Sup, 14

Terza parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Modalità della soddisfazione


Supplemento
Questione 14
Proemio

Passiamo quindi a esaminare le modalità della soddisfazione.
Sull'argomento si pongono cinque quesiti:

1. Se si possa soddisfare per un peccato senza farlo per l'altro;
2. Se uno il quale, dopo essersi pentito di tutti i peccati cade in una colpa, possa soddisfare per gli altri peccati già rimessi, senza avere la carità;
3. Se la soddisfazione fatta in precedenza, dopo l'infusione della carità cominci anch'essa a valere;
4. Se le opere compiute senza la carità possano meritare qualche cosa di buono;
5. Se le opere suddette valgano a mitigare le pene dell'inferno.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Modalità della soddisfazione > Se si possa soddisfare per un peccato senza farlo per l'altro


Supplemento
Questione 14
Articolo 1

SEMBRA che si possa soddisfare per un peccato, senza farlo per altro.
Infatti:
1. Trattandosi di cose che non sono connesse tra loro, è possibile toglierne una, senza togliere l'altra. Ora, i peccati non sono connessi tra loro; altrimenti chi ne ha uno li avrebbe tutti. Dunque l'uno può essere espiato senza l'altro mediante la soddisfazione.

2. Dio è più misericordioso dell'uomo. Ora, l'uomo arriva ad accettare la saldatura di un debito, senza quella di tutti gli altri. Perciò anche Dio accetta la soddisfazione per un peccato e non per l'altro.

3. "La soddisfazione", come dice il testo [delle Sentenze], "consiste nel distruggere le cause dei peccati, e nel bloccare la via alle loro suggestioni". Ma questo è possibile farlo per un peccato senza farlo per l'altro: uno, p. es., può reprimere la lussuria e perseverare nell'avarizia. Dunque è possibile la soddisfazione per un peccato e non per l'altro.

IN CONTRARIO: 1. In Isaia si legge che il digiuno di coloro "che digiunavano per darsi alle liti e alle contese" non era accetto a Dio, sebbene il digiuno sia tra le opere satisfattorie. Ora, la soddisfazione non si può compiere se non mediante un'opera accetta a Dio. Quindi chi ha un peccato sulla coscienza non può dare soddisfazione a Dio.

2. La soddisfazione è una medicina fatta per curare i peccati commessi e per preservare da quelli futuri. Ma i peccati non possono essere curati senza la grazia. Perciò, siccome ciascun peccato toglie la grazia, non è possibile l'espiazione dell'uno senza dare soddisfazione per l'altro.

RISPONDO: Come riferisce il Maestro nelle Sentenze, alcuni hanno affermato che è possibile soddisfare per un peccato senza soddisfare per l'altro. - Ma questo è impossibile. Infatti dovendosi con la soddisfazione togliere l'offesa precedente, è indispensabile che la maniera di soddisfare sia tale da cancellare l'offesa.
Ora, l'eliminazione di un'offesa consiste nel ripristino dell'amicizia. Perciò se c'è qualche cosa che impedisce il ripristino dell'amicizia, la soddisfazione è impossibile anche presso gli uomini. E siccome qualsiasi peccato impedisce l'amicizia della carità tra l'uomo e Dio, è impossibile che uno soddisfi per un peccato, senza abbandonare l'altro: allo stesso modo che non darebbe soddisfazione a un uomo chi nel prostrarsi a chiedergli perdono di uno schiaffo gliene desse un altro.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non avendo i peccati connessione tra loro in un principio comune, è possibile commetterne uno senza commettere gli altri. Invece per la loro remissione esiste un unico e identico principio. Ecco perché le remissioni dei diversi peccati sono connesse tra loro. E per questo non è possibile dare soddisfazione per l'uno, senza darla per l'altro.

2. Nel caso del debito non si riscontra se non la disuguaglianza che si contrappone alla giustizia, avendo l'uno i beni di un altro. Perciò la restituzione non esige altro che si ristabilisca l'uguaglianza della giustizia. E questo è possibile farlo per un debito senza farlo per l'altro. - Ma quando c'è di mezzo l'offesa, si riscontra non solo la disuguaglianza opposta alla giustizia, bensì anche quella opposta all'amicizia. Perché quindi si possa togliere l'offesa con la soddisfazione, si richiede non solo il ristabilimento dell'uguaglianza di giustizia mediante la compensazione di una pena adeguata, ma il ristabilimento dell'uguaglianza propria dell'amicizia. E questo non è possibile mentre perdura qualche cosa che impedisce l'amicizia.

3. Come dice S. Gregorio, "un peccato trascina all'altro col proprio peso". Perciò chi ne ritiene uno non distrugge a sufficienza le cause degli altri peccati.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Modalità della soddisfazione > Se uno, dopo essersi pentito dei peccati, possa soddisfare per essi senza avere la carità


Supplemento
Questione 14
Articolo 2

SEMBRA che colui il quale, dopo essersi pentito di tutti i peccati cade in una colpa, possa soddisfare per essi senza avere la carità.
Infatti:
1. Daniele disse a Nabucodonosor: "Riscatta i tuoi peccati con le elemosine". Ma il re allora era sempre peccatore, come dimostra la punizione successiva. Dunque chi è in peccato è in grado di soddisfare.

2. "Nessuno sa se sia degno di odio o di amore". Perciò se la soddisfazione non potesse esser fatta che nella carità, nessuno saprebbe se ha o non ha compiuto la soddisfazione. E questo è inammissibile.

3. Dall'intenzione che uno ha all'inizio di un atto tutto l'atto viene informato. Ma il penitente nell'intraprendere la penitenza era nella carità. Perciò tutta la soddisfazione successiva riceve efficacia da quella carità che ne aveva animato l'intenzione.

4. La soddisfazione consiste in una certa adeguazione della pena alla colpa. Ora, tale adeguazione della pena può esserci anche in chi è privo di carità. Dunque in costui può esserci anche la soddisfazione.

IN CONTRARIO: 1. Nei Proverbi si legge: "La carità ricopre tutti i delitti". Ma cancellare i delitti è proprio della soddisfazione. Quindi senza la carità questa non può avere la sua virtù.

2. Nella soddisfazione l'opera principale è l'elemosina. Ma l'elemosina non vale se è fatta senza avere la carità, come risulta dalle parole di S. Paolo: "Se distribuissi tutti i miei beni come cibo dei poveri... [se non ho la carità non mi giova nulla]". Dunque così non ha consistenza neppure la soddisfazione.

RISPONDO: Alcuni hanno detto che se uno, dopo aver ottenuto con la contrizione il perdono di tutte le colpe, cade in peccato prima di aver compiuto la soddisfazione, e così la compie in peccato, tale soddisfazione sarebbe valida, cosicché se egli morisse in quello stato di peccato, nell'inferno non sarebbe punito dei peccati precedenti.
Ma ciò è impossibile. Perché nella soddisfazione anche dopo aver ristabilito l'uguaglianza dell'amicizia rimane da ristabilire l'uguaglianza della giustizia, il cui contrario elimina l'amicizia, come nota Aristotele. Ora, nella soddisfazione che si deve a Dio l'uguaglianza non è computata secondo l'equivalenza, ma secondo l'accettazione da parte sua. Quindi è necessario che, pur essendo stata già perdonata l'offesa per la contrizione precedente, le opere satisfattorie siano accette a Dio. E questo si deve alla carità. Perciò le opere compiute senza la carità non sono satisfattorie.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il consiglio di Daniele va inteso nel senso che il re doveva smettere di peccare, pentirsi e quindi soddisfare mediante le elemosine.

2. L'uomo come non sa con sicurezza di avere la carità mentre compie la soddisfazione, così non sa con certezza se ha pienamente soddisfatto. Di qui le parole della Scrittura: "Dei peccati perdonati non essere senza timore". Per questo però non si richiede che uno ripeta l'espiazione compiuta, quando non ha coscienza di peccato mortale. Infatti anche se con codesta soddisfazione egli non avesse espiato la pena, tuttavia non incorrerebbe in reato di omissione per averla trascurata: come colui che accede all'Eucarestia, senza aver coscienza del peccato mortale che ha nell'anima, non incorre nel reato di una comunione indegna.

3. Quella prima intenzione viene interrotta col peccato successivo. Ecco perché non può dare nessun valore alle opere compiute dopo il peccato.

4. Nel caso non è possibile un'adeguazione che basti né secondo l'accettazione da parte di Dio, né secondo l'equivalenza. Perciò l'argomento non regge.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Modalità della soddisfazione > Se, dopo che uno ha riacquistato la carità, prenda valore anche la sua soddisfazione fatta in precedenza


Supplemento
Questione 14
Articolo 3

SEMBRA che quando uno riacquista la carità, prenda valore anche la soddisfazione da lui fatta in precedenza. Infatti:
1. A commento di quel testo del Levitico, "Se un tuo fratello impoverito, ecc.", la Glossa afferma, che "i frutti di una vita onesta vanno computati dal tempo in cui uno ha peccato". Ora, essi non verrebbero così computati, se non ricevessero efficacia dalla carità successiva. Dunque essi prendono valore dopo il ricupero della carità.

2. L'efficacia della soddisfazione è impedita dal peccato come l'efficacia del battesimo è impedita dalle cattive disposizioni. Ma eliminate le cattive disposizioni il battesimo comincia ad aver valore. Quindi anche la soddisfazione appena scompare il peccato.

3. Se per i peccati commessi a uno sono stati imposti molti digiuni, ed egli li compie dopo essere ricaduto in peccato, quando si riconfessa non gli viene imposto di ripeterli. Invece essi gli verrebbero imposti, se così egli non avesse compiuto la soddisfazione. Dunque dal pentimento successivo le opere precedenti ricevono la loro efficacia.

IN CONTRARIO: 1. Le opere compiute senza la carità non furono satisfattorie, perché erano morte. Ma esse con la penitenza non reviviscono. Quindi neppure possono cominciare ad essere satisfattorie.

2. La carità non informa se non quegli atti che da essa in qualche modo derivano. Ora, le opere non possono essere accette a Dio, e quindi satisfattorie, se non sono informate dalla carità. Perciò siccome le opere compiute senza la carità in nessun modo sono derivate né potranno in seguito derivare da essa, in nessun modo potranno essere computate tra le opere satisfattorie.

RISPONDO: Alcuni hanno insegnato che le opere compiute nella carità, e che vengono denominate vive, sono meritorie della vita eterna e satisfattorie rispetto alla pena che rimane da espiare; mentre le opere fatte senza la carità, mediante il recupero successivo della carità verrebbero a rivivere come opere satisfattorie, ma non per meritare la vita eterna.
Ma questo è impossibile. Perché le opere compiute nella carità hanno l'uno e l'altro effetto dalla medesima ragione, cioè dal fatto che sono gradite a Dio. Perciò, la carità che viene acquistata, come non può renderle gradite per uno scopo, non può renderle tali neppure per l'altro.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La frase non va intesa nel senso che i frutti vanno computati dal momento che uno cominciò ad essere in peccato; ma dal tempo in cui cessò di peccare, ossia di essere in istato di peccato. Oppure da quando dopo il peccato uno se n'è pentito, facendo molte opere buone prima ancora di confessarsi.
Oppure si deve rispondere che quanto più grande è la contrizione, tanto più diminuisce la pena; e più numerose sono le opere buone che uno compie mentre è in peccato, più si dispone alla grazia della contrizione; per cui è probabile che costui meriti una pena minore. Ecco perché ciò dev'essere computato con discrezione dal sacerdote, nell'imporgli una pena meno grave, perché lo trova meglio disposto.

2. Il battesimo imprime nell'anima il carattere, non così la soddisfazione. Perciò quando sopraggiunge la carità, eliminando le cattive disposizioni e il peccato, fa sì che il battesimo ottenga il suo effetto; ma essa non può fare lo stesso per la soddisfazione.
Inoltre il battesimo giustifica ex opere operato, cioè con un'efficacia che non dipende dall'uomo ma da Dio. Perciò il battesimo non può essere "mortificato" del tutto come la soddisfazione che è opera dell'uomo.

3. Ci sono delle opere satisfattorie che lasciano degli effetti in chi le compie anche dopo che sono state compiute: il digiuno, p. es., lascia una debilitazione corporale, e l'elargizione di elemosine lascia una diminuzione di sostanze, e così via. Ebbene tali opere, non è necessario che vengano ripetute: poiché esse sono rese accette a Dio con la penitenza nelle loro conseguenze che permangono. Invece le opere satisfattorie che non lasciano conseguenze in chi le compie, devono essere ripetute: tale è il caso delle preghiere e di altre opere consimili. Gli atti interni poi,
poiché passano del tutto, in nessun modo possono avere una riviviscenza, ma devono essere ripetuti.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Modalità della soddisfazione > Se le opere compiute senza la carità meritino per lo meno qualche bene temporale


Supplemento
Questione 14
Articolo 4

SEMBRA che le opere compiute senza la carità meritino qualche bene, per lo meno di ordine temporale.
Infatti:
1. Come la pena sta all'atto cattivo, così il premio sta all'atto buono. Ma nessun atto cattivo rimane impunito presso Dio "giusto giudice". Dunque nessun atto buono rimane senza rimunerazione. Quindi con codesto atto si merita qualche cosa.

2. La mercede non viene data che per un merito. Ora, per le opere fatte senza la carità viene data una mercede: perché così si esprime il Vangelo a proposito di coloro che compiono le opere buone per la gloria umana: "Hanno ricevuto la loro mercede". Perciò codeste opere furono meritorie di qualche bene.

3. Due peccatori di cui l'uno compie molte opere buone, sia per il loro oggetto che per la loro circostanza e l'altro nessuna, non sono ugualmente preparati a ricevere i beni di Dio: altrimenti al primo non bisognerebbe consigliare di fare del bene. Ma chi più si avvicina a Dio percepisce più abbondantemente i suoi beni. Dunque costui merita qualche cosa da Dio con le opere buone che compie.

IN CONTRARIO: 1. S. Agostino afferma, che "il peccatore non è degno del pane che mangia". Egli perciò non può meritare nulla da Dio.

2. Chi è nulla non può meritare nulla. Ma il peccatore, non avendo la carità, "è nulla" nell'ordine delle realtà spirituali, come afferma S. Paolo. Quindi non può meritare nulla.

RISPONDO: Propriamente si chiama merito l'azione [o disposizione] per cui a colui che agisce è giusto che si dia qualche cosa. Ma della giustizia si può parlare in due maniere. Primo, in senso proprio: ed è quella che considera il debito da parte di chi deve riceverlo. Secondo, in senso quasi metaforico, che considera il debito da parte di chi deve accordarlo: infatti un compenso può essere opportuno da parte di chi deve darlo, e tuttavia chi deve riceverlo non ne ha un vero diritto. E in tal senso la giustizia può definirsi la virtù "che si addice alla bontà divina": ecco perché S. Anselmo afferma che "Dio è giusto quando perdona ai peccatori, poiché a lui si addice". Per questo vengono indicati due tipi di merito. Primo, l'atto, o formalità per cui chi agisce ha personalmente l'esigenza a ricevere. E questo è il merito de condigno. Secondo, la formalità per cui un compenso diviene un'esigenza di dare in chi lo deve elargire, secondo la convenienza della di lui bontà. E questo merito viene denominato de congruo.
Ora, siccome il primo motivo della donazione di quei beni che sono offerti gratuitamente è l'amore, è impossibile che possa acquistare un diritto su di essi uno il quale è escluso dall'amicizia. E poiché tutti i beni, sia temporali che eterni vengono dati dalla liberalità divina, nessuno può acquistare il diritto di riceverne senza la carità verso Dio. Ecco perché le opere compiute senza la carità non meritano de condigno presso Dio né il bene eterno né i beni temporali.
Ma poiché si addice alla bontà divina condurre a perfezione tutte le buone disposizioni, si dice che alcuni meritano del bene per le opere buone fatte senza la carità. E in tal senso codeste opere valgono a ottenere tre tipi di beni: beni temporali, la disposizione alla grazia, e l'abitudine a fare del bene.
Siccome però questo merito non è merito in senso proprio, è più giusto concludere che codeste opere sono meritorie di niente.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il figlio, come nota il Filosofo, con tutto quel che fa non può rendere nulla a suo padre per far pari con quello che ne ha ricevuto, per cui il padre non può mai diventare debitore del figlio. Ora, molto meno l'uomo è in grado di rendere Dio suo debitore con un'opera equivalente. Perciò nessuna delle nostre opere per la grandezza della sua bontà può pretendere di meritare qualche cosa: ma ciò si deve alla carità, la quale rende comuni le cose che appartengono agli amici. Quindi per quanto grande sia l'opera buona compiuta senza la carità, non può far sì che uno acquisti presso Dio, in senso proprio, l'esigenza di riceverne un compenso. Invece un'opera cattiva merita una pena equivalente per la gravità della propria malizia: perché le azioni cattive non sono come quelle buone dei doni di Dio. Perciò sebbene una cattiva azione meriti la pena de condigno, senza la carità l'opera buona non merita de condigno il premio.

2, 3. La seconda e la terza difficoltà valgono per il merito de congruo.

Le altre ragioni [in contrario] invece valgono per il merito de condigno.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Modalità della soddisfazione > Se le opere suddette valgano a mitigare le pene dell'inferno


Supplemento
Questione 14
Articolo 5

SEMBRA che le opere suddette non valgano a mitigare le pene dell'inferno. Infatti:
1. La gravità della pena nell'inferno sarà pari alla gravità della colpa. Ma le opere compiute senza la carità non diminuiscono la gravità del peccato. Quindi neppure possono diminuire le pene dell'inferno.

2. Le pene dell'inferno, pur essendo infinite per la durata, sono però finite per intensità. Ora, qualsiasi cosa finita viene consumata con un numero finito di sottrazioni. Perciò se le opere compiute senza la carità togliessero un po' di pena dovuta ai peccati, potrebbe capitare che codeste opere si moltiplicassero al punto da eliminare del tutto la pena dell'inferno. Il che è falso.

3. I suffragi della Chiesa sono più efficaci delle opere compiute senza la carità. Ora, come afferma S. Agostino, ai dannati dell'inferno i suffragi della Chiesa non giovano. Molto meno quindi le loro pene possono essere mitigate dalle opere compiute senza la carità.

IN CONTRARIO: 1. S. Agostino afferma che tali suffragi "giovano, o in modo da ottenere la piena remissione, oppure una maggiore tollerabilità della condanna".

2. Fare il bene è più che evitare il male. Ora, l'astensione dal male giova sempre a evitare la pena, anche in colui che è privo di carità. Molto più quindi può giovare così il compimento del bene.

RISPONDO: La diminuzione della pena dell'inferno si può concepire in due modi. Primo, come liberazione dalla pena che uno ha già meritato. E in tal senso, poiché nessuno viene liberato dalla pena, se non è assolto dalla colpa, non potendo gli effetti diminuire o cessare se non con la diminuzione e la cessazione della loro causa, le pene dell'inferno non possono essere mitigate dalle opere compiute senza la carità, perché queste sono incapaci di togliere o di diminuire la colpa.
Secondo, in modo da impedire che la pena venga [pienamente] meritata. E in tal senso codeste opere possono diminuire le pene dell'inferno. Primo, perché chi le compie evita dei peccati di omissione. - Secondo, perché codeste opere in qualche modo dispongono al bene; sia portando a peccare con meno disprezzo, sia ritraendo da molti altri peccati.
Invece codeste opere possono meritare sia la dilazione dei castighi temporali, come si legge di Acab, che il conseguimento di qualche bene di codesto genere.
Alcuni invece affermano che esse diminuiscono le pene dell'inferno non già riducendole in se stesse, ma fortificando chi le subisce in modo da poterle sopportare. - Ora, questo è impossibile.
Perché tale rafforzamento si riduce a una diminuzione della sofferenza. Ma la sofferenza è proporzionata alla colpa. Perciò se non diminuisce la colpa, il paziente non può essere fortificato.
Altri poi dicono che la pena verrebbe diminuita rispetto al verme della coscienza, ma non rispetto al fuoco. - Ma anche questa distinzione è inconsistente. Perché tanto la pena del fuoco, che la pena del rimorso sono adeguate alla colpa. Quindi per l'una e per l'altra vale la stessa ragione.

Sono così risolte anche le difficoltà.

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