I, 85

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Procedimento e sviluppi dell'intellezione


Prima pars
Quaestio 85
Prooemium

[32009] IŞ q. 85 pr.
Deinde considerandum est de modo et ordine intelligendi. Et circa hoc quaeruntur octo.
Primo, utrum intellectus noster intelligat abstrahendo species a phantasmatibus.
Secundo, utrum species intelligibiles abstractae a phantasmatibus, se habeant ad intellectum nostrum ut quod intelligitur, vel sicut id quo intelligitur.
Tertio, utrum intellectus noster naturaliter intelligat prius magis universale.
Quarto, utrum intellectus noster possit multa simul intelligere.
Quinto, utrum intellectus noster intelligat componendo et dividendo.
Sexto, utrum intellectus possit errare.
Septimo, utrum unus possit eandem rem melius intelligere quam alius.
Octavo, utrum intellectus noster per prius cognoscat indivisibile quam divisibile.

 
Prima parte
Questione 85
Proemio

[32009] IŞ q. 85 pr.
Veniamo ora a trattare del procedimento e degli sviluppi dell'intellezione.
Su tale argomento si pongono otto quesiti:

1. Se il nostro intelletto conosca astraendo le specie intelligibili dai fantasmi;
2. Se le specie intelligibili astratte dai fantasmi siano, per rispetto all'intelligenza, l'oggetto conosciuto, oppure il mezzo di cognizione;
3. Se naturalmente il nostro intelletto conosca prima gli oggetti più universali;
4. Se il nostro intelletto possa conoscere simultaneamente più cose;
5. Se il nostro intelletto conosca mediante processi di composizione e di divisione;
6. Se l'intelletto possa cadere in errore;
7. Se uno possa intendere la stessa cosa meglio di un altro;
8. Se il nostro intelletto conosca prima gli indivisibili che le cose divisibili.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Procedimento e sviluppi dell'intellezione > Se il nostro intelletto intenda le cose corporee e materiali astraendole dai fantasmi


Prima pars
Quaestio 85
Articulus 1

[32010] IŞ q. 85 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod intellectus noster non intelligat res corporeas et materiales per abstractionem a phantasmatibus. Quicumque enim intellectus intelligit rem aliter quam sit, est falsus. Formae autem rerum materialium non sunt abstractae a particularibus, quorum similitudines sunt phantasmata. Si ergo intelligamus res materiales per abstractionem specierum a phantasmatibus, erit falsitas in intellectu nostro.

 
Prima parte
Questione 85
Articolo 1

[32010] IŞ q. 85 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il nostro intelletto non conosca le cose corporee e materiali astraendole dai fantasmi. Infatti:
1. Un intelletto il quale intenda la realtà diversamente da quello che essa è, è falso. Ora, le forme delle cose materiali non esistono nello stato di astrazione dai singolari, le cui immagini rappresentative sono i fantasmi. Se dunque noi conosciamo le cose materiali astraendo le specie intelligibili dai fantasmi, avremo un errore nel nostro intelletto.

[32011] IŞ q. 85 a. 1 arg. 2
Praeterea, res materiales sunt res naturales, in quarum definitione cadit materia. Sed nihil potest intelligi sine eo quod cadit in definitione eius. Ergo res materiales non possunt intelligi sine materia. Sed materia est individuationis principium. Ergo res materiales non possunt intelligi per abstractionem universalis a particulari, quod est abstrahere species intelligibiles a phantasmatibus.

 

[32011] IŞ q. 85 a. 1 arg. 2
2. Le cose materiali sono entità fisiche, nella cui definizione è inclusa la materia. Ora, non può dirsi conosciuta una cosa se si prescinde da ciò che rientra nella sua definizione. Perciò le cose materiali non possono essere conosciute prescindendo dalla materia. Ma la materia è principio di individuazione. Per conseguenza esse non possono essere conosciute mediante l'astrazione dell'universale dal particolare, che equivale all'astrazione delle specie intelligibili dai fantasmi.

[32012] IŞ q. 85 a. 1 arg. 3
Praeterea, in III de anima dicitur quod phantasmata se habent ad animam intellectivam sicut colores ad visum. Sed visio non fit per abstractionem aliquarum specierum a coloribus, sed per hoc quod colores imprimunt in visum. Ergo nec intelligere contingit per hoc quod aliquid abstrahatur a phantasmatibus, sed per hoc quod phantasmata imprimunt in intellectum.

 

[32012] IŞ q. 85 a. 1 arg. 3
3. Aristotele insegna che i fantasmi stanno all'anima intellettiva come i colori alla vista. Ora, l'atto della visione non avviene mediante l'astrazione di qualche specie intenzionale dai colori; ma per il fatto che i colori producono un'impressione nell'occhio. Anche l'intellezione dunque non avverrà per il fatto che si astrae qualche cosa dai fantasmi, ma perché i fantasmi producono un'impressione nell'intelletto.

[32013] IŞ q. 85 a. 1 arg. 4
Praeterea, ut dicitur in III de anima, in intellectiva anima sunt duo, scilicet intellectus possibilis, et agens. Sed abstrahere a phantasmatibus species intelligibiles non pertinet ad intellectum possibilem, sed recipere species iam abstractas. Sed nec etiam videtur pertinere ad intellectum agentem, qui se habet ad phantasmata sicut lumen ad colores, quod non abstrahit aliquid a coloribus, sed magis eis influit. Ergo nullo modo intelligimus abstrahendo a phantasmatibus.

 

[32013] IŞ q. 85 a. 1 arg. 4
4. Come Aristotele dimostra, nell'anima intellettiva si trovano l'intelletto possibile e l'intelletto agente. Ora, astrarre le specie intelligibili dai fantasmi non spetta all’intelletto possibile, al quale invece spetta ricevere tali specie già astratte. E neppure sembra che spetti all'intelletto agente, il quale sta ai fantasmi come la luce ai colori. E questa non astrae niente dai colori, ma piuttosto si irradia su di essi. Perciò in nessun modo possiamo conoscere astraendo dai fantasmi.

[32014] IŞ q. 85 a. 1 arg. 5
Praeterea, philosophus, in III de anima, dicit quod intellectus intelligit species in phantasmatibus. Non ergo eas abstrahendo.

 

[32014] IŞ q. 85 a. 1 arg. 5
5. Il Filosofo sostiene che l'"intelletto conosce le specie intelligibili nei fantasmi". Dunque non mediante l'astrazione.

[32015] IŞ q. 85 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur in III de anima, quod sicut res sunt separabiles a materia, sic circa intellectum sunt. Ergo oportet quod materialia intelligantur inquantum a materia abstrahuntur, et a similitudinibus materialibus, quae sunt phantasmata.

 

[32015] IŞ q. 85 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive Aristotele: "Quanto le cose sono separabili dalla materia, tanto hanno rapporto con l'intelletto". È necessario quindi che le cose materiali siano conosciute in quanto vengono astratte dalla materia e dalle rappresentazioni materiali, quali sono i fantasmi.

[32016] IŞ q. 85 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, obiectum cognoscibile proportionatur virtuti cognoscitivae. Est autem triplex gradus cognoscitivae virtutis. Quaedam enim cognoscitiva virtus est actus organi corporalis, scilicet sensus. Et ideo obiectum cuiuslibet sensitivae potentiae est forma prout in materia corporali existit. Et quia huiusmodi materia est individuationis principium, ideo omnis potentia sensitivae partis est cognoscitiva particularium tantum. Quaedam autem virtus cognoscitiva est quae neque est actus organi corporalis, neque est aliquo modo corporali materiae coniuncta, sicut intellectus angelicus. Et ideo huius virtutis cognoscitivae obiectum est forma sine materia subsistens, etsi enim materialia cognoscant, non tamen nisi in immaterialibus ea intuentur, scilicet vel in seipsis vel in Deo. Intellectus autem humanus medio modo se habet, non enim est actus alicuius organi, sed tamen est quaedam virtus animae, quae est forma corporis, ut ex supra dictis patet. Et ideo proprium eius est cognoscere formam in materia quidem corporali individualiter existentem, non tamen prout est in tali materia. Cognoscere vero id quod est in materia individuali, non prout est in tali materia, est abstrahere formam a materia individuali, quam repraesentant phantasmata. Et ideo necesse est dicere quod intellectus noster intelligit materialia abstrahendo a phantasmatibus; et per materialia sic considerata in immaterialium aliqualem cognitionem devenimus, sicut e contra Angeli per immaterialia materialia cognoscunt. Plato vero, attendens solum ad immaterialitatem intellectus humani, non autem ad hoc quod est corpori quodammodo unitus, posuit obiectum intellectus ideas separatas; et quod intelligimus, non quidem abstrahendo, sed magis abstracta participando, ut supra dictum est.

 

[32016] IŞ q. 85 a. 1 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, l'oggetto deve essere proporzionato alla facoltà conoscitiva. Ora, abbiamo tre ordini di facoltà conoscitive. Ci sono delle facoltà conoscitive che sono perfezioni di organi corporei, vale a dire i sensi. E quindi l'oggetto di qualsiasi potenza sensitiva è una forma nella sua concreta esistenza materiale o corporea. E poiché la materia è principio di individuazione, ogni potenza della parte sensitiva può conoscere soltanto i singolari. - Esiste poi una facoltà conoscitiva come l'intelletto angelico, la quale non è perfezione di un organo corporeo, e non è unita in nessun modo alla materia corporea. Oggetto quindi di questa facoltà conoscitiva sono le forme che sussistono separate dalla materia. Infatti, sebbene gli angeli conoscano anche le cose materiali, tuttavia le conoscono negli esseri immateriali, e cioè in se stessi o in Dio. - L'intelletto umano si trova in una condizione intermedia: non è perfezione di un organo, però è facoltà di un'anima, la quale è forma [sostanziale] di un corpo, come abbiamo dimostrato. Quindi è sua proprietà conoscere le forme che hanno una sussistenza individuale nella materia, ma non in quanto sono in una data materia. Ora, conoscere ciò che esiste in una data materia, non però come si trova in quella data materia, significa astrarre la forma dalla materia individuale, rappresentata dai fantasmi. Dunque è necessario concludere che il nostro intelletto conosce le cose materiali mediante l'astrazione dai fantasmi, e che da una siffatta conoscenza delle cose materiali possiamo raggiungere una certa conoscenza delle cose immateriali. Al contrario gli angeli conoscono le cose materiali per mezzo di quelle immateriali.
Platone invece, considerando la sola immaterialità dell'intelletto umano, senza badare alla sua unione col corpo, conclude che le idee separate sono l'oggetto della nostra intelligenza; e che noi intendiamo non mediante l'astrazione, ma piuttosto col partecipare le idee astratte, come abbiamo riferito in precedenza.

[32017] IŞ q. 85 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod abstrahere contingit dupliciter. Uno modo, per modum compositionis et divisionis; sicut cum intelligimus aliquid non esse in alio, vel esse separatum ab eo. Alio modo, per modum simplicis et absolutae considerationis; sicut cum intelligimus unum, nihil considerando de alio. Abstrahere igitur per intellectum ea quae secundum rem non sunt abstracta, secundum primum modum abstrahendi, non est absque falsitate. Sed secundo modo abstrahere per intellectum quae non sunt abstracta secundum rem, non habet falsitatem; ut in sensibilibus manifeste apparet. Si enim intelligamus vel dicamus colorem non inesse corpori colorato, vel esse separatum ab eo, erit falsitas in opinione vel in oratione. Si vero consideremus colorem et proprietates eius, nihil considerantes de pomo colorato; vel quod sic intelligimus, etiam voce exprimamus; erit absque falsitate opinionis et orationis. Pomum enim non est de ratione coloris; et ideo nihil prohibet colorem intelligi, nihil intelligendo de pomo. Similiter dico quod ea quae pertinent ad rationem speciei cuiuslibet rei materialis, puta lapidis aut hominis aut equi, possunt considerari sine principiis individualibus, quae non sunt de ratione speciei. Et hoc est abstrahere universale a particulari, vel speciem intelligibilem a phantasmatibus, considerare scilicet naturam speciei absque consideratione individualium principiorum, quae per phantasmata repraesentantur. Cum ergo dicitur quod intellectus est falsus qui intelligit rem aliter quam sit, verum est si ly aliter referatur ad rem intellectam. Tunc enim intellectus est falsus, quando intelligit rem esse aliter quam sit. Unde falsus esset intellectus, si sic abstraheret speciem lapidis a materia, ut intelligeret eam non esse in materia, ut Plato posuit. Non est autem verum quod proponitur, si ly aliter accipiatur ex parte intelligentis. Est enim absque falsitate ut alius sit modus intelligentis in intelligendo, quam modus rei in existendo, quia intellectum est in intelligente immaterialiter, per modum intellectus; non autem materialiter, per modum rei materialis.

 

[32017] IŞ q. 85 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'astrazione può avvenire in due modi. Primo, mediante un processo di composizione e di scomposizione, come quando arriviamo a conoscere che una cosa non è implicita in un'altra, ovvero che è separata da essa. Secondo, mediante la semplice e assoluta considerazione dell'intelletto, come quando intendiamo un oggetto, senza badare ad altro. Ora, astrarre ovvero separare con la mente, nel primo modo, delle cose che in realtà non sono divise, non è senza errore. Ma astrarre intellettualmente nel secondo modo cose che nella realtà non sono divise, non implica un errore. E ciò si vede chiaramente nelle cose sensibili. Infatti se noi apprendiamo o affermiamo il colore come non inerente al corpo colorato, oppure come realtà separata, avremo l'errore nel pensiero o nella parola. Se invece consideriamo il colore nelle sue proprietà, senza pensare affatto al pomo colorato, oppure se esprimiamo a parole quanto abbiamo pensato in siffatto modo, non avremo errore né di pensiero, né di parola. Il pomo infatti non rientra nell'essenza del colore; perciò niente impedisce di pensare il colore, senza pensare affatto al pomo. - In modo analogo, i costitutivi dell'essenza specifica di ogni essere corporeo, quale la pietra, l'uomo, il cavallo, si possono concepire senza i principii individuanti, che non rientrano nell'essenza della pietra. E questo equivale ad astrarre l'universale dal particolare, ovvero la specie intelligibile dai fantasmi, ossia a concepire l'essenza della specie, prescindendo dai principii individuali che sono rappresentati dai fantasmi.
Perciò quando si dichiara falso l'intelletto, il quale percepisce una cosa diversamente da quello che è, è vero qualora il diversamente voglia riferirsi all'oggetto conosciuto. Effettivamente l'intelletto è in errore, quando ritiene che un oggetto ha un modo di essere diverso da quello che ha realmente. Perciò sarebbe falso l'intelletto, se nell'astrarre la specie della pietra dalla materia, la concepisse come realmente separata dalla materia, secondo la teoria di Platone. - L'affermazione invece è falsa, se il diversamente viene riferito al soggetto conoscente. Infatti non c’è errore nell'ammettere che la maniera di intendere del soggetto conoscitivo è diversa dalla maniera di esistere del suo oggetto nella realtà: poiché l'oggetto conosciuto si trova nel conoscente, non nella sua fisica concretezza, ma in maniera immateriale conforme alla natura dell'intelletto.

[32018] IŞ q. 85 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod quidam putaverunt quod species rei naturalis sit forma solum, et quod materia non sit pars speciei. Sed secundum hoc, in definitionibus rerum naturalium non poneretur materia. Et ideo aliter dicendum est, quod materia est duplex, scilicet communis, et signata vel individualis, communis quidem, ut caro et os; individualis autem, ut hae carnes et haec ossa. Intellectus igitur abstrahit speciem rei naturalis a materia sensibili individuali, non autem a materia sensibili communi. Sicut speciem hominis abstrahit ab his carnibus et his ossibus, quae non sunt de ratione speciei, sed sunt partes individui, ut dicitur in VII Metaphys.; et ideo sine eis considerari potest. Sed species hominis non potest abstrahi per intellectum a carnibus et ossibus. Species autem mathematicae possunt abstrahi per intellectum a materia sensibili non solum individuali, sed etiam communi; non tamen a materia intelligibili communi, sed solum individuali. Materia enim sensibilis dicitur materia corporalis secundum quod subiacet qualitatibus sensibilibus, scilicet calido et frigido, duro et molli, et huiusmodi. Materia vero intelligibilis dicitur substantia secundum quod subiacet quantitati. Manifestum est autem quod quantitas prius inest substantiae quam qualitates sensibiles. Unde quantitates, ut numeri et dimensiones et figurae, quae sunt terminationes quantitatum, possunt considerari absque qualitatibus sensibilibus, quod est eas abstrahi a materia sensibili, non tamen possunt considerari sine intellectu substantiae quantitati subiectae, quod esset eas abstrahi a materia intelligibili communi. Possunt tamen considerari sine hac vel illa substantia; quod est eas abstrahi a materia intelligibili individuali. Quaedam vero sunt quae possunt abstrahi etiam a materia intelligibili communi, sicut ens, unum, potentia et actus, et alia huiusmodi, quae etiam esse possunt absque omni materia, ut patet in substantiis immaterialibus. Et quia Plato non consideravit quod dictum est de duplici modo abstractionis, omnia quae diximus abstrahi per intellectum, posuit abstracta esse secundum rem.

 

[32018] IŞ q. 85 a. 1 ad 2
2. Alcuni hanno pensato che la sola forma costituisca l'essenza specifica delle cose naturali, cosicché la materia non ne farebbe parte. Se così fosse non si dovrebbe porre la materia nella definizione degli esseri fisici. Bisogna perciò ragionare diversamente, e distinguere due specie di materia: la materia come entità universale, e la materia designata o individuale. Materia universale sarebbero le carni e le ossa; materia individuale sarebbero queste carni e queste ossa. Ora, quando l'intelletto astrae, separa la specie degli esseri fisici dalla materia sensibile individuale, non già da quella universale. Astrae, p. es., l'essenza specifica dell'uomo da queste carni e da queste ossa, le quali non rientrano nell'essenza della specie, e sono invece parti integranti dell'individuo, come insegna Aristotele; cosicché l'essenza può essere concepita senza di esse. Ma non si può astrarre intellettualmente l'uomo dalle carni e dalle ossa in generale.
Le sole entità matematiche possono essere astratte completamente dalla materia sensibile, non solo da quella individuale, ma anche da quella universale. Non però dalla materia intelligibile, almeno da quella universale, bensì soltanto da quella individuale. Materia sensibile è la materia dei corpi in quanto soggetto delle qualità percepibili dai sensi, come il calore, il freddo, la durezza, la morbidezza, e simili. Invece viene chiamata materia intelligibile la sostanza come quanta. Ora è chiaro che la quantità è inerente alla sostanza, prima delle qualità sensibili. Perciò i dati quantitativi, cioè numero, dimensioni e figura, che sono delimitazioni della quantità, si possono concepire senza le qualità sensibili, vale a dire si possono astrarre dalla materia sensibile. Ma non si possono concepire prescindendo dalla sostanza come quanta; vale a dire, non si possono astrarre dalla materia intelligibile universale. Tuttavia i dati quantitativi si possono concepire senza questa o quella determinata sostanza, che è quanto dire: si possono astrarre dalla materia intelligibile individuale.
Vi sono però dei dati che si possono astrarre anche da questa materia universale, p. es., l'ente, l'uno, la potenza, l'atto, e simili, che possono esistere prescindendo da qualsiasi materia, come avviene per le sostanze immateriali. - Per non aver considerato quanto abbiamo detto sui due tipi di astrazione, Platone giunse ad ammettere l'esistenza reale di quelle astrazioni che abbiamo visto dipendere dal nostro intelletto.

[32019] IŞ q. 85 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod colores habent eundem modum existendi prout sunt in materia corporali individuali, sicut et potentia visiva, et ideo possunt imprimere suam similitudinem in visum. Sed phantasmata, cum sint similitudines individuorum, et existant in organis corporeis, non habent eundem modum existendi quem habet intellectus humanus, ut ex dictis patet; et ideo non possunt sua virtute imprimere in intellectum possibilem. Sed virtute intellectus agentis resultat quaedam similitudo in intellectu possibili ex conversione intellectus agentis supra phantasmata, quae quidem est repraesentativa eorum quorum sunt phantasmata, solum quantum ad naturam speciei. Et per hunc modum dicitur abstrahi species intelligibilis a phantasmatibus, non quod aliqua eadem numero forma, quae prius fuit in phantasmatibus, postmodum fiat in intellectu possibili, ad modum quo corpus accipitur ab uno loco et transfertur ad alterum.

 

[32019] IŞ q. 85 a. 1 ad 3
3. I colori hanno, nella materia corporea individuale, un'esistenza analoga a quella che ricevono nella potenza visiva; e per questo possono imprimere la loro immagine nell'occhio. Essendo invece i fantasmi immagini di cose concrete e individuali, esistenti in organi materiali, non hanno lo stesso grado di esistenza dell'intelletto umano, come abbiamo dimostrato. Perciò non hanno la diretta capacità di produrre impressioni sull'intelletto possibile. Ma in forza dell'intelletto agente, che si volge verso i fantasmi, si forma nell'intelletto possibile un'immagine che rappresenta gli oggetti già riprodotti da quei fantasmi; però li rappresenta soltanto negli elementi costitutivi della specie. È in tal senso che la specie intelligibile si dice astratta dai fantasmi: non già che una forma numericamente identica prima si sia trovata nell'immaginativa e poi nell'intelletto possibile; come si trasferirebbe un corpo da un luogo a un altro.

[32020] IŞ q. 85 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod phantasmata et illuminantur ab intellectu agente; et iterum ab eis, per virtutem intellectus agentis, species intelligibiles abstrahuntur. Illuminantur quidem, quia, sicut pars sensitiva ex coniunctione ad intellectivam efficitur virtuosior, ita phantasmata ex virtute intellectus agentis redduntur habilia ut ab eis intentiones intelligibiles abstrahantur. Abstrahit autem intellectus agens species intelligibiles a phantasmatibus, inquantum per virtutem intellectus agentis accipere possumus in nostra consideratione naturas specierum sine individualibus conditionibus, secundum quarum similitudines intellectus possibilis informatur.

 

[32020] IŞ q. 85 a. 1 ad 4
4. I fantasmi sono prima illuminati dall'intelletto agente; quindi, sotto l'azione del medesimo, avviene l'astrazione delle specie intelligibili. C'è in questo un'illuminazione, per il fatto che i fantasmi ricevono dall'intelletto agente l'attitudine all'astrazione delle specie intelligibili, come tutta la parte sensitiva acquista maggior vigore unendosi alla parte intellettiva. Ora, l'intelletto agente astrae le specie intelligibili dai fantasmi, perché in forza di tale intelletto possiamo accogliere nel nostro pensiero le nature specifiche delle cose, lasciando da parte le loro condizioni individuali, e da quelle specie viene posto in atto l'intelletto possibile.

[32021] IŞ q. 85 a. 1 ad 5
Ad quintum dicendum quod intellectus noster et abstrahit species intelligibiles a phantasmatibus, inquantum considerat naturas rerum in universali; et tamen intelligit eas in phantasmatibus, quia non potest intelligere etiam ea quorum species abstrahit, nisi convertendo se ad phantasmata, ut supra dictum est.

 

[32021] IŞ q. 85 a. 1 ad 5
5. Il nostro intelletto, pur astraendo le specie intelligibili dai fantasmi, in quanto concepisce la natura delle cose nella sua universalità tuttavia la conosce nei fantasmi, come abbiamo già spiegato.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Procedimento e sviluppi dell'intellezione > Se le specie intelligibili astratte dai fantasmi siano l'oggetto stesso della nostra intellezione


Prima pars
Quaestio 85
Articulus 2

[32022] IŞ q. 85 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod species intelligibiles a phantasmatibus abstractae, se habeant ad intellectum nostrum sicut id quod intelligitur. Intellectum enim in actu est in intelligente, quia intellectum in actu est ipse intellectus in actu. Sed nihil de re intellecta est in intellectu actu intelligente, nisi species intelligibilis abstracta. Ergo huiusmodi species est ipsum intellectum in actu.

 
Prima parte
Questione 85
Articolo 2

[32022] IŞ q. 85 a. 2 arg. 1
SEMBRA che le specie intelligibili astratte dai fantasmi siano l'oggetto stesso della nostra intellezione. Infatti:
1. L'oggetto attualmente conosciuto si trova nel soggetto conoscente; poiché l'oggetto attualmente pensato si identifica con l'intelletto attualmente pensante. Ma la cosa conosciuta si trova nell'intelletto pensante solo mediante la specie intenzionale avuta per astrazione. Dunque tale specie è l'oggetto stesso del nostro atto intellettivo.

[32023] IŞ q. 85 a. 2 arg. 2
Praeterea, intellectum in actu oportet in aliquo esse, alioquin nihil esset. Sed non est in re quae est extra animam, quia, cum res extra animam sit materialis, nihil quod est in ea, potest esse intellectum in actu. Relinquitur ergo quod intellectum in actu sit in intellectu. Et ita nihil est aliud quam species intelligibilis praedicta.

 

[32023] IŞ q. 85 a. 2 arg. 2
2. L'oggetto pensato deve pur trovarsi in un dato soggetto, altrimenti non esisterebbe affatto. Ora esso non si trova nella realtà esistente fuori dell'anima; perché questa realtà, essendo materiale, non può essere oggetto attuale d'intellezione. Dunque rimane che tale oggetto deve trovarsi nell'intelletto. E quindi esso non si distingue dalla specie intelligibile.

[32024] IŞ q. 85 a. 2 arg. 3
Praeterea, philosophus dicit, in I Periherm., quod voces sunt notae earum quae sunt in anima passionum. Sed voces significant res intellectas, id enim voce significamus quod intelligimus. Ergo ipsae passiones animae, scilicet species intelligibiles, sunt ea quae intelliguntur in actu.

 

[32024] IŞ q. 85 a. 2 arg. 3
3. Scrive il Filosofo che "le parole sono i segni delle affezioni dell'anima". Ora, le parole significano le cose pensate, poiché noi esprimiamo con la parola ciò che abbiamo compreso. Perciò le affezioni dell'anima, e cioè le specie intelligibili, formano l'oggetto dell'intellezione attuale.

[32025] IŞ q. 85 a. 2 s. c.
Sed contra, species intelligibilis se habet ad intellectum, sicut species sensibilis ad sensum. Sed species sensibilis non est illud quod sentitur, sed magis id quo sensus sentit. Ergo species intelligibilis non est quod intelligitur actu, sed id quo intelligit intellectus.

 

[32025] IŞ q. 85 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: La specie intenzionale intellettiva sta all'intelletto, come la specie sensibile sta al senso. Ora, la specie sensibile non è ciò che viene percepito, ma il mezzo col quale il senso percepisce. Dunque la specie intelligibile non è l'oggetto dell'atto intellettivo, ma il mezzo di cui si serve l'intelletto per conoscere.

[32026] IŞ q. 85 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod quidam posuerunt quod vires cognoscitivae quae sunt in nobis, nihil cognoscunt nisi proprias passiones; puta quod sensus non sentit nisi passionem sui organi. Et secundum hoc, intellectus nihil intelligit nisi suam passionem, idest speciem intelligibilem in se receptam. Et secundum hoc, species huiusmodi est ipsum quod intelligitur. Sed haec opinio manifeste apparet falsa ex duobus. Primo quidem, quia eadem sunt quae intelligimus, et de quibus sunt scientiae. Si igitur ea quae intelligimus essent solum species quae sunt in anima, sequeretur quod scientiae omnes non essent de rebus quae sunt extra animam, sed solum de speciebus intelligibilibus quae sunt in anima; sicut secundum Platonicos omnes scientiae sunt de ideis, quas ponebant esse intellecta in actu. Secundo, quia sequeretur error antiquorum dicentium quod omne quod videtur est verum; et sic quod contradictoriae essent simul verae. Si enim potentia non cognoscit nisi propriam passionem, de ea solum iudicat. Sic autem videtur aliquid, secundum quod potentia cognoscitiva afficitur. Semper ergo iudicium potentiae cognoscitivae erit de eo quod iudicat, scilicet de propria passione, secundum quod est; et ita omne iudicium erit verum. Puta si gustus non sentit nisi propriam passionem, cum aliquis habens sanum gustum iudicat mel esse dulce, vere iudicabit; et similiter si ille qui habet gustum infectum, iudicet mel esse amarum, vere iudicabit, uterque enim iudicat secundum quod gustus eius afficitur. Et sic sequitur quod omnis opinio aequaliter erit vera, et universaliter omnis acceptio. Et ideo dicendum est quod species intelligibilis se habet ad intellectum ut quo intelligit intellectus. Quod sic patet. Cum enim sit duplex actio, sicut dicitur IX Metaphys., una quae manet in agente, ut videre et intelligere, altera quae transit in rem exteriorem, ut calefacere et secare; utraque fit secundum aliquam formam. Et sicut forma secundum quam provenit actio tendens in rem exteriorem, est similitudo obiecti actionis, ut calor calefacientis est similitudo calefacti; similiter forma secundum quam provenit actio manens in agente, est similitudo obiecti. Unde similitudo rei visibilis est secundum quam visus videt; et similitudo rei intellectae, quae est species intelligibilis, est forma secundum quam intellectus intelligit. Sed quia intellectus supra seipsum reflectitur, secundum eandem reflexionem intelligit et suum intelligere, et speciem qua intelligit. Et sic species intellectiva secundario est id quod intelligitur. Sed id quod intelligitur primo, est res cuius species intelligibilis est similitudo. Et hoc etiam patet ex antiquorum opinione, qui ponebant simile simili cognosci. Ponebant enim quod anima per terram quae in ipsa erat, cognosceret terram quae extra ipsam erat; et sic de aliis. Si ergo accipiamus speciem terrae loco terrae, secundum doctrinam Aristotelis, qui dicit quod lapis non est in anima, sed species lapidis; sequetur quod anima per species intelligibiles cognoscat res quae sunt extra animam.

 

[32026] IŞ q. 85 a. 2 co.
RISPONDO: Alcuni hanno pensato che le nostre potenze conoscitive possono conoscere soltanto le proprie impressioni; il senso, p. es., non percepirebbe che le alterazioni del suo organo. In tale ipotesi l'intelletto non intenderebbe altro che la propria impressione, cioè le specie intenzionali che ha ricevuto. Stando così le cose, dette specie sarebbero l'oggetto stesso dell'atto intellettivo.
Una tale opinione risulta chiaramente falsa per due motivi. Primo, perché l'oggetto della nostra intellezione si identifica con l'oggetto delle scienze. Se dunque noi conoscessimo soltanto le specie intenzionali presenti nell'anima nostra, ne seguirebbe che tutte le scienze non avrebbero per oggetto le cose reali esistenti fuori dell'anima, ma soltanto le specie che si trovano in essa. Difatti i platonici, i quali pensavano che le idee fossero intelligibili in atto, ritenevano che le scienze avessero per oggetto le idee. Secondo, perché ne seguirebbe l'errore di quei filosofi antichi, i quali affermavano che "la verità è ciò che sembra [ad ognuno]"; e così sarebbero vere anche asserzioni contraddittorie. Infatti se una facoltà non conosce che le proprie impressioni, può dare un giudizio soltanto di queste. Un oggetto poi sembrerà [in un modo o in un altro] secondo le disposizioni della potenza conoscitiva. Perciò la potenza conoscitiva sarà portata a giudicare sempre il proprio oggetto, cioè le proprie impressioni secondo il loro modo di essere; quindi tutti i suoi giudizi saranno veri. Se, p. es., il gusto non percepisce che la propria impressione, quando uno di gusto sano giudica che il miele è dolce, darà un giudizio vero; ma darà un giudizio ugualmente vero un malato dal gusto corrotto, che lo giudica amaro; perché, sia l'uno che l'altro giudica secondo le disposizioni del proprio gusto. E così ogni opinione e, in genere, ogni punto di vista, sarebbe ugualmente vero.
È perciò necessario affermare che le specie intelligibili sono il mezzo di cui l'intelletto si serve per conoscere. Eccone la prova. Come Aristotele insegna, ci sono due specie di operazioni: ve ne sono di quelle che rimangono nell'agente stesso, come il vedere e l'intendere, e ve ne sono altre che passano su di un oggetto esterno, come riscaldare e segare. Ma sia le une che le altre si esercitano secondo una data forma. E come la forma, secondo la quale si produce l'azione transitiva, è un'immagine o somiglianza del termine dell'azione, il calore di ciò che scalda, p. es., è una somiglianza del calore prodotto, così la forma secondo la quale si produce l'azione immanente deve essere un'immagine o somiglianza dell'oggetto. Dunque l'immagine o somiglianza dell'oggetto visibile è il mezzo di cui si serve la vista per vedere; e la somiglianza dell'oggetto intelligibile, vale a dire l'idea, è la forma di cui si serve l'intelletto per intendere.
Ma poiché l'intelletto può riflettere su se stesso, allora, in forza di questa riflessione, può conoscere la propria intellezione e quindi l'idea di cui si serve. Perciò questa in un secondo tempo è anche oggetto d'intellezione. Ma oggetto primario d'intellezione è la realtà di cui l'idea è un'immagine o somiglianza.
Tutto questo ha una riprova sulla convinzione degli antichi, i quali ritenevano che "una cosa si conosce mediante una cosa consimile". E ciò fino al punto di credere che l'anima conosce la terra esistente al di fuori, per mezzo della terra in essa contenuta; e così per gli altri oggetti. Ma se al posto della terra mettiamo l'idea della terra, secondo la teoria di Aristotele, il quale dice che "nell'anima non vi è la pietra, ma l'idea della pietra", avremo come conseguenza che l'anima conosce le cose esistenti fuori di essa mediante dati intelligibili.

[32027] IŞ q. 85 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod intellectum est in intelligente per suam similitudinem. Et per hunc modum dicitur quod intellectum in actu est intellectus in actu, inquantum similitudo rei intellectae est forma intellectus; sicut similitudo rei sensibilis est forma sensus in actu. Unde non sequitur quod species intelligibilis abstracta sit id quod actu intelligitur, sed quod sit similitudo eius.

 

[32027] IŞ q. 85 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'oggetto pensato si trova nell'intelletto pensante con la sua immagine. E si dice che l'oggetto pensato s'identifica con l'intelletto pensante, appunto perché l'immagine o somiglianza della cosa pensata diventa allora forma dell'intelletto; come l'immagine della cosa sensibile diviene la forma del senso nell'atto del sentire. Non ne segue perciò che la specie intelligibile sia l'oggetto dell'intellezione attuale, non essendo che una immagine dell'oggetto.

[32028] IŞ q. 85 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod, cum dicitur intellectum in actu, duo importantur, scilicet res quae intelligitur, et hoc quod est ipsum intelligi. Et similiter cum dicitur universale abstractum, duo intelliguntur, scilicet ipsa natura rei, et abstractio seu universalitas. Ipsa igitur natura cui accidit vel intelligi vel abstrahi, vel intentio universalitatis, non est nisi in singularibus; sed hoc ipsum quod est intelligi vel abstrahi, vel intentio universalitatis, est in intellectu. Et hoc possumus videre per simile in sensu. Visus enim videt colorem pomi sine eius odore. Si ergo quaeratur ubi sit color qui videtur sine odore manifestum est quod color qui videtur, non est nisi in pomo; sed quod sit sine odore perceptus, hoc accidit ei ex parte visus, inquantum in visu est similitudo coloris et non odoris. Similiter humanitas quae intelligitur, non est nisi in hoc vel in illo homine, sed quod humanitas apprehendatur sine individualibus conditionibus, quod est ipsam abstrahi, ad quod sequitur intentio universalitatis, accidit humanitatis secundum quod percipitur ab intellectu, in quo est similitudo naturae speciei, et non individualium principiorum.

 

[32028] IŞ q. 85 a. 2 ad 2
2. L'espressione, l'oggetto pensato, contiene due elementi: l'oggetto conosciuto e il fatto della sua conoscenza. Così pure, quando si parla dell'universale astratto s'intendono due cose: la natura stessa della cosa, e l'astrazione o universalità [della medesima]. Orbene, la natura che diviene oggetto di conoscenza, di astrazione o di universalizzazione, esiste solo nei singolari concreti; mentre l'atto conoscitivo, l'astrazione o universalizzazione si devono all'intelletto. Una cosa simile la riscontriamo nei sensi. Infatti la vista percepisce il colore del pomo, senza il suo odore. Se allora ci si domanda dove sia il colore che si vede senza l'odore, è chiaro che non può trovarsi altro che nel pomo; ma il fatto che il pomo viene percepito senza l'odore dipende dalla vista, in quanto vi è in essa l'immagine del colore senza quello dell'odore. Analogamente, il concetto di umanità non si trova in concreto che in questo o in quel dato uomo particolare, ma che l'umanità venga percepita senza le condizioni individuanti, e cioè il fatto della sua astrazione, da cui deriva l'universalità, proviene all'umanità stessa proprio dall'essere pensata dall'intelletto, nel quale può trovarsi una rappresentazione della natura della specie, senza quella dei principii individuanti.

[32029] IŞ q. 85 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod in parte sensitiva invenitur duplex operatio. Una secundum solam immutationem, et sic perficitur operatio sensus per hoc quod immutatur a sensibili. Alia operatio est formatio, secundum quod vis imaginativa format sibi aliquod idolum rei absentis, vel etiam nunquam visae. Et utraque haec operatio coniungitur in intellectu. Nam primo quidem consideratur passio intellectus possibilis secundum quod informatur specie intelligibili. Qua quidem formatus, format secundo vel definitionem vel divisionem vel compositionem, quae per vocem significatur. Unde ratio quam significat nomen, est definitio; et enuntiatio significat compositionem et divisionem intellectus. Non ergo voces significant ipsas species intelligibiles; sed ea quae intellectus sibi format ad iudicandum de rebus exterioribus.

 

[32029] IŞ q. 85 a. 2 ad 3
3. Due sono le operazioni che si producono nella parte sensitiva. Una avviene per semplice alterazione: e questa si compie per il solo fatto che il senso riceve l'impressione dall'oggetto sensibile. L'altra si compie mediante una produzione, per il fatto cioè che l'immaginativa si forma la rappresentazione di un oggetto assente, o addirittura mai veduto. Ora, nell’intelligenza queste due operazioni si trovano riunite. C'è infatti da considerare prima di tutto la recezione dell'intelletto possibile, dovuto al fatto che viene attuato dalla specie intelligibile. Una volta poi così attuato, passa a formare la definizione, a comporre o a contrapporre tra l'oro le idee; e tutto ciò viene espresso dalla parola. I [singoli] termini, quindi, esprimono la definizione; mentre l'enunziato esprime il processo intellettivo di composizione e di contrapposizione. Perciò le parole non stanno a indicare le specie intelligibili, ma i mezzi che l'intelletto forma in se stesso, per giudicare le cose esteriori.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Procedimento e sviluppi dell'intellezione > Se nella nostra conoscenza intellettiva i primi dati siano quelli più universali


Prima pars
Quaestio 85
Articulus 3

[32030] IŞ q. 85 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod magis universalia non sint priora in nostra cognitione intellectuali. Quia ea quae sunt priora et notiora secundum naturam, sunt posteriora et minus nota secundum nos. Sed universalia sunt priora secundum naturam, quia prius est a quo non convertitur subsistendi consequentia. Ergo universalia sunt posteriora in cognitione nostri intellectus.

 
Prima parte
Questione 85
Articolo 3

[32030] IŞ q. 85 a. 3 arg. 1
SEMBRA che nella nostra conoscenza intellettiva i primi dati non siano quelli più universali. Infatti:
1. Le entità prime e più note secondo natura sono posteriori e meno note rispetto a noi. Ora, le entità più universali hanno una priorità di natura; poiché "è prima ciò che per esistere non è condizionato ad altro". Dunque i dati più universali non sono primi nella nostra conoscenza intellettiva.

[32031] IŞ q. 85 a. 3 arg. 2
Praeterea, composita sunt priora quoad nos quam simplicia. Sed universalia sunt simpliciora. Ergo sunt posterius nota quoad nos.

 

[32031] IŞ q. 85 a. 3 arg. 2
2. Noi conosciamo gli esseri composti prima di quelli semplici. Ora, gli esseri più universali sono anche i più semplici. Dunque rispetto a noi essi sono posteriori.

[32032] IŞ q. 85 a. 3 arg. 3
Praeterea, philosophus dicit, in I Physic. quod definitum prius cadit in cognitione nostra quam partes definitionis. Sed universaliora sunt partes definitionis minus universalium, sicut animal est pars definitionis hominis. Ergo universalia sunt posterius nota quoad nos.

 

[32032] IŞ q. 85 a. 3 arg. 3
3. Il Filosofo insegna che il definito è oggetto della nostra conoscenza prima che lo siano le parti della definizione. Ora, le nozioni più universali sono parti nella definizione di oggetti meno universali; animale, p. es., entra come parte nella definizione di uomo. Quindi i dati più universali sono posteriori rispetto a noi.

[32033] IŞ q. 85 a. 3 arg. 4
Praeterea, per effectus devenimus in causas et principia. Sed universalia sunt quaedam principia. Ergo universalia sunt posterius nota quoad nos.

 

[32033] IŞ q. 85 a. 3 arg. 4
4. Noi siamo costretti a risalire dagli effetti alle cause e ai principii. Ora, gli universali sono come altrettanti principii. Essi dunque non sono i primi dati rispetto a noi.

[32034] IŞ q. 85 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur in I Physic., quod ex universalibus in singularia oportet devenire.

 

[32034] IŞ q. 85 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Aristotele insegna che "è necessario giungere ai singolari, partendo dagli universali".

[32035] IŞ q. 85 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod in cognitione nostri intellectus duo oportet considerare. Primo quidem, quod cognitio intellectiva aliquo modo a sensitiva primordium sumit. Et quia sensus est singularium, intellectus autem universalium; necesse est quod cognitio singularium, quoad nos, prior sit quam universalium cognitio. Secundo oportet considerare quod intellectus noster de potentia in actum procedit. Omne autem quod procedit de potentia in actum, prius pervenit ad actum incompletum, qui est medius inter potentiam et actum, quam ad actum perfectum. Actus autem perfectus ad quem pervenit intellectus, est scientia completa, per quam distincte et determinate res cognoscuntur. Actus autem incompletus est scientia imperfecta, per quam sciuntur res indistincte sub quadam confusione, quod enim sic cognoscitur, secundum quid cognoscitur in actu, et quodammodo in potentia. Unde philosophus dicit, in I Physic., quod sunt primo nobis manifesta et certa confusa magis; posterius autem cognoscimus distinguendo distincte principia et elementa. Manifestum est autem quod cognoscere aliquid in quo plura continentur, sine hoc quod habeatur propria notitia uniuscuiusque eorum quae continentur in illo, est cognoscere aliquid sub confusione quadam. Sic autem potest cognosci tam totum universale, in quo partes continentur in potentia, quam etiam totum integrale, utrumque enim totum potest cognosci in quadam confusione, sine hoc quod partes distincte cognoscantur. Cognoscere autem distincte id quod continetur in toto universali, est habere cognitionem de re minus communi. Sicut cognoscere animal indistincte, est cognoscere animal inquantum est animal, cognoscere autem animal distincte, est cognoscere animal inquantum est animal rationale vel irrationale, quod est cognoscere hominem vel leonem. Prius igitur occurrit intellectui nostro cognoscere animal quam cognoscere hominem, et eadem ratio est si comparemus quodcumque magis universale ad minus universale. Et quia sensus exit de potentia in actum sicut et intellectus, idem etiam ordo cognitionis apparet in sensu. Nam prius secundum sensum diiudicamus magis commune quam minus commune, et secundum locum et secundum tempus. Secundum locum quidem, sicut, cum aliquid videtur a remotis, prius deprehenditur esse corpus, quam deprehendatur esse animal; et prius deprehenditur esse animal, quam deprehendatur esse homo; et prius homo, quam Socrates vel Plato. Secundum tempus autem, quia puer a principio prius distinguit hominem a non homine, quam distinguat hunc hominem ab alio homine; et ideo pueri a principio appellant omnes viros patres, posterius autem determinant unumquemque, ut dicitur in I Physic. Et huius ratio manifesta est. Quia qui scit aliquid indistincte, adhuc est in potentia ut sciat distinctionis principium; sicut qui scit genus, est in potentia ut sciat differentiam. Et sic patet quod cognitio indistincta media est inter potentiam et actum. Est ergo dicendum quod cognitio singularium est prior quoad nos quam cognitio universalium, sicut cognitio sensitiva quam cognitio intellectiva. Sed tam secundum sensum quam secundum intellectum, cognitio magis communis est prior quam cognitio minus communis.

 

[32035] IŞ q. 85 a. 3 co.
RISPONDO: Il processo conoscitivo della nostra intelligenza si presenta sotto due aspetti. Primo, bisogna ricordare che la conoscenza intellettiva deriva in qualche modo da quella sensitiva. E poiché il senso percepisce i singolari, mentre l'intelletto ha per oggetto gli universali, ne segue necessariamente che nella nostra conoscenza i singolari precedono gli universali.
Secondo, si deve tener presente che il nostro intelletto passa dalla potenza all'atto. Ma ogni ente che procede dalla potenza all'atto, prima raggiunge l'atto incompleto, che è intermedio tra la potenza e l'atto, e quindi l'atto perfetto. Ora, l'atto perfetto che l'intelletto ha di mira è la scienza perfetta, che ci fa conoscere le cose in modo distinto e determinato. Atto incompleto è la scienza imperfetta che ci fa conoscere le cose in modo generico e confuso: poiché un oggetto conosciuto in tal modo, in parte è conosciuto attualmente, e in parte potenzialmente. Perciò il Filosofo afferma che "da principio abbiamo evidenza e certezza delle cose più confuse; in seguito conosciamo distinguendo i principii e gli elementi". È chiaro poi che conoscere un oggetto in cui sono contenute molte cose, senza una conoscenza appropriata di ciascuna di esse, è un conoscere in confuso. E in tal modo può essere conosciuto, sia il tutto universale in cui le parti si trovano potenzialmente, sia il tutto integrale: poiché tanto l'uno che l'altro possono essere conosciuti in confuso, senza che si conoscano distintamente le loro parti. Conoscere però distintamente quanto è contenuto in un tutto universale, equivale a conoscere una cosa meno universale. Per es., conoscere genericamente un animale corrisponde a conoscere un animale [soltanto] in quanto è animale. Invece conoscerlo distintamente equivale a conoscerlo in quanto è animale ragionevole o irragionevole, ossia a conoscere l'uomo, o il leone. Al nostro intelletto, dunque, si presenta prima la conoscenza dell'animale, che quella dell'uomo. E ciò vale per qualsiasi nozione più universale in confronto con altre meno universali.
Del resto questo medesimo ordine si riscontra anche nel senso, poiché anche il senso passa dalla potenza all'atto, come l'intelletto. Con i sensi infatti noi conosciamo prima i dati più comuni che quelli meno comuni, sia in ordine allo spazio che in ordine al tempo. In ordine allo spazio: difatti guardando qualche cosa che si avvicina, prima ci si accorge che è un corpo, e poi che è un animale; e prima ci si accorge che è un animale, e poi che è un uomo; prima che è un uomo, e poi che è Socrate o Platone. In ordine al tempo: infatti il bambino impara prima a distinguere tra l'uomo e le altre cose, che tra uomo e uomo; perciò Aristotele scrive che "i bambini da principio chiamano babbo tutti gli uomini; in seguito imparano a fare distinzione tra loro".
La ragione di ciò è evidente. Chi infatti ha la cognizione indistinta di una cosa, è ancora in potenza a conoscerne il principio distintivo: chi conosce il genere, p. es., è in potenza a conoscere la differenza specifica. E perciò evidente che la cognizione indistinta si trova tra la potenza e l'atto.
In conclusione, la conoscenza dei singolari è per l'uomo anteriore a quella degli universali; precisamente come la conoscenza sensitiva è anteriore a quella intellettiva. Però, sia per i sensi come per l'intelletto, la conoscenza dei dati più universali precede quella dei dati meno universali.

[32036] IŞ q. 85 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod universale dupliciter potest considerari. Uno modo, secundum quod natura universalis consideratur simul cum intentione universalitatis. Et cum intentio universalitatis, ut scilicet unum et idem habeat habitudinem ad multa, proveniat ex abstractione intellectus, oportet quod secundum hunc modum universale sit posterius. Unde in I de anima dicitur quod animal universale aut nihil est, aut posterius est. Sed secundum Platonem, qui posuit universalia subsistentia, secundum hanc considerationem universale esset prius quam particularia, quae secundum eum non sunt nisi per participationem universalium subsistentium, quae dicuntur ideae. Alio modo potest considerari quantum ad ipsam naturam, scilicet animalitatis vel humanitatis, prout invenitur in particularibus. Et sic dicendum est quod duplex est ordo naturae. Unus secundum viam generationis et temporis, secundum quam viam, ea quae sunt imperfecta et in potentia, sunt priora. Et hoc modo magis commune est prius secundum naturam, quod apparet manifeste in generatione hominis et animalis; nam prius generatur animal quam homo, ut dicitur in libro de Generat. Animal. Alius est ordo perfectionis, sive intentionis naturae; sicut actus simpliciter est prius secundum naturam quam potentia, et perfectum prius quam imperfectum. Et per hunc modum, minus commune est prius secundum naturam quam magis commune, ut homo quam animal, naturae enim intentio non sistit in generatione animalis, sed intendit generare hominem.

 

[32036] IŞ q. 85 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'universale si può considerare sotto due aspetti. Primo, in quanto la natura universale include la relazione di universalità. E siccome questa relazione di universalità, cioè il fatto che un unico e identico concetto dice ordine a molte cose, proviene dall'astrazione intellettiva, è necessario che sotto tale aspetto l'universale sia un dato posteriore. Perciò dice Aristotele che "l'animale universale, o è niente, oppure è posteriore". Stando invece a Platone, il quale riteneva che gli universali sono sussistenti, l'universale, anche sotto quest'aspetto, sarebbe anteriore ai singolari; i quali non sarebbero che partecipazioni degli universali sussistenti, cioè delle idee. - Secondo, si può considerare negli universali la stessa natura reale, p. es., l'animalità o l'umanità, come esistente nei singolari. E allora diciamo che vi è un doppio ordine di natura. Il primo è l'ordine genetico o cronologico; e in esso hanno una priorità gli esseri imperfetti e potenziali. I dati più universali sono quindi anteriori secondo la natura, stando a questa considerazione: e ciò risulta chiaramente nella generazione umana e in quella degli animali, poiché a detta di Aristotele, "prima è generato l'animale, e poi l'uomo". - Il secondo è l'ordine di perfezione, o di finalità naturale; quello cioè per cui l'atto, assolutamente parlando, è di sua natura prima della potenza, e la perfezione è prima di ciò che è imperfetto. In base a tale ordine i dati meno universali hanno una precedenza su quelli più universali; l'uomo, p. es., ha la precedenza sull'animale; poiché lo scopo cui tende la natura non è la generazione dell'animale, ma quella dell'uomo.

[32037] IŞ q. 85 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod universale magis commune comparatur ad minus commune ut totum et ut pars. Ut totum quidem, secundum quod in magis universali non solum continetur in potentia minus universale, sed etiam alia; ut sub animali non solum homo, sed etiam equus. Ut pars autem, secundum quod minus commune continet in sui ratione non solum magis commune, sed etiam alia; ut homo non solum animal, sed etiam rationale. Sic igitur animal consideratum in se, prius est in nostra cognitione quam homo; sed homo est prius in nostra cognitione quam quod animal sit pars rationis eius.

 

[32037] IŞ q. 85 a. 3 ad 2
2. L'universale più esteso può paragonarsi al meno esteso, sia come tutto, sia come parte. Come tutto, perché nell'universale più esteso, non solo è contenuto un determinato universale meno esteso, ma altri ancora; animale, p. es., non è soltanto l'uomo, ma anche il cavallo. Come parte, perché un universale più ristretto include nella sua nozione non soltanto quel determinato universale, ma anche altri: l'uomo, p. es., non è soltanto animale, ma anche razionale.
La nozione di animale, quindi, considerata in se stessa, precede quella di uomo nella nostra conoscenza; noi però conosciamo l'uomo prima di apprendere che animale fa parte della sua definizione.

[32038] IŞ q. 85 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod pars aliqua dupliciter potest cognosci. Uno modo absolute, secundum quod in se est, et sic nihil prohibet prius cognoscere partes quam totum, ut lapides quam domum. Alio modo, secundum quod sunt partes huius totius, et sic necesse est quod prius cognoscamus totum quam partes; prius enim cognoscimus domum quadam confusa cognitione, quam distinguamus singulas partes eius. Sic igitur dicendum est quod definientia, absolute considerata, sunt prius nota quam definitum, alioquin non notificaretur definitum per ea. Sed secundum quod sunt partes definitionis, sic sunt posterius nota, prius enim cognoscimus hominem quadam confusa cognitione, quam sciamus distinguere omnia quae sunt de hominis ratione.

 

[32038] IŞ q. 85 a. 3 ad 3
3. Le parti [di un tutto] si possono conoscere in due modi. Primo, direttamente, prese in se stesse: e niente impedisce di conoscere così prima le parti che il tutto, le pietre, p. es., prima della casa. Secondo, in quanto sono parti di un tutto; e allora è necessario conoscere il tutto prima delle parti; infatti prima conosciamo confusamente la casa, e poi ne distinguiamo le singole parti. Perciò diciamo che gli elementi della definizione, considerati per se stessi, sono conosciuti prima del definito; altrimenti quest'ultimo non potrebbe essere chiarito per mezzo di essi. Ma presi come parti della definizione vengono conosciuti dopo [il definito]; abbiamo infatti la nozione confusa dell'uomo, prima di riuscire a distinguere tutti gli elementi che entrano nella sua definizione.

[32039] IŞ q. 85 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod universale, secundum quod accipitur cum intentione universalitatis, est quidem quodammodo principium cognoscendi, prout intentio universalitatis consequitur modum intelligendi qui est per abstractionem. Non autem est necesse quod omne quod est principium cognoscendi, sit principium essendi, ut Plato existimavit, cum quandoque cognoscamus causam per effectum, et substantiam per accidentia. Unde universale sic acceptum, secundum sententiam Aristotelis, non est principium essendi, neque substantia, ut patet in VII Metaphys. Si autem consideremus ipsam naturam generis et speciei prout est in singularibus, sic quodammodo habet rationem principii formalis respectu singularium, nam singulare est propter materiam, ratio autem speciei sumitur ex forma. Sed natura generis comparatur ad naturam speciei magis per modum materialis principii, quia natura generis sumitur ab eo quod est materiale in re, ratio vero speciei ab eo quod est formale; sicut ratio animalis a sensitivo, ratio vero hominis ab intellectivo. Et inde est quod ultima naturae intentio est ad speciem, non autem ad individuum, neque ad genus, quia forma est finis generationis, materia vero est propter formam. Non autem oportet quod cuiuslibet causae vel principii cognitio sit posterior quoad nos, cum quandoque cognoscamus per causas sensibiles, effectus ignotos; quandoque autem e converso.

 

[32039] IŞ q. 85 a. 3 ad 4
4. Se l'universale viene considerato in quanto implica la relazione di universalità, allora è in qualche modo principio di conoscenza; poiché l'universalità scaturisce dal processo intellettivo, cioè dall'astrazione. Non è detto però che ogni principio conoscitivo sia anche un principio ontologico, come pensava Platone; poiché noi talora conosciamo la causa mediante gli effetti e la sostanza mediante gli accidenti. Quindi l'universale preso in questo senso non è, secondo il pensiero di Aristotele, né un principio ontologico né una sostanza. - Se invece consideriamo la natura stessa del genere e della specie, in quanto si trova nei singolari, allora l'universale ha, in un certo senso, carattere di principio formale rispetto ad essi: infatti il singolare si deve alla materia, mentre la natura della specie si desume dalla forma. La natura del genere però, confrontata alla natura della specie, ha piuttosto carattere di principio materiale: poiché la natura del genere si desume da quello che è l'elemento materiale della cosa; mentre la differenza specifica si desume da quello che ne è l'elemento formale; l'animalità, p. es., si desume dall'elemento sensitivo, la razionalità invece da quello intellettivo. Da ciò deriva che la natura ha di mira la specie, non l'individuo, e neppure il genere: poiché la forma è il fine della generazione, la materia invece ha come fine la forma. Non è poi necessario che la conoscenza di qualsiasi causa o principio sia posteriore rispetto a noi; poiché anche nell'ordine delle cose sensibili talora possiamo conoscere effetti occulti per mezzo delle loro cause, mentre altre volte avviene il contrario.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Procedimento e sviluppi dell'intellezione > Se sia possibile conoscere molte cose simultaneamente


Prima pars
Quaestio 85
Articulus 4

[32040] IŞ q. 85 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod possimus multa simul intelligere. Intellectus enim est supra tempus. Sed prius et posterius ad tempus pertinent. Ergo intellectus non intelligit diversa secundum prius et posterius, sed simul.

 
Prima parte
Questione 85
Articolo 4

[32040] IŞ q. 85 a. 4 arg. 1
SEMBRA che sia possibile conoscere molte cose simultaneamente. Infatti:
1. L'intelletto è al disopra del tempo. Ora, la successione, cioè il prima e il dopo, è proprio del tempo. Quindi la conoscenza intellettiva non ha un prima e un dopo, ma è tutta simultanea.

[32041] IŞ q. 85 a. 4 arg. 2
Praeterea, nihil prohibet diversas formas non oppositas simul eidem actu inesse, sicut odorem et colorem pomo. Sed species intelligibiles non sunt oppositae. Ergo nihil prohibet intellectum unum simul fieri in actu secundum diversas species intelligibiles et sic potest multa simul intelligere.

 

[32041] IŞ q. 85 a. 4 arg. 2
2. Niente impedisce che forme diverse, ma non opposte, si trovino simultaneamente nel medesimo soggetto, come l'odore e il colore in un pomo. Ma le idee non sono opposte tra loro. Perciò niente impedisce che un identico intelletto sia attuato da specie intellettive diverse. E quindi potrà conoscere simultaneamente più cose.

[32042] IŞ q. 85 a. 4 arg. 3
Praeterea, intellectus simul intelligit aliquod totum, ut hominem vel domum. Sed in quolibet toto continentur multae partes. Ergo intellectus simul multa intelligit.

 

[32042] IŞ q. 85 a. 4 arg. 3
3. L'intelletto può intendere simultaneamente un tutto, p. es., un uomo o una casa. Ora, in ogni tutto sono contenute molte parti. Dunque l'intelletto intende simultaneamente molte cose.

[32043] IŞ q. 85 a. 4 arg. 4
Praeterea, non potest cognosci differentia unius ad alterum, nisi simul utrumque apprehendatur, ut dicitur in libro de anima, et eadem ratio est de quacumque alia comparatione. Sed intellectus noster cognoscit differentiam et comparationem unius ad alterum. Ergo cognoscit multa simul.

 

[32043] IŞ q. 85 a. 4 arg. 4
4. Non si può conoscere la differenza di una cosa da un'altra, se simultaneamente non si conoscono entrambi, come dice Aristotele; e la stessa ragione vale per qualsiasi altra comparazione. Ma il nostro intelletto conosce le differenze e le comparazioni reciproche delle cose. Dunque conosce simultaneamente più cose.

[32044] IŞ q. 85 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur in libro Topic., quod intelligere est unum solum, scire vero multa.

 

[32044] IŞ q. 85 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive Aristotele, che "si ha l'intellezione di un'unica cosa, mentre si ha la scienza di molte".

[32045] IŞ q. 85 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod intellectus quidem potest multa intelligere per modum unius, non autem multa per modum multorum, dico autem per modum unius vel multorum, per unam vel plures species intelligibiles. Nam modus cuiusque actionis consequitur formam quae est actionis principium. Quaecumque ergo intellectus potest intelligere sub una specie, simul intelligere potest, et inde est quod Deus omnia simul videt, quia omnia videt per unum, quod est essentia sua. Quaecumque vero intellectus per diversas species intelligit, non simul intelligit. Et huius ratio est, quia impossibile est idem subiectum perfici simul pluribus formis unius generis et diversarum specierum, sicut impossibile est quod idem corpus secundum idem simul coloretur diversis coloribus, vel figuretur diversis figuris. Omnes autem species intelligibiles sunt unius generis, quia sunt perfectiones unius intellectivae potentiae; licet res quarum sunt species, sint diversorum generum. Impossibile est ergo quod idem intellectus simul perficiatur diversis speciebus intelligibilibus, ad intelligendum diversa in actu.

 

[32045] IŞ q. 85 a. 4 co.
RISPONDO: L'intelletto può intendere più cose in quanto formano un'unità, non in quanto formano una pluralità: vale a dire servendosi di una sola e non di più specie intenzionali. Infatti la portata di ogni operazione dipende dalla forma, che ne costituisce il principio. L'intelletto dunque può intendere simultaneamente tutto quello che può conoscere con una sola specie intenzionale: Dio, infatti, può vedere simultaneamente tutte le cose, perché le vede mediante quell'unica realtà che è la sua essenza. Le cose, invece, conosciute dal nostro intelletto mediante una pluralità di concetti, non sono da esso conosciute simultaneamente. E il motivo sta nel fatto che un identico soggetto non può rivestirsi simultaneamente di più forme di uno stesso genere e di specie diversa; è impossibile, p. es., che il medesimo corpo, sotto lo stesso rapporto sia colorato con colori diversi, o modellato in figure diverse. Ora, tutte le specie intelligibili sono di uno stesso genere, essendo tutte perfezioni dell'unica potenza intellettiva; anche se le cose che rappresentano siano di genere diverso. È dunque impossibile che il medesimo intelletto sia attuato simultaneamente da una pluralità di specie intelligibili, e possa così conoscere più cose in maniera attuale.

[32046] IŞ q. 85 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod intellectus est supra tempus quod est numerus motus corporalium rerum. Sed ipsa pluralitas specierum intelligibilium causat vicissitudinem quandam intelligibilium operationum, secundum quam una operatio est prior altera. Et hanc vicissitudinem Augustinus nominat tempus, cum dicit, VIII super Gen. ad Litt., quod Deus movet creaturam spiritualem per tempus.

 

[32046] IŞ q. 85 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'intelletto è al disopra di quel tempo che è la misura del moto delle cose materiali. Ma la stessa pluralità dei concetti causa una successione nelle operazioni intellettive, per cui una di esse è prima dell'altra. S. Agostino chiama tempo questa successione, quando scrive che "Dio muove attraverso il tempo la creatura spirituale".

[32047] IŞ q. 85 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod non solum oppositae formae non possunt esse simul in eodem subiecto, sed nec quaecumque formae eiusdem generis, licet non sint oppositae, sicut patet per exemplum inductum de coloribus et figuris.

 

[32047] IŞ q. 85 a. 4 ad 2
2. Non solo forme opposte, ma neppure quelle di un medesimo genere, sebbene non opposte, possono trovarsi simultaneamente in un medesimo soggetto; come risulta dall'esempio addotto dei colori e delle figure.

[32048] IŞ q. 85 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod partes possunt intelligi dupliciter. Uno modo, sub quadam confusione, prout sunt in toto, et sic cognoscuntur per unam formam totius, et sic simul cognoscuntur. Alio modo, cognitione distincta, secundum quod quaelibet cognoscitur per suam speciem, et sic non simul intelliguntur.

 

[32048] IŞ q. 85 a. 4 ad 3
3. Le parti possono essere conosciute in due modi. Primo, in confuso, cioè in quanto sono incluse nel tutto: in tal caso le conosciamo mediante l'unica forma del tutto; e così le possiamo conoscere simultaneamente. Secondo, con una conoscenza distinta, in modo che ciascuna sia conosciuta mediante la propria specie intenzionale; e allora le parti non possono essere conosciute simultaneamente.

[32049] IŞ q. 85 a. 4 ad 4
Ad quartum dicendum quod quando intellectus intelligit differentiam vel comparationem unius ad alterum, cognoscit utrumque differentium vel comparatorum sub ratione ipsius comparationis vel differentiae; sicut dictum est quod cognoscit partes sub ratione totius.

 

[32049] IŞ q. 85 a. 4 ad 4
4. Quando l'intelletto conosce la differenza e la comparazione di una cosa con un'altra, conosce i due termini sotto l'aspetto di un'unica comparazione e di un'unica differenza; allo stesso modo che conosce le parti nel tutto, come abbiamo spiegato.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Procedimento e sviluppi dell'intellezione > Se il nostro intelletto conosca raffrontando e contrapponendo [i concetti]


Prima pars
Quaestio 85
Articulus 5

[32050] IŞ q. 85 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod intellectus noster non intelligat componendo et dividendo. Compositio enim et divisio non est nisi multorum. Sed intellectus non potest simul multa intelligere. Ergo non potest intelligere componendo et dividendo.

 
Prima parte
Questione 85
Articolo 5

[32050] IŞ q. 85 a. 5 arg. 1
SEMBRA che il nostro intelletto non conosca raffrontando e contrapponendo [i concetti]. Infatti:
1. Raffronto e contrapposizione implicano una pluralità di cose. Ora, il nostro intelletto non può conoscere più cose simultaneamente. Quindi non può conoscere per via di raffronto e di contrapposizione.

[32051] IŞ q. 85 a. 5 arg. 2
Praeterea, omni compositioni et divisioni adiungitur tempus praesens, praeteritum vel futurum. Sed intellectus abstrahit a tempore, sicut etiam ab aliis particularibus conditionibus. Ergo intellectus non intelligit componendo et dividendo.

 

[32051] IŞ q. 85 a. 5 arg. 2
2. In ogni raffronto e contrapposizione [di concetti, cioè in ogni giudizio], si ha [col verbo] l'indicazione del tempo presente, passato o futuro. Ma l'intelletto prescinde dal tempo, come dalle altre condizioni individuanti. Dunque l'intelletto non conosce formulando giudizi affermativi e negativi.

[32052] IŞ q. 85 a. 5 arg. 3
Praeterea, intellectus intelligit per assimilationem ad res. Sed compositio et divisio nihil est in rebus, nihil enim invenitur in rebus nisi res quae significatur per praedicatum et subiectum, quae est una et eadem si compositio est vera; homo enim est vere id quod est animal. Ergo intellectus non componit et dividit.

 

[32052] IŞ q. 85 a. 5 arg. 3
3. L'intelletto conosce adeguandosi alla realtà. Ora, nella realtà non esistono raffronti e contrapposizioni; poiché nella realtà esiste soltanto la cosa indicata dal predicato e dal soggetto, ed è un'unica e identica cosa, se l'enunziato è vero; l'uomo infatti è esattamente ciò che è un animale. Dunque l'intelletto non può raffrontare e contrapporre [dei concetti].

[32053] IŞ q. 85 a. 5 s. c.
Sed contra, voces significant conceptiones intellectus, ut dicit philosophus in I Periherm. Sed in vocibus est compositio et divisio; ut patet in propositionibus affirmativis et negativis. Ergo intellectus componit et dividit.

 

[32053] IŞ q. 85 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Le parole stanno a indicare le operazioni dell'intelligenza, come insegna il Filosofo. Ora, con la parola si esprimono raffronti e contrapposizioni. Ciò è evidente nelle proposizioni affermative e negative. Dunque l'intelletto procede per via di raffronti e di contrapposizioni [di concetti].

[32054] IŞ q. 85 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod intellectus humanus necesse habet intelligere componendo et dividendo. Cum enim intellectus humanus exeat de potentia in actum, similitudinem quandam habet cum rebus generabilibus, quae non statim perfectionem suam habent, sed eam successive acquirunt. Et similiter intellectus humanus non statim in prima apprehensione capit perfectam rei cognitionem; sed primo apprehendit aliquid de ipsa, puta quidditatem ipsius rei, quae est primum et proprium obiectum intellectus; et deinde intelligit proprietates et accidentia et habitudines circumstantes rei essentiam. Et secundum hoc, necesse habet unum apprehensum alii componere vel dividere; et ex una compositione vel divisione ad aliam procedere, quod est ratiocinari. Intellectus autem angelicus et divinus se habet sicut res incorruptibiles, quae statim a principio habent suam totam perfectionem. Unde intellectus angelicus et divinus statim perfecte totam rei cognitionem habet. Unde in cognoscendo quidditatem rei, cognoscit de re simul quidquid nos cognoscere possumus componendo et dividendo et ratiocinando. Et ideo intellectus humanus cognoscit componendo et dividendo, sicut et ratiocinando. Intellectus autem divinus et angelicus cognoscunt quidem compositionem et divisionem et ratiocinationem, non componendo et dividendo et ratiocinando, sed per intellectum simplicis quidditatis.

 

[32054] IŞ q. 85 a. 5 co.
RISPONDO: È una necessità per l'intelletto umano conoscere mediante raffronti e contrapposizioni di concetti. Infatti, dovendo esso passare dalla potenza all'atto, ha una certa analogia con gli esseri soggetti alla generazione, i quali acquistano la loro perfezione, non in modo istantaneo, ma graduale. Così l'intelletto umano non acquista subito alla prima apprensione una conoscenza perfetta dell'oggetto; ma da principio ne percepisce un aspetto, mettiamo la quiddità, che è l'oggetto primario e proprio dell'intelligenza, e in seguito conosce le proprietà, gli accidenti e le relazioni che ricoprono la quiddità. Si trova così costretto a raffrontare e a contrapporre le varie percezioni, e a passare da un raffronto, o da una contrapposizione, ad altri raffronti e ad altre contrapposizioni, cioè a ragionare.
Invece l'intelletto divino e quello angelico si comportano come i corpi incorruttibili, i quali immediatamente fin da principio possiedono tutta la loro perfezione. Perciò l’intelletto divino e quello angelico possiedono una conoscenza immediata e perfetta delle cose. E quindi nel conoscere l'essenza di una cosa, ne apprendono simultaneamente tutti gli aspetti, che noi riusciamo a conoscere a forza di raffronti, di contrapposizioni e di ragionamenti. - In conclusione, l'intelletto umano conosce rapportando e contrapponendo i concetti, come pure conosce ragionando. Invece l'intelletto di Dio e quello degli angeli conosce certamente queste operazioni, ma senza raffrontare o contrapporre concetti, e senza ragionamento, cioè mediante l'intuizione della sola quiddità.

[32055] IŞ q. 85 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod compositio et divisio intellectus secundum quandam differentiam vel comparationem fit. Unde sic intellectus cognoscit multa componendo et dividendo, sicut cognoscendo differentiam vel comparationem rerum.

 

[32055] IŞ q. 85 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il raffronto e la contrapposizione dei concetti avvengono in base a una differenza o a una somiglianza. Perciò l'intelletto può conoscere più cose nel formulare giudizi affermativi e negativi, come fa quando conosce una differenza o una somiglianza.

[32056] IŞ q. 85 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod intellectus et abstrahit a phantasmatibus; et tamen non intelligit actu nisi convertendo se ad phantasmata, sicut supra dictum est. Et ex ea parte qua se ad phantasmata convertit, compositioni et divisioni intellectus adiungitur tempus.

 

[32056] IŞ q. 85 a. 5 ad 2
2. L'intelletto, pur astraendo il suo oggetto dai fantasmi, non compie un'intellezione senza volgersi ai fantasmi, come abbiamo spiegato. Ebbene, i giudizi affermativi e negativi dell'intelligenza implicano il tempo in quanto quest'ultima si volge ai fantasmi.

[32057] IŞ q. 85 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod similitudo rei recipitur in intellectu secundum modum intellectus, et non secundum modum rei. Unde compositioni et divisioni intellectus respondet quidem aliquid ex parte rei; tamen non eodem modo se habet in re, sicut in intellectu. Intellectus enim humani proprium obiectum est quidditas rei materialis, quae sub sensu et imaginatione cadit. Invenitur autem duplex compositio in re materiali. Prima quidem, formae ad materiam, et huic respondet compositio intellectus qua totum universale de sua parte praedicatur; nam genus sumitur a materia communi, differentia vero completiva speciei a forma, particulare vero a materia individuali. Secunda vero compositio est accidentis ad subiectum, et huic reali compositioni respondet compositio intellectus secundum quam praedicatur accidens de subiecto, ut cum dicitur, homo est albus. Tamen differt compositio intellectus a compositione rei, nam ea quae componuntur in re, sunt diversa; compositio autem intellectus est signum identitatis eorum quae componuntur. Non enim intellectus sic componit, ut dicat quod homo est albedo; sed dicit quod homo est albus, idest habens albedinem, idem autem est subiecto quod est homo, et quod est habens albedinem. Et simile est de compositione formae et materiae, nam animal significat id quod habet naturam sensitivam, rationale vero quod habet naturam intellectivam, homo vero quod habet utrumque, Socrates vero quod habet omnia haec cum materia individuali; et secundum hanc identitatis rationem, intellectus noster unum componit alteri praedicando.

 

[32057] IŞ q. 85 a. 5 ad 3
3. L'immagine intenzionale delle cose è ricevuta nell'intelligenza secondo il modo di essere non delle cose ma dell'intelletto. Quindi, nell'oggetto vi è certamente qualche cosa che corrisponde al raffronto e alla contrapposizione dell'intelligenza, ma questo qualche cosa non ha nell'intelligenza lo stesso modo di essere che ha nella realtà. Infatti l'oggetto proprio dell'intelletto umano è l'essenza delle cose materiali, sottoposte ai sensi e all’immaginazione. Ora, nelle cose materiali esistono due composizioni. Innanzi tutto quella di forma e di materia: e ad essa corrisponde nell'intelligenza il raffronto o composizione, per cui il tutto universale viene predicato di una sua parte. Infatti il genere viene desunto dalla materia universale, la differenza specifica dalla forma, e il singolare dalla materia individuale. La seconda composizione è quella di accidente e di soggetto: e a questa seconda composizione reale corrisponde nell'intelletto il raffronto che è implicito nella predicazione di un accidente relativamente al suo soggetto, come quando diciamo: l'uomo è bianco. - Tuttavia il raffronto o composizione dell'intelletto differisce dalla composizione reale: poiché gli elementi che entrano in composizione nella realtà sono diversi tra loro, invece la composizione fatta dall'intelletto sta a indicare l'identità dei concetti che entrano in composizione. L'intelletto infatti non unisce fino al punto di pensare che l'uomo è la bianchezza, ma afferma che l'uomo è bianco, cioè che ha la bianchezza: uomo quindi e chi ha la bianchezza in concreto si identificano. Lo stesso si dica della composizione di forma e di materia: infatti animale indica un essere che ha la natura sensitiva, razionale un essere che ha quella intellettiva, uomo indica l'essere che ha l'una e l'altra natura, Socrate poi un soggetto che ha tutte queste cose, e in più la materia individuale. Ora, è proprio questa [sostanziale] identità che permette al nostro intelletto di unire una cosa con l'altra mediante la predicazione.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Procedimento e sviluppi dell'intellezione > Se l'intelletto possa ingannarsi


Prima pars
Quaestio 85
Articulus 6

[32058] IŞ q. 85 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod intellectus possit esse falsus. Dicit enim philosophus, in VI Metaphys., quod verum et falsum sunt in mente. Mens autem et intellectus idem sunt, ut supra dictum est. Ergo falsitas est in intellectu.

 
Prima parte
Questione 85
Articolo 6

[32058] IŞ q. 85 a. 6 arg. 1
SEMBRA che l'intelletto possa ingannarsi. Infatti:
1. Scrive il Filosofo che "il vero e il falso si trovano nella mente". Ora, la mente non è che l'intelletto, come si è già veduto. Dunque nell'intelletto può trovarsi l'errore.

[32059] IŞ q. 85 a. 6 arg. 2
Praeterea, opinio et ratiocinatio ad intellectum pertinent. Sed in utraque istarum invenitur falsitas. Ergo potest esse falsitas in intellectu.

 

[32059] IŞ q. 85 a. 6 arg. 2
2. L'opinare e il ragionare appartengono all’intelletto. Ma in queste due funzioni può verificarsi l'errore. Dunque l'intelletto può ingannarsi.

[32060] IŞ q. 85 a. 6 arg. 3
Praeterea, peccatum in parte intellectiva est. Sed peccatum cum falsitate est, errant enim qui operantur malum, ut dicitur Prov. XIV. Ergo falsitas potest esse in intellectu.

 

[32060] IŞ q. 85 a. 6 arg. 3
3. Il peccato ha luogo nella parte intellettiva. Ora, il peccato è connesso con un errore, poiché sta scritto che "sbagliano coloro i quali fanno il male". Dunque nell'intelletto può trovarsi l'errore.

[32061] IŞ q. 85 a. 6 s. c.
Sed contra est quod dicit Augustinus, in libro octoginta trium quaest., quod omnis qui fallitur, id in quo fallitur non intelligit. Et philosophus dicit, in libro de anima, quod intellectus semper est rectus.

 

[32061] IŞ q. 85 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino che "chi s'inganna non comprende la cosa su cui s'inganna". E anche il Filosofo dichiara che "l'intelletto è sempre giusto".

[32062] IŞ q. 85 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod philosophus, in III de anima, comparat, quantum ad hoc, intellectum sensui. Sensus enim circa proprium obiectum non decipitur, sicut visus circa colorem; nisi forte per accidens, ex impedimento circa organum contingente, sicut cum gustus febrientium dulcia iudicat amara, propter hoc quod lingua malis humoribus est repleta. Circa sensibilia vero communia decipitur sensus, sicut in diiudicando de magnitudine vel figura; ut cum iudicat solem esse pedalem, qui tamen est maior terra. Et multo magis decipitur circa sensibilia per accidens; ut cum iudicat fel esse mel, propter coloris similitudinem. Et huius ratio est in evidenti. Quia ad proprium obiectum unaquaeque potentia per se ordinatur, secundum quod ipsa. Quae autem sunt huiusmodi, semper eodem modo se habent. Unde manente potentia, non deficit eius iudicium circa proprium obiectum. Obiectum autem proprium intellectus est quidditas rei. Unde circa quidditatem rei, per se loquendo, intellectus non fallitur. Sed circa ea quae circumstant rei essentiam vel quidditatem, intellectus potest falli, dum unum ordinat ad aliud, vel componendo vel dividendo vel etiam ratiocinando. Et propter hoc etiam circa illas propositiones errare non potest, quae statim cognoscuntur cognita terminorum quidditate, sicut accidit circa prima principia, ex quibus etiam accidit infallibilitas veritatis, secundum certitudinem scientiae, circa conclusiones. Per accidens tamen contingit intellectum decipi circa quod quid est in rebus compositis; non ex parte organi, quia intellectus non est virtus utens organo; sed ex parte compositionis intervenientis circa definitionem, dum vel definitio unius rei est falsa de alia, sicut definitio circuli de triangulo, vel dum aliqua definitio in seipsa est falsa, implicans compositionem impossibilium, ut si accipiatur hoc ut definitio alicuius rei, animal rationale alatum. Unde in rebus simplicibus, in quarum definitionibus compositio intervenire non potest, non possumus decipi; sed deficimus in totaliter non attingendo, sicut dicitur in IX Metaphys.

 

[32062] IŞ q. 85 a. 6 co.
RISPONDO: Il Filosofo stabilisce qui un parallelismo tra l'intelletto e i sensi. I sensi infatti non s'ingannano circa l'oggetto proprio: la vista, p. es., non s'inganna sui colori; ma la cosa può accadere soltanto per accidens, cioè per un impedimento casuale dell'organo. Così il gusto dei febbricitanti giudica amare le cose dolci, perché la lingua è impregnata di umori cattivi. Sui sensibili comuni, ossia nel giudicare della grandezza, della figura, ecc., il senso può ingannarsi; come quando giudica, p. es., che il sole ha il diametro di un piede, mentre è più grande della terra. S'inganna anche più facilmente intorno ai sensibili per accidens, quando, p. es., giudica che il fiele sia miele per la somiglianza del colore. - E la ragione di ciò è evidente. Infatti ciascuna potenza per se stessa è ordinata al proprio oggetto. E come tali le potenze hanno sempre un identico modo di comportarsi. Perciò una potenza, finché perdura, non può fallire il suo giudizio intorno al proprio oggetto.
Ora, l'oggetto proprio dell'intelletto è la quiddità delle cose. E intorno alla quiddità delle cose, di suo, l'intelletto non s'inganna. Può invece ingannarsi sui dati ammessi alla quiddità, scambiando l'uno con l'altro, sia nel giudizio affermativo e negativo, sia nel raziocinio. Di conseguenza non può errare neppure a proposito di quelle proposizioni che si conoscono appena conosciuto il valore dei termini, come nel caso dei primi principii: dai quali poi deriva infallibilità di verità e certezza scientifica alle stesse conclusioni. - Tuttavia l'intelletto può ingannarsi, per accidens, sulla quiddità, allorché si tratta di esseri composti; non già per causa degli organi [come nel caso dei sensi], poiché l'intelletto è una facoltà che non si serve di organi, ma a causa della composizione che si richiede per formulare una definizione. La definizione di una cosa infatti è falsa applicata ad un'altra; la definizione del circolo, p. es., è falsa per il triangolo. Inoltre la definizione può essere falsa in se medesima, per il fatto che è composta di termini incompatibili, quando, p. es., si pretende di definire una cosa in questi termini: animale ragionevole alato. E per questo non possiamo sbagliare trattandosi di entità semplici, nella cui definizione non può esserci composizione. In tal caso possiamo mancare [solo] nel non percepire totalmente, come si esprime Aristotele.

[32063] IŞ q. 85 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod falsitatem dicit esse philosophus in mente secundum compositionem et divisionem.

 

[32063] IŞ q. 85 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1, 2, 3. Il Filosofo ammette l'errore nella mente nell'atto di formulare giudizi affermativi e negativi.

[32064] IŞ q. 85 a. 6 ad 2
Et similiter dicendum est ad secundum, de opinione et ratiocinatione.

 

[32064] IŞ q. 85 a. 6 ad 2
Lo stesso si dica in risposta alla seconda difficoltà, per le funzioni dell'opinare e del raziocinare;

[32065] IŞ q. 85 a. 6 ad 3
Et ad tertium, de errore peccantium, qui consistit in applicatione ad appetibile. Sed in absoluta consideratione quidditatis rei, et eorum quae per eam cognoscuntur, intellectus nunquam decipitur. Et sic loquuntur auctoritates in contrarium inductae.

 

[32065] IŞ q. 85 a. 6 ad 3
...e in risposta alla terza per l'errore di chi pecca, errore che consiste nell'applicazione di un giudizio al campo dell'appetibile. - Ma nella semplice intuizione della quiddità delle cose, e di quanto è implicito in essa, l'intelletto non s'inganna mai. E questo è il senso dei testi riferiti dall'argomento in contrario.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Procedimento e sviluppi dell'intellezione > Se uno possa intendere una stessa cosa meglio di un altro


Prima pars
Quaestio 85
Articulus 7

[32066] IŞ q. 85 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod unam et eandem rem unus alio melius intelligere non possit. Dicit enim Augustinus, in libro octoginta trium quaest., quisquis ullam rem aliter quam est intelligit non eam intelligit. Quare non est dubitandum esse perfectam intelligentiam, qua praestantior esse non possit; et ideo non per infinitum ire quod quaelibet res intelligitur; nec eam posse alium alio plus intelligere.

 
Prima parte
Questione 85
Articolo 7

[32066] IŞ q. 85 a. 7 arg. 1
SEMBRA che uno non possa intendere meglio di un altro la stessa cosa. Infatti:
1. Dice S. Agostino: "Chi intende una cosa diversamente da quello che è, non la intende affatto. Perciò esiste senza dubbio un'intelligenza perfetta di cui non ce n'è un'altra più eccellente; e quindi non è possibile procedere all’infinito nella conoscenza di una cosa, come non è possibile che uno la conosca meglio di un altro".

[32067] IŞ q. 85 a. 7 arg. 2
Praeterea, intellectus intelligendo verus est. Veritas autem, cum sit aequalitas quaedam intellectus et rei, non recipit magis et minus, non enim proprie dicitur aliquid magis et minus aequale. Ergo neque magis et minus aliquid intelligi dicitur.

 

[32067] IŞ q. 85 a. 7 arg. 2
2. L'intelletto nel suo operare è vero. Ora, essendo la verità una adeguazione o uguaglianza tra l'intelletto e le cose, non comporta un più e un meno: parlando infatti con proprietà, non si può dire che una cosa è più o meno uguale. Dunque non si può affermare che una cosa viene capita di più o di meno.

[32068] IŞ q. 85 a. 7 arg. 3
Praeterea, intellectus est id quod est formalissimum in homine. Sed differentia formae causat differentiam speciei. Si igitur unus homo magis alio intelligit, videtur quod non sint unius speciei.

 

[32068] IŞ q. 85 a. 7 arg. 3
3. L'intelletto è ciò che vi è di più formale nell'uomo. Ma una differenza nella forma causa una differenza di specie. Se dunque un uomo capisse più di un altro, bisognerebbe concludere che essi non sono di una medesima specie.

[32069] IŞ q. 85 a. 7 s. c.
Sed contra est quod per experimentum inveniuntur aliqui aliis profundius intelligentes; sicut profundius intelligit qui conclusionem aliquam potest reducere in prima principia et causas primas, quam qui potest reducere solum in causas proximas.

 

[32069] IŞ q. 85 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: L'esperienza dimostra che alcuni hanno un'intellezione più profonda di altri; p. es., intende più profondamente chi è capace di riportare una data conclusione ai primi principii, o alle cause prime, di uno il quale è capace di ricollegarla soltanto alle cause prossime.

[32070] IŞ q. 85 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod aliquem intelligere unam et eandem rem magis quam alium, potest intelligi dupliciter. Uno modo, sic quod ly magis determinet actum intelligendi ex parte rei intellectae. Et sic non potest unus eandem rem magis intelligere quam alius, quia si intelligeret eam aliter esse quam sit, vel melius vel peius, falleretur, et non intelligeret ut arguit Augustinus. Alio modo potest intelligi ut determinet actum intelligendi ex parte intelligentis. Et sic unus alio potest eandem rem melius intelligere, quia est melioris virtutis in intelligendo; sicut melius videt visione corporali rem aliquam qui est perfectioris virtutis, et in quo virtus visiva est perfectior. Hoc autem circa intellectum contingit dupliciter. Uno quidem modo, ex parte ipsius intellectus, qui est perfectior. Manifestum est enim quod quanto corpus est melius dispositum, tanto meliorem sortitur animam, quod manifeste apparet in his quae sunt secundum speciem diversa. Cuius ratio est, quia actus et forma recipitur in materia secundum materiae capacitatem. Unde cum etiam in hominibus quidam habeant corpus melius dispositum, sortiuntur animam maioris virtutis in intelligendo, unde dicitur in II de anima quod molles carne bene aptos mente videmus. Alio modo contingit hoc ex parte inferiorum virtutum, quibus intellectus indiget ad sui operationem, illi enim in quibus virtus imaginativa et cogitativa et memorativa est melius disposita, sunt melius dispositi ad intelligendum.

 

[32070] IŞ q. 85 a. 7 co.
RISPONDO: Che uno intende una cosa più di un altro si può prendere in due sensi. Primo, applicando l'avverbio più all’intellezione in rapporto all'oggetto conosciuto. In questo senso non è possibile che uno intenda la stessa cosa più di un altro; perché se la conoscesse diversamente da come è, vale a dire migliore o peggiore, s'ingannerebbe, e perciò non la conoscerebbe, come argomenta appunto S. Agostino. - Secondo, applicando il più all’intellezione in rapporto al soggetto conoscente. In tal senso uno può intendere la stessa cosa meglio di un altro, se ha una maggiore capacità intellettiva; come chi ha una potenza visiva più perfetta, vede meglio fisicamente le cose.
Lo stesso avviene per l'intelletto, in due maniere. Primo, per parte dell'intelletto medesimo che può essere più perfetto. Infatti è evidente che quanto più il corpo è ben disposto, tanto migliore è l'anima che viene ad informarlo, e ne abbiamo la riprova evidente negli esseri di specie diversa. La ragione si è che l'atto e la forma sono ricevuti nella materia in base alla recettività della medesima. Perciò, siccome tra gli stessi uomini alcuni hanno un corpo meglio disposto, ricevono un'anima dotata di maggiore capacità intellettiva; per questo Aristotele osserva, che ci soggetti dalla carnagione delicata sono meglio dotati di intelligenza". - Secondo, il fatto può verificarsi per parte delle facoltà inferiori, che l'intelletto è costretto a usare per la sua attività. Infatti coloro che hanno l'immaginativa, la cogitativa e la memoria meglio disposte, sono anche meglio portati all’intellezione.

[32071] IŞ q. 85 a. 7 ad 1
Ad primum ergo patet solutio ex dictis.

 

[32071] IŞ q. 85 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La soluzione della prima difficoltà è perciò evidente.

[32072] IŞ q. 85 a. 7 ad 2
Et similiter ad secundum, veritas enim intellectus in hoc consistit, quod intelligatur res esse sicuti est.

 

[32072] IŞ q. 85 a. 7 ad 2
2. Lo stesso vale per la seconda: infatti la verità dell'intelletto consiste appunto nell’intendere le cose come sono.

[32073] IŞ q. 85 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod differentia formae quae non provenit nisi ex diversa dispositione materiae, non facit diversitatem secundum speciem, sed solum secundum numerum; sunt enim diversorum individuorum diversae formae, secundum materiam diversificatae.

 

[32073] IŞ q. 85 a. 7 ad 3
3. Quella differenza di forma, che proviene soltanto dalla diversa disposizione della materia, non causa una diversità specifica, ma soltanto numerica; infatti la molteplicità e varietà degl'individui dipende dalla diversa materia.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Procedimento e sviluppi dell'intellezione > Se l'intelletto conosca gli indivisibili prima delle cose divisibili


Prima pars
Quaestio 85
Articulus 8

[32074] IŞ q. 85 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod intellectus noster per prius cognoscat indivisibile quam divisibile. Dicit enim philosophus, in I Physic., quod intelligimus et scimus ex principiorum et elementorum cognitione. Sed indivisibilia sunt principia et elementa divisibilium. Ergo per prius sunt nobis nota indivisibilia quam divisibilia.

 
Prima parte
Questione 85
Articolo 8

[32074] IŞ q. 85 a. 8 arg. 1
SEMBRA che il nostro intelletto conosca gl'indivisibili prima delle cose divisibili. Infatti:
1. Il Filosofo scrive che "noi arriviamo all’intellezione e alla scienza dalla conoscenza dei principii e degli elementi". Ora, gli indivisibili sono i principii e gli elementi delle cose divisibili. Dunque gli indivisibili ci sono noti prima delle cose divisibili.

[32075] IŞ q. 85 a. 8 arg. 2
Praeterea, id quod ponitur in definitione alicuius, per prius cognoscitur a nobis, quia definitio est ex prioribus et notioribus, ut dicitur in VI Topic. Sed indivisibile ponitur in definitione divisibilis, sicut linea enim, ut Euclides dicit, est longitudo sine latitudine, cuius extremitates sunt duo puncta. Et unitas ponitur in definitione numeri, quia numerus est multitudo mensurata per unum, ut dicitur in X Metaphys. Ergo intellectus noster per prius intelligit indivisibile quam divisibile.

 

[32075] IŞ q. 85 a. 8 arg. 2
2. I termini posti nella definizione di una cosa sono conosciuti da noi in precedenza: poiché la definizione si compone "di dati anteriori e più noti", come dice Aristotele. Ora, l'indivisibile si pone nella definizione [del divisibile, come il punto nella definizione] della linea: infatti Euclide insegna che "la linea è una lunghezza senza larghezza, le cui estremità sono due punti". Così pure troviamo l'unità nella definizione del numero; infatti "il numero", come dice Aristotele, "è una pluralità misurata dall'unità". Dunque il nostro intelletto intende gli indivisibili prima delle cose divisibili.

[32076] IŞ q. 85 a. 8 arg. 3
Praeterea, simile simili cognoscitur. Sed indivisibile est magis simile intellectui quam divisibile, quia intellectus est simplex, ut dicitur in III de anima. Ergo intellectus noster prius cognoscit indivisibile.

 

[32076] IŞ q. 85 a. 8 arg. 3
3. "Le cose si conoscono mediante cose consimili". Ora, l'indivisibile è più simile all'intelletto che il divisibile, poiché "l'intelletto è semplice", come Aristotele dimostra. Dunque l'intelletto conoscerà prima l'indivisibile.

[32077] IŞ q. 85 a. 8 s. c.
Sed contra est quod dicitur in III de anima, quod indivisibile monstratur sicut privatio. Sed privatio per posterius cognoscitur. Ergo et indivisibile.

 

[32077] IŞ q. 85 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive Aristotele che "l'indivisibile si rivela come la privazione". Ora, la privazione non è conosciuta in maniera immediata. Dunque neppure l'indivisibile.

[32078] IŞ q. 85 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod obiectum intellectus nostri, secundum praesentem statum, est quidditas rei materialis, quam a phantasmatibus abstrahit, ut ex praemissis patet. Et quia id quod est primo et per se cognitum a virtute cognoscitiva, est proprium eius obiectum, considerari potest quo ordine indivisibile intelligatur a nobis, ex eius habitudine ad huiusmodi quidditatem. Dicitur autem indivisibile tripliciter, ut dicitur in III de anima. Uno modo, sicut continuum est indivisibile, quia est indivisum in actu, licet sit divisibile in potentia. Et huiusmodi indivisibile prius est intellectum a nobis quam eius divisio, quae est in partes, quia cognitio confusa est prior quam distincta, ut dictum est. Alio modo dicitur indivisibile secundum speciem, sicut ratio hominis est quoddam indivisibile. Et hoc etiam modo indivisibile est prius intellectum quam divisio eius in partes rationis, ut supra dictum est, et iterum prius quam intellectus componat et dividat, affirmando vel negando. Et huius ratio est, quia huiusmodi duplex indivisibile intellectus secundum se intelligit, sicut proprium obiectum. Tertio modo dicitur indivisibile quod est omnino indivisibile, ut punctus et unitas, quae nec actu nec potentia dividuntur. Et huiusmodi indivisibile per posterius cognoscitur, per privationem divisibilis. Unde punctum privative definitur, punctum est cuius pars non est, et similiter ratio unius est quod sit indivisibile, ut dicitur in X Metaphys. Et huius ratio est, quia tale indivisibile habet quandam oppositionem ad rem corporalem, cuius quidditatem primo et per se intellectus accipit. Si autem intellectus noster intelligeret per participationem indivisibilium separatorum, ut Platonici posuerunt, sequeretur quod indivisibile huiusmodi esset primo intellectum, quia secundum Platonicos, priora prius participantur a rebus.

 

[32078] IŞ q. 85 a. 8 co.
RISPONDO: Nella vita presente il nostro intelletto ha come oggetto la quiddità delle cose materiali, che esso astrae dai fantasmi, come abbiamo già spiegato. E poiché siamo certi che l'oggetto primario e diretto di una facoltà conoscitiva è l'oggetto proprio della medesima, si può arguire in quale ordine l'indivisibile sia conosciuto da noi, osservando il rapporto che esso ha con la quiddità suddetta.
Come insegna Aristotele, un'entità può essere indivisibile in tre modi.
Primo, come il continuo [di estensione o di tempo], il quale è indivisibile perché indiviso in atto, sebbene sia divisibile in potenza.
E questo indivisibile è conosciuto da noi prima della sua divisione nelle varie parti; poiché la conoscenza confusa, precede la cognizione distinta, come abbiamo già notato. - Secondo, indivisibile può dirsi una cosa considerata nella sua specie, la nozione di uomo, p. es. Anche in questo caso l'indivisibile è conosciuto prima della divisione nelle sue parti 'essenziali, come si è spiegato sopra, e prima che l'intelletto componga e divida con i suoi giudizi affermativi e negativi. E la ragione di ciò sta nel fatto che l’intelletto conosce di per sé queste due serie di indivisibili, in qualità di oggetto proprio. - Terzo, vi è un indivisibile che è del tutto indivisibile, p. es., il punto e l'unità, che non sono divisibili, né in atto, né in potenza. E un tale indivisibile da noi non è conosciuto immediatamente, ma mediante la negazione della divisibilità. Difatti il punto si definisce in forma negativa: "ciò che non ha parti"; così pure il concetto essenziale dell'unità è di essere "indivisibile", come si esprime Aristotele. E questo perché un indivisibile di tal genere si contrappone in qualche modo alla realtà corporea, la quiddità della quale costituisce l'oggetto primo e immediato dell'intelletto.
Se invece il nostro intelletto conoscesse mediante la partecipazione di realtà indivisibili separate, come volevano i platonici, ne verrebbe che questi indivisibili sarebbero i primi oggetti dell'intelligenza: i platonici infatti ritengono che le prime realtà sono anche le prime ad essere partecipate.

[32079] IŞ q. 85 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in accipiendo scientiam, non semper principia et elementa sunt priora, quia quandoque ex effectibus sensibilibus devenimus in cognitionem principiorum et causarum intelligibilium. Sed in complemento scientiae, semper scientia effectuum dependet ex cognitione principiorum et elementorum, quia, ut ibidem dicit philosophus, tunc opinamur nos scire, cum principiata possumus in causas resolvere.

 

[32079] IŞ q. 85 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nell'acquisto di una scienza non sempre i principii e gli elementi vengono por primi: poiché noi spesso partiamo dagli effetti sensibili per giungere alla conoscenza dei principii e delle cause intelligibili. Ma nella scienza già formata la cognizione degli effetti dipende sempre da quella dei principii e degli elementi: infatti al dire del Filosofo, "noi riteniamo di avere la scienza di una cosa, quando sappiamo ricondurre i vari principii alle loro cause".

[32080] IŞ q. 85 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod punctum non ponitur in definitione lineae communiter sumptae, manifestum est enim quod in linea infinita, et etiam in circulari, non est punctum nisi in potentia. Sed Euclides definit lineam finitam rectam, et ideo posuit punctum in definitione lineae, sicut terminum in definitione terminati. Unitas vero est mensura numeri, et ideo ponitur in definitione numeri mensurati. Non autem ponitur in definitione divisibilis, sed magis e converso.

 

[32080] IŞ q. 85 a. 8 ad 2
2. Il punto non è incluso nella definizione della linea in generale: è chiaro infatti che nella linea infinita e in quella circolare il punto esiste solo potenzialmente. Ma Euclide vuoi definire il segmento di linea retta: per questo mette nella sua definizione il punto, come si mette il limite nella definizione di una cosa limitata. - L'unità poi è la misura del numero: per questo entra nella definizione del numero misurato. Non entra però nella definizione delle cose divisibili, che si verifica piuttosto il contrario.

[32081] IŞ q. 85 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod similitudo per quam intelligimus, est species cogniti in cognoscente. Et ideo non secundum similitudinem naturae ad potentiam cognoscitivam est aliquid prius cognitum, sed per convenientiam ad obiectum, alioquin magis visus cognosceret auditum quam colorem.

 

[32081] IŞ q. 85 a. 8 ad 3
3. La somiglianza, mediante la quale si ha l'intellezione, è la specie intenzionale dell'oggetto presente nel soggetto. Perciò la priorità di una cosa nella cognizione non dipende dalla sua somiglianza di natura con la potenza conoscitiva, ma piuttosto dalla sua affinità con l'oggetto [di essa]; altrimenti la vista dovrebbe conoscere più l'udito che i colori.

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva