sacramento, non indica solo l'indissolubilità, ma tutte le altre cose implicite nel suo significato.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > I beni del matrimonio > Se il sacramento sia il principale tra i beni del matrimonio


Supplemento
Questione 49
Articolo 3

SEMBRA che il sacramento non sia il principale tra i beni del matrimonio. Infatti:
1. "In ogni cosa l'aspetto più importante è il fine". Ora, la prole è il fine del matrimonio. Dunque la prole è il bene principale del matrimonio.

2. Nel definire la specie è più importante del genere la differenza che la completa: come nella costituzione di un essere corporeo la forma è superiore alla materia. Ebbene, al matrimonio
spetta l'attributo di sacramento in forza del suo genere; la prole invece e la fede in forza della sua differenza, in quanto è tale sacramento. Perciò gli altri due beni del matrimonio sono più importanti del sacramento.

3. Come ci sono matrimoni senza prole e senza fedeltà, così se ne trovano senza indissolubilità: il che è evidente quando uno dei contraenti, prima di consumare il matrimonio, entra in religione. Dunque neppure per questo motivo il sacramento è il bene principale del matrimonio.

4. L'effetto non può essere superiore alla sua causa. Ora, il consenso, che è la causa del matrimonio, spesso è di corta durata. Perciò anche il matrimonio è soggetto a sciogliersi. Quindi l'inseparabilità non sempre accompagna il matrimonio.

5. I sacramenti, la cui efficacia è perpetua, imprimono il carattere. Il matrimonio invece non imprime il carattere. Dunque non implica un'inseparabilità perpetua. Perciò come ci sono matrimoni senza prole, così ce ne possono essere senza il bene del sacramento.

IN CONTRARIO: 1. Ciò che rientra nella definizione di una cosa è per essa sommamente essenziale. Ora, nella definizione del matrimonio da noi data in precedenza, rientra l'indivisibilità, che equivale al sacramento, non già la prole o la fede. Dunque il sacramento è il più essenziale tra i beni del matrimonio.

2. La "virtù divina operante nei sacramenti" è più efficace della potenza umana. Ma prole e fede appartengono al matrimonio in quanto è una funzione della natura umana; sacramento invece in quanto deriva dall'istituzione divina. Perciò il bene del sacramento è nel matrimonio più importante degli altri due.

RISPONDO: Tra le proprietà di una cosa l'una può dirsi superiore all'altra o perché più essenziale, o perché più eccellente. Quanto a eccellenza il sacramento è il principale tra i beni del matrimonio. Poiché gli appartiene in quanto il matrimonio stesso è un sacramento della grazia. Invece gli altri due beni gli appartengono in quanto è un compito naturale. Ora, la perfezione della grazia è più eccellente di quella della natura.
Se poi consideriamo principale ciò che è più essenziale, allora bisogna distinguere. Perché fede e prole si possono considerare da due punti di vista. Primo, in se stesse. E allora appartengono all'uso del matrimonio, poiché con esse nasce la prole e le promesse coniugali vengono mantenute. L'indissolubilità invece, che è implicita nel sacramento, appartiene al matrimonio in se stesso; poiché proprio dal fatto che con il contratto matrimoniale gli sposi si sono concessi in perpetuo il dominio scambievole, segue che non si possono separare. Ed ecco perché il matrimonio non può mai essere disgiunto dall'inseparabilità: invece può trovarsi privo di fedeltà e di prole, poiché l'essere o esistenza di una cosa non dipende dall'uso di essa. E da questo lato il bene del sacramento è più essenziale al matrimonio che la fede e la prole.
Secondo, fede e prole si possono considerare nelle loro cause: e allora per prole s'intende l'intenzione della prole, e per fede l'obbligo di mantenere la fedeltà. E senza di esse allora il matrimonio non può sussistere: poiché tali impegni derivano nel matrimonio dallo stesso contratto coniugale; cosicché qualora nel consenso matrimoniale si esprimesse qualche cosa d'incompatibile con esse, non si avrebbe più un vero matrimonio. Prese, fede e prole, in tal senso, la prole è nel matrimonio il bene più essenziale, segue la fede, e al terzo posto viene il sacramento. Anche all'uomo, del resto, è più essenziale la natura che la grazia, sebbene la grazia sia più eccellente.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il fine è il primo nell'intenzione, ma è l'ultimo nell'esecuzione. Lo stesso si dica della prole rispetto ai beni del matrimonio. Perciò è essa il bene principale sotto un certo aspetto, e non lo è sotto altri aspetti.

2. Il sacramento in quanto terzo bene del matrimonio, appartiene a quest'ultimo come elemento differenziale: sta infatti a significare l'indissolubilità, che è la grazia sacramentale indicata dal matrimonio.

3. Le nozze, come dice S. Agostino, sono beni dei mortali: infatti "nella resurrezione né si sposeranno né si mariteranno", secondo l'espressione evangelica. Perciò il vincolo coniugale non si estende oltre i limiti della vita in cui si contrae: e quindi si dice indissolubile perché non si può sciogliere in questa vita. Ma la soluzione è possibile dopo la morte; sia corporale, anche dopo l'unione dei corpi; sia spirituale, dopo la sola unione spirituale.

4. Sebbene il consenso matrimoniale non sia perpetuo materialmente, cioè quanto alla durata dell'atto, perché cessa e può essere seguito da un atto contrario, è tuttavia perpetuo formalmente parlando, avendo per oggetto la perpetuità del vincolo: altrimenti non produrrebbe il matrimonio. Infatti il consenso dato a una donna per un certo periodo non costituisce matrimonio. E dico formalmente, in quanto l'atto viene specificato dall'oggetto. Ebbene, è proprio così che il matrimonio riceve l'indissolubilità dal consenso.

5. I sacramenti che imprimono il carattere conferiscono il potere di compiere atti spirituali: invece il matrimonio lo conferisce per atti corporali. Perciò per il potere che scambievolmente gli sposi acquistano sul coniuge, il matrimonio è affine ai sacramenti che imprimono il carattere, e per questo è indissolubile, come nota il Maestro delle Sentenze: ma se ne distingue per il fatto che il potere che conferisce riguarda atti corporali. E quindi non imprime un carattere spirituale.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > I beni del matrimonio > Se l'atto coniugale sia così scusato dai beni suddetti da non essere affatto peccaminoso


Supplemento
Questione 49
Articolo 4

SEMBRA che l'atto coniugale non possa essere così scusato dai beni suddetti da non essere affatto peccaminoso. Infatti:
1. Chi accetta di subire la privazione di un bene maggiore per uno minore fa peccato; perché ammette un disordine. Ma il bene della ragione, che nell'atto coniugale si perde, è superiore ai suddetti tre beni del matrimonio. Dunque i predetti beni non bastano a coonestare l'atto coniugale.

2. Quando al male si aggiunge del bene, moralmente tutto diventa male: perché basta una circostanza cattiva a rendere cattiva un'azione, mentre non ne basta una buona per renderla buona. Ora, l'atto coniugale di suo è un male: altrimenti non avrebbe bisogno di giustificazioni. Perciò i beni annessi al matrimonio non bastano a renderlo buono.

3. L'eccesso di passione moralmente è sempre un vizio. Ora, i beni del matrimonio non possono impedire l'eccesso di passione di quell'atto. Dunque non possono evitare che sia peccato.

4. A detta del Damasceno, si ha vergogna solo "di un atto turpe". Ora, i beni del matrimonio non tolgono che quell'atto sia vergognoso. Quindi non possono scusarlo dal peccato.

IN CONTRARIO: 1. L'atto coniugale non differisce dalla fornicazione che per i beni del matrimonio. Perciò se questi non bastassero a giustificarlo, il matrimonio resterebbe sempre una cosa illecita.

2. I beni del matrimonio stanno all'atto coniugale come le debite circostanze, secondo le spiegazioni date. Ma tali circostanze bastano a far sì che un atto non sia cattivo. Dunque tali beni possono coonestare il matrimonio in modo da non essere affatto peccaminoso.

RISPONDO: Un atto può essere scusato in due maniere. Primo, per il soggetto che lo compie; cioè in modo da non essere imputabile a colpa, sebbene sia cattivo, oppure da attenuarne la responsabilità; l'ignoranza, p. es., si dice che scusa il peccato in tutto, o in parte. — Secondo, può essere scusato in se stesso; cioè in modo da non essere cattivo. Ed è in tal senso che i suddetti beni scusano l'atto del matrimonio.
Ora, i motivi che impediscono a un atto di essere moralmente cattivo sono gli stessi che lo rendono buono: poiché, come abbiamo visto, non esiste un atto indifferente. Un atto umano però può essere buono in due maniere. Primo, in quanto virtuoso. E tale sua bontà dipende dalle cause che lo condizionano. E nell'atto del matrimonio esse sono, come abbiamo detto, la fede e la prole. — Secondo, in quanto sacramento, cosicché l'atto non è soltanto buono, ma anche santo. E tale bontà deriva all'atto del matrimonio dalla indivisibilità dell'unione coniugale, esprimendo così l'unione di Cristo con la Chiesa. — È perciò evidente che i suddetti beni giustificano pienamente l'atto del matrimonio.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Con l'atto coniugale l'uomo perde l'uso della ragione non in modo abituale, bensì per un atto passeggero. Ma niente impedisce che uno interrompa un atto per sua natura più eccellente, per un'azione meno buona: ciò infatti si può fare senza peccato, com'è evidente nel caso di chi interrompe la contemplazione, per attendere talora all'azione.

2. L'argomento varrebbe, se il male che accompagna inseparabilmente l'atto coniugale fosse una colpa. Invece esso non è una colpa, ma soltanto un castigo, che consiste nella ribellione della concupiscenza alla ragione. Perciò l'argomento non regge.

3. L'eccesso di passione che costituisce un vizio non si misura dall'intensità, ma in rapporto alla ragione. Cosicché una passione si considera smodata, solo quando passa i limiti della ragione. Ora, il piacere dell'atto matrimoniale, sebbene sia intensissimo, tuttavia non trapassa i limiti prestabiliti dalla ragione prima d'iniziarlo: pur non essendo questa in grado di regolarli nel momento del piacere.

4. La turpitudine, che è annessa all'atto matrimoniale e che provoca la vergogna, è un castigo e non una colpa: poiché per qualsiasi difetto l'uomo prova per natura un sentimento di vergogna.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > I beni del matrimonio > Se l'atto matrimoniale possa giustificarsi anche senza i beni del matrimonio


Supplemento
Questione 49
Articolo 5

SEMBRA che l'atto matrimoniale possa giustificarsi anche senza i beni del matrimonio. Infatti:
1. Chi è mosso all'atto matrimoniale solo dalla natura, non pare che cerchi nessuno dei beni del matrimonio; poiché questi appartengono alla grazia e alla virtù. Ma quando uno è mosso a codesto atto dal solo appetito naturale, non fa peccato, essendo il peccato "fuori della natura" e "fuori dell'ordine", come si esprime Dionigi. Dunque l'atto del matrimonio può essere giustificato anche a prescindere dai beni del matrimonio.

2. Chi si unisce al coniuge per evitare la fornicazione non sembra aver di mira uno dei beni del matrimonio. Eppure costui allora evidentemente non pecca: poiché il matrimonio è concesso all'infermità umana per evitare la fornicazione, come insegna S. Paolo. Perciò l'atto coniugale può giustificarsi anche senza i beni del matrimonio.

3. Chi si serve delle proprie cose a piacimento è chiaro che non fa peccato. Ora, col matrimonio la moglie diventa una cosa del marito e viceversa. Quindi se usano dei loro diritti mossi dal piacere, non è peccato. Si ha così la stessa conclusione.

4. Un atto che per sua natura è buono non diventa cattivo, se non è compiuto con intenzione cattiva. Ma l'atto matrimoniale, fatto tra marito e moglie, è per sua natura buono. Quindi non può essere cattivo, se non è fatto con cattiva intenzione. Ma può essere fatto con buona intenzione anche senza mirare a uno dei beni del matrimonio: p. es., quando uno con quell'atto mira a conservare la salute, oppure a ricuperarla. Dunque anche a prescindere dai beni del matrimonio l'atto coniugale può essere giustificato.

IN CONTRARIO: 1. "Togliendo la causa si toglie anche l'effetto". Ora, causa dell'onestà dell'atto coniugale sono i beni del matrimonio. Perciò senza di essi non è giustificabile.

2. L'atto coniugale non differisce da quello della fornicazione che per i beni suddetti. Ma la copula fornicaria è sempre peccaminosa. Dunque, se non è giustificato dai beni ricordati, anche l'atto matrimoniale è sempre peccaminoso.

RISPONDO: I beni suddetti come allo stato abituale rendono onesto e santo il matrimonio; così come intenzioni attuali rendono onesto l'atto del matrimonio, per quei due beni che lo riguardano. Perciò quando i coniugi si uniscono, o per procreare la prole, o per rendere il debito coniugale, il che rientra nella fedeltà, sono scusati totalmente dal peccato. Il terzo bene invece non appartiene all'uso, ma all'essenza del matrimonio, come sopra abbiamo spiegato. Esso quindi rende onesto il matrimonio, ma non il suo atto, così da renderlo onesto per il fatto che i coniugi si uniscono per dare all'atto un significato [spirituale]. Dunque gli sposi si uniscono senza peccato per due soli motivi: per procreare la prole e per rendere il debito coniugale. Altrimenti il loro atto sarà sempre peccato, per lo meno veniale.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Considerata come bene del sacramento, la prole è superiore al bene inteso dalla natura. Poiché la natura ha di mira la prole per la conservazione della specie: invece quale bene del sacramento del matrimonio la prole oltre a questo viene ordinata a Dio. Perciò è necessario che l'intenzione naturale della prole venga riferita, in modo attuale o abituale, all'intenzione che ne fa un bene del sacramento: altrimenti ci si ferma alla creatura, il che non si può fare senza peccato. Perciò quando la natura muove all'atto del matrimonio non viene del tutto giustificata dal peccato, se non in quanto il suo moto viene indirizzato, in maniera attuale o abituale, alla prole quale bene del sacramento. — E tuttavia non segue che il moto della natura sia cattivo, ma che è imperfetto, se non è ulteriormente ordinato a un bene del matrimonio.

2. Se uno con l'atto del matrimonio intende evitare la fornicazione del coniuge, non fa nessun peccato: perché ciò equivale a rendere il debito, che rientra nel bene della fedeltà. Se invece intende di evitare la fornicazione propria, allora abbiamo un eccesso. E quindi un peccato veniale. Né il matrimonio è istituito per questo, se non "per una condiscendenza", che si concede appunto ai peccati veniali.

3. A render buona un'azione non basta una sola circostanza debita. Perciò non è detto che comunque uno usi la roba sua, l'uso sia buono: ma solo quando l'usa secondo tutte le circostanze richieste.

4. Sebbene l'intenzione di conservare la salute non sia cattiva, tuttavia lo diventa se è subordina ad essa ciò che per natura non può esserle ordinato: come nel caso che uno mirasse esclusivamente alla salute fisica nel ricevere il battesimo. Lo stesso si dica a proposito dell'atto coniugale.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > I beni del matrimonio > Se chi usa la propria moglie, senza proporsi uno dei beni del matrimonio, ma per il solo piacere, pecchi sempre gravemente


Supplemento
Questione 49
Articolo 6

SEMBRA che chi usa la propria moglie, senza proporsi uno dei beni del matrimonio, ma por il solo piacere, pecchi sempre gravemente. Infatti:
1. S. Girolamo afferma: "I piaceri che si godono tra le braccia delle meretrici sono condannabili anche con la propria moglie". Ma non si dice condannabile che il peccato mortale. Dunque l'uso della propria moglie per il solo piacere è peccato mortale.

2. Consentire al piacere venereo è peccato mortale, come sopra abbiamo visto. Ma chi usa il matrimonio per il solo godimento acconsente al piacere venereo. Quindi pecca mortalmente.

3. Chi nell'usare la creatura non la riferisce a Dio, ne fa oggetto di fruizione: e questo è peccato mortale. Ma chi si accosta alla propria moglie solo per il piacere, non riferisce a Dio l'uso di essa. Perciò fa peccato mortale.

4. Nessuno può essere scomunicato che per un peccato mortale. Ma chi per sola libidine si accosta alla propria moglie, come riferisce il libro delle Sentenze, non veniva ammesso in chiesa alla maniera degli scomunicati. Dunque costui pecca mortalmente.

IN CONTRARIO: 1. S. Agostino pone codeste relazioni tra i peccati quotidiani, per i quali si chiede perdono nel Pater Noster. Ma questi non sono peccati mortali.

2. Chi mangia solo per il piacere non fa peccato mortale. Così non può farlo chi usa la propria moglie solo per sfogare la libidine.

RISPONDO: Alcuni ritengono che in ogni atto coniugale, quando il piacere è il movente principale, si fa un peccato grave; quando invece ne è il movente concomitante, è peccato veniale; e quando si sdegna il piacere e se ne prova rammarico, allora l'atto è del tutto senza peccato veniale. Cosicché cercare in quell'atto il piacere è peccato mortale; acconsentire al piacere connesso è peccato veniale; detestarlo è la perfezione. Ma questo non può essere. Poiché, come insegna il Filosofo, l'identico giudizio vale per il piacere e per l'azione che lo produce: che il piacere di un'azione buona è buono, di una cattiva è cattivo. Non essendo quindi l'atto matrimoniale essenzialmente cattivo, cercarne il piacere non può essere sempre peccato mortale.
Si deve perciò concludere che, se uno cerca il piacere trasgredendo la legge del matrimonio, nel senso che nella moglie non vede che la femmina, essendo disposto a compiere quell'atto anche se non fosse sua moglie, allora l'atto è peccato mortale. Costui può chiamarsi "l'amante di sua moglie": poiché la passione lo porta fuori dei beni del matrimonio. Se invece il piacere è contenuto entro i limiti del matrimonio, così da perseguire quei piaceri, però solo col proprio coniuge, allora è peccato veniale.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il marito cerca nella moglie i piaceri del meretricio, se considera in essa solo quanto si aspetterebbe da una meretrice.

2. Il consenso a un piacere venereo che è peccato mortale, è peccato mortale. Tale però non è il piacere dell'atto matrimoniale.

3. Sebbene chi agisce così non riferisca attualmente a Dio il proprio piacere, tuttavia non pone in esso il suo ultimo fine: altrimenti lo cercherebbe indifferentemente dovunque. Non è detto quindi che faccia la creatura oggetto di fruizione: ne fa oggetto di uso per se medesimo, mentre ordina se stesso a Dio abitualmente, sebbene non attualmente.

4. Quei testi non dicono che l'uomo per questo meriti di essere scomunicato; ma che si rende inadatto ai beni spirituali, poiché con quell'atto l'uomo diventa "totalmente carnale".

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