I, 86

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Gli aspetti della realtà materiale conosciuti dal nostro intelletto


Prima pars
Quaestio 86
Prooemium

[32082] Iª q. 86 pr.
Deinde considerandum est quid intellectus noster in rebus materialibus cognoscat. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum cognoscat singularia.
Secundo, utrum cognoscat infinita.
Tertio, utrum cognoscat contingentia.
Quarto, utrum cognoscat futura.

 
Prima parte
Questione 86
Proemio

[32082] Iª q. 86 pr.
Passiamo ora a esaminare quali aspetti della realtà materiale conosca il nostro intelletto.
Sull'argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se conosca i singolari;
2. Se conosca cose infinite;
3. Se conosca i contingenti;
4. Se conosca le cose future.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Gli aspetti della realtà materiale conosciuti dal nostro intelletto > Se il nostro intelletto conosca i singolari


Prima pars
Quaestio 86
Articulus 1

[32083] Iª q. 86 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod intellectus noster cognoscat singularia. Quicumque enim cognoscit compositionem, cognoscit extrema compositionis. Sed intellectus noster cognoscit hanc compositionem. Socrates est homo, eius enim est propositionem formare. Ergo intellectus noster cognoscit hoc singulare quod est Socrates.

 
Prima parte
Questione 86
Articolo 1

[32083] Iª q. 86 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il nostro intelletto conosca i singolari. Infatti:
1. Chi conosce un'affermazione, conosce pure i termini che la compongono. Ora, il nostro intelletto conosce questa affermazione: Socrate è uomo; poiché spetta all'intelletto formare le proposizioni. Perciò la nostra intelligenza conosce quel singolare che è Socrate.

[32084] Iª q. 86 a. 1 arg. 2
Praeterea, intellectus practicus dirigit ad agendum. Sed actus sunt circa singularia. Ergo cognoscit singularia.

 

[32084] Iª q. 86 a. 1 arg. 2
2. L'intelletto pratico guida nell'operare. Ma le operazioni hanno per oggetto i singolari. Dunque l'intelletto li conosce.

[32085] Iª q. 86 a. 1 arg. 3
Praeterea, intellectus noster intelligit seipsum. Ipse autem est quoddam singulare, alioquin non haberet aliquem actum; actus enim singularium sunt. Ergo intellectus noster cognoscit singulare.

 

[32085] Iª q. 86 a. 1 arg. 3
3. Il nostro intelletto conosce se medesimo. Ora, esso è un singolare, altrimenti non potrebbe avere operazione alcuna, poiché le operazioni sono proprie dei singolari. Dunque l'intelletto conosce i singolari.

[32086] Iª q. 86 a. 1 arg. 4
Praeterea, quidquid potest virtus inferior, potest superior. Sed sensus cognoscit singulare. Ergo multo magis intellectus.

 

[32086] Iª q. 86 a. 1 arg. 4
4. Una potenza superiore è capace di quanto può fare una potenza inferiore. Ora, il senso conosce i singolari. A maggior ragione quindi dovrà conoscerli l'intelletto.

[32087] Iª q. 86 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicit philosophus, in I Physic., quod universale secundum rationem est notum, singulare autem secundum sensum.

 

[32087] Iª q. 86 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna che "l'universale viene conosciuto dalla ragione, il singolare dal senso".

[32088] Iª q. 86 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod singulare in rebus materialibus intellectus noster directe et primo cognoscere non potest. Cuius ratio est, quia principium singularitatis in rebus materialibus est materia individualis, intellectus autem noster, sicut supra dictum est, intelligit abstrahendo speciem intelligibilem ab huiusmodi materia. Quod autem a materia individuali abstrahitur, est universale. Unde intellectus noster directe non est cognoscitivus nisi universalium. Indirecte autem, et quasi per quandam reflexionem, potest cognoscere singulare, quia, sicut supra dictum est, etiam postquam species intelligibiles abstraxit, non potest secundum eas actu intelligere nisi convertendo se ad phantasmata, in quibus species intelligibiles intelligit, ut dicitur in III de anima. Sic igitur ipsum universale per speciem intelligibilem directe intelligit; indirecte autem singularia, quorum sunt phantasmata. Et hoc modo format hanc propositionem, Socrates est homo.

 

[32088] Iª q. 86 a. 1 co.
RISPONDO: Il nostro intelletto non è in grado di conoscere in modo diretto e immediato il singolare delle cose corporee. Lo deduciamo dal fatto che la radice della singolarità per le cose materiali è la materia individuale: mentre il nostro intelletto conosce, come abbiamo visto, astraendo l'aspetto intelligibile da tale materia. Ma ciò che si astrae dalla materia individuale è un universale. Quindi il nostro intelletto ha una conoscenza diretta soltanto degli universali.
È però in grado di conoscere i singolari indirettamente, mediante una riflessione; poiché, come abbiamo già spiegato, anche dopo aver astratto le specie intelligibili, non può con esse passare all'atto dell'intellezione senza volgersi ai fantasmi, nei quali appunto vede le idee, come scrive Aristotele. Perciò l'intelletto conosce direttamente l'universale mediante le sue specie intelligibili; e indirettamente i singolari che sono rappresentati dai fantasmi. - E in tal modo può formare la proposizione: Socrate è uomo.

[32089] Iª q. 86 a. 1 ad 1
Unde patet solutio ad primum.

 

[32089] Iª q. 86 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: E così è risolta anche la prima difficoltà.

[32090] Iª q. 86 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod electio particularis operabilis est quasi conclusio syllogismi intellectus practici, ut dicitur in VII Ethic. Ex universali autem propositione directe non potest concludi singularis, nisi mediante aliqua singulari propositione assumpta. Unde universalis ratio intellectus practici non movet nisi mediante particulari apprehensione sensitivae partis, ut dicitur in III de anima.

 

[32090] Iª q. 86 a. 1 ad 2
2. La scelta di un'azione concreta da compiere è, al dire di Aristotele, come la conclusione di un sillogismo, dovuta all'intelletto pratico. Ora, da una proposizione universale non si può direttamente dedurre una conclusione singola ma bisogna prendere come termine medio una proposizione dai termini concreti e singolari. Perciò i dati dell'intelletto pratico possono portare ad agire solo mediante una percezione del concreto, dovuta alla parte sensitiva, come dice Aristotele.

[32091] Iª q. 86 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod singulare non repugnat intelligibilitati inquantum est singulare, sed inquantum est materiale, quia nihil intelligitur nisi immaterialiter. Et ideo si sit aliquod singulare immateriale, sicut est intellectus, hoc non repugnat intelligibilitati.

 

[32091] Iª q. 86 a. 1 ad 3
3. Il singolare non è intelligibile non perché singolare, ma perché materiale; poiché solo l'immaterialità rende le cose oggetto d'intellezione. E quindi, se esiste un singolare immateriale, qual è appunto l'intelletto, niente si oppone alla sua intelligibilità.

[32092] Iª q. 86 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod virtus superior potest illud quod potest virtus inferior, sed eminentiori modo. Unde id quod cognoscit sensus materialiter et concrete, quod est cognoscere singulare directe, hoc cognoscit intellectus immaterialiter et abstracte, quod est cognoscere universale.

 

[32092] Iª q. 86 a. 1 ad 4
4. Una potenza superiore è certamente capace di quanto può fare una potenza inferiore, ma in modo più eminente. Perciò, quello che è conosciuto dai sensi in modo materiale e concreto, vale a dire nella conoscenza diretta dei singolari, è conosciuto pure dall'intelletto in modo immateriale e astratto, vale a dire nella conoscenza degli universali.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Gli aspetti della realtà materiale conosciuti dal nostro intelletto > Se il nostro intelletto possa conoscere cose infinite


Prima pars
Quaestio 86
Articulus 2

[32093] Iª q. 86 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod intellectus noster possit cognoscere infinita. Deus enim excedit omnia infinita. Sed intellectus noster potest cognoscere Deum, ut supra dictum est. Ergo multo magis potest cognoscere omnia alia infinita.

 
Prima parte
Questione 86
Articolo 2

[32093] Iª q. 86 a. 2 arg. 1
SEMBRA che il nostro intelletto possa conoscere cose infinite, Infatti:
1. Dio sorpassa tutti gli infiniti. Ora, il nostro intelletto può conoscere Dio, come si è visto. Molto più dunque potrà conoscere tutti gli altri infiniti.

[32094] Iª q. 86 a. 2 arg. 2
Praeterea, intellectus noster natus est cognoscere genera et species. Sed quorundam generum sunt infinitae species, sicut numeri, proportionis et figurae. Ergo intellectus noster potest cognoscere infinita.

 

[32094] Iª q. 86 a. 2 arg. 2
2. Il nostro intelletto è fatto per conoscere tanto i generi che le specie. Ma ci sono dei generi che hanno specie infinite, come il numero, la relazione e la figura. Quindi il nostro intelletto può conoscere cose infinite.

[32095] Iª q. 86 a. 2 arg. 3
Praeterea, si unum corpus non impediret aliud ab existendo in uno et eodem loco, nihil prohiberet infinita corpora in uno loco esse. Sed una species intelligibilis non prohibet aliam ab existendo simul in eodem intellectu, contingit enim multa scire in habitu. Ergo nihil prohibet intellectum nostrum infinitorum scientiam habere in habitu.

 

[32095] Iª q. 86 a. 2 arg. 3
3. Se un corpo non impedisse all'altro di occupare il medesimo spazio, non si potrebbe escludere la presenza di infiniti corpi in un sol luogo. Ora, una specie intelligibile non impedisce a un'altra di trovarsi nel medesimo intelletto; poiché entrambi possono essere conosciute mediante un abito scientifico. Dunque niente impedisce che il nostro intelletto abbia la scienza abituale di oggetti infiniti.

[32096] Iª q. 86 a. 2 arg. 4
Praeterea, intellectus, cum non sit virtus materiae corporalis, ut supra dictum est, videtur esse potentia infinita. Sed virtus infinita potest super infinita. Ergo intellectus noster potest cognoscere infinita.

 

[32096] Iª q. 86 a. 2 arg. 4
4. Poiché l'intelletto, come abbiamo dimostrato, non è una facoltà materiale e corporea, deve essere una potenza illimitata. Ma una potenza illimitata può estendersi a un'infinità di cose. Perciò il nostro intelletto può conoscere cose infinite.

[32097] Iª q. 86 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur in I Physic., quod infinitum, inquantum est infinitum, est ignotum.

 

[32097] Iª q. 86 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Aristotele afferma che "l'infinito, in quanto infinito, è ignoto".

[32098] Iª q. 86 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, cum potentia proportionetur suo obiecto, oportet hoc modo se habere intellectum ad infinitum, sicut se habet eius obiectum, quod est quidditas rei materialis. In rebus autem materialibus non invenitur infinitum in actu, sed solum in potentia, secundum quod unum succedit alteri, ut dicitur in III Physic. Et ideo in intellectu nostro invenitur infinitum in potentia, in accipiendo scilicet unum post aliud, quia nunquam intellectus noster tot intelligit, quin possit plura intelligere. Actu autem vel habitu non potest cognoscere infinita intellectus noster. Actu quidem non, quia intellectus noster non potest simul actu cognoscere nisi quod per unam speciem cognoscit. Infinitum autem non habet unam speciem, alioquin haberet rationem totius et perfecti. Et ideo non potest intelligi nisi accipiendo partem post partem, ut ex eius definitione patet in III Physic., est enim infinitum cuius quantitatem accipientibus semper est aliquid extra accipere, et sic infinitum cognosci non posset actu, nisi omnes partes eius numerarentur, quod est impossibile. Et eadem ratione non possumus intelligere infinita in habitu. In nobis enim habitualis cognitio causatur ex actuali consideratione, intelligendo enim efficimur scientes, ut dicitur in II Ethic. Unde non possemus habere habitum infinitorum secundum distinctam cognitionem, nisi consideravissemus omnia infinita, numerando ea secundum cognitionis successionem, quod est impossibile. Et ita nec actu nec habitu intellectus noster potest cognoscere infinita, sed in potentia tantum, ut dictum est.

 

[32098] Iª q. 86 a. 2 co.
RISPONDO: Le facoltà sono proporzionate al proprio oggetto, e perciò è necessario che l'intelletto abbia verso l'infinito l'identico rapporto che ha verso di esso l'oggetto suo proprio, cioè la quiddità delle cose materiali. Ora, nel mondo corporeo non si trova una cosa che sia infinita in maniera attuale, ma solo in maniera potenziale, in quanto cioè [nella materia] può esservi un continuo succedersi di forme, come spiega Aristotele. Perciò anche nel nostro intelletto si riscontra l'infinito potenziale, in quanto esso riceve un oggetto dopo l'altro: infatti l'intelletto non è mai cosi pieno di cognizioni da non poterne ricevere delle altre.
Però la nostra intelligenza non può conoscere, né in maniera attuale, né in maniera abituale, oggetti infiniti. Non in maniera attuale, perché il nostro intelletto può conoscere simultaneamente in tal modo soltanto ciò che è conoscibile mediante una sola idea.
Ora un infinito non è rappresentato da un'unica idea; altrimenti sarebbe un tutto unico e un'entità definita e perfetta. Per questo non è possibile conoscere che prendendo una parte dopo l'altra, come si può arguire dalla stessa definizione che ne dà Aristotele: "Infinito è quell'essere a cui, togliendo una quantità, ne resta sempre dell'altra da prendere". Cosicché per conoscere in maniera attuale un infinito, bisognerebbe enumerare distintamente tutte le sue parti: il che è assurdo.
Per la stessa ragione non possiamo conoscere gli infiniti in maniera abituale. Infatti la conoscenza abituale è causata in noi dalla conoscenza attuale; poiché, come dice Aristotele, mediante atti intellettivi, acquistiamo la scienza. Non potremmo quindi avere un abito conoscitivo di cose infinite che ce ne desse una nozione distinta, se non le avessimo prima considerate tutte con atti successivi di conoscenza; il che è impossibile. Per conseguenza il nostro intelletto non può conoscere cose infinite, né in maniera attuale, né in maniera abituale, ma solo potenziale, come abbiamo spiegato.

[32099] Iª q. 86 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut supra dictum est, Deus dicitur infinitus sicut forma quae non est terminata per aliquam materiam, in rebus autem materialibus aliquid dicitur infinitum per privationem formalis terminationis. Et quia forma secundum se nota est, materia autem sine forma ignota, inde est quod infinitum materiale est secundum se ignotum. Infinitum autem formale, quod est Deus, est secundum se notum, ignotum autem quoad nos, propter defectum intellectus nostri, qui secundum statum praesentis vitae habet naturalem aptitudinem ad materialia cognoscenda. Et ideo in praesenti Deum cognoscere non possumus nisi per materiales effectus. In futuro autem tolletur defectus intellectus nostri per gloriam, et tunc ipsum Deum in sua essentia videre poterimus, tamen absque comprehensione.

 

[32099] Iª q. 86 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come abbiamo già spiegato, Dio è infinito, perché è una forma non limitata da una qualsiasi materia: invece nella realtà materiale una cosa è infinita perché manca di una qualsiasi determinazione di forma. E poiché, mentre la forma è intelligibile per se stessa, la materia priva di forma è inintelligibile, ne segue che l'infinito materiale di suo è inintelligibile. Tuttavia quell'infinito che è Dio, pur essendo intelligibile per se stesso, non è intelligibile per noi, data la limitatezza del nostro intelletto, il quale nello stato della vita presente ha una capacità naturale limitata alla conoscenza delle cose materiali. Perciò, nella vita presente, noi possiamo conoscere Dio soltanto attraverso le sue creature materiali. Nella vita futura questa limitazione della nostra intelligenza sarà eliminata dalla gloria, e allora potremo vedere Dio nella sua essenza, senza però comprenderlo appieno.

[32100] Iª q. 86 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod intellectus noster natus est cognoscere species per abstractionem a phantasmatibus. Et ideo illas species numerorum et figurarum quas quis non est imaginatus, non potest cognoscere nec actu nec habitu, nisi forte in genere et in principiis universalibus; quod est cognoscere in potentia et confuse.

 

[32100] Iª q. 86 a. 2 ad 2
2. Il nostro intelletto è fatto per conoscere le specie intelligibili astratte dai fantasmi. Perciò uno non può conoscere né in maniera attuale né in maniera abituale quelle specie dei numeri o delle figure, che non sono passate dalla immaginativa. Può averne semmai una conoscenza generica nei principii generali; il che equivale a una conoscenza potenziale e confusa.

[32101] Iª q. 86 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod, si duo corpora essent in uno loco, vel plura, non oporteret quod successive subintrarent locum, ut sic per ipsam subintrationis successionem numerarentur locata. Sed species intelligibiles ingrediuntur intellectum nostrum successive, quia non multa simul actu intelliguntur. Et ideo oportet numeratas, et non infinitas species esse in intellectu nostro.

 

[32101] Iª q. 86 a. 2 ad 3
3. Se due o più corpi si trovassero nel medesimo spazio, non sarebbe necessario che vi entrassero uno dopo l'altro, e permettessero così, con questa occupazione successiva, di enumerare distintamente i vari corpi occupanti. Invece le specie intelligibili entrano nel nostro intelletto l'una dopo l'altra: poiché non è possibile intendere più cose simultaneamente. E perciò necessario che le idee si trovino nel nostro intelletto in numero non infinito ma limitato.

[32102] Iª q. 86 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod sicut intellectus noster est infinitus virtute, ita infinitum cognoscit. Est enim virtus eius infinita, secundum quod non terminatur per materiam corporalem. Et est cognoscitivus universalis, quod est abstractum a materia individuali, et per consequens non finitur ad aliquod individuum, sed, quantum est de se, ad infinita individua se extendit.

 

[32102] Iª q. 86 a. 2 ad 4
4. Il nostro intelletto ha una conoscenza dell'infinito proporzionata alla infinità che possiede come potenza. Infatti esso possiede una capacità in quanto non è limitato dalla materia corporea. Avendo inoltre la conoscenza degli universali, astratti dalla materia individuale, l'intelletto non è limitato a conoscere un individuo determinato, ma di suo si estende a un'infinità di individui.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Gli aspetti della realtà materiale conosciuti dal nostro intelletto > Se l'intelletto conosca le cose contingenti


Prima pars
Quaestio 86
Articulus 3

[32103] Iª q. 86 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod intellectus non sit cognoscitivus contingentium. Quia, ut dicitur in VI Ethic., intellectus et sapientia et scientia non sunt contingentium, sed necessariorum.

 
Prima parte
Questione 86
Articolo 3

[32103] Iª q. 86 a. 3 arg. 1
SEMBRA che l'intelletto non conosca le cose contingenti. Infatti:
1. Scrive Aristotele che l'intelletto, la sapienza e la scienza non hanno per oggetto le cose contingenti, ma quelle necessarie.

[32104] Iª q. 86 a. 3 arg. 2
Praeterea, sicut dicitur in IV Physic., ea quae quandoque sunt et quandoque non sunt, tempore mensurantur. Intellectus autem a tempore abstrahit, sicut et ab aliis conditionibus materiae. Cum igitur proprium contingentium sit quandoque esse et quandoque non esse, videtur quod contingentia non cognoscantur ab intellectu.

 

[32104] Iª q. 86 a. 3 arg. 2
2. Leggiamo nella Fisica di Aristotele che "gli esseri i quali ora esistono ed ora non esistono sono misurati dal tempo". Ma l'intelletto umano fa astrazione dal tempo come dalle altre condizioni materiali. Essendo dunque proprietà delle cose contingenti di esistere solo per un certo tempo, è chiaro che esse non possono essere conosciute dall'intelletto.

[32105] Iª q. 86 a. 3 s. c.
Sed contra, omnis scientia est in intellectu. Sed quaedam scientiae sunt de contingentibus; sicut scientiae morales, quae sunt de actibus humanis subiectis libero arbitrio; et etiam scientiae naturales, quantum ad partem quae tractat de generabilibus et corruptibilibus. Ergo intellectus est cognoscitivus contingentium.

 

[32105] Iª q. 86 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Tutte le scienze risiedono nell'intelletto. Ma esistono delle scienze che hanno per oggetto le cose contingenti; p. es. le scienze morali, che trattano degli atti umani, soggetti al libero arbitrio; e anche le scienze naturali, per quella parte che riguarda le cose generabili e corruttibili. Perciò l'intelletto ha la capacità di conoscere le cose contingenti.

[32106] Iª q. 86 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod contingentia dupliciter possunt considerari. Uno modo, secundum quod contingentia sunt. Alio modo, secundum quod in eis aliquid necessitatis invenitur, nihil enim est adeo contingens, quin in se aliquid necessarium habeat. Sicut hoc ipsum quod est Socratem currere, in se quidem contingens est; sed habitudo cursus ad motum est necessaria, necessarium enim est Socratem moveri, si currit. Est autem unumquodque contingens ex parte materiae, quia contingens est quod potest esse et non esse; potentia autem pertinet ad materiam. Necessitas autem consequitur rationem formae, quia ea quae consequuntur ad formam, ex necessitate insunt. Materia autem est individuationis principium, ratio autem universalis accipitur secundum abstractionem formae a materia particulari. Dictum autem est supra quod per se et directe intellectus est universalium; sensus autem singularium, quorum etiam indirecte quodammodo est intellectus, ut supra dictum est. Sic igitur contingentia, prout sunt contingentia, cognoscuntur directe quidem sensu, indirecte autem ab intellectu, rationes autem universales et necessariae contingentium cognoscuntur per intellectum. Unde si attendantur rationes universales scibilium, omnes scientiae sunt de necessariis. Si autem attendantur ipsae res, sic quaedam scientia est de necessariis, quaedam vero de contingentibus.

 

[32106] Iª q. 86 a. 3 co.
RISPONDO: Possiamo considerare le cose contingenti sotto due aspetti. Primo, nella loro contingenza. Secondo, in quanto includono un elemento necessario: poiché nessuna cosa è tanto contingente, da non includere qualche aspetto necessario. Il fatto, p. es., che Socrate corre di suo è contingente, ma il rapporto tra la corsa e il moto è necessario. Infatti, se Socrate corre, è necessario che si muova.
La contingenza però dipende dalla materia; poiché è contingente quella cosa che è in potenza ad essere e a non essere; e la potenzialità è della materia. Invece la necessità deriva dalla forma; perché ciò che deriva dalla forma si trova necessariamente in un dato essere. Inoltre, mentre la materia è principio di individuazione, l'universale si desume, mediante l'astrazione della forma, dalla materia concreta e particolare. Ora, abbiamo già dimostrato che l'intelligenza ha per oggetto proprio e immediato gli universali; come il senso ha per oggetto i singolari, i quali sono conosciuti indirettamente anche dall'intelletto, come abbiamo già spiegato. Perciò le cose contingenti, in quanto contingenti, sono conosciute direttamente dai sensi, e indirettamente dall'intelletto: i dati invece universali e necessari sono conosciuti [solo] dall'intelletto.
Perciò, se consideriamo l'universalità dei dati scientifici, tutte le scienze hanno per oggetto il necessario. Se invece si considerano le cose in se stesse, allora avremo una scienza delle cose necessarie, e una scienza di quelle contingenti.

[32107] Iª q. 86 a. 3 ad arg.
Et per hoc patet solutio ad obiecta.

 

[32107] Iª q. 86 a. 3 ad arg.
In tal modo è evidente la soluzione da dare alle difficoltà.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Gli aspetti della realtà materiale conosciuti dal nostro intelletto > Se il nostro intelletto conosca le cose future


Prima pars
Quaestio 86
Articulus 4

[32108] Iª q. 86 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod intellectus noster cognoscat futura. Intellectus enim noster cognoscit per species intelligibiles, quae abstrahunt ab hic et nunc, et ita se habent indifferenter ad omne tempus. Sed potest cognoscere praesentia. Ergo potest cognoscere futura.

 
Prima parte
Questione 86
Articolo 4

[32108] Iª q. 86 a. 4 arg. 1
SEMBRA che il nostro intelletto conosca le cose future. Infatti:
1. L'intelletto umano conosce mediante specie intelligibili che prescindono dalle circostanze di tempo e di luogo, e quindi qualsiasi tempo è indifferente per esse. Ora, l'intelletto può conoscere le cose presenti. Dunque può conoscere anche quelle future.

[32109] Iª q. 86 a. 4 arg. 2
Praeterea, homo quando alienatur a sensibus, aliqua futura cognoscere potest; ut patet in dormientibus et phreneticis. Sed quando alienatur a sensibus, magis viget intellectu. Ergo intellectus, quantum est de se, est cognoscitivus futurorum.

 

[32109] Iª q. 86 a. 4 arg. 2
2. Quando l'uomo è alienato dai sensi, può conoscere degli eventi futuri, come appunto riscontriamo nello stato di sonno e di esaltazione. Ora, in questa alienazione dai sensi, l'intelletto ha maggior vigore. Perciò l'intelletto di suo ha la capacità di conoscere il futuro.

[32110] Iª q. 86 a. 4 arg. 3
Praeterea, cognitio intellectiva hominis efficacior est quam cognitio quaecumque brutorum animalium. Sed quaedam animalia sunt quae cognoscunt quaedam futura; sicut corniculae frequenter crocitantes significant pluviam mox futuram. Ergo multo magis intellectus humanus potest futura cognoscere.

 

[32110] Iª q. 86 a. 4 arg. 3
3. La conoscenza intellettiva è superiore a quella di qualsiasi animale. Ora, ci sono degli animali che conoscono alcuni eventi futuri; le cornacchie, p. es., quando gracchiano con insistenza indicano che la pioggia è vicina. Dunque a maggior ragione può conoscere le cose future l'intelligenza umana.

[32111] Iª q. 86 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Eccle. VIII, multa hominis afflictio, qui ignorat praeterita, et futura nullo potest scire nuntio.

 

[32111] Iª q. 86 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Leggiamo nella Scrittura: "Grande miseria pesa sull'uomo, perché egli ignora il passato, e da nessuno può avere notizie del futuro".

[32112] Iª q. 86 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod de cognitione futurorum eodem modo distinguendum est, sicut de cognitione contingentium. Nam ipsa futura ut sub tempore cadunt, sunt singularia, quae intellectus humanus non cognoscit nisi per reflexionem, ut supra dictum est. Rationes autem futurorum possunt esse universales, et intellectu perceptibiles, et de eis etiam possunt esse scientiae. Ut tamen communiter de cognitione futurorum loquamur, sciendum est quod futura dupliciter cognosci possunt, uno modo, in seipsis; alio modo, in suis causis. In seipsis quidem futura cognosci non possunt nisi a Deo; cui etiam sunt praesentia dum in cursu rerum sunt futura, inquantum eius aeternus intuitus simul fertur supra totum temporis cursum, ut supra dictum est cum de Dei scientia ageretur. Sed prout sunt in suis causis, cognosci possunt etiam a nobis. Et si quidem in suis causis sint ut ex quibus ex necessitate proveniant, cognoscuntur per certitudinem scientiae; sicut astrologus praecognoscit eclipsim futuram. Si autem sic sint in suis causis ut ab eis proveniant ut in pluribus, sic cognosci possunt per quandam coniecturam vel magis vel minus certam, secundum quod causae sunt vel magis vel minus inclinatae ad effectus.

 

[32112] Iª q. 86 a. 4 co.
RISPONDO: A proposito della conoscenza del futuro si impongono le medesime distinzioni fatte per la conoscenza delle cose contingenti. Infatti le cose future, in quanto legate al tempo, sono dei singolari, singolari che l'intelletto conosce solo per riflessione, come abbiamo spiegato più sopra. Invece le ragioni formali delle cose future possono essere universali, e direttamente intelligibili; e possono essere così oggetto di scienza.
Ma se si parla genericamente della conoscenza del futuro, allora bisogna ricordare che le cose future si possono conoscere in due maniere: primo, in se stesse; secondo, nelle loro cause. In se stesse le cose future non possono essere conosciute che da Dio, per il quale esse sono presenti, pur restando future in rapporto al succedersi degli avvenimenti; poiché il suo sguardo eterno si porta simultaneamente su tutto il corso del tempo, come abbiamo spiegato parlando della scienza di Dio. - Ma se consideriamo le cose future come preesistenti nelle loro cause, allora possono essere conosciute anche da noi. E se nelle loro cause sono così precontenute da derivarne per necessità, sono conosciute con certezza scientifica; è così che l'astronomo prevede le eclissi future. Se invece sono precontenute nelle loro cause, in modo da derivare da esse non sempre, ma nella maggioranza dei casi, allora possono essere conosciute con una probabilità più o meno certa, secondo che le cause sono più o meno determinate a produrre l'effetto.

[32113] Iª q. 86 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit de cognitione quae fit per rationes universales causarum, ex quibus futura cognosci possunt secundum modum ordinis effectus ad causam.

 

[32113] Iª q. 86 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'argomento portato vale per la cognizione dovuta alle ragioni formali e universali delle cause; dalle quali ragioni si può ricavare una conoscenza del futuro proporzionata all'intimità dei rapporti tra l'effetto e la causa.

[32114] Iª q. 86 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut Augustinus dicit XII Confess., anima habet quandam vim sortis, ut ex sui natura possit futura cognoscere, et ideo quando retrahitur a corporeis sensibus, et quodammodo revertitur ad seipsam, fit particeps notitiae futurorum. Et haec quidem opinio rationabilis esset, si poneremus quod anima acciperet cognitionem rerum secundum participationem idearum, sicut Platonici posuerunt, quia sic anima ex sui natura cognosceret universales causas omnium effectuum, sed impeditur per corpus; unde quando a corporis sensibus abstrahitur, futura cognoscit. Sed quia iste modus cognoscendi non est connaturalis intellectui nostro, sed magis ut cognitionem a sensibus accipiat; ideo non est secundum naturam animae quod futura cognoscat cum a sensibus alienatur; sed magis per impressionem aliquarum causarum superiorum spiritualium et corporalium. Spiritualium quidem, sicut cum virtute divina ministerio Angelorum intellectus humanus illuminatur, et phantasmata ordinantur ad futura aliqua cognoscenda; vel etiam cum per operationem Daemonum fit aliqua commotio in phantasia ad praesignandum aliqua futura quae Daemones cognoscunt, ut supra dictum est. Huiusmodi autem impressiones spiritualium causarum magis nata est anima humana suscipere cum a sensibus alienatur, quia per hoc propinquior fit substantiis spiritualibus, et magis libera ab exterioribus inquietudinibus. Contingit autem et hoc per impressionem superiorum causarum corporalium. Manifestum est enim quod corpora superiora imprimunt in corpora inferiora. Unde cum vires sensitivae sint actus corporalium organorum, consequens est quod ex impressione caelestium corporum immutetur quodammodo phantasia. Unde cum caelestia corpora sint causa multorum futurorum, fiunt in imaginatione aliqua signa quorundam futurorum. Haec autem signa magis percipiuntur in nocte et a dormientibus, quam de die et a vigilantibus, quia, ut dicitur in libro de Somn. et Vigil., quae deferuntur de die, dissolvuntur magis; plus est enim sine turbatione aer noctis, eo quod silentiores sunt noctes. Et in corpore faciunt sensum propter somnum, quia parvi motus interiores magis sentiuntur a dormientibus quam a vigilantibus. Hi vero motus faciunt phantasmata, ex quibus praevidentur futura.

 

[32114] Iª q. 86 a. 4 ad 2
2. Secondo un'opinione sostenuta da S. Agostino, l'anima avrebbe una capacità divinatoria, per poter conoscere naturalmente il futuro; cosicché quando si astrae dai sensi e ritorna in qualche modo in se stessa, viene a partecipare di questa conoscenza delle cose future. - Siffatta opinione sarebbe ragionevole, se si potesse ammettere che l'anima raggiunge la conoscenza delle cose mediante la partecipazione delle idee, come ritenevano i platonici: poiché in tal caso l'anima dovrebbe conoscere in forza della sua natura le cause universali di tutti gli effetti, pur essendone impedita dal corpo; quindi verrebbe a conoscere il futuro tutte le volte che si astrae dai sensi. Ma siccome questo modo di conoscere non è affatto connaturale al nostro intelletto, il quale al contrario ricava la sua conoscenza dai sensi, non è davvero conforme alla natura dell'anima conoscere il futuro in forza dell'alienazione dai sensi, ma piuttosto per influsso di cause superiori, spirituali o materiali. Di cause spirituali, quando, p. es., l'intelletto umano viene divinamente illuminato per il ministero di angeli, e allorché i fantasmi vengono così ordinati alla conoscenza di cose future; oppure quando l'intervento diabolico, come già si disse, produce un turbamento nella fantasia, per indicare eventi futuri conosciuti dai demoni. Ora, l'anima è più disposta a ricevere tali impressioni delle cause spirituali quando è astratta dai sensi; poiché allora diventa più affine alle sostanze spirituali, ed è più libera dai turbamenti esterni. - La stessa cosa può verificarsi per influsso di cause superiori materiali. È evidente infatti che i corpi superiori influiscono su quelli inferiori. Ora, le facoltà sensitive sono perfezioni di organi corporei; ne segue che la fantasia può in qualche modo essere alterata dall'influsso dei corpi celesti. E siccome questi corpi sono la causa di molti eventi futuri, si producono nell'immaginazione fenomeni indicatori di taluni di essi. Tali indizi sono percepiti con maggiore facilità di notte da chi dorme, che di giorno da chi è sveglio. Scrive infatti Aristotele: Le impressioni trasmesse di giorno sono più facili a dissolversi; poiché l'aria della notte è meno turbata, essendo le notti più tranquille. Le impressioni allora producono nel corpo delle sensazioni a causa del sonno, poiché i piccoli turbamenti interni sono meglio percepiti da chi dorme che da chi veglia. E questi turbamenti producono quelle immaginazioni dalle quali nasce la previsione del futuro.

[32115] Iª q. 86 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod animalia bruta non habent aliquid supra phantasiam quod ordinet phantasmata, sicut habent homines rationem; et ideo phantasia brutorum animalium totaliter sequitur impressionem caelestem. Et ideo ex motibus huiusmodi animalium magis possunt cognosci quaedam futura, ut pluvia et huiusmodi, quam ex motibus hominum, qui moventur per consilium rationis. Unde philosophus dicit, in libro de Somn. et Vigil., quod quidam imprudentissimi sunt maxime praevidentes, nam intelligentia horum non est curis affecta, sed tanquam deserta et vacua ab omnibus, et mota secundum movens ducitur.

 

[32115] Iª q. 86 a. 4 ad 3
3. Gli animali non hanno al disopra della fantasia una facoltà coordinatrice dei fantasmi, come invece l'hanno gli uomini nella ragione; perciò l'immaginativa di questi animali segue totalmente l'influsso dei corpi celesti. E così è più facile conoscere certi eventi futuri, come la pioggia e fenomeni consimili, dal comportamento degli animali, che da quello degli uomini, i quali si muovono dietro il consiglio della ragione. Per questo il Filosofo insegna che certi uomini imprudentissimi talvolta sono sommamente previdenti; poiché la loro intelligenza non è sovraccarica di preoccupazioni; ma, trovandosi come deserta e vuota di tutto, quando viene mossa si lascia condurre secondo il motore".

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