I, 73

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'opera dei sei giorni > L'opera del settimo giorno


Prima pars
Quaestio 73
Prooemium

[31385] Iª q. 73 pr.
Deinde considerandum est de iis quae pertinent ad septimum diem. Et circa hoc quaeruntur tria.
Primo, de completione operum.
Secundo, de requie Dei.
Tertio, de benedictione et sanctificatione huius diei.

 
Prima parte
Questione 73
Proemio

[31385] Iª q. 73 pr.
Studiamo ora quanto riguarda il settimo giorno.
Intorno a questo tema si presentano tre argomenti:

1. Il compimento di tutte le opere;
2. Il riposo di Dio;
3. La benedizione e la santificazione di questo giorno.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'opera dei sei giorni > L'opera del settimo giorno > Se il compimento delle opere divine si debba assegnare al giorno settimo


Prima pars
Quaestio 73
Articulus 1

[31386] Iª q. 73 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod completio divinorum operum non debeat septimo diei adscribi. Omnia enim quae in hoc saeculo aguntur, ad divina opera pertinent. Sed consummatio saeculi erit in fine mundi, ut habetur Matth. XIII. Tempus etiam incarnationis Christi est cuiusdam completionis tempus, unde dicitur tempus plenitudinis, Gal. IV. Et ipse Christus moriens dixit, consummatum est, ut dicitur Ioan. XIX. Non ergo completio divinorum operum competit diei septimo.

 
Prima parte
Questione 73
Articolo 1

[31386] Iª q. 73 a. 1 arg. 1
SEMBRA che un tale compimento non si debba assegnare al settimo giorno. Infatti:
1. Tutto quello che avviene nel tempo rientra nelle opere di Dio.
Ora il "compimento del tempo "avverrà alla fine del mondo, come leggiamo in S. Matteo. Anche il tempo dell’incarnazione di Cristo è il compimento di un certo periodo, poiché viene chiamato "tempo della pienezza", e Cristo stesso morendo disse: "Tutto è finito".
Perciò l’ultimazione delle opere divine non appartiene al settimo giorno.

[31387] Iª q. 73 a. 1 arg. 2
Praeterea, quicumque complet opus suum, aliquid facit. Sed Deus non legitur septimo die aliquid fecisse, quinimmo ab omni opere quievisse. Ergo completio operum non competit septimo diei.

 

[31387] Iª q. 73 a. 1 arg. 2
2. Chi rifinisce la sua opera, fa certamente qualche cosa. Ma noi non leggiamo che Dio abbia fatto cosa alcuna nel settimo giorno, che anzi si riposò da ogni opera. Perciò il compimento delle sue opere non spetta al settimo giorno.

[31388] Iª q. 73 a. 1 arg. 3
Praeterea, non dicitur aliquid esse completum, cui multa superadduntur, nisi forte sint illa superflua, quia perfectum dicitur cui nihil deest eorum quae debet habere. Sed post septimum diem multa sunt facta, et productio multorum individuorum; et etiam quarumdam novarum specierum, quae frequenter apparent, praecipue in animalibus ex putrefactione generatis. Quotidie etiam Deus novas animas creat. Novum etiam fuit incarnationis opus, de quo dicitur Ierem. XXXI, novum faciet dominus super terram. Nova etiam sunt miraculosa opera, de quibus dicitur Eccli. XXXVI, innova signa, et immuta mirabilia. Innovabuntur etiam omnia in glorificatione sanctorum, secundum illud Apoc. XXI, et dixit qui sedebat in throno, ecce nova facio omnia. Completio ergo divinorum operum non debet attribui septimo diei.

 

[31388] Iª q. 73 a. 1 arg. 3
3. Non si può dire ultimata un’opera, quando le si fanno delle aggiunte, a meno che non siano superflue, perché si chiama perfetto quello al quale non manca niente di quanto deve avere. Ora molte cose furono fatte dopo il giorno settimo, come la produzione di molti individui e anche di alcune specie nuove, che appariscono spesso, specialmente negli animali originati dalla putrefazione. Inoltre, quotidianamente Dio crea nuove anime. Anche l’Incarnazione fu un’opera nuova, poiché si dice di essa: "Il Signore farà una cosa nuova sulla terra". Nuove sono le opere miracolose, delle quali sta scritto: "Rinnova i portenti e ripeti le meraviglie". Tutto ancora sarà rinnovato nella glorificazione dei santi, secondo quel detto: "E disse quegli che sedeva sul trono: Ecco che faccio nuove tutte le cose". Non si può dunque attribuire al giorno settimo il compimento finale delle opere di Dio.

[31389] Iª q. 73 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur Gen. II, complevit Deus die septimo opus suum quod fecerat.

 

[31389] Iª q. 73 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Dio compì nel settimo giorno l’opera da lui creata".

[31390] Iª q. 73 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod duplex est rei perfectio, prima, et secunda. Prima quidem perfectio est, secundum quod res in sua substantia est perfecta. Quae quidem perfectio est forma totius, quae ex integritate partium consurgit. Perfectio autem secunda est finis. Finis autem vel est operatio, sicut finis citharistae est citharizare, vel est aliquid ad quod per operationem pervenitur, sicut finis aedificatoris est domus, quam aedificando facit. Prima autem perfectio est causa secundae, quia forma est principium operationis. Ultima autem perfectio, quae est finis totius universi, est perfecta beatitudo sanctorum; quae erit in ultima consummatione saeculi. Prima autem perfectio, quae est in integritate universi, fuit in prima rerum institutione. Et haec deputatur septimo diei.

 

[31390] Iª q. 73 a. 1 co.
RISPONDO: Ogni cosa ha due perfezioni: La prima si ha quando essa è perfetta nella sua sostanza. E questa non è altro che la forma di tutto l’essere, che risulta dall’integrità delle parti. - La seconda perfezione è il compimento o fine. Ora, il fine può essere l’operazione stessa, come suonare per il sonatore; oppure è un risultato, al quale si giunge mediante l’operazione, come per il costruttore è la casa che realizza col fabbricare. - La prima perfezione però è causa della seconda, perché la forma è il principio di operazione.
Ma la perfezione ultima, che è il compimento e il fine di tutto l’universo, è la beatitudine perfetta dei Santi, che si avrà alla fine del mondo. Invece la prima perfezione, che consiste nell’integrità dell’universo, si ebbe nella prima formazione delle cose. Ed è questa che viene assegnata al settimo giorno.

[31391] Iª q. 73 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut dictum est, perfectio prima est causa secundae. Ad beatitudinem autem consequendam duo requiruntur, natura et gratia. Ipsa ergo beatitudinis perfectio erit in fine mundi, ut dictum est. Sed ista consummatio praecessit causaliter, quantum ad naturam quidem, in prima rerum institutione, quantum ad gratiam vero, in incarnatione Christi, quia gratia et veritas per Iesum Christum facta est, ut dicitur Ioan. I. Sic igitur in septima die fuit consummatio naturae; in incarnatione Christi, consummatio gratiae; in fine mundi, consummatio gloriae.

 

[31391] Iª q. 73 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come abbiamo detto, la prima perfezione è causa della seconda. Ora, sono due i requisiti per conseguire la beatitudine, la natura e la grazia. Perciò la perfezione della beatitudine si avrà alla fine del mondo. Ma questo compimento finale viene preparato, nell’ordine della natura, dalla prima formazione delle creature; e nell’ordine della grazia, dall’incarnazione di Cristo, perché la grazia e la verità sono venute da Gesù Cristo. Così si ebbe il compimento della natura nel giorno settimo, quello della grazia nell’incarnazione e quello della gloria si avrà alla fine del mondo.

[31392] Iª q. 73 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod septima die Deus aliquid operatus est, non novam creaturam condendo, sed creaturam administrando, et ad propriam operationem eam movendo, quod iam aliqualiter pertinet ad inchoationem quandam secundae perfectionis. Et ideo consummatio operum, secundum nostram translationem, attribuitur diei septimae. Sed secundum aliam translationem, attribuitur diei sextae. Et utrumque potest stare. Quia consummatio quae est secundum integritatem partium universi, competit sextae diei, consummatio quae est secundum operationem partium, competit septimae. Vel potest dici quod in motu continuo, quandiu aliquid potest moveri ulterius, non dicitur motus perfectus ante quietem, quies enim demonstrat motum consummatum. Deus autem poterat plures creaturas facere, praeter illas quas fecerat sex diebus. Unde hoc ipso quod cessavit novas creaturas condere in septima die, dicitur opus suum consummasse.

 

[31392] Iª q. 73 a. 1 ad 2
2. Iddio fece qualche cosa anche nel settimo giorno, non già creando nuovi esseri, ma governando l’universo e muovendo tutte le cose alla loro attività; e questo appartiene in qualche modo agli inizi della seconda perfezione. Per tale motivo il compimento delle opere viene assegnato al giorno settimo, secondo la nostra versione.
Ma secondo un’altra versione, è assegnato al sesto. Regge però sia l’una che l’altra lezione. Perché quel compimento che consiste nell’integrità di tutte le parti dell’universo, appartiene al giorno sesto; mentre quello che riguarda l’operazione di esse, appartiene al settimo.
Potremmo anche rispondere che soltanto il moto continuo [delle cose materiali] rimane imperfetto prima della quiete, cioè finché l’oggetto è in potenza a muoversi ancora, perché è la quiete che dimostra il compimento del moto. Dio invece è in potenza a fare molte altre creature, oltre quelle fatte nei sei giorni. Quindi si dice che terminò la sua opera per il solo fatto che nel settimo giorno cessò dal farne delle altre.

[31393] Iª q. 73 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod nihil postmodum a Deo factum est totaliter novum, quin aliqualiter in operibus sex dierum praecesserit. Quaedam enim praeextiterunt materialiter, sicut quod Deus de costa Adae formavit mulierem. Quaedam vero praeextiterunt in operibus sex dierum, non solum materialiter, sed etiam causaliter, sicut individua quae nunc generantur, praecesserunt in primis individuis suarum specierum. Species etiam novae, si quae apparent, praeextiterunt in quibusdam activis virtutibus, sicut et animalia ex putrefactione generata producuntur ex virtutibus stellarum et elementorum quas a principio acceperunt, etiam si novae species talium animalium producantur. Animalia etiam quaedam secundum novam speciem aliquando oriuntur ex commixtione animalium diversorum secundum speciem, sicut cum ex asino et equa generatur mulus, et haec etiam praecesserunt causaliter in operibus sex dierum. Quaedam vero praecesserunt secundum similitudinem; sicut animae quae nunc creantur. Et similiter incarnationis opus, quia, ut dicitur Philipp. II, filius Dei est in similitudinem hominum factus. Gloria etiam spiritualis secundum similitudinem praecessit in Angelis, corporalis vero in caelo, praecipue Empyreo. Unde dicitur Eccle. I, nihil sub sole novum; iam enim praecessit in saeculis quae fuerunt ante nos.

 

[31393] Iª q. 73 a. 1 ad 3
3. Niente di quello, che è stato poi fatto da Dio, è totalmente nuovo, poiché aveva un qualche precedente nelle opere dei sei giorni. Infatti alcuni esseri preesistevano quanto alla loro materia, come la donna, che fu da Dio formata dalla costola di Adamo. - Altri preesistevano nelle opere dei sei giorni non solo materialmente, ma anche virtualmente; gli individui, p. es., che sono ora generati, avevano una certa preesistenza nei capostipiti della specie. Anche le nuove specie, se effettivamente ne appariscono, preesistevano allora in certe virtù attive; p. es., gli animali originati dalla putrefazione sono prodotti dalla virtù che le stelle e gli elementi ricevettero da principio, anche se nascessero nuove specie di codesti animali. Vi sono poi certi animali che vengono prodotti come una specie nuova dall’accoppiamento di esseri tra loro specificamente diversi; p. es., il mulo, che è generato da un asino e da una cavalla. Anche questi ebbero una certa preesistenza causale nell’opera dei sei giorni. - Altri esseri ebbero una preesistenza per via della somiglianza; come le anime che vengono create ora. Lo stesso dicasi dell’opera dell’Incarnazione, perché, come dice S. Paolo, il Figlio di Dio "prese la somiglianza dell’uomo". Così ancora la gloria; quella spirituale ebbe [allora] una prefigurazione negli angeli, mentre quella del corpo l’ebbe nel cielo, specialmente nell’empireo. - Perciò si legge nell’Ecclesiaste: "Non c’è nulla di nuovo sotto il sole.... esisteva già nei tempi andati, prima di noi".




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'opera dei sei giorni > L'opera del settimo giorno > Se Dio nel settimo giorno si riposò da ogni sua opera


Prima pars
Quaestio 73
Articulus 2

[31394] Iª q. 73 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Deus septima die non requievit ab omni suo opere. Dicitur enim Ioan. V, pater meus usque modo operatur, et ego operor. Non ergo septima die requievit ab omni opere.

 
Prima parte
Questione 73
Articolo 2

[31394] Iª q. 73 a. 2 arg. 1
SEMBRA che Dio nel settimo giorno non si sia riposato da ogni sua opera. Infatti:
1. Sta scritto: "Il Padre mio opera ancora, ed io pure opero". Dunque non cessò da ogni attività al settimo giorno.

[31395] Iª q. 73 a. 2 arg. 2
Praeterea, requies motui opponitur; vel labori qui interdum causatur ex motu. Sed Deus immobiliter, et absque labore sua opera produxit. Non ergo dicendum est septima die a suo opere requievisse.

 

[31395] Iª q. 73 a. 2 arg. 2
2. Il riposo si contrappone al movimento, o alla fatica, che talvolta è causata dal movimento. Ora Dio produsse le sue opere senza muoversi o affaticarsi. Non si dica dunque che al settimo giorno si sia riposato dal suo operare.

[31396] Iª q. 73 a. 2 arg. 3
Si dicatur quod Deus requievit die septima quia fecit hominem requiescere, contra, requies contraponitur eius operationi. Sed quod dicitur, Deus creavit vel fecit hoc vel illud, non exponitur quod Deus hominem fecit creare aut facere. Ergo nec convenienter exponi potest, ut dicatur Deus requievisse, quia fecit hominem requiescere.

 

[31396] Iª q. 73 a. 2 arg. 3
3. Se uno dicesse che Dio si riposò al settimo giorno, nel senso che fece riposare l’uomo, rispondiamo così: Il riposo si contrappone all’attività; ora quando diciamo che Dio creò, oppure fece tale e tal altra cosa, non intendiamo dire che Dio fece sì che l’uomo creasse od operasse. Perciò non è giusta l’interpretazione, secondo la quale Dio si sarebbe riposato perché fece riposare l’uomo.

[31397] Iª q. 73 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur Gen. II, requievit Deus die septimo ab omni opere quod patrarat.

 

[31397] Iª q. 73 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Dio nel settimo giorno si riposò da tutte le opere che aveva fatte".

[31398] Iª q. 73 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod quies proprie opponitur motui; et per consequens labori, qui ex motu consurgit. Quamvis autem motus proprie acceptus sit corporum, tamen nomen motus etiam ad spiritualia derivatur dupliciter. Uno modo, secundum quod omnis operatio motus dicitur, sic enim et divina bonitas quodammodo movetur et procedit in res, secundum quod se eis communicat, ut Dionysius dicit, II cap. de Div. Nom. Alio modo, desiderium in aliud tendens quidam motus dicitur. Unde et requies dupliciter accipitur, uno modo, pro cessatione ab operibus; alio modo, pro impletione desiderii. Et utroque modo dicitur Deus requievisse die septima. Primo quidem, quia die septima cessavit novas creaturas condere, nihil enim postea fecit, quod non aliquo modo praecesserit in primis operibus, ut dictum est. Alio modo, secundum quod rebus conditis ipse non indigebat, sed seipso fruendo beatus est. Unde post conditionem omnium operum, non dicitur quod in suis operibus requievit, quasi eis ad suam beatitudinem indigens, sed ab eis requievit, utique in seipso, quia ipse sufficit sibi et implet desiderium suum. Et quamvis ab aeterno in seipso requieverit, tamen quod post opera condita in seipso requievit, hoc pertinet ad septimum diem. Et hoc est ab operibus requiescere, ut Augustinus dicit, super Gen. ad Litt.

 

[31398] Iª q. 73 a. 2 co.
RISPONDO: La quiete si oppone propriamente al moto e, per conseguenza, alla fatica che nasce dal moto. Ora, sebbene il moto, preso in senso proprio, appartenga ai corpi, tuttavia si applica al mondo spirituale in due modi. Primo, nel senso che ogni operazione si qualifica come moto; p. es., [diciamo che] la bontà divina si muove, estendendosi verso le cose e comunicandosi ad esse, come si esprime Dionigi. Secondo, si applica il termine moto al desiderio, che tende verso un oggetto. - Analogamente anche la parola riposo si prende per indicare, sia la cessazione dall’operare, sia l’appagamento di un desiderio.
Sotto ambedue gli aspetti noi diciamo che Dio si è riposato il settimo giorno. Prima di tutto, perché in tal giorno cessò dal creare nuovi esseri. Infatti egli non fece dipoi niente, che in qualche modo, come si è spiegato, non preesistesse nelle prime opere. - Secondariamente, perché egli non abbisognava delle cose fatte, essendo beato nel godimento di se stesso.
Perciò, dopo aver compiuto tutte le opere, non si dice che "si riposò in esse", quasi che fossero necessarie alla sua felicità; ma che "si riposò da esse", e in se stesso, perché egli basta a se stesso e appaga totalmente il suo desiderio. Senza dubbio si riposa in se stesso fin dall’eternità; ma il suo riposo dopo il compimento delle opere appartiene al settimo giorno. E questo vuol dire riposarsi dalle opere, come spiega S. Agostino.

[31399] Iª q. 73 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Deus usque modo operatur, conservando et administrando creaturam conditam, non autem novam creaturam condendo.

 

[31399] Iª q. 73 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio opera ancora, conservando e governando le sue creature, non già creandone delle nuove.

[31400] Iª q. 73 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod requies non opponitur labori sive motui, sed productioni novarum rerum, et desiderio in aliud tendenti, ut dictum est.

 

[31400] Iª q. 73 a. 2 ad 2
2. Il riposo non si contrappone qui alla fatica o al movimento, ma alla produzione di nuovi esseri e al desiderio di tendere verso un altro oggetto, come si è spiegato.

[31401] Iª q. 73 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut Deus in solo se requiescit, et se fruendo beatus est; ita et nos per solam Dei fruitionem beati efficimur. Et sic etiam facit nos a suis et nostris operibus in seipso requiescere. Est ergo conveniens expositio, ut dicatur Deus requievisse, quia nos requiescere facit. Sed non est haec sola ponenda, sed alia expositio est principalior et prior.

 

[31401] Iª q. 73 a. 2 ad 3
3. Come Dio riposa solo in se stesso ed è beato nel godimento di sé, così noi diveniamo beati per il solo godimento di lui. In questo senso egli in se medesimo ci fa riposare dalle sue opere e dalle nostre. È dunque buona l’interpretazione, secondo la quale si attribuisce a Dio il riposo perché fa riposare noi, ma non è l’unica; anzi l’altra è più importante e più ovvia.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'opera dei sei giorni > L'opera del settimo giorno > Se la benedizione e la santificazione siano bene appropriate al settimo giorno


Prima pars
Quaestio 73
Articulus 3

[31402] Iª q. 73 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod benedictio et sanctificatio non debeatur diei septimae. Tempus enim aliquod consuevit dici benedictum aut sanctum, propter aliquod bonum quod in illo tempore evenit; aut propter hoc quod aliquod malum vitatur sed Deo nihil accrescit aut deperit, sive operetur, sive ab operando cesset. Non ergo specialis benedictio et sanctificatio debetur diei septimae.

 
Prima parte
Questione 73
Articolo 3

[31402] Iª q. 73 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la benedizione e la santificazione non siano bene appropriate al settimo giorno. Infatti:
1. Si suole chiamare benedetto o santo un tempo, perché in esso o si fa un bene o si evita un male. Ora, sia che Dio operi, sia che cessi dall’operare, né ci guadagna né ci perde qualche cosa. Non era dunque necessaria una speciale benedizione e santificazione per il settimo giorno.

[31403] Iª q. 73 a. 3 arg. 2
Praeterea, benedictio a bonitate dicitur. Sed bonum est diffusivum et communicativum sui, secundum Dionysium. Ergo magis debuerunt benedici dies in quibus creaturas produxit, quam ille dies in quo a producendis creaturis cessavit.

 

[31403] Iª q. 73 a. 3 arg. 2
2. La parola benedizione deriva da bene. Ora il bene è diffusivo e comunicativo di se stesso, al dire di Dionigi. Perciò si dovevano benedire piuttosto i giorni, nei quali [Dio] produsse le creature, che quello nel quale cessò dal produrle.

[31404] Iª q. 73 a. 3 arg. 3
Praeterea, superius in singulis creaturis quaedam benedictio commemorata est, dum in singulis operibus dictum est, vidit Deus quod esset bonum. Non oportuit igitur quod post omnium productionem, dies septima benediceretur.

 

[31404] Iª q. 73 a. 3 arg. 3
3. Si è ricordata sopra una specie di benedizione per le singole creature, quando per ciascuna delle opere si dice: "Dio vide che era cosa buona". Perciò è superflua la benedizione del settimo giorno, dopo la creazione di tutte le cose.

[31405] Iª q. 73 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur Gen. II, benedixit Deus diei septimo, et sanctificavit illum, quia in illo cessaverat ab omni opere suo.

 

[31405] Iª q. 73 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Dio benedisse e santificò il giorno settimo, perché in esso aveva Dio cessato da ogni sua opera".

[31406] Iª q. 73 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, requies Dei in die septima dupliciter accipitur. Primo quidem, quantum ad hoc, quod cessavit a novis operibus condendis, ita tamen quod creaturam conditam conservat et administrat. Alio modo, secundum quod post opera requievit in seipso. Quantum ergo ad primum, competit septimae diei benedictio. Quia, sicut supra dictum est, benedictio ad multiplicationem pertinet, unde dictum est creaturis quas benedixit, crescite et multiplicamini. Multiplicatio autem rerum fit per administrationem creaturae, secundum quam ex similibus similia generantur. Quantum vero ad secundum, competit septimae diei sanctificatio. Maxime enim sanctificatio cuiuslibet attenditur in hoc quod in Deo requiescit, unde et res Deo dedicatae sanctae dicuntur.

 

[31406] Iª q. 73 a. 3 co.
RISPONDO: Come si è già detto, il riposo di Dio nel settimo giorno si prende in due sensi. Primo, per indicare che, pur conservando e governando il creato, Dio cessò allora dal fare opere nuove. Secondo, per significare che si riposò in se stesso, dopo le opere. - Nel primo senso la benedizione compete al settimo giorno, perché questa, come si è visto, ha rapporto con la moltiplicazione [degli esseri]. Per tale ragione fu detto alle creature: "Crescete e moltiplicatevi". Ma la moltiplicazione avviene mediante il governo delle creature, da cui proviene la generazione di un essere dal proprio simile. - La santificazione poi compete al giorno settimo anche nel secondo senso. Infatti la santificazione per qualsiasi cosa consiste massimamente nel trovare riposo in Dio: tanto è vero che si chiamano sante le cose [totalmente] dedicate a Dio.

[31407] Iª q. 73 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod non propter hoc dies septimus sanctificatur, quia Deo possit aliquid accrescere vel decrescere, sed quia creaturis aliquid accrescit per multiplicationem et quietem in Deo.

 

[31407] Iª q. 73 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il giorno settimo è santificato non per il fatto che rimane in Dio la capacità di guadagnare o di perdere qualche cosa; ma perché egli da’ incremento alle creature moltiplicandole e facendole riposare in Dio.

[31408] Iª q. 73 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod in primis sex diebus productae sunt res in suis primis causis. Sed postea ex illis primis causis res multiplicantur et conservantur, quod etiam ad bonitatem divinam pertinet. Cuius etiam perfectio in hoc maxime ostenditur quod in ipsa sola et ipse requiescit, et nos requiescere possumus, ea fruentes.

 

[31408] Iª q. 73 a. 3 ad 2
2. Nei primi sei giorni gli esseri furono prodotti nelle loro cause primordiali. In seguito, da quelle cause primordiali sono derivate la moltiplicazione degli esseri e la loro conservazione: il che rientra nella bontà di Dio. Ma la perfezione di questa bontà risplende specialmente nel fatto che in essa sola Dio medesimo trova riposo, come noi pure possiamo trovarvi riposo, godendo di essa.

[31409] Iª q. 73 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod bonum quod in singulis diebus commemoratur, pertinet ad primam naturae institutionem, benedictio autem diei septimae pertinet ad naturae propagationem.

 

[31409] Iª q. 73 a. 3 ad 3
3. Il bene ricordato nei singoli giorni riguarda la prima effettuazione della natura; mentre la benedizione del settimo giorno si riferisce alla propagazione della natura.

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