Sup, 11

Terza parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il sigillo della confessione


Supplemento
Questione 11
Proemio

Veniamo ora a indagare sul sigillo della confessione.
Sull'argomento si pongono cinque quesiti:

1. Se in qualsiasi caso uno sia sempre tenuto a non svelare quanto conosce sotto il sigillo della confessione;
2. Se il segreto della confessione si estenda a cose che non sono materia di confessione;
3. Se solo il sacerdote sia tenuto al sigillo della confessione;
4. Se il confessore possa parlare col permesso del penitente;
5. Se egli sia tenuto al segreto anche se conosce i fatti per altra via.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il sigillo della confessione > Se il sacerdote sia tenuto in tutti i casi a celare i peccati conosciuti sotto il sigillo della confessione


Supplemento
Questione 11
Articolo 1

SEMBRA che non in tutti i casi il sacerdote sia tenuto a celare i peccati conosciuti sotto il sigillo della confessione. Infatti:
1. Come afferma S. Bernardo, "quanto è istituito per la carità non può contrapporsi alla carità". Ora, mantenere il segreto di confessione in qualche caso sarebbe contro la carità: quando uno, p. es., sa in confessione che una persona è eretica, e non riesce a farla desistere dal pervertire il popolo: oppure quando uno in confessione viene a conoscere l'affinità tra persone che intendono contrarre matrimonio. Dunque costui è tenuto a svelare la confessione.

2. Ciò cui si è obbligati solo da un precetto della Chiesa non va osservato quando dalla Chiesa viene dato un comando contrario. Ora, il segreto della confessione è stato introdotto solo da una disposizione ecclesiastica. Perciò se la Chiesa comanda che chiunque conosce un dato peccato lo manifesti, chi lo conosce mediante la confessione è tenuto a parlare.

3. Si è più tenuti a salvaguardare la propria coscienza che la fama altrui: poiché la carità è ordinata. Ma talora celando dei peccati uno reca danno alla propria coscienza: come quando viene chiamato a testimoniare per quei peccati ed è costretto a giurare di dire la verità; oppure quando un abate conosce dalla confessione il peccato di un priore da lui dipendente che a lasciarlo in carica è occasione della propria rovina, cosicché è tenuto a esonerarlo dall'ufficio per un dovere pastorale, però esonerandolo sembra che sveli la confessione. Dunque in certi casi è lecito svelare la confessione.

4. Un sacerdote dalla confessione può farsi la coscienza che un suo penitente è indegno della prelatura. Ora, ognuno è tenuto a opporsi alla promozione di persone indegne, quando ciò dipende da lui. Perciò, siccome con la sua opposizione potrebbe far sospettare il peccato, e quindi svelare in qualche modo la confessione, è evidente che talora è necessario svelare la confessione.

IN CONTRARIO: 1. Nei Canoni si legge: "Il sacerdote si guardi dal tradire il penitente con le parole, con i segni o in qualsiasi altro modo".

2. Il sacerdote deve uniformare la propria condotta a quella di Dio, di cui è ministro. Ora, Dio non svela ma copre i peccati manifestati nella confessione. Dunque neppure il sacerdote deve svelarli.

RISPONDO: Nei sacramenti gli atti che si compiono esternamente stanno a significare quelli che si compiono interiormente. Perciò la confessione con la quale uno si sottopone al sacerdote è il segno di quella interiore con la quale si assoggetta a Dio. Ora, Dio ricopre il peccato di chi a lui si assoggetta con la penitenza. Quindi ciò va significato nel sacramento della penitenza. Ecco perché è necessario che la confessione rimanga segreta; e perché pecca come profanatore del sacramento chi rivela la confessione.
Inoltre ci sono altri vantaggi di questo segreto; infatti da questo gli uomini vengono attirati maggiormente alla confessione; e confessano con maggiore semplicità i loro peccati.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Alcuni dicono che il sacerdote non è tenuto a tenere sotto il sigillo della confessione, se non i peccati di cui il penitente promette di emendarsi: altrimenti egli può parlarne alle persone che possono giovarsene in bene e non in male.
Ma tale opinione è erronea, essendo incompatibile con la verità del sacramento. Infatti, come il battesimo rimane un vero sacramento, sebbene uno lo riceva con cattive disposizioni, né per questo cambia nulla di quanto è essenziale al sacramento; così la confessione non cessa di essere un atto sacramentale, sebbene colui che si confessa non intenda di emendarsi. Ciò nonostante, quindi, essa esige il segreto.
Né il sigillo della confessione è in contrasto con la carità. Poiché la carità non esige che serva come rimedio al peccato ciò che uno ignora. Ebbene, quanto si sa in confessione è praticamente ignorato: perché uno lo sa non come uomo, bensì come Dio.
Tuttavia nei casi suddetti uno deve procurare quei rimedi che sono possibili, senza rivelare la confessione: ammonire, cioè, il penitente e vigilare perché gli altri non siano pervertiti dall'eresia. Può anche esortare il prelato a vegliare con più diligenza sul proprio gregge: però senza dire o accennare nulla che possa tradire il penitente.

2. Il precetto di custodire il segreto di confessione è implicito nel sacramento stesso. Perciò come è di legge divina l'obbligo di fare la confessione, e non si può esserne dispensati da nessuna licenza o comando umano, così nessuno può essere obbligato o autorizzato da un uomo a svelare la confessione. Se quindi uno venisse comandato sotto la minaccia della scomunica di dire se è a conoscenza di quel dato peccato, non deve parlare: poiché deve pensare che gli venga comandato condizionatamente, "se ne è a conoscenza come uomo". E anche se venisse espressamente interrogato circa la confessione, non deve parlare. Né per questo incorrerebbe la scomunica, non essendo egli soggetto al superiore se non come uomo; ora, egli è a conoscenza di quei peccati non come uomo, bensì come Dio.

3. Un uomo può essere citato a testimoniare soltanto come uomo. Perciò, senza pregiudizio per la coscienza, un confessore può giurare di non sapere quello che sa solo come Dio.
Così pure il prelato può lasciare senza punizione e senza altro rimedio il peccato che conosce solo come Dio. Poiché egli non è tenuto a usare rimedi, se non nel modo che si addicono a lui. Perciò quelle cose che vengono a lui deferite nel tribunale di penitenza, deve rimediarle nei limiti del possibile nell'ambito di codesto tribunale. Nel caso suddetto, p. es., l'abate deve insistere affinché il penitente rinunzi al priorato. Oppure, se non vuole, può esonerarlo dalla carica per qualche altro motivo: in modo però da evitare ogni sospetto che riveli il segreto di confessione.

4. Uno può essere indegno della prelatura per molte altre cause, oltre che per il peccato: p, es., per mancanza di scienza, di età, o di altre cose del genere. Perciò chi si oppone non induce per questo a sospettare un delitto, né rivela così la confessione.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il sigillo della confessione > Se il sigillo della confessione abbracci anche altre notizie che non sono materia di confessione


Supplemento
Questione 11
Articolo 2

SEMBRA che il sigillo della confessione abbracci anche altre notizie che non sono materia di confessione. Infatti:
1. Materia di confessione non sono che i peccati. Ma talora il penitente assieme ai peccati riferisce molte altre cose che non sono materia di confessione. Perciò, siccome queste sono dette al sacerdote come se si dicessero a Dio, è chiaro che il sigillo della confessione abbraccia anche codeste notizie.

2. Talora capita che uno comunichi a un altro un segreto "sotto sigillo di confessione". Dunque il sigillo di confessione abbraccia anche cose che non sono di confessione.

IN CONTRARIO: Il sigillo di confessione è un obbligo connesso alla confessione sacramentale. Ora, le cose connesse con un sacramento non si estendono al di là del sacramento. Perciò il sigillo della confessione non abbraccia che quanto è materia di confessione.

RISPONDO: Il sigillo della confessione direttamente non abbraccia se non quanto è materia di confessione sacramentale. Però indirettamente essa può abbracciare anche ciò che non è materia di confessione sacramentale, quando si tratta di cose da cui si potrebbe scoprire, o il peccato, o il peccatore. Tuttavia vanno celate con somma diligenza anche le altre notizie: sia per evitare scandalo; sia per la propensione [a parlare] che potrebbe provocare codesto modo di agire.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È così risolta anche la prima difficoltà.

2. Non si deve accettare facilmente un segreto sotto codesta formula. Però se uno lo accetta, è tenuto a mantenerlo come se l'avesse ricevuto in confessione: sebbene non l'abbia avuto in tal modo.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il sigillo della confessione > Se il sacerdote soltanto sia vincolato dal sigillo della confessione


Supplemento
Questione 11
Articolo 3

SEMBRA che non il sacerdote soltanto sia vincolato dal sigillo della confessione. Infatti:
1. Talora capita che uno per necessità si confessi al sacerdote mediante l'interprete. Ma l'interprete evidentemente è tenuto a non rivelare la confessione. Quindi anche chi non è sacerdote può esser vincolato dal sigillo della confessione.

2. In caso di necessità uno può confessarsi a un laico. Ma questi è tenuto a non rivelare i peccati, poiché gli vengono manifestati come a Dio. Dunque non il sacerdote soltanto è vincolato dal sigillo della confessione.

3. Può capitare che uno finga di essere sacerdote per conoscere con questa frode la coscienza di un altro. Ora, anche costui evidentemente pecca rivelando la confessione. Perciò il sacerdote non è solo ad essere vincolato dal sigillo della confessione.

IN CONTRARIO: 1. Solo il sacerdote è ministro di questo sacramento. Ma il sigillo della confessione è annesso al sacramento. Dunque solo il sacerdote è vincolato dal sigillo della confessione.

2. Un uomo è tenuto a celare le cose che ascolta in confessione, se egli le conosce non come uomo, ma come Dio. Ora, solo il sacerdote è ministro di Dio. Quindi solo il sacerdote è tenuto al segreto.

RISPONDO: Il sigillo della confessione vincola il sacerdote in quanto egli è ministro di questo sacramento: sigillo che consiste nell'obbligo di non rivelare la confessione, come il potere delle chiavi consiste nella facoltà di assolvere. Tuttavia, come chi non è sacerdote in certi casi partecipa in qualche modo del potere delle chiavi ascoltando la confessione in casi di necessità; così può essere partecipe del sigillo di confessione, ed è tenuto al segreto; sebbene propriamente parlando non abbia il sigillo di confessione.

Sono così risolte anche le difficoltà.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il sigillo della confessione > Se col permesso del penitente il sacerdote possa rivelare ad altri i peccati che conosce sotto segreto di confessione


Supplemento
Questione 11
Articolo 4

SEMBRA che col permesso del penitente il sacerdote non possa rivelare ad altri i peccati che conosce sotto segreto di confessione. Infatti:
1. Un inferiore non può concedere quello che non può concedere un superiore. Ora, il Papa stesso non può dare a nessuno il permesso di rivelare un peccato ascoltato in confessione. Dunque non può dare codesto permesso neppure il penitente.

2. Quanto fu istituito per il bene comune non può essere mutato ad arbitrio di un individuo. Ora, il segreto di confessione fu istituito per il bene di tutta la Chiesa, affinché gli uomini accedessero alla confessione con più confidenza. Perciò il penitente non può dare al sacerdote la facoltà di parlare.

3. Se il sacerdote potesse ottenere codesta facoltà, si offrirebbe "il mantello della malizia" ai cattivi sacerdoti; poiché costoro potrebbero pretendere di averla ricevuta, e così peccherebbero impunemente. Il che è intollerabile. Quindi tale licenza non può esser data dal penitente.

4. La persona, cui verrebbe fatta la rivelazione, non sarebbe tenuta al segreto di confessione. Quindi potrebbe diventare pubblico un peccato che è già stato cancellato. Il che è inammissibile. Dunque tale licenza non si può concedere.

IN CONTRARIO: 1. Dietro richiesta dell'interessato un superiore può mandare un penitente a un sacerdote inferiore con l'accompagnamento di una lettera. Dunque dietro richiesta del penitente il confessore può svelare i peccati a un altro.

2. "Chi da se stesso può fare una cosa, può farla anche mediante un altro". Ma il penitente può rivelare da se stesso a un altro il proprio peccato. Dunque può rivelarlo anche mediante il sacerdote.

RISPONDO: Due sono i motivi per cui il sacerdote è tenuto a non svelare il peccato: il primo e principale sta nel fatto che tale segreto è essenziale al sacramento; poiché egli lo viene a conoscere come Dio, di cui fa le veci nella confessione; il secondo motivo sta nell'obbligo di evitare lo scandalo. Ora, il penitente può far sì che quanto il sacerdote sapeva come Dio, lo sappia come uomo: e lo fa appunto dandogli il permesso di parlare. Perciò se questi parla, non infrange il sigillo della confessione. È tenuto però a evitare lo scandalo, perché non si pensi che viola il segreto sacramentale.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Papa non può dare a un sacerdote il permesso di parlare, perché non può far sì che egli conosca quel peccato come uomo. Questo invece il penitente è in grado di farlo.

2. L'obbligo istituito per il bene comune non viene eliminato: perché il sigillo della confessione non può essere violato dalla manifestazione di colpe conosciute per altra via.

3. Da ciò non può risultare nessuna impunità per i cattivi sacerdoti; perché, se accusati, essi hanno il dovere di dimostrare di aver parlato dietro licenza del penitente.

4. Colui al quale viene comunicata dal sacerdote la conoscenza del peccato per volontà del penitente, partecipa in qualche modo alla funzione del sacerdote. Egli perciò viene a trovarsi nella condizione dell'interprete; a meno che il penitente non desideri che egli lo sappia senza restrizioni e ne usi liberamente.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il sigillo della confessione > Se il confessore possa rivelare ad altri ciò che egli ha conosciuto in confessione, ma anche in altro modo


Supplemento
Questione 11
Articolo 5

SEMBRA che il confessore in nessun modo possa rivelare ad altri ciò che egli ha conosciuto, sia in confessione che per altra via.
Infatti:
1. Il sigillo della confessione viene infranto proprio perché si rivela quanto si è saputo in confessione. Perciò se costui rivela un peccato udito in confessione, comunque l'abbia conosciuto per altre vie, è chiaro che infrange il sigillo della confessione.

2. Chi ascolta la confessione di una persona si obbliga con essa a non rivelarne i peccati. Ora, se uno promettesse a un altro di tenere il segreto su una confidenza che gli viene fatta, per quanto dopo possa saperla per altra via, è tenuto al segreto. Perciò quanto uno ha saputo in confessionale lo deve ritenere segreto, per quanto lo possa sapere per altra via.

3. Tra due elementi il più forte trae a sé quello più debole. Ebbene, la scienza con la quale uno conosce il peccato come Dio è superiore e più forte di quella con cui lo conosce come uomo. Dunque la trae a sé. Perciò non può svelarlo, come esige appunto la scienza con la quale egli conosce come Dio.

4. Il segreto di confessione fu istituito per evitare lo scandalo, e perché gli uomini non si ritraessero dalla confessione. Ma se uno potesse ridire un peccato che ha ascoltato in confessione, anche se ne è a conoscenza per altra via, lo scandalo ne seguirebbe ugualmente. Perciò egli non può parlarne in nessun modo.

IN CONTRARIO: 1. Nessuno può imporre a un altro un obbligo che egli non aveva, se non si tratta del prelato che gl'impone un precetto. Ora, chi conosceva di persona il peccato di un altro, non era obbligato a tenerlo segreto. Dunque il peccatore che da lui si confessa, non essendo suo prelato, non può obbligarlo al segreto confessandosi da lui.

2. Se così fosse, la giustizia della Chiesa ne verrebbe menomata, poiché uno per eludere una sentenza di scomunica da emanarsi contro di lui per un peccato di cui è stato riconosciuto colpevole, chiederebbe di confessarsi da chi deve proferire la sentenza. Ora, è di precetto che la giustizia segua il suo corso. Dunque uno non è tenuto a non rivelare il peccato ascoltato in confessione, quando lo conosce per altra via.

RISPONDO: In proposito ci sono tre opinioni. Alcuni dicono che i peccati ascoltati in confessione uno non può mai ridirli, anche se li ha conosciuti prima o dopo per altra via. – Altri invece affermano che con la confessione uno si preclude la possibilità di manifestare quanto sapeva in precedenza: ma non quella di manifestare quanto viene a sapere dopo.
Ebbene, entrambe queste opinioni, attribuendo troppo al sigillo della confessione, recano pregiudizio alla verità e al dovere di mantenere la giustizia. Uno infatti potrebbe essere incoraggiato a peccare, se non temesse di poter essere accusato dal proprio confessore dinanzi al quale commette il peccato. Così pure sarebbe molto menomata la giustizia, se uno non potesse testimoniare di ciò che ha visto, dopo la confessione a lui fatta in proposito. - Né vale quanto alcuni dicono che egli deve allora protestare di non esser tenuto a codesto segreto. Poiché codesta protesta non si può fare se non dopo aver ascoltato la colpa. E allora qualsiasi sacerdote potrebbe rivelare il peccato, facendo tale protesta, se ciò bastasse a renderlo libero di farlo.
Esiste perciò una terza opinione, che è più vera, secondo la quale quanto il confessore conosce per altra via, sia prima che dopo la confessione, non è tenuto a celarlo col segreto rispetto alla conoscenza che ne ha come uomo. Cosicché egli può dire: "Lo so perché ho visto". Tuttavia è tenuto a celarlo rispetto alla conoscenza che egli ne ha come Dio. Cosicché egli non può dire: "Questo io l'ho ascoltato in confessione". - Tuttavia per evitare lo scandalo, deve astenersi dal parlarne, se non c'è urgente necessità.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando uno dice di aver visto quello che poi ha ascoltato in confessione, non rivela che accidentalmente quel che deve alla confessione. Come colui il quale sa una cosa per averla vista e udita, di per sé non rivela di averla vista, dicendo di averla udita: ma solo accidentalmente [per accidens], perché dice di aver udito un fatto che gli è capitato anche di vedere. Perciò costui non infrange il sigillo della confessione.

2. Chi ascolta la confessione si obbliga a tener segreto direttamente non il peccato; ma il peccato come udito in confessione. Infatti egli in nessun caso può dire di averlo ascoltato in confessione.
3. Quel principio va applicato a cose che sono tra loro contrarie.

Ma la scienza con la quale uno conosce un peccato come Dio, e quella con la quale lo conosce come uomo non sono contrarie tra loro. Perciò l'argomento non regge.

4. Il peccato va evitato in maniera da non compromettere la giustizia: infatti "per evitare lo scandalo non si deve abbandonare la verità". Perciò quando è in pericolo la giustizia, uno, per evitare scandalo non deve tralasciare la rivelazione di un peccato udito in confessione, se lo conosce per altra via: purché egli per quanto può cerchi di evitare tale scandalo.

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