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Se il sacerdote sia tenuto in tutti i casi a celare i peccati conosciuti sotto il sigillo della confessione
Supplemento
Questione 11
Articolo 1
SEMBRA che non in tutti i casi il sacerdote sia tenuto a celare i peccati conosciuti sotto il sigillo della confessione. Infatti:
1. Come afferma S. Bernardo, "quanto è istituito per la carità non può contrapporsi alla carità". Ora, mantenere il segreto di confessione in qualche caso sarebbe contro la carità: quando uno, p. es., sa in confessione che una persona è eretica, e non riesce a farla desistere dal pervertire il popolo: oppure quando uno in confessione viene a conoscere l'affinità tra persone che intendono contrarre matrimonio. Dunque costui è tenuto a svelare la confessione.
2. Ciò cui si è obbligati solo da un precetto della Chiesa non va osservato quando dalla Chiesa viene dato un comando contrario. Ora, il segreto della confessione è stato introdotto solo da una disposizione ecclesiastica. Perciò se la Chiesa comanda che chiunque conosce un dato peccato lo manifesti, chi lo conosce mediante la confessione è tenuto a parlare.
3. Si è più tenuti a salvaguardare la propria coscienza che la fama altrui: poiché la carità è ordinata. Ma talora celando dei peccati uno reca danno alla propria coscienza: come quando viene chiamato a testimoniare per quei peccati ed è costretto a giurare di dire la verità; oppure quando un abate conosce dalla confessione il peccato di un priore da lui dipendente che a lasciarlo in carica è occasione della propria rovina, cosicché è tenuto a esonerarlo dall'ufficio per un dovere pastorale, però esonerandolo sembra che sveli la confessione. Dunque in certi casi è lecito svelare la confessione.
4. Un sacerdote dalla confessione può farsi la coscienza che un suo penitente è indegno della prelatura. Ora, ognuno è tenuto a opporsi alla promozione di persone indegne, quando ciò dipende da lui. Perciò, siccome con la sua opposizione potrebbe far sospettare il peccato, e quindi svelare in qualche modo la confessione, è evidente che talora è necessario svelare la confessione.
IN CONTRARIO: 1. Nei Canoni si legge: "Il sacerdote si guardi dal tradire il penitente con le parole, con i segni o in qualsiasi altro modo".
2. Il sacerdote deve uniformare la propria condotta a quella di Dio, di cui è ministro. Ora, Dio non svela ma copre i peccati manifestati nella confessione. Dunque neppure il sacerdote deve svelarli.
RISPONDO: Nei sacramenti gli atti che si compiono esternamente stanno a significare quelli che si compiono interiormente. Perciò la confessione con la quale uno si sottopone al sacerdote è il segno di quella interiore con la quale si assoggetta a Dio. Ora, Dio ricopre il peccato di chi a lui si assoggetta con la penitenza. Quindi ciò va significato nel sacramento della penitenza. Ecco perché è necessario che la confessione rimanga segreta; e perché pecca come profanatore del sacramento chi rivela la confessione.
Inoltre ci sono altri vantaggi di questo segreto; infatti da questo gli uomini vengono attirati maggiormente alla confessione; e confessano con maggiore semplicità i loro peccati.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Alcuni dicono che il sacerdote non è tenuto a tenere sotto il sigillo della confessione, se non i peccati di cui il penitente promette di emendarsi: altrimenti egli può parlarne alle persone che possono giovarsene in bene e non in male.
Ma tale opinione è erronea, essendo incompatibile con la verità del sacramento. Infatti, come il battesimo rimane un vero sacramento, sebbene uno lo riceva con cattive disposizioni, né per questo cambia nulla di quanto è essenziale al sacramento; così la confessione non cessa di essere un atto sacramentale, sebbene colui che si confessa non intenda di emendarsi. Ciò nonostante, quindi, essa esige il segreto.
Né il sigillo della confessione è in contrasto con la carità. Poiché la carità non esige che serva come rimedio al peccato ciò che uno ignora. Ebbene, quanto si sa in confessione è praticamente ignorato: perché uno lo sa non come uomo, bensì come Dio.
Tuttavia nei casi suddetti uno deve procurare quei rimedi che sono possibili, senza rivelare la confessione: ammonire, cioè, il penitente e vigilare perché gli altri non siano pervertiti dall'eresia. Può anche esortare il prelato a vegliare con più diligenza sul proprio gregge: però senza dire o accennare nulla che possa tradire il penitente.
2. Il precetto di custodire il segreto di confessione è implicito nel sacramento stesso. Perciò come è di legge divina l'obbligo di fare la confessione, e non si può esserne dispensati da nessuna licenza o comando umano, così nessuno può essere obbligato o autorizzato da un uomo a svelare la confessione. Se quindi uno venisse comandato sotto la minaccia della scomunica di dire se è a conoscenza di quel dato peccato, non deve parlare: poiché deve pensare che gli venga comandato condizionatamente, "se ne è a conoscenza come uomo". E anche se venisse espressamente interrogato circa la confessione, non deve parlare. Né per questo incorrerebbe la scomunica, non essendo egli soggetto al superiore se non come uomo; ora, egli è a conoscenza di quei peccati non come uomo, bensì come Dio.
3. Un uomo può essere citato a testimoniare soltanto come uomo. Perciò, senza pregiudizio per la coscienza, un confessore può giurare di non sapere quello che sa solo come Dio.
Così pure il prelato può lasciare senza punizione e senza altro rimedio il peccato che conosce solo come Dio. Poiché egli non è tenuto a usare rimedi, se non nel modo che si addicono a lui. Perciò quelle cose che vengono a lui deferite nel tribunale di penitenza, deve rimediarle nei limiti del possibile nell'ambito di codesto tribunale. Nel caso suddetto, p. es., l'abate deve insistere affinché il penitente rinunzi al priorato. Oppure, se non vuole, può esonerarlo dalla carica per qualche altro motivo: in modo però da evitare ogni sospetto che riveli il segreto di confessione.
4. Uno può essere indegno della prelatura per molte altre cause, oltre che per il peccato: p, es., per mancanza di scienza, di età, o di altre cose del genere. Perciò chi si oppone non induce per questo a sospettare un delitto, né rivela così la confessione.
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