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Se chi è in peccato mortale possa esercitare lecitamente l'ordine ricevuto
Supplemento
Questione 36
Articolo 5
SEMBRA che chi è in peccato mortale possa esercitare lecitamente l'ordine ricevuto. Infatti:
1. Se non l'esercita quando vi è tenuto per ufficio, commette peccato. Ma se peccasse poi esercitandolo, non potrebbe evitare il peccato. Il che è inammissibile.
2. C'è poi la dispensa che è "un'eccezione alla legge". Perciò, anche se per legge fosse illecito l'esercizio dell'ordine ricevuto, tuttavia verrebbe reso lecito dalla dispensa.
3. Chi partecipa al peccato altrui, pecca lui stesso mortalmente. Quindi se un ordinato pecca mortalmente esercitando il proprio ordine in peccato, allora pecca anche chi da lui riceve o richiede le cose sacre. Il che sembra inaudito.
4. Se costui pecca esercitando il proprio ordine, fa peccato mortale con qualsiasi atto ad esso relativo. E allora, siccome all'esercizio dell'ordine concorrono molti atti, dovrebbe commettere altrettanti peccati mortali. Il che sembra estremamente duro.
IN CONTRARIO: 1. Dionigi ha scritto: "Costui", ossia chi non è illuminato [dalla grazia], "sembra molto presuntuoso, mettendo mano alle funzioni sacerdotali; e non sente timore e vergogna nel trattare le cose divine senza dignità, pensando che Dio ignori i segreti della sua coscienza; e pensa di poter ingannare colui che egli falsamente chiama Padre; e osa servirsi delle parole di Cristo per pronunziare sui segni divini, non oso dire delle preghiere, ma immonde bestemmie". Perciò il sacerdote che indegnamente esercita il proprio ordine è come un bestemmiatore, o un ipocrita.
Quindi pecca mortalmente. E per lo stesso motivo peccano in caso analogo tutti gli altri ordinati.
2. La santità è richiesta negli ordinandi perché indispensabile per esercitare le loro funzioni. Ora, chi si presenta agli ordini in peccato mortale pecca mortalmente. A maggior ragione, quindi, pecca chiunque eserciti in peccato il proprio ordine.
RISPONDO: La legge comanda di "compiere santamente le cose sante". Perciò chi eseguisce le funzioni del proprio ordine in modo indegno, compie le cose sante in maniera non santa, e quindi agisce contro la legge, peccando così mortalmente. Chi infatti esercita un ufficio sacro in peccato mortale, non c'è dubbio che lo esercita indegnamente. Perciò è evidente che fa peccato mortale.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Costui non può dirsi perplesso, così da essere costretto a peccare: perché può abbandonare il peccato, oppure rinunziare all'ufficio che l'obbliga a esercitare il proprio ordine.
2. La legge naturale non ammette dispense. Ora, è legge naturale che uno tratti santamente le cose sante. Quindi in questo nessuno può dispensare.
3. Fino a che la Chiesa tollera un suo ministro in peccato mortale, i sudditi sono in dovere di ricevere da lui i sacramenti, essendovi obbligati. Tuttavia fuori del caso di necessità non è prudente indurre costui a esercitare il proprio ordine, quando si è persuasi che egli è in peccato mortale. Tuttavia uno potrebbe anche perdere tale persuasione, considerando che la grazia divina può convertire un uomo in modo istantaneo.
4. Uno pecca mortalmente tutte le volte che in peccato mortale agisce come ministro della Chiesa; poiché, come dice Dionigi, "agli immondi non è permesso toccare neppure i simboli", cioè i segni sacramentali. Perciò quando costoro toccano le cose sacre nell'esercizio delle loro funzioni, fanno peccato mortale.
È invece diverso il caso, se toccano le cose sacre per necessità, o quando sarebbe lecito anche ai laici: per battezzare, p. es., in caso di necessità, oppure per raccogliere il corpo di Cristo caduto per terra.
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