I, 70

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'opera dei sei giorni > L'opera del quarto giorno


Prima pars
Quaestio 70
Prooemium

[31322] Iª q. 70 pr.
Consequenter considerandum est de opere ornatus. Et primo, de singulis diebus secundum se; secundo, de omnibus sex diebus in communi. Circa primum ergo, considerandum est primo de opere quartae diei, secundo, de opere quintae; tertio, de opere sextae; quarto, de iis quae pertinent ad septimum diem. Circa primum quaeruntur tria.
Primo, de productione luminarium.
Secundo, de fine productionis eorum.
Tertio, utrum sint animata.

 
Prima parte
Questione 70
Proemio

[31322] Iª q. 70 pr.
Dobbiamo ora considerare l’opera di abbellimento. Parleremo prima dei singoli giorni in particolare, poi di tutti e sei insieme. Primo, studieremo l’opera del quarto giorno; secondo, quella del quinto giorno; terzo, quella del sesto giorno; quarto, tutto quello che riguarda il settimo giorno.
Sul primo argomento esamineremo tre problemi:

1. La produzione degli astri;
2. Lo scopo della loro produzione;
3. Se essi siano animati.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'opera dei sei giorni > L'opera del quarto giorno > Se era conveniente che gli astri fossero prodotti nel quarto giorno


Prima pars
Quaestio 70
Articulus 1

[31323] Iª q. 70 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod luminaria non debuerint produci quarta die. Luminaria enim sunt corpora incorruptibilia naturaliter. Ergo eorum materia non potest esse absque formis eorum. Sed eorum materia producta est in opere creationis, ante omnem diem. Ergo et eorum formae. Non ergo sunt facta quarta die.

 
Prima parte
Questione 70
Articolo 1

[31323] Iª q. 70 a. 1 arg. 1
SEMBRA che non fosse conveniente che gli astri fossero prodotti nel quarto giorno. Infatti:
1. Gli astri sono corpi incorruttibili per natura. Perciò la loro materia non può stare senza la rispettiva forma. Ma questa materia, nell’opera della creazione, fu fatta prima di tutti i giorni. Quindi anche le loro forme furono fatte allora, e non il quarto giorno.

[31324] Iª q. 70 a. 1 arg. 2
Praeterea, luminaria sunt quasi vasa luminis. Sed lux est facta prima die. Ergo luminaria fieri debuerunt prima die, et non quarta.

 

[31324] Iª q. 70 a. 1 arg. 2
2. Questi corpi luminosi sono come lampade che hanno la luce; ma questa fu fatta il primo giorno. Perciò anch’essi si dovevano fare in questo giorno, non nel quarto.

[31325] Iª q. 70 a. 1 arg. 3
Praeterea, sicut plantae fixae sunt in terra, ita luminaria fixa sunt in firmamento, unde Scriptura dicit quod posuit ea in firmamento. Sed productio plantarum simul describitur cum formatione terrae, cui inhaerent. Ergo et productio luminarium simul debuit poni, secunda die, cum productione firmamenti.

 

[31325] Iª q. 70 a. 1 arg. 3
3. Come le piante sono fissate sulla terra, così questi corpi luminosi sono fissati sulla volta del firmamento: tanto che la Scrittura dice che [Dio] "li pose nel firmamento". Ora la produzione delle piante viene descritta insieme con la "formazione" della terra, alla quale sono attaccate. Quindi anche la produzione dei corpi luminosi si doveva porre al secondo giorno, insieme con la creazione del firmamento.

[31326] Iª q. 70 a. 1 arg. 4
Praeterea, sol et luna et alia luminaria sunt causae plantarum. Sed naturali ordine causa praecedit effectum. Ergo luminaria non debuerunt fieri quarta die, sed tertia vel ante.

 

[31326] Iª q. 70 a. 1 arg. 4
4. Il sole, la luna e gli altri corpi luminosi, sono causa delle piante. Ora, nell’ordine della natura, la causa precede l’effetto. Perciò essi si dovevano fare non il giorno quarto, ma il terzo o prima ancora.

[31327] Iª q. 70 a. 1 arg. 5
Praeterea, multae stellae, secundum astrologos, sunt luna maiores. Non ergo tantum sol et luna debuerunt poni duo magna luminaria.

 

[31327] Iª q. 70 a. 1 arg. 5
5. Secondo gli astronomi, molte stelle sono maggiori della luna. Dunque non si doveva menzionare soltanto il sole e la luna, come "i due grandi luminari".

[31328] Iª q. 70 a. 1 s. c.
Sed in contrarium sufficit auctoritas Scripturae.

 

[31328] Iª q. 70 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Basta l’autorità della Scrittura.

[31329] Iª q. 70 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod in recapitulatione divinorum operum, Scriptura sic dicit, igitur perfecti sunt caeli et terra, et omnis ornatus eorum. In quibus verbis triplex opus intelligi potest, scilicet opus creationis, per quod caelum et terra producta leguntur, sed informia. Et opus distinctionis, per quod caelum et terra sunt perfecta, sive per formas substantiales attributas materiae omnino informi, ut Augustinus vult; sive quantum ad convenientem decorem et ordinem, ut alii sancti dicunt. Et his duobus operibus additur ornatus. Et differt ornatus a perfectione. Nam perfectio caeli et terrae ad ea pertinere videtur quae caelo et terrae sunt intrinseca, ornatus vero ad ea quae sunt a caelo et terra distincta. Sicut homo perficitur per proprias partes et formas, ornatur autem per vestimenta, vel aliquid huiusmodi. Distinctio autem aliquorum maxime manifestatur per motum localem, quo ab invicem separantur. Et ideo ad opus ornatus pertinet productio illarum rerum quae habent motum in caelo et in terra. Sicut autem supra dictum est, de tribus fit mentio in creatione, scilicet de caelo et aqua et terra. Et haec tria etiam formantur per opus distinctionis tribus diebus, primo die, caelum; secundo die distinguuntur aquae; tertio die fit distinctio in terra, maris et aridae. Et similiter in opere ornatus, primo die, qui est quartus, producuntur luminaria, quae moventur in caelo, ad ornatum ipsius. Secundo die, qui est quintus, aves et pisces, ad ornatum medii elementi, quia habent motum in aere et aqua, quae pro uno accipiuntur. Tertio die, qui est sextus, producuntur animalia quae habent motum in terra, ad ornatum ipsius. Sed sciendum est quod in productione luminarium non discordat Augustinus ab aliis sanctis. Dicit enim luminaria esse facta in actu, non in virtute tantum, non enim habet firmamentum virtutem productivam luminarium, sicut habet terra virtutem productivam plantarum. Unde Scriptura non dicit, producat firmamentum luminaria; sicut dicit, germinet terra herbam virentem.

 

[31329] Iª q. 70 a. 1 co.
RISPONDO: Nel ricapitolare le opere di Dio, la Scrittura dice: "Così furono compiuti i cieli, la terra e ogni loro ornamento". In questa frase possiamo vederci una triplice opera: l’opera della creazione, per la quale leggiamo che furono prodotti il cielo e la terra, ma allo stato informe; l’opera della distinzione, con la quale furono ultimati il cielo e la terra, sia mediante le forme sostanziali impresse nella materia totalmente informe, come vuole S. Agostino, sia mediante un appropriato ordinamento o perfezionamento, come pensano altri Santi [Dottori]. A queste due opere si aggiunge quella dell’abbellimento. E questo differisce dalla perfezione. Infatti la perfezione del cielo e della terra è un elemento a essi intrinseco, mentre l’abbellimento è qualche cosa di estrinseco. L’uomo, p. es., è perfezionato dalle sue parti e forme, mentre è adornato dalle vesti e simili [esteriorità]. Ora, la distinzione tra gli esseri risulta sopra tutto dal moto locale, che li contraddistingue. Perciò la produzione di quelle entità, che hanno un movimento in cielo e in terra, rientra nell’opera di abbellimento.
Ma, come abbiamo detto sopra, nella creazione si fa menzione di tre cose: del cielo, dell’acqua e della terra. Queste stesse tre cose sono "formate" mediante l’opera della distinzione in tre giorni: nel primo, il cielo; nel secondo, sono divise le acque; nel terzo, il mare viene separato dalla terra ferma. Parimente nel primo giorno dell’opera di abbellimento, che è il quarto, sono prodotti per ornamento del cielo i corpi luminosi, che in esso si muovono. Nel secondo giorno, che è il quinto, si hanno gli uccelli e i pesci che ornano l’elemento intermedio, poiché essi si muovono nell’aria e nell’acqua, considerato come un tutto unico. Nel terzo giorno, che è il sesto, vengono prodotti gli animali terrestri per ornamento della terra.
È da notare che intorno alla produzione degli astri S. Agostino non diverge dagli altri Santi, perché dice che furono fatti non solo virtualmente, ma nella loro attualità. Infatti il firmamento non ha la virtù di produrre questi corpi, come la terra ha quella di produrre i vegetali. Per questo la Scrittura non dice "il firmamento produca gli astri"; mentre dice: "la terra produca l’erba verdeggiante".

[31330] Iª q. 70 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, secundum Augustinum, nulla difficultas ex hoc oritur. Non enim ponit successionem temporis in istis operibus, et ideo non oportet dicere quod materia luminarium fuerit sub alia forma. Secundum etiam eos qui ponunt caelestia corpora ex natura quatuor elementorum, nulla difficultas accidit, quia potest dici quod sunt formata ex praeiacenti materia, sicut animalia et plantae. Sed secundum eos qui ponunt corpora caelestia esse alterius naturae ab elementis et incorruptibilia per naturam, oportet dicere quod substantia luminarium a principio fuit creata; sed prius erat informis, et nunc formatur; non quidem forma substantiali, sed per collationem determinatae virtutis. Ideo tamen non fit mentio a principio de eis, sed solum quarta die, ut Chrysostomus dicit, ut per hoc removeat populum ab idololatria, ostendens luminaria non esse deos, ex quo nec a principio fuerunt.

 

[31330] Iª q. 70 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L’inconveniente in parola non esiste, stando all’opinione di S. Agostino. Egli infatti non ammette una successione cronologica tra queste opere; perciò non vi è ragione di concludere che la materia degli astri si sia trovata [prima] sotto un’altra forma. - Parimente non esiste difficoltà per chi ammette nei corpi celesti la natura dei quattro elementi, potendosi affermare che sono stati formati dalla materia già esistente, come gli animali e le piante. - Stando invece all’opinione di chi ritiene che i corpi celesti siano di natura diversa dai quattro elementi e dotati d’incorruttibilità naturale, bisognerà dire che la sostanza degli astri fu creata fin da principio. Essa allora era informe, e nel quarto giorno fu "formata", non col ricevere la forma sostanziale, ma assumendo una virtù particolare. Perciò non si fa menzione di essi nel principio, ma solo al quarto giorno, come osserva il Crisostomo, allo scopo di allontanare il popolo dall’idolatria, mostrando che i corpi luminosi non sono divinità, appunto perché non esistevano da principio.

[31331] Iª q. 70 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod, secundum Augustinum, nulla sequitur difficultas, quia lux de qua prima die facta est mentio, fuit lux spiritualis; nunc autem fit lux corporalis. Si autem lux primo die facta intelligitur lux corporalis, oportet dicere quod lux primo die fuit producta secundum communem lucis naturam, quarto autem die attributa est luminaribus determinata virtus ad determinatos effectus; secundum quod videmus alios effectus habere radium solis, et alios radium lunae, et sic de aliis. Et propter hanc determinationem virtutis, dicit Dionysius, IV cap. de Div. Nom., quod lumen solis, quod primo erat informe, quarto die formatum est.

 

[31331] Iª q. 70 a. 1 ad 2
2. Sempre nell’ interpretazione di S. Agostino, la difficoltà non ha luogo, perché la luce menzionata il primo giorno sarebbe stata una luce spirituale, mentre qui viene creata la luce materiale. - Se però si vuol sostenere che si trattava [anche allora] di luce materiale, bisognerà ammettere che essa fu creata il primo giorno nella sua comune natura di luce; nel quarto giorno invece fu data agli astri una virtù particolare per determinati effetti. Infatti riscontriamo che gli effetti prodotti dai raggi del sole, della luna e degli astri, sono diversi. In considerazione del conferimento di questo potere, Dionigi afferma che la luce del sole era dapprima informe, e che fu formata il quarto giorno.

[31332] Iª q. 70 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod, secundum Ptolomaeum, luminaria non sunt fixa in sphaeris, sed habent motum seorsum a motu sphaerarum. Unde Chrysostomus dicit quod non ideo dicitur quod posuit ea in firmamento, quia ibi sint fixa; sed quia iusserit ut ibi essent; sicut posuit hominem in Paradiso, ut ibi esset. Sed secundum opinionem Aristotelis, stellae fixae sunt in orbibus, et non moventur nisi motu orbium, secundum rei veritatem. Tamen motus luminarium sensu percipitur, non autem motus sphaerarum. Moyses autem, rudi populo condescendens, secutus est quae sensibiliter apparent, ut dictum est. Si autem sit aliud firmamentum quod factum est secunda die, ab eo in quo posita sunt sidera, secundum distinctionem naturae, licet sensus non discernat, quem Moyses sequitur, ut dictum est; cessat obiectio. Nam firmamentum factum est secunda die, quantum ad inferiorem partem. In firmamento autem posita sunt sidera quarta die, quantum ad superiorem partem; ut totum pro uno accipiatur, secundum quod sensui apparet.

 

[31332] Iª q. 70 a. 1 ad 3
3. Secondo Tolomeo, i corpi luminosi non sono fissati sulle sfere, ma hanno un moto distinto da esse. Perciò il Crisostomo osserva che non sta scritto che Dio li pose nel firmamento, come per restarvi fissi, ma comandò che ivi esistessero; come pure pose l’uomo nel paradiso, perché avesse qui la sua esistenza. - Aristotele invece ritiene che le stelle siano fissate sulle sfere rotanti e che realmente non si muovano se non col moto di queste. Tuttavia con i sensi si percepisce il movimento dei corpi luminosi e non il movimento delle sfere celesti. Ma volendo Mosè adattarsi alla rozzezza del suo popolo, si attenne alle apparenze sensibili, come si è già detto.
L’obiezione poi scompare se riteniamo che il firmamento, fatto nel secondo giorno, sia realmente diverso da quello nel quale furono collocate le stelle, sebbene i sensi ai quali si attiene Mosè, non arrivino a discernerlo. Allora il firmamento sarebbe stato fatto nel secondo giorno quanto alla parte inferiore, mentre nel quarto sarebbero state poste le stelle nella sua parte superiore; considerando il tutto come una cosa sola, secondo le apparenze sensibili.

[31333] Iª q. 70 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod, sicut dicit Basilius, praemittitur productio plantarum luminaribus, ad excludendam idololatriam. Qui enim credunt luminaria esse deos, dicunt quod primordialem originem habent plantae a luminaribus. Quamvis, ut Chrysostomus dicit, sicut agricola cooperatur ad productionem plantarum, ita etiam et luminaria per suos motus.

 

[31333] Iª q. 70 a. 1 ad 4
4. Come dice S. Basilio, la produzione delle piante è premessa a quella degli astri, per eliminare l’idolatria. Infatti coloro che li credono divinità, dicono che le piante hanno da essi la loro prima origine. A detta del Crisostomo però i corpi luminosi, con i loro movimenti, cooperano alla produzione delle piante, come fa anche l’agricoltore.

[31334] Iª q. 70 a. 1 ad 5
Ad quintum dicendum quod, sicut Chrysostomus dicit, dicuntur duo luminaria magna non tam quantitate, quam efficacia et virtute. Quia etsi aliae stellae sint maiores quantitate quam luna, tamen effectus lunae magis sentitur in istis inferioribus. Et etiam secundum sensum maior apparet.

 

[31334] Iª q. 70 a. 1 ad 5
5. Secondo il Crisostomo si parla di "due luminali grandi", non per riguardo alla loro mole, ma alla loro efficacia e potenza. È vero che altre stelle sono materialmente più grandi della luna; però gli effetti della luna sono maggiormente sentiti in questa sfera inferiore. Inoltre essa apparisce più grande ai sensi.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'opera dei sei giorni > L'opera del quarto giorno > Se sia bene indicata la causa della produzione degli astri


Prima pars
Quaestio 70
Articulus 2

[31335] Iª q. 70 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod inconvenienter causa productionis luminarium describatur. Dicitur enim Ierem. X, a signis caeli nolite metuere, quae gentes timent. Non ergo luminaria in signa facta sunt.

 
Prima parte
Questione 70
Articolo 2

[31335] Iª q. 70 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la causa della produzione degli astri non sia bene indicata. Infatti:
1. Sta scritto in Geremia: "Non vi spaventate per i segni del cielo, temuti dalle nazioni". Perciò gli astri non "fanno da segni".

[31336] Iª q. 70 a. 2 arg. 2
Praeterea, signum contra causam dividitur. Sed luminaria sunt causa eorum quae hic aguntur. Ergo non sunt signa.

 

[31336] Iª q. 70 a. 2 arg. 2
2. Il segno si distingue dalla causa. Ora gli astri sono causa di quanto avviene quaggiù. Dunque non ne sono i segni.

[31337] Iª q. 70 a. 2 arg. 3
Praeterea, distinctio temporum et dierum incoepit a primo die. Non ergo facta sunt luminaria in tempora et dies et annos, idest in horum distinctionem.

 

[31337] Iª q. 70 a. 2 arg. 3
3. La distinzione dei tempi e dei giorni incominciò dal primo giorno. Perciò gli astri non furono fatti per dividere "i tempi, i giorni e gli anni".

[31338] Iª q. 70 a. 2 arg. 4
Praeterea, nihil fit propter vilius se, quia finis est melior iis quae sunt ad finem. Sed luminaria sunt meliora quam terra. Non ergo facta sunt ut illuminent terram.

 

[31338] Iª q. 70 a. 2 arg. 4
4. Nessuna cosa è fatta per un’altra meno pregevole, poiché "il fine è superiore a tutto quello che dice ordine a esso". Ora i corpi luminosi sono superiori alla terra. Perciò non furono fatti "allo scopo di illuminare la terra".

[31339] Iª q. 70 a. 2 arg. 5
Praeterea, luna non praeest nocti quando est prima. Probabile autem est quod luna facta fuerit prima, sic enim homines incipiunt computare. Ergo luna non est facta ut praesit nocti.

 

[31339] Iª q. 70 a. 2 arg. 5
5. Al tempo del novilunio, la luna non presiede alla notte. Ora è probabile che sia stata fatta in questa fase, perché di qui comincia il computo degli uomini. Dunque la luna non fu fatta "perché presiedesse alla notte".

[31340] Iª q. 70 a. 2 s. c.
In contrarium sufficit auctoritas Scripturae.

 

[31340] Iª q. 70 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Basta l’autorità della Scrittura.

[31341] Iª q. 70 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est supra, creatura aliqua corporalis potest dici esse facta vel propter actum proprium, vel propter aliam creaturam, vel propter totum universum, vel propter gloriam Dei. Sed Moyses, ut populum ab idololatria revocaret, illam solam causam tetigit, secundum quod sunt facta ad utilitatem hominum. Unde dicitur Deut. IV, ne forte, elevatis oculis ad caelum, videas solem et lunam et omnia astra caeli, et errore deceptus adores ea et colas, quae creavit dominus Deus in ministerium cunctis gentibus. Hoc autem ministerium explicat in principio Genesis per tria. Primo enim provenit utilitas hominibus ex luminaribus quantum ad visum, qui est directivus in operibus, et maxime utilis ad cognoscendas res. Et quantum ad hoc, dicit, ut luceant in firmamento, et illuminent terram. Secundo, quantum ad vicissitudines temporum, quibus et fastidium tollitur et valetudo conservatur, et necessaria victui oriuntur quae non essent, si semper esset aut aestas aut hiems. Et quantum ad hoc, dicit, ut sint in tempora et dies et annos. Tertio, quantum ad opportunitatem negotiorum et operum, inquantum ex luminaribus caeli accipitur significatio pluviosi temporis vel sereni quae sunt apta diversis negotiis. Et quantum ad hoc dicit, ut sint in signa.

 

[31341] Iª q. 70 a. 2 co.
RISPONDO: Come abbiamo già spiegato, si può dire che una creatura materiale è creata e per la propria attività, e per un’altra creatura, e per tutto l’universo, e per la gloria di Dio. Mosè però, volendo distogliere il popolo dall’idolatria, accennò al solo motivo che il creato fu fatto per l’utilità degli uomini. Leggiamo infatti:
"Levando gli occhi al cielo e vedendo il sole e la luna e tutti gli astri non ti lasciar sedurre, non li adorare, non prestar culto a cose che il Signore Dio tuo ha create in servigio di tutte le genti". Al principio della Genesi egli spiega questo servigio sotto tre aspetti. Primo, viene un utile agli uomini dagli astri luminosi, perché questi permettano la visione, la quale ha una funzione direttiva nell’operare, ed è massimamente utile per conoscere le cose. Perciò sta scritto: "risplendano nel firmamento celeste, e illuminino la terra". - Secondo, si ha il beneficio dell’alternarsi delle stagioni, che elimina la monotonia, conserva la salute e da’ origine alle sostanze necessarie all’alimentazione; cosa che non accadrebbe, se fosse sempre estate o sempre inverno. Perciò sta scritto: "Contrassegnino le stagioni e i giorni e gli anni". - Terzo, si ha il beneficio di potersi regolare negli affari e nelle opere, poiché da questi astri del cielo si ricavano i segni del tempo piovoso o sereno. Per tale motivo sta scritto: "...affinché siano segni".

[31342] Iª q. 70 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod luminaria sunt in signa corporalium transmutationum, non autem eorum quae dependent ex libero arbitrio.

 

[31342] Iª q. 70 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Questi astri sono segni dei mutamenti fisici, non di quelli che dipendono dal libero arbitrio.

[31343] Iª q. 70 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod per causam sensibilem quandoque ducimur in cognitionem effectus occulti, sicut et e converso. Unde nihil prohibet causam sensibilem esse signum. Ideo tamen potius dicit signa quam causas, ut occasionem idololatriae tolleret.

 

[31343] Iª q. 70 a. 2 ad 2
2. Qualche volta è la causa sensibile, che ci conduce alla conoscenza di un effetto occulto; altre volte è il contrario. Quindi niente impedisce che la causa sensibile faccia da segno. E si parla di segni invece che di cause, proprio per togliere il pericolo dell’idolatria.

[31344] Iª q. 70 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod in prima die facta est communis distinctio temporis per diem et noctem, secundum motum diurnum, qui est communis totius caeli; qui potest intelligi incoepisse primo die. Sed speciales distinctiones dierum et temporum, secundum quod dies est calidior die, et tempus tempore, et annus anno, fiunt secundum speciales motus stellarum; qui possunt intelligi quarto die incoepisse.

 

[31344] Iª q. 70 a. 2 ad 3
3. Nel primo giorno fu fatta la distinzione più comune del tempo in giorno e notte, in dipendenza dal moto diurno, al quale partecipa tutto il cielo, e che possiamo ammettere sia incominciato il primo giorno. Ma le divisioni speciali dei giorni e delle stagioni, secondo che un giorno è, p. es., più caldo dell’altro, una stagione più di un’altra, un anno più di un altro anno, avvengono per i movimenti particolari delle stelle, che possiamo ritenere siano incominciati il quarto giorno.

[31345] Iª q. 70 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod in illuminatione terrae intelligitur utilitas hominis, qui secundum animam praefertur corporibus luminarium. Nihil tamen prohibet dici quod dignior creatura facta est propter inferiorem, non secundum quod in se consideratur sed secundum quod ordinatur ad integritatem universi.

 

[31345] Iª q. 70 a. 2 ad 4
4. Con la illuminazione della terra si ha di mira l’utilità dell’uomo, il quale per la sua anima è superiore ai corpi degli astri. - Del resto niente impedisce di affermare che una creatura superiore sia stata fatta per una inferiore, se consideriamo quest’ultima non nella sua natura, ma in quanto è ordinata alla perfezione dell’universo.

[31346] Iª q. 70 a. 2 ad 5
Ad quintum dicendum quod luna, quando est perfecta, oritur vespere et occidit mane, et sic praeest nocti. Et satis probabile est quod luna fuerit facta plena; sicut et herbae factae sunt in sua perfectione, facientes semen, et similiter animalia et homo. Licet enim naturali processu ab imperfecto ad perfectum deveniatur, simpliciter tamen perfectum prius est imperfecto. Augustinus tamen hoc non asserit, quia dicit non esse inconveniens quod Deus imperfecta fecerit, quae postmodum ipse perfecit.

 

[31346] Iª q. 70 a. 2 ad 5
5. Quando la luna è piena, nasce la sera e tramonta la mattina; così presiede alla notte. Ed è abbastanza probabile che essa sia stata creata nel plenilunio, come furono create allo stato perfetto le stesse erbe, "capaci di fare il seme"; così pure gli animali e l’uomo. Sebbene infatti nel corso della natura si proceda dall’imperfetto al perfetto, tuttavia, se parliamo in senso assoluto, il perfetto è prima dell’imperfetto. - Non è però d’accordo S. Agostino, il quale dice che si può benissimo ammettere che Dio abbia fatto prima le cose imperfette e le abbia perfezionate in seguito.




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Prima pars
Quaestio 70
Articulus 3

[31347] Iª q. 70 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod luminaria caeli sint animata. Superius enim corpus nobilioribus ornamentis ornari debet. Sed ea quae pertinent ad ornatum inferiorum corporum, sunt animata; scilicet pisces, aves et terrestria animalia. Ergo et luminaria, quae pertinent ad ornatum caeli.

 
Prima parte
Questione 70
Articolo 3

[31347] Iª q. 70 a. 3 arg. 1
SEMBRA che gli astri del cielo siano animati. Infatti:
1. Se un corpo ha una natura più nobile, deve essere dotato di ornamenti più nobili. Ora gli esseri, che adornano i corpi inferiori [quali l’acqua e l’aria], vale a dire i pesci, gli uccelli e gli animali terrestri, sono animati. A maggior ragione lo saranno gli astri luminosi, che abbelliscono il cielo.

[31348] Iª q. 70 a. 3 arg. 2
Praeterea, nobilioris corporis nobilior est forma. Sed sol et luna et alia luminaria sunt nobiliora quam corpora plantarum et animalium. Ergo habent nobiliorem formam. Nobilissima autem forma est anima, quae est principium vitae, quia, ut Augustinus dicit in libro de vera Relig., quaelibet substantia vivens naturae ordine praefertur substantiae non viventi. Ergo luminaria caeli sunt animata.

 

[31348] Iª q. 70 a. 3 arg. 2
2. Un corpo più nobile possiede una forma più nobile. Ora, il sole, la luna e i rimanenti astri, sono più nobili dei corpi appartenenti alle piante e agli animali. Perciò avranno una forma più nobile. Ma la più nobile, tra tutte le forme, è l’anima, che è principio di vita, poiché, come dice S. Agostino "in ordine di natura, qualsiasi sostanza vivente viene preferita alla sostanza non vivente". Dunque gli astri sono animati.

[31349] Iª q. 70 a. 3 arg. 3
Praeterea, causa nobilior est effectu. Sed sol et luna et alia luminaria sunt causa vitae, ut patet maxime in animalibus ex putrefactione generatis, quae virtute solis et stellarum vitam consequuntur. Ergo multo magis corpora caelestia vivunt et sunt animata.

 

[31349] Iª q. 70 a. 3 arg. 3
3. La causa è più nobile dell’effetto. Ora, il sole, la luna e gli altri astri, sono causa della vita, come vediamo specialmente negli animali nati dalla putrefazione, che giungono alla vita, per virtù del sole e delle stelle. Dunque a maggior ragione vivono e sono animati i corpi celesti.

[31350] Iª q. 70 a. 3 arg. 4
Praeterea, motus caeli et caelestium corporum sunt naturales, ut patet in I de caelo. Motus autem naturalis est a principio intrinseco. Cum igitur principium motus caelestium corporum sit aliqua substantia apprehensiva, quae movetur sicut desiderans a desiderato, ut dicitur in XII Metaphys.; videtur quod principium apprehendens sit principium intrinsecum corporibus caelestibus. Ergo sunt animata.

 

[31350] Iª q. 70 a. 3 arg. 4
4. I movimenti del ciclo e degli astri sono naturali. Ora il moto naturale, come dice il Filosofo, scaturisce da un principio interno.
Inoltre il principio motore dei corpi celesti è una sostanza intellettuale, che è mossa alla maniera con la quale il soggetto desiderante è mosso dell’oggetto desiderato, secondo la dottrina di Aristotele.
Sembra quindi che quel principio conoscitivo sia intrinseco ai corpi celesti. Essi dunque saranno animati.

[31351] Iª q. 70 a. 3 arg. 5
Praeterea, primum mobile est caelum. In genere autem mobilium, primum est movens seipsum, ut probatur in VIII Physic., quia quod est per se, prius est eo quod est per aliud. Sola autem animata movent seipsa, ut in eodem libro ostenditur. Ergo corpora caelestia sunt animata.

 

[31351] Iª q. 70 a. 3 arg. 5
5. Il cielo è il primo fra tutti gli esseri che si muovono. Ma il primo di questa categoria di esseri è motore di se stesso, come prova Aristotele nella Fisica. Infatti "chi deriva una perfezione dalla sua natura deve antecedere chi la deriva da altri". Ora i soli esseri animati muovono se stessi, come si mostra nel libro citato.
Perciò gli astri sono animati.

[31352] Iª q. 70 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Damascenus dicit in libro II, nullus animatos caelos vel luminaria aestimet; inanimati enim sunt et insensibiles.

 

[31352] Iª q. 70 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO stanno le parole del Damasceno: "Nessuno creda che i cieli o gli astri siano animati; essi sono inanimati e privi di sensibilità".

[31353] Iª q. 70 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod circa istam quaestionem apud philosophos fuit diversa opinio. Anaxagoras enim, ut Augustinus refert Lib. XVIII de Civ. Dei, factus est reus apud Athenienses, quia dixit solem esse lapidem ardentem, negans utique ipsum esse Deum, vel aliquid animatum. Platonici vero posuerunt corpora caelestia animata. Similiter etiam apud doctores fidei, fuit circa hoc diversa opinio. Origenes enim posuit corpora caelestia animata. Hieronymus etiam idem sentire videtur, exponens illud Eccle. I, lustrans universa, per circuitum pergit spiritus. Basilius vero et Damascenus asserunt corpora caelestia non esse animata. Augustinus vero sub dubio dereliquit, in neutram partem declinans, ut patet in II supra Gen. ad Litt.; et in Enchirid., ubi etiam dicit quod, si sunt animata caelestia corpora, pertinent ad societatem Angelorum eorum animae. In hac autem opinionum diversitate, ut veritas aliquatenus innotescat, considerandum est quod unio animae et corporis non est propter corpus, sed propter animam, non enim forma est propter materiam, sed e converso. Natura autem et virtus animae deprehenditur ex eius operatione, quae etiam quodammodo est finis eius. Invenitur autem corpus necessarium ad aliquam operationem animae, quae mediante corpore exercetur; sicut patet in operibus animae sensitivae et nutritivae. Unde necesse est tales animas unitas esse corporibus propter suas operationes. Est autem aliqua operatio animae, quae non exercetur corpore mediante, sed tamen ex corpore aliquod adminiculum tali operationi exhibetur; sicut per corpus exhibentur animae humanae phantasmata, quibus indiget ad intelligendum. Unde etiam talem animam necesse est corpori uniri propter suam operationem, licet contingat ipsam separari. Manifestum est autem quod anima caelestis corporis non potest habere operationes nutritivae animae, quae sunt nutrire, augere et generare, huiusmodi enim operationes non competunt corpori incorruptibili per naturam. Similiter etiam nec operationes animae sensitivae corpori caelesti conveniunt, quia omnes sensus fundantur super tactum, qui est apprehensivus qualitatum elementarium. Omnia etiam organa potentiarum sensitivarum requirunt determinatam proportionem secundum commixtionem aliquam elementorum, a quorum natura corpora caelestia ponuntur remota. Relinquitur ergo quod de operationibus animae nulla potest competere animae caelesti nisi duae, intelligere et movere, nam appetere consequitur sensum et intellectum, et cum utroque ordinatur. Intellectualis autem operatio, cum non exerceatur per corpus, non indiget corpore nisi inquantum ei per sensus ministrantur phantasmata. Operationes autem sensitivae animae corporibus caelestibus non conveniunt, ut dictum est. Sic igitur propter operationem intellectualem, anima caelesti corpori non uniretur. Relinquitur ergo quod propter solam motionem. Ad hoc autem quod moveat, non oportet quod uniatur ei ut forma; sed per contactum virtutis, sicut motor unitur mobili. Unde Aristoteles, libro VIII Physic., postquam ostendit quod primum movens seipsum componitur ex duabus partibus, quarum una est movens et alia mota; assignans quomodo hae duae partes uniantur, dicit quod per contactum vel duorum ad invicem, si utrumque sit corpus, vel unius ad alterum et non e converso, si unum sit corpus et aliud non corpus. Platonici etiam animas corporibus uniri non ponebant nisi per contactum virtutis, sicut motor mobili. Et sic per hoc quod Plato ponit corpora caelestia animata, nihil aliud datur intelligi, quam quod substantiae spirituales uniuntur corporibus caelestibus ut motores mobilibus. Quod autem corpora caelestia moveantur ab aliqua substantia apprehendente, et non solum a natura, sicut gravia et levia, patet ex hoc, quod natura non movet nisi ad unum, quo habito quiescit, quod in motu corporum caelestium non apparet. Unde relinquitur quod moventur ab aliqua substantia apprehendente Augustinus etiam dicit, III de Trin., corpora omnia administrari a Deo per spiritum vitae. Sic igitur patet quod corpora caelestia non sunt animata eo modo quo plantae et animalia, sed aequivoce. Unde inter ponentes ea esse animata, et ponentes ea inanimata, parva vel nulla differentia invenitur in re, sed in voce tantum.

 

[31353] Iª q. 70 a. 3 co.
RISPONDO: Sulla presente questione vi furono varie opinioni tra i filosofi. Anassagora, come riporta S. Agostino, "fu dichiarato reo presso gli Ateniesi, perché disse che il sole è una pietra ardente, negando così che fosse una divinità", o comunque un essere animato. I Platonici invece ritenevano che i corpi celesti fossero animati. - Analogamente ci fu disparità di pareri anche tra i Dottori della fede. Infatti Origene li volle animati. E anche S. Girolamo sembra dello stesso parere, nell’esporre questo passo: "Va intorno il vento [spiritus], girando per ogni dove". Invece S. Basilio e il Damasceno negano l’animazione dei corpi celesti. S. Agostino resta dubbioso tra le due parti, come vediamo nel libro Supra Gen. ad litt. e nell’Enchiridion, in cui dichiara che se gli astri sono animati, le loro anime appartengono alla società degli angeli.
Per trovare un poco di luce in tanta disparità di opinioni, bisogna considerare che l’unione dell’anima col corpo non è fatta a vantaggio del corpo, ma dell’anima: infatti la forma non è per la materia, ma viceversa. La natura poi e le potenze dell’anima si manifestano nelle operazioni, le quali sotto un certo aspetto sono il fine di essa. Riscontriamo ancora che il corpo è necessario per certe operazioni dell’anima, che si compiono mediante il corpo, come è evidente per le operazioni dell’anima sensitiva e vegetativa.
È quindi necessario che tali anime siano unite ai corpi, per esercitare le loro attività. Esiste tuttavia un’attività dell’anima, che non si esercita mediante il corpo, sebbene il corpo le presti un appoggio; come quando esso presenta all’anima le immagini della fantasia, delle quali l’anima abbisogna per intendere. Quindi anche per questa anima sarà necessario di unirsi al corpo, per poter compiere la sua operazione, sebbene possa anche star separata da esso.
Ora, è chiaro che l’anima del corpo celeste non può esercitare le funzioni dell’anima vegetativa, quali il nutrirsi, il crescere e il generare, che non competono a corpi incorruttibili per natura. Lo stesso dicasi delle funzioni dell’anima sensitiva; poiché tutti i sensi sono fondati sul tatto, che si limita a percepire le qualità dei quattro elementi. Inoltre tutti gli organi delle potenze sensitive esigono una combinazione ben proporzionata dei quattro elementi, la natura dei quali è estranea ai corpi celesti.
Rimane dunque che all’anima celeste non si può attribuire altra attività all’infuori dell’intellezione e del moto: l’appetizione infatti scaturisce dal sentire e dall’intendere, e rientra nel loro ambito. Ora l’operazione intellettuale non si esercita mediante il corpo: questo è necessario soltanto perché i sensi somministrino all’anima i fantasmi. Abbiamo già visto però che le operazioni dell’anima sensitiva non competono ai corpi celesti. Dunque l’anima non si unirebbe con essi, per compiere un’operazione conoscitiva.
Dobbiamo perciò, in ultima analisi, porre il moto come solo motivo dell’unione. Ora, perché [l’anima] muova non c’è bisogno che gli si unisca come forma; basta il contatto virtuale, come quello che unisce il soggetto movente all’oggetto mosso. Perciò Aristotele, dopo aver mostrato che il primo movente, il quale muove se stesso, è composto di due parti, l’una motrice e l’altra mossa, volendo poi determinare in che modo esse si congiungano, dice che questo avviene per contatto reciproco se sono corpi, oppure per il contatto di uno solo con l’altro, ma non viceversa, se uno è corpo e l’altro non lo è. - Anche i Platonici ritenevano che le anime si uniscono ai corpi solo per contatto virtuale, come un motore all’oggetto mobile. Or dunque la supposizione platonica che i corpi celesti siano animati porta solo ad ammettere che le sostanze spirituali sono unite ai corpi celesti, come esseri moventi a oggetti mossi.
Che poi essi siano mossi da una sostanza, dotata di conoscenza, e non soltanto dalle forze fisiche, come i corpi gravi e leggeri, risulta dal fatto che la natura non muove che a un determinato termine, raggiunto il quale, si ferma: cosa che non si riscontra invece nel movimento degli astri. Dobbiamo quindi concludere che essi sono mossi da una sostanza, che è dotata di intelligenza. - Anche S. Agostino afferma che "tutti i corpi sono governati da Dio mediante lo spirito di vita".
È perciò evidente che gli astri non sono animati allo stesso modo delle piante e degli animali, ma in senso metaforico. Quindi nella polemica tra chi li vuole e chi non li vuole animati, non v’è in realtà che una differenza piccola o nulla; si tratta solo di parole.

[31354] Iª q. 70 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ad ornatum pertinent aliqua secundum proprium motum. Et quantum ad hoc, luminaria caeli conveniunt cum aliis quae ad ornatum pertinent, quia moventur a substantia vivente.

 

[31354] Iª q. 70 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Vi sono delle creature, che concorrono alla bellezza [del mondo] col loro movimento. Sotto questo aspetto gli astri del cielo concordano con le altre creature che rientrano nell’opera di abbellimento, essendo mossi da esseri viventi.

[31355] Iª q. 70 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod nihil prohibet aliquid esse nobilius simpliciter, quod tamen non est nobilius quantum ad aliquid. Forma ergo caelestis corporis, etsi non sit simpliciter nobilior anima animalis, est tamen nobilior quantum ad rationem formae, perficit enim totaliter suam materiam, ut non sit in potentia ad aliam formam; quod anima non facit. Quantum etiam ad motum, moventur corpora caelestia a nobilioribus motoribus.

 

[31355] Iª q. 70 a. 3 ad 2
2. Niente vieta che un essere sia essenzialmente più nobile [di un altro], senza esserlo sotto un aspetto particolare. Perciò anche la forma del corpo celeste, sebbene non sia essenzialmente più nobile dell’anima dell’animale, lo è tuttavia, se si considera come forma, poiché attua totalmente la sua materia, cosicché questa non ha più la potenza a ricevere un’altra forma; mentre l’anima non arriva a tanto. - Anche considerando il movimento, abbiamo che gli astri sono mossi da motori più nobili.

[31356] Iª q. 70 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod corpus caeleste, cum sit movens motum, habet rationem instrumenti, quod agit in virtute principalis agentis. Et ideo ex virtute sui motoris, qui est substantia vivens, potest causare vitam.

 

[31356] Iª q. 70 a. 3 ad 3
3. Siccome il corpo celeste è insieme movente e mosso, riveste la funzione di strumento, il quale agisce in virtù dell’agente principale. Perciò può causare la vita in virtù del suo motore, che è una sostanza vivente.

[31357] Iª q. 70 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod motus corporis caelestis est naturalis, non propter principium activum, sed propter principium passivum, quia scilicet habet in sua natura aptitudinem ut tali motu ab intellectu moveatur.

 

[31357] Iª q. 70 a. 3 ad 4
4. Il moto dei corpi celesti è naturale, non per ragione del principio attivo [che è uno spirito], ma di quello passivo, in quanto che possiedono nella loro natura l’attitudine a ricevere un siffatto movimento da una sostanza intellettuale.

[31358] Iª q. 70 a. 3 ad 5
Ad quintum dicendum quod caelum dicitur movere seipsum, inquantum componitur ex motore et mobili, non sicut ex forma et materia, sed secundum contactum virtutis, ut dictum est. Et hoc etiam modo potest dici quod eius motor est principium intrinsecum, ut sic etiam motus caeli possit dici naturalis ex parte principii activi; sicut motus voluntarius dicitur esse naturalis animali inquantum est animal, ut dicitur in VIII Physic.

 

[31358] Iª q. 70 a. 3 ad 5
5. Si dice che il cielo muove se stesso, per il fatto che è composto di un motore e di un soggetto mobile, non come se si trattasse di materia e di forma, ma per un contatto virtuale, come s’è visto. In questo senso si può pure affermare che il suo motore è un principio intrinseco e che il suo movimento è naturale, avuto appunto riguardo al principio attivo; come analogamente si dice che il moto volontario è naturale all’animale in quanto animale, come scrive Aristotele.

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