Sup, 12

Terza parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > La soddisfazione


Supplemento
Questione 12
Proemio

Veniamo ora a trattare della soddisfazione. In proposito esamineremo quattro cose: primo, la sua natura; secondo, la sua possibilità; terzo, le sue modalità; quarto, quali siano le opere con le quali l'uomo può dare soddisfazione a Dio.
Sul primo argomento si pongono tre quesiti:

1. Se la soddisfazione sia una virtù, o un atto di virtù;
2. Se sia un atto di giustizia;
3. Se la definizione della soddisfazione che troviamo nelle Sentenze sia accettabile.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > La soddisfazione > Se la soddisfazione sia una virtù o un atto di virtù


Supplemento
Questione 12
Articolo 1

SEMBRA che la soddisfazione non sia né una virtù né un atto di virtù. Infatti:
1. Ogni atto di virtù è meritorio. Ma la soddisfazione evidentemente non è meritoria: perché il merito suppone un atto spontaneo, invece la soddisfazione è dovuta. Dunque la soddisfazione non è un atto di virtù.

2. Ogni atto di virtù è volontario. Invece talora uno è costretto a dare soddisfazione: p. es., quando uno è punito dal giudice per l'offesa fatta ad altri. Perciò la soddisfazione non è un atto di virtù.

3. A detta del Filosofo, "in una virtù morale la cosa più importante è la deliberazione". Ma la soddisfazione non è compiuta mediante una deliberazione, poiché riguarda principalmente opere esterne. Quindi essa non è un atto di virtù.

IN CONTRARIO: 1. La soddisfazione fa parte della penitenza. Ma la penitenza è una virtù. Dunque la soddisfazione è un atto di virtù.

2. Nessun atto può contribuire a distruggere il peccato, se non è un atto di virtù: perché "una cosa non viene distrutta che mediante il suo contrario". Ora, dalla soddisfazione il peccato viene totalmente distrutto. Quindi la soddisfazione è un atto di virtù.

RISPONDO: Un atto si può considerare atto di virtù in due modi. Primo, materialmente. E in tal senso qualsiasi atto che non implichi malizia, né assenza delle debite circostanze si può considerare un atto di virtù, poiché una virtù può servirsi di un qualsiasi atto del genere, quali camminare, parlare e simili, per raggiungere il proprio fine.
Secondo, un atto può dirsi atto di virtù formalmente, perché nel suo nome implica la nozione di virtù: sopportare con coraggio, p. es., si dice che è un atto di fortezza. Ora, il costitutivo formale di qualsiasi virtù morale è il giusto mezzo. Perciò ogni atto che implica l'idea di giusto mezzo è formalmente un atto di virtù. E poiché tale è l'uguaglianza implicita nel termine soddisfazione, infatti non si può dire che una data cosa è soddisfatta se non perché ha raggiunto la proporzione di uguaglianza con un'altra cosa, è evidente che la soddisfazione è anche formalmente un atto di virtù.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene soddisfare sia in se stesso una cosa dovuta, tuttavia poiché chi soddisfa eseguisce l'opera volontariamente, la soddisfazione riceve la natura di cosa spontanea da parte dell'operante: sicché costui "fa di necessità virtù". Il debito infatti diminuisce il merito, in quanto implica necessità che è il contrario della volontarietà. Perciò se la volontà consente alla necessità, il merito non viene eliminato.

2. L'atto virtuoso richiede volontarietà non in chi lo subisce, ma in chi lo compie; perché è a lui che appartiene. Perciò, siccome colui sul quale il giudice esercita la giusta vendetta subisce e non compie la soddisfazione, la soddisfazione volontaria non si riscontra in lui, bensì nel giudice che l'impone.

3. In una virtù l'elemento principale può essere determinato da due punti di vista. Primo, da quello della virtù in quanto virtù. E da questo lato le cose principali sono quelle attinenti alla ragione, o che più si avvicinano a questa. E così sono principali nella virtù in quanto virtù la deliberazione e gli atti inferiori dell'animo.
Secondo, si può considerare principale ciò che specifica quella virtù come tale. E in tal senso l'elemento principale in essa è quello da cui desume la sua determinazione. Ora, in certe virtù gli atti inferiori sono determinati da quelli esteriori: poiché la deliberazione, che è comune a tutte le virtù, per il fatto che è deliberazione di quel dato atto, diviene propria di quella data virtù. E da questo lato gli atti esterni in certe virtù sono principali. Così avviene anche nel caso della soddisfazione.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > La soddisfazione > Se la soddisfazione sia un atto di giustizia


Supplemento
Questione 12
Articolo 2

SEMBRA che la soddisfazione non sia un atto di giustizia. Infatti:
1. La soddisfazione mira a riconciliare con la persona che è stata offesa. Ma la riconciliazione, essendo un atto di amore, appartiene alla carità. Dunque la soddisfazione è un atto di carità e non di giustizia.

2. Causa dei nostri peccati sono le passioni che ci spingono al male. Ora, la giustizia, come il Filosofo insegna, ha per oggetto non le passioni, ma le operazioni. Perciò avendo la soddisfazione il compito di "distruggere le cause dei peccati", come è detto nelle Sentenze, è chiaro che non è un atto di giustizia.

3. Premunirsi per il futuro non è un atto di giustizia, ma di prudenza, tra le cui parti rientra la cautela. Ma questo è appunto il compito della soddisfazione; poiché spetta ad essa "non lasciare adito alle suggestioni dei peccati". Dunque la soddisfazione non è un atto di giustizia.

IN CONTRARIO: 1. Nessuna virtù fuori della giustizia ha per oggetto ciò che è dovuto. Ma la soddisfazione, come dice S. Anselmo, "rende a Dio l'onore che gli è dovuto". Quindi la soddisfazione è un atto di giustizia.

2. Nessuna virtù fuori della giustizia ha il compito di stabilire l'uguaglianza circa le cose esterne. Ora, proprio questo si compie mediante la soddisfazione, che stabilisce un'uguaglianza tra l'espiazione e l'offesa precedente. Dunque la soddisfazione è un atto di giustizia.

RISPONDO: Il giusto mezzo della giustizia, come insegna il Filosofo, viene determinato secondo l'adeguazione di una cosa con un'altra in base a una certa proporzionalità. Perciò essendo una tale adeguazione implicita nel termine stesso di soddisfazione [satisfactio], perché l'avverbio satis implica uguaglianza di proporzione, è evidente che la soddisfazione è formalmente un atto di giustizia.
L'atto di giustizia, però, a detta del Filosofo, o regola il rapporto di se stessi con altri, come quando uno restituisce a un altro ciò che gli deve; oppure il rapporto di due persone estranee, come quando il giudice fa giustizia tra due contendenti. Ora, quando l'atto di giustizia regola il soggetto stesso rispetto ad altri, l'uguaglianza risiede in colui che agisce; quando invece regola i rapporti tra due estranei, l'uguaglianza si attua in chi subisce la sentenza. E poiché il termine satisfactio esprime l'uguaglianza di chi fa o agisce, esprime a rigore un atto di giustizia di se stessi verso un altro.
Ora, verso un altro uno può fare giustizia, sia nell'ambito degli atti e delle passioni, che in quello dei beni esterni: come l'ingiustizia stessa viene fatta ad altri, o sottraendo loro dei beni, o molestandoli con qualche atto. E poiché l'uso dei beni esterni consiste nel donarli, l'atto di giustizia che li riguarda viene denominato rendere; mentre il termine soddisfare indica chiaramente l'uguaglianza nell'ambito delle azioni, sebbene talora un termine venga usato per l'altro.
E poiché l'adeguazione non si può fare che tra cose disuguali, la soddisfazione presuppone una disuguaglianza nell'ambito dell'agire, il che costituisce un'offesa: quindi la soddisfazione si riferisce a un'offesa che l'ha preceduta. Ma l'offesa precedente non è oggetto che della giustizia vendicativa, la quale ristabilisce l'uguaglianza in colui che viene a subire il giusto castigo, sia che si tratti del medesimo soggetto ad agire e a subire, come quando uno infligge una pena a se stesso, sia che si tratti di una persona diversa, come quando uno viene punito dal giudice, perché la giustizia vendicativa si riferisce all'uno come all'altro. Allo stesso modo fa la penitenza, la quale si limita a ristabilire l'uguaglianza nel medesimo soggetto, il quale applica a se stesso la pena: cosicché anche la penitenza è in qualche modo una specie di giustizia vendicativa.
E in tal modo risulta che la soddisfazione, la quale implica [il ristabilimento dell'] uguaglianza nel soggetto medesimo, rispetto a una sua offesa precedente, è un atto di giustizia, rientrando essa in quella parte della giustizia che è appunto la penitenza.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La soddisfazione, come abbiamo già detto, è un compenso per l'ingiuria commessa. Ora, come l'ingiuria che si commette rientra direttamente nella disuguaglianza che colpisce la giustizia, e indirettamente nella disuguaglianza che ferisce l'amicizia; così la soddisfazione direttamente porta all'uguaglianza della giustizia, e indirettamente a quella dell'amicizia. E poiché un atto promana immediatamente da quell'abito al cui fine è direttamente ordinato, mentre viene comandato da quello al cui fine tende come a termine ultimo, la soddisfazione promana dalla giustizia ed è comandata dalla carità.

2. Sebbene la giustizia riguardi principalmente le opere esterne, tuttavia di riflesso riguarda anche le passioni, in quanto sono causa di quelle. Ora, come la giustizia tiene a freno l'ira, affinché non si percuota un altro ingiustamente, e la concupiscenza perché non si commetta adulterio; così la soddisfazione può "distruggere le cause dei peccati".

3. Qualsiasi virtù morale è sotto l'influsso della prudenza, poiché è da questa che riceve natura di virtù: infatti il giusto mezzo, come risulta dalla definizione che della virtù da Aristotele, in tutte le virtù morali viene stabilito secondo la prudenza.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > La soddisfazione > Se la definizione agostiniana della soddisfazione, riferita dalle Sentenze, sia accettabile


Supplemento
Questione 12
Articolo 3

SEMBRA che la definizione agostiniana della soddisfazione, riferita dalle Sentenze, sia inaccettabile. Infatti:
1. In essa si legge che "la soddisfazione consiste nell'estirpare le cause dei peccati e nel bloccare la via alle loro suggestioni". Ora, causa del peccato attuale è il fomite. Ma nella vita presente non possiamo estirpare il fomite. Dunque la soddisfazione non consiste "nell'estirpare le cause dei peccati".

2. La causa del peccato ha più forza del peccato stesso. Ma l'uomo con le sue forze non può estirpare il peccato. Molto meno quindi potrà estirparne le cause.

3. La soddisfazione, essendo parte della penitenza, riguarda il passato, non già il futuro. Ora, "bloccare la via alle suggestioni dei peccati" riguarda il futuro. Perciò tale compito non va ricordato nella definizione della soddisfazione.

4. Il termine soddisfazione dice rapporto all'offesa passata. Invece dell'offesa passata qui non si fa nessun cenno. Dunque la definizione suddetta della soddisfazione è inaccettabile.

5. S. Anselmo presenta quest'altra definizione: "La soddisfazione consiste nel prestare a Dio il debito onore". Ora, in essa non si fa nessun accenno a quanto qui ricorda S. Agostino. Quindi una delle due definizioni è inaccettabile.

6. Il debito onore può essere prestato a Dio anche dall'innocente. Soddisfare invece non appartiene all'innocente. Dunque la definizione di S. Anselmo non è a proposito.

RISPONDO: La giustizia non tende solo a togliere una disuguaglianza precedente col punire la colpa, ma anche a custodire l'uguaglianza per l'avvenire: poiché, come dice il Filosofo, "le pene
sono medicine". Perciò anche la soddisfazione, che è un atto della giustizia vendicativa, è una medicina che cura i peccati passati e preserva da quelli futuri. Infatti quando un uomo dà soddisfazione a un altro, offre un compenso per i torti passati e s'impegna a evitarne per il futuro.
Ecco perché si possono dare due definizioni della soddisfazione. Primo, in rapporto alla colpa passata, che essa ripara con una compensazione. E sotto tale aspetto la soddisfazione è "la compensazione dell'ingiuria commessa, secondo l'uguaglianza della giustizia". A ciò sembra ridursi la definizione di S. Anselmo, il quale dice che soddisfare consiste "nel rendere a Dio il debito onore", cioè quanto è dovuto a motivo della colpa commessa.
Secondo, la soddisfazione può essere definita sotto l'aspetto di preservazione dalla colpa futura. Ed in tal senso è concepita la definizione di S. Agostino. La preservazione però da una malattia corporale si fa togliendo le cause del morbo, perché allora questo non può derivarne. Non è così invece per la malattia spirituale: poiché il libero arbitrio non subisce costrizioni; cosicché una colpa, pur esistendone le cause, sebbene con difficoltà può essere evitata; e pur estirpandone le cause può essere commessa. Ecco perché nella definizione della soddisfazione S. Agostino mette queste due cose: primo, l'estirpazione delle cause; secondo la resistenza del libero arbitrio di fronte al peccato stesso.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le cause di cui si parla sono quelle prossime del peccato attuale, che poi sono due: il desiderio sfrenato, prodotto dall'abitudine o lasciato dall'atto peccaminoso, accompagnato da altri strascichi del peccato commesso; e le occasioni esterne che spingono al peccato, come il giuoco, le cattive compagnie, e altre cose del genere. E tali cause vengono eliminate in questa vita con la soddisfazione: sebbene il fomite, che è la causa remota del peccato attuale, anche se viene smorzato, non possa essere totalmente distrutto in questa vita mediante la soddisfazione.

2. La causa del male e della privazione nella misura in cui il male può avere una causa, non è che un bene difettoso. Ora, il bene è più facile eliminarlo che costituirlo. Perciò è più facile distruggere le cause della privazione e del male, che togliere il male stesso, non potendo questo essere eliminato che dalla produzione del bene. Il che è evidente nel caso della carità e delle sue cause. - Tuttavia si noti che le predette cause del peccato non sono determinanti, poiché da esse il peccato non segue in modo necessario: ma ne sono le occasioni. - Del resto la soddisfazione non si compie senza l'aiuto di Dio: poiché essa come vedremo, non può compiersi senza la carità.

3. Sebbene la penitenza abbia di mira per prima cosa il passato, tuttavia di conseguenza riguarda anche il futuro, quale rimedio preservativo. Lo stesso si dica per la soddisfazione.

4. S. Agostino intende definire la soddisfazione che va data a Dio, al quale in realtà non è possibile togliere nulla, sebbene il peccatore per quanto dipende da lui sottragga qualche cosa. Perciò in codesta soddisfazione si richiede di più l'emenda per il futuro che la compensazione per il passato. Ecco perché S. Agostino ha insistito su tale aspetto nel definire la soddisfazione.
Tuttavia dalla cautela per il futuro si può arguire la compensazione per il passato, che riguarda gli stessi atti in senso contrario.
Infatti guardando il passato detestiamo per i peccati le cause di essi, cominciando nel sentimento dalla, detestazione dei peccati; mentre nelle precauzioni incominciamo dalle cause, affinché eliminate le cause evitiamo più facilmente i peccati.

5. Niente impedisce che della medesima cosa vengono date diverse definizioni, secondo i vari elementi che in essa si riscontrano. Così avviene in questo caso, come risulta dai testi riferiti.

6. Il debito di cui si parla è quello dovuto a Dio a motivo delle colpe commesse: poiché, come abbiamo già notato, la penitenza ha per oggetto il debito.

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