I, 7

Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'infinità di Dio


Prima pars
Quaestio 7
Prooemium

[28493] Iª q. 7 pr.
Post considerationem divinae perfectionis, considerandum est de eius infinitate, et de existentia eius in rebus, attribuitur enim Deo quod sit ubique et in omnibus rebus, inquantum est incircumscriptibilis et infinitus. Circa primum quaeruntur quatuor.
Primo, utrum Deus sit infinitus.
Secundo, utrum aliquid praeter ipsum sit infinitum secundum essentiam.
Tertio, utrum aliquid possit esse infinitum secundum magnitudinem.
Quarto, utrum possit esse infinitum in rebus secundum multitudinem.

 
Prima parte
Questione 7
Proemio

[28493] Iª q. 7 pr.
Dopo aver esaminato la perfezione di Dio, dobbiamo considerare la sua infinità e la sua presenza nelle cose, giacché si attribuisce a Dio di essere dovunque ed in tutte le cose, in quanto che è illimitato ed infinito.
Sul primo argomento poniamo quattro quesiti:
1. Se Dio sia infinito;
2. Se oltre Dio qualche cosa sia infinita secondo l'essenza;
3. Se può esserci qualche cosa d'infinito in estensione;
4. Se ci possa essere nella realtà una moltitudine infinita di cose.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'infinità di Dio > Se Dio sia infinito


Prima pars
Quaestio 7
Articulus 1

[28494] Iª q. 7 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod Deus non sit infinitus. Omne enim infinitum est imperfectum, quia habet rationem partis et materiae, ut dicitur in III Physic. Sed Deus est perfectissimus. Ergo non est infinitus.

 
Prima parte
Questione 7
Articolo 1

[28494] Iª q. 7 a. 1 arg. 1
SEMBRA che Dio non sia infinito. Infatti: 1. Ogni infinito è imperfetto, perché racchiude l'idea di parte e di materia, come dice Aristotele. Ma Dio è perfettissimo. Dunque non è infinito.

[28495] Iª q. 7 a. 1 arg. 2
Praeterea, secundum philosophum in I Physic., finitum et infinitum conveniunt quantitati. Sed in Deo non est quantitas, cum non sit corpus, ut supra ostensum est. Ergo non competit sibi esse infinitum.

 

[28495] Iª q. 7 a. 1 arg. 2
2. Secondo Aristotele, finito ed infinito si dicono della quantità. Ma in Dio non c'è quantità, perché non è corpo, come si è visto sopra. Dunque non gli compete l'infinità.

[28496] Iª q. 7 a. 1 arg. 3
Praeterea, quod ita est hic quod non alibi, est finitum secundum locum, ergo quod ita est hoc quod non est aliud, est finitum secundum substantiam. Sed Deus est hoc, et non est aliud, non enim est lapis nec lignum. Ergo Deus non est infinitus secundum substantiam.

 

[28496] Iª q. 7 a. 1 arg. 3
3. Una cosa che è talmente qui da non essere altrove, è limitata quanto al luogo: perciò anche ciò che è talmente questo da non essere altro, è limitato quanto a natura. Ora, Dio è questa cosa e non è un'altra cosa: infatti, non è pietra, né legno. Dunque Dio non è infinito nella sua essenza.

[28497] Iª q. 7 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicit Damascenus, quod Deus est infinitus et aeternus et incircumscriptibilis.

 

[28497] Iª q. 7 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive il Damasceno che "Dio è infinito, eterno e incircoscrittibile".

[28498] Iª q. 7 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod omnes antiqui philosophi attribuunt infinitum primo principio, ut dicitur in III Physic., et hoc rationabiliter, considerantes res effluere a primo principio in infinitum. Sed quia quidam erraverunt circa naturam primi principii, consequens fuit ut errarent circa infinitatem ipsius. Quia enim ponebant primum principium materiam, consequenter attribuerunt primo principio infinitatem materialem; dicentes aliquod corpus infinitum esse primum principium rerum. Considerandum est igitur quod infinitum dicitur aliquid ex eo quod non est finitum. Finitur autem quodammodo et materia per formam, et forma per materiam. Materia quidem per formam, inquantum materia, antequam recipiat formam, est in potentia ad multas formas, sed cum recipit unam, terminatur per illam. Forma vero finitur per materiam, inquantum forma, in se considerata, communis est ad multa, sed per hoc quod recipitur in materia, fit forma determinate huius rei. Materia autem perficitur per formam per quam finitur, et ideo infinitum secundum quod attribuitur materiae, habet rationem imperfecti; est enim quasi materia non habens formam. Forma autem non perficitur per materiam, sed magis per eam eius amplitudo contrahitur, unde infinitum secundum quod se tenet ex parte formae non determinatae per materiam, habet rationem perfecti. Illud autem quod est maxime formale omnium, est ipsum esse, ut ex superioribus patet. Cum igitur esse divinum non sit esse receptum in aliquo, sed ipse sit suum esse subsistens, ut supra ostensum est; manifestum est quod ipse Deus sit infinitus et perfectus.

 

[28498] Iª q. 7 a. 1 co.
RISPONDO: Tutti i filosofi più antichi, come dice Aristotele, attribuiscono l'infinità al primo principio, osservando, e con ragione, che le cose emanano senza fine da questo principio. Ma siccome alcuni errarono intorno alla natura del primo principio, conseguentemente errarono anche intorno alla sua infinità. Ritenendo infatti che il primo principio fosse materia, logicamente gli attribuirono un'infinità materiale, affermando che il primo principio delle cose era un corpo infinito.
Bisogna dunque riflettere che infinita si dice una cosa perché non è finita (limitata). Ora, in certa maniera la materia viene ad esser limitata dalla forma, e la forma dalla materia. La materia è limitata dalla forma in quanto che la materia, prima di ricevere la forma, è in potenza a molte forme; ma dal momento che ne riceve una, da quella viene delimitata. La forma poi è limitata dalla materia per questo che la forma, in sé considerata, è comune a molte cose; ma dacché è ricevuta nella materia, diventa forma soltanto di una data cosa. - Se non che, la materia riceve la sua perfezione dalla forma che la determina: e perciò l'infinito attribuito alla materia racchiude l'idea di imperfezione; perché è come una materia senza forma. La forma invece non viene perfezionata dalla materia, ma ne riceve piuttosto la restrizione della sua ampiezza illimitata; quindi l'infinito che si attribuisce alla forma non delimitata dalla materia importa essenzialmente perfezione.
Ora, come abbiamo già visto, l'essere stesso tra tutte le cose è quanto di più formale si possa trovare. Quindi, siccome l'essere divino non è ricevuto in un soggetto, ma Dio stesso è il suo proprio essere sussistente, come si è sopra dimostrato, resta provato chiaramente che Dio è infinito e perfetto.

[28499] Iª q. 7 a. 1 ad 1
Et per hoc patet responsio ad primum.

 

[28499] Iª q. 7 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ciò vale anche come risposta alla prima difficoltà.

[28500] Iª q. 7 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod terminus quantitatis est sicut forma ipsius, cuius signum est, quod figura, quae consistit in terminatione quantitatis, est quaedam forma circa quantitatem. Unde infinitum quod competit quantitati, est infinitum quod se tenet ex parte materiae, et tale infinitum non attribuitur Deo, ut dictum est.

 

[28500] Iª q. 7 a. 1 ad 2
2. La delimitazione è per la quantità una specie di forma; e se ne ha un segno in questo, che la figura, la quale consiste nella delimitazione della quantità, è una certa determinazione specifica nell'ordine della quantità. Quindi, l'infinito che compete alla quantità, è un infinito di ordine materiale, e tale infinito non si attribuisce a Dio, come si è detto.

[28501] Iª q. 7 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod, ex hoc ipso quod esse Dei est per se subsistens non receptum in aliquo, prout dicitur infinitum, distinguitur ab omnibus aliis, et alia removentur ab eo, sicut, si esset albedo subsistens, ex hoc ipso quod non esset in alio, differret ab omni albedine existente in subiecto.

 

[28501] Iª q. 7 a. 1 ad 3
3. Per il fatto stesso che l'essere di Dio è per sé sussistente senza altro soggetto, ottenendo così l'attributo di infinito, si distingue da tutte le altre cose, e tutte le altre cose da lui si escludono; come se esistesse la bianchezza sussistente, per il solo fatto di non essere in un altro, differirebbe da ogni altra bianchezza che abbia un soggetto.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'infinità di Dio > Se qualche altra cosa oltre Dio possa essere infinita per essenza


Prima pars
Quaestio 7
Articulus 2

[28502] Iª q. 7 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod aliquid aliud quam Deus possit esse infinitum per essentiam. Virtus enim rei proportionatur essentiae eius. Si igitur essentia Dei est infinita, oportet quod eius virtus sit infinita. Ergo potest producere effectum infinitum, cum quantitas virtutis per effectum cognoscatur.

 
Prima parte
Questione 7
Articolo 2

[28502] Iª q. 7 a. 2 arg. 1
SEMBRA che qualche altra cosa oltre Dio possa essere infinita per essenza. Infatti: 1. La potenza attiva di un essere è proporzionata alla sua essenza. Se dunque l'essenza di Dio è infinita, necessariamente anche la sua potenza è infinita. Può dunque produrre un effetto infinito, giacché la grandezza della potenza si conosce dall'effetto.

[28503] Iª q. 7 a. 2 arg. 2
Praeterea, quidquid habet virtutem infinitam, habet essentiam infinitam. Sed intellectus creatus habet virtutem infinitam, apprehendit enim universale, quod se potest extendere ad infinita singularia. Ergo omnis substantia intellectualis creata est infinita.

 

[28503] Iª q. 7 a. 2 arg. 2
2. Tutto ciò che ha una capacità infinita ha un'essenza infinita. Ma l'intelletto creato ha una capacità infinita; perché apprende l'universale, il quale può estendersi a un numero infinito di singolari. Dunque ogni sostanza intellettuale creata è infinita.

[28504] Iª q. 7 a. 2 arg. 3
Praeterea, materia prima aliud est a Deo, ut supra ostensum est. Sed materia prima est infinita. Ergo aliquid aliud praeter Deum potest esse infinitum.

 

[28504] Iª q. 7 a. 2 arg. 3
3. La materia prima è cosa distinta da Dio, come sopra abbiamo dimostrato. Ma la materia prima è infinita. Dunque oltre Dio vi può essere un altro infinito.

[28505] Iª q. 7 a. 2 s. c.
Sed contra est quod infinitum non potest esse ex principio aliquo, ut dicitur in III Physic. Omne autem quod est praeter Deum, est ex Deo sicut ex primo principio. Ergo nihil quod est praeter Deum, potest esse infinitum.

 

[28505] Iª q. 7 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Secondo Aristotele l'infinito non può derivare da causa alcuna. Ora, tutto ciò che esiste, eccetto Dio, viene da Dio come da causa prima. Dunque niente oltre Dio può essere infinito.

[28506] Iª q. 7 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod aliquid praeter Deum potest esse infinitum secundum quid, sed non simpliciter. Si enim loquamur de infinito secundum quod competit materiae, manifestum est quod omne existens in actu, habet aliquam formam, et sic materia eius est terminata per formam. Sed quia materia, secundum quod est sub una forma substantiali, remanet in potentia ad multas formas accidentales; quod est finitum simpliciter, potest esse infinitum secundum quid, utpote lignum est finitum secundum suam formam, sed tamen est infinitum secundum quid, inquantum est in potentia ad figuras infinitas. Si autem loquamur de infinito secundum quod convenit formae, sic manifestum est quod illa quorum formae sunt in materia, sunt simpliciter finita, et nullo modo infinita. Si autem sint aliquae formae creatae non receptae in materia, sed per se subsistentes, ut quidam de Angelis opinantur, erunt quidem infinitae secundum quid, inquantum huiusmodi formae non terminantur neque contrahuntur per aliquam materiam, sed quia forma creata sic subsistens habet esse, et non est suum esse, necesse est quod ipsum eius esse sit receptum et contractum ad determinatam naturam. Unde non potest esse infinitum simpliciter.

 

[28506] Iª q. 7 a. 2 co.
RISPONDO: Oltre Dio ci può essere qualche cosa d'infinito in senso relativo, ma non in senso pieno e assoluto. Difatti, se parliamo dell'infinità che compete alla materia, è chiaro che ogni esistente in atto ha la sua forma; e così la sua materia è determinata dalla forma. Ma siccome la materia, pur determinata da una forma sostanziale, rimane in potenza a molte altre forme accidentali; una cosa che è sostanzialmente finita, può esser infinita in senso relativo: p. es., un tronco di legno per la sua forma sostanziale è indubbiamente finito, ma tuttavia, è relativamente infinito in quanto è in potenza a (prendere, sotto le mani dell'artista) innumerevoli figure. Se poi parliamo dell'infinità che appartiene alla forma, allora è chiaro che quelle cose, le cui forme sono unite alla materia, sono sostanzialmente finite, e in nessun modo infinite. Se poi vi sono delle forme create non unite alla materia, ma per sé sussistenti, come alcuni opinano degli angeli, saranno sì infinite in un senso relativo, in quanto che tali forme non sono limitate né coartate da materia alcuna; ma siccome una forma creata così sussistente possiede l'essere, ma non è il suo essere, è necessario che il suo essere venga ricevuto e sia ristretto entro i limiti di una determinata natura. Perciò non può essere infinito in senso assoluto.

[28507] Iª q. 7 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod hoc est contra rationem facti, quod essentia rei sit ipsum esse eius, quia esse subsistens non est esse creatum, unde contra rationem facti est, quod sit simpliciter infinitum. Sicut ergo Deus, licet habeat potentiam infinitam, non tamen potest facere aliquid non factum (hoc enim esset contradictoria esse simul); ita non potest facere aliquid infinitum simpliciter.

 

[28507] Iª q. 7 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È contrario al concetto di cosa creata che la sua essenza sia il suo stesso essere, perché l'essere sussistente non è un essere creato: perciò è contro l'idea stessa di cosa creata l'essere infinita in modo assoluto. Quindi, come Dio, nonostante abbia una potenza infinita, tuttavia non può creare qualche cosa d'increato (il che sarebbe far coesistere cose contraddittorie), così non può creare cosa alcuna che sia assolutamente infinita.

[28508] Iª q. 7 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod hoc ipsum quod virtus intellectus extendit se quodammodo ad infinita, procedit ex hoc quod intellectus est forma non in materia; sed vel totaliter separata, sicut sunt substantiae Angelorum; vel ad minus potentia intellectiva, quae non est actus alicuius organi, in anima intellectiva corpori coniuncta.

 

[28508] Iª q. 7 a. 2 ad 2
2. Il fatto stesso che la capacità dell'intelletto si estende in qualche modo all'infinito deriva da questo, che l'intelletto è una forma non immersa nella materia, ma o totalmente separata, come sono le nature angeliche; o per lo meno è una facoltà intellettiva, che non è atto d'un organo materiale, come nel caso dell'anima intellettiva congiunta al corpo.

[28509] Iª q. 7 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod materia prima non existit in rerum natura per seipsam, cum non sit ens in actu, sed potentia tantum, unde magis est aliquid concreatum, quam creatum. Nihilominus tamen materia prima, etiam secundum potentiam, non est infinita simpliciter, sed secundum quid, quia eius potentia non se extendit nisi ad formas naturales.

 

[28509] Iª q. 7 a. 2 ad 3
3. La materia prima, propriamente, non esiste nella realtà per se stessa, non essendo ente in atto, ma solo in potenza: quindi è qualche cosa di concreato piuttosto che di creato. Pur nondimeno la materia prima, anche secondo la potenza, non è infinita in senso assoluto, ma in un senso relativo, perché la sua potenzialità non si estende che alle sole forme corporee.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'infinità di Dio > Se si possa dare un infinito attuale in estensione


Prima pars
Quaestio 7
Articulus 3

[28510] Iª q. 7 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod possit esse aliquid infinitum actu secundum magnitudinem. In scientiis enim mathematicis non invenitur falsum, quia abstrahentium non est mendacium, ut dicitur in II Physic. Sed scientiae mathematicae utuntur infinito secundum magnitudinem, dicit enim geometra in suis demonstrationibus, sit linea talis infinita. Ergo non est impossibile aliquid esse infinitum secundum magnitudinem.

 
Prima parte
Questione 7
Articolo 3

[28510] Iª q. 7 a. 3 arg. 1
SEMBRA che si possa dare un infinito attuale in estensione. Infatti: 1. Nelle matematiche non c'è falsità, perché "l'astrazione non è un mendacio", come dice Aristotele. Ora, le matematiche usano dell'infinito in estensione; dice infatti il geometra nelle sue dimostrazioni: sia tale linea infinita. Dunque non è impossibile che si dia un infinito in estensione.

[28511] Iª q. 7 a. 3 arg. 2
Praeterea, id quod non est contra rationem alicuius, non est impossibile convenire sibi. Sed esse infinitum non est contra rationem magnitudinis, sed magis finitum et infinitum videntur esse passiones quantitatis. Ergo non est impossibile aliquam magnitudinem esse infinitam.

 

[28511] Iª q. 7 a. 3 arg. 2
2. Ciò che non è contro la natura di un oggetto, non è impossibile che gli convenga. Ora, l'infinito non è contro la natura dell'estensione: ché anzi finito ed infinito sembrano essere denominazioni proprie della quantità. Dunque non ripugna un'estensione infinita.

[28512] Iª q. 7 a. 3 arg. 3
Praeterea, magnitudo divisibilis est in infinitum, sic enim definitur continuum, quod est in infinitum divisibile, ut patet in III Physic. Sed contraria nata sunt fieri circa idem. Cum ergo divisioni opponatur additio, et diminutioni augmentum, videtur quod magnitudo possit crescere in infinitum. Ergo possibile est esse magnitudinem infinitam.

 

[28512] Iª q. 7 a. 3 arg. 3
3. L'estensione è divisibile all'infinito: così, infatti, si definisce il continuo: "Ciò che è divisibile all'infinito", come dice Aristotele. Ora, i contrari son fatti per prodursi a riguardo di un identico oggetto (o qualità). Siccome dunque, alla divisione si oppone l'addizione ed alla diminuzione l'aumento, pare che l'estensione (come è divisibile all'infinito) possa crescere all'infinito. Dunque è possibile un'estensione infinita.

[28513] Iª q. 7 a. 3 arg. 4
Praeterea, motus et tempus habent quantitatem et continuitatem a magnitudine super quam transit motus, ut dicitur in IV Physic. Sed non est contra rationem temporis et motus quod sint infinita, cum unumquodque indivisibile signatum in tempore et motu circulari, sit principium et finis. Ergo nec contra rationem magnitudinis erit quod sit infinita.

 

[28513] Iª q. 7 a. 3 arg. 4
4. Moto e tempo misurano la loro quantità e la loro continuità dall'estensione percorsa dal moto, come dice Aristotele. Ma non è contro la natura del tempo e del moto di essere infiniti: dal momento che ogni (punto e ogni istante) indivisibile segnato nel tempo e nel moto circolare è insieme inizio e termine. Non è perciò contro la natura dell'estensione di essere infinita.

[28514] Iª q. 7 a. 3 s. c.
Sed contra, omne corpus superficiem habet. Sed omne corpus superficiem habens est finitum, quia superficies est terminus corporis finiti. Ergo omne corpus est finitum. Et similiter potest dici de superficie et linea. Nihil est ergo infinitum secundum magnitudinem.

 

[28514] Iª q. 7 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Ogni corpo ha una superficie. Ma ogni corpo avente una superficie è limitato; perché la superficie è la terminazione di un corpo finito. Dunque ogni corpo è limitato. E lo stesso può dirsi della superficie e della linea. Niente è quindi infinito in estensione.

[28515] Iª q. 7 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod aliud est esse infinitum secundum suam essentiam, et secundum magnitudinem. Dato enim quod esset aliquod corpus infinitum secundum magnitudinem, utpote ignis vel aer, non tamen esset infinitum secundum essentiam, quia essentia sua esset terminata ad aliquam speciem per formam, et ad aliquod individuum per materiam. Et ideo, habito ex praemissis quod nulla creatura est infinita secundum essentiam, adhuc restat inquirere utrum aliquid creatum sit infinitum secundum magnitudinem. Sciendum est igitur quod corpus, quod est magnitudo completa, dupliciter sumitur, scilicet mathematice, secundum quod consideratur in eo sola quantitas; et naturaliter, secundum quod consideratur in eo materia et forma. Et de corpore quidem naturali, quod non possit esse infinitum in actu, manifestum est. Nam omne corpus naturale aliquam formam substantialem habet determinatam, cum igitur ad formam substantialem consequantur accidentia, necesse est quod ad determinatam formam consequantur determinata accidentia; inter quae est quantitas. Unde omne corpus naturale habet determinatam quantitatem et in maius et in minus. Unde impossibile est aliquod corpus naturale infinitum esse. Hoc etiam ex motu patet. Quia omne corpus naturale habet aliquem motum naturalem. Corpus autem infinitum non posset habere aliquem motum naturalem, nec rectum, quia nihil movetur naturaliter motu recto, nisi cum est extra suum locum, quod corpori infinito accidere non posset; occuparet enim omnia loca, et sic indifferenter quilibet locus esset locus eius. Et similiter etiam neque secundum motum circularem. Quia in motu circulari oportet quod una pars corporis transferatur ad locum in quo fuit alia pars; quod in corpore circulari, si ponatur infinitum, esse non posset, quia duae lineae protractae a centro, quanto longius protrahuntur a centro, tanto longius distant ab invicem; si ergo corpus esset infinitum, in infinitum lineae distarent ab invicem, et sic una nunquam posset pervenire ad locum alterius. De corpore etiam mathematico eadem ratio est. Quia si imaginemur corpus mathematicum existens actu, oportet quod imaginemur ipsum sub aliqua forma, quia nihil est actu nisi per suam formam. Unde, cum forma quanti, inquantum huiusmodi, sit figura, oportebit quod habeat aliquam figuram. Et sic erit finitum, est enim figura, quae termino vel terminis comprehenditur.

 

[28515] Iª q. 7 a. 3 co.
RISPONDO: Altra cosa è l'infinito secondo l'essenza, altra l'infinito secondo l'estensione. Infatti, dato che ci fosse un corpo infinito per estensione, come il fuoco o l'aria, non sarebbe tuttavia infinito secondo l'essenza; perché la sua essenza sarebbe limitata ad una specie dalla sua forma e a un determinato individuo dalla sua materia. Perciò, accertato ormai dai precedenti, che nessuna creatura è infinita secondo l'essenza, resta ancora da indagare se qualche cosa di creato possa essere infinito per estensione.
Bisogna dunque sapere che corpo, il quale è un'estensione completa (cioè a tre dimensioni), può prendersi in due significati; e cioè in senso matematico, se si considera in esso soltanto la quantità; e in senso fisico, se si considera in esso la materia e la forma. Ora, che il corpo fisico non possa essere infinito in atto, è chiaro. Infatti ogni corpo naturale ha una sua forma sostanziale determinata; e siccome ad ogni forma sostanziale conseguono degli accidenti, ne viene per necessità che ad una forma determinata conseguano degli accidenti parimenti determinati, tra i quali c'è la quantità. Donde segue che ogni corpo fisico ha una determinata quantità, estesa più o meno (entro certi limiti). E perciò è impossibile che un corpo fisico sia infinito. - Ciò appare anche dal movimento. Infatti, ogni corpo naturale ha un suo moto naturale; ma un corpo che fosse infinito non potrebbe avere nessun moto naturale; non il moto rettilineo, perché niente si muove per natura in tal modo, se non quando è fuori del suo luogo, e ciò non potrebbe avvenire per un corpo che fosse infinito, perché occuperebbe tutto lo spazio, e così ogni luogo sarebbe indifferentemente il suo luogo proprio. E così pure non potrebbe avere neanche il moto circolare, perché nel moto circolare è necessario che una parte del corpo si trasferisca nel luogo in cui era prima un'altra parte; e questo non potrebbe avvenire in un corpo circolare se lo immaginiamo infinito; perché due linee partenti dal centro, più si allontanano dal centro più si distanziano tra di loro; e perciò se un corpo fosse infinito, le due linee verrebbero ad essere tra loro distanti all'infinito, e così mai l'una potrebbe pervenire al luogo dell'altra.
La stessa ragione vale se parliamo di un corpo matematico. Perché se immaginiamo un corpo matematico esistente in atto, bisogna che lo immaginiamo sotto una forma determinata, poiché niente è in atto se non in forza della sua forma. Quindi, siccome la forma dell'essere quantitativo come tale, è la figura geometrica, esso avrà necessariamente una qualche figura. E così sarà limitato; perché la figura non è altro che ciò che è compreso in uno o più limiti.

[28516] Iª q. 7 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod geometer non indiget sumere aliquam lineam esse infinitam actu, sed indiget accipere aliquam lineam finitam actu, a qua possit subtrahi quantum necesse est, et hanc nominat lineam infinitam.

 

[28516] Iª q. 7 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il geometra non ha bisogno di supporre che una linea sia infinita in atto; ha bisogno invece di prendere una linea attualmente limitata, dalla quale si possa sottrarre quanto è necessario: e questa linea la chiama infinita.

[28517] Iª q. 7 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod, licet infinitum non sit contra rationem magnitudinis in communi, est tamen contra rationem cuiuslibet speciei eius, scilicet contra rationem magnitudinis bicubitae vel tricubitae, sive circularis vel triangularis, et similium. Non autem est possibile in genere esse quod in nulla specie est. Unde non est possibile esse aliquam magnitudinem infinitam, cum nulla species magnitudinis sit infinita.

 

[28517] Iª q. 7 a. 3 ad 2
2. È vero che l'idea d'infinito non ripugna all'idea d'estensione in genere, ma tuttavia è in contraddizione col concetto di qualsiasi specie di estensione, cioè con la quantità di due cubiti, di tre cubiti, con quella circolare o triangolare e simili. Ora, non è possibile che sia in un genere quello che non è in alcuna delle sue specie. È quindi impossibile che si dia un'estensione infinita, dal momento che nessuna specie di estensione è infinita.

[28518] Iª q. 7 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod infinitum quod convenit quantitati, ut dictum est, se tenet ex parte materiae. Per divisionem autem totius acceditur ad materiam, nam partes se habent in ratione materiae, per additionem autem acceditur ad totum, quod se habet in ratione formae. Et ideo non invenitur infinitum in additione magnitudinis, sed in divisione tantum.

 

[28518] Iª q. 7 a. 3 ad 3
3. L'infinito che compete alla quantità, come si è detto, è quello che si riferisce alla materia. Ora, con la divisione di un tutto ci si accosta alla materia, perché le parti hanno carattere di materia; mentre con l'addizione si va verso il tutto, il quale ha carattere di forma. E perciò non si ha infinito nell'addizionare la quantità, ma solo nel dividerla.

[28519] Iª q. 7 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod motus et tempus non sunt secundum totum in actu, sed successive, unde habent potentiam permixtam actui. Sed magnitudo est tota in actu. Et ideo infinitum quod convenit quantitati, et se tenet ex parte materiae, repugnat totalitati magnitudinis, non autem totalitati temporis vel motus, esse enim in potentia convenit materiae.

 

[28519] Iª q. 7 a. 3 ad 4
4. Il movimento e il tempo non sono in atto nella loro totalità, ma successivamente, e quindi sono un misto di potenza e di atto, mentre l'estensione è tutta in atto. E perciò, l'infinito, che conviene alla quantità e che risulta da parte della materia, ripugna alla totalità dell'estensione, non ripugna invece alla totalità del tempo e del moto, perché la potenzialità è propria della materia.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'infinità di Dio > Se nella realtà si possa dare un infinito numerico


Prima pars
Quaestio 7
Articulus 4

[28520] Iª q. 7 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod possibile sit esse multitudinem infinitam secundum actum. Non enim est impossibile id quod est in potentia reduci ad actum. Sed numerus est in infinitum multiplicabilis. Ergo non est impossibile esse multitudinem infinitam in actu.

 
Prima parte
Questione 7
Articolo 4

[28520] Iª q. 7 a. 4 arg. 1
SEMBRA che sia possibile un numero infinito in atto. Infatti: 1. Ciò che è in potenza a essere ridotto in atto non è cosa impossibile. Ora il numero è moltiplicabile all'infinito. Dunque non è impossibile che si dia un numero infinito in atto.

[28521] Iª q. 7 a. 4 arg. 2
Praeterea, cuiuslibet speciei possibile est esse aliquod individuum in actu. Sed species figurae sunt infinitae. Ergo possibile est esse infinitas figuras in actu.

 

[28521] Iª q. 7 a. 4 arg. 2
2. È possibile che di ogni specie vi sia qualche individuo in atto. Ma le specie delle figure geometriche sono infinite. Dunque è possibile che vi siano infinite figure.

[28522] Iª q. 7 a. 4 arg. 3
Praeterea, ea quae non opponuntur ad invicem, non impediunt se invicem. Sed, posita aliqua multitudine rerum, adhuc possunt fieri alia multa quae eis non opponuntur, ergo non est impossibile aliqua iterum simul esse cum eis, et sic in infinitum. Ergo possibile est esse infinita in actu.

 

[28522] Iª q. 7 a. 4 arg. 3
3. Cose che tra loro non sono opposte, neppure si ostacolano a vicenda. Ora, dato un certo numero di cose, se ne possono fare ancora molte altre non opposte alle prime; dunque non è impossibile che ce ne possano essere insieme con esse anche delle altre, e così via all'infinito. È dunque possibile che ve ne siano infinite in atto.

[28523] Iª q. 7 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Sap. XI, omnia in pondere, numero et mensura disposuisti.

 

[28523] Iª q. 7 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: È detto nel libro della Sapienza: "Tutto tu disponesti in misura, numero e peso".

[28524] Iª q. 7 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod circa hoc fuit duplex opinio. Quidam enim, sicut Avicenna et Algazel, dixerunt quod impossibile est esse multitudinem actu infinitam per se, sed infinitam per accidens multitudinem esse, non est impossibile. Dicitur enim multitudo esse infinita per se, quando requiritur ad aliquid ut multitudo infinita sit. Et hoc est impossibile esse, quia sic oporteret quod aliquid dependeret ex infinitis; unde eius generatio nunquam compleretur, cum non sit infinita pertransire. Per accidens autem dicitur multitudo infinita, quando non requiritur ad aliquid infinitas multitudinis, sed accidit ita esse. Et hoc sic manifestari potest in operatione fabri, ad quam quaedam multitudo requiritur per se, scilicet quod sit ars in anima, et manus movens, et martellus. Et si haec in infinitum multiplicarentur, nunquam opus fabrile compleretur, quia dependeret ex infinitis causis. Sed multitudo martellorum quae accidit ex hoc quod unum frangitur et accipitur aliud, est multitudo per accidens, accidit enim quod multis martellis operetur; et nihil differt utrum uno vel duobus vel pluribus operetur, vel infinitis, si infinito tempore operaretur. Per hunc igitur modum, posuerunt quod possibile est esse actu multitudinem infinitam per accidens. Sed hoc est impossibile. Quia omnem multitudinem oportet esse in aliqua specie multitudinis. Species autem multitudinis sunt secundum species numerorum. Nulla autem species numeri est infinita, quia quilibet numerus est multitudo mensurata per unum. Unde impossibile est esse multitudinem infinitam actu, sive per se, sive per accidens. Item, multitudo in rerum natura existens est creata, et omne creatum sub aliqua certa intentione creantis comprehenditur, non enim in vanum agens aliquod operatur. Unde necesse est quod sub certo numero omnia creata comprehendantur. Impossibile est ergo esse multitudinem infinitam in actu, etiam per accidens. Sed esse multitudinem infinitam in potentia, possibile est. Quia augmentum multitudinis consequitur divisionem magnitudinis, quanto enim aliquid plus dividitur, tanto plura secundum numerum resultant. Unde, sicut infinitum invenitur in potentia in divisione continui, quia proceditur ad materiam, ut supra ostensum est; eadem ratione etiam infinitum invenitur in potentia in additione multitudinis.

 

[28524] Iª q. 7 a. 4 co.
RISPONDO: Su questo punto ci furono due opinioni. Alcuni, come Avicenna e Algazel, hanno sostenuto che una moltitudine numerica attualmente infinita per se è impossibile; ma che esista un numero infinito per accidens non è impossibile. Si dice che una moltitudine numerica è infinita per se, quando si richiede all'esistenza stessa di qualche cosa un numero di enti infinito. E questo è impossibile, perché in tal modo una cosa dovrebbe dipendere da infinite cause e quindi non si produrrebbe mai, non potendosi percorrere e attraversare l'infinito.
Una moltitudine numerica si chiama invece infinita per accidens, quando non è richiesta all'esistenza di una qualche realtà un'infinità numerica, ma capita di fatto così. Si può chiarire la cosa in questa maniera, prendendo come esempio l'opera di un fabbro, per la quale si richiede una certa molteplicità numerica necessariamente (per se), cioè l'arte, la mano che muove e il martello. Se questi elementi si moltiplicassero all'infinito, il lavoro del fabbro mai verrebbe a compimento, perché dipenderebbe da cause infinite. Ma la molteplicità dei martelli che si verifica perché se ne rompe uno e se ne piglia un altro, è molteplicità contingente (per accidens): poiché capita di fatto, che il fabbro lavori con molti martelli, ma è del tutto indifferente che lavori con uno, o con due o con più o anche con infiniti martelli, dato che lavori per un tempo infinito. Così quei filosofi ammisero come possibile una moltitudine attualmente infinita per accidens, intesa in questo senso.
Ma ciò è insostenibile. Infatti, ogni molteplicità appartiene necessariamente a una qualche specie di molteplicità: ora, le specie della molteplicità corrispondono alle specie dei numeri: d'altra parte nessuna specie del numero è infinita, perché ogni numero non è altro che una moltitudine misurata dall'unità. Perciò è impossibile che si dia una molteplicità infinita in atto, sia per se, che per accidens. - Ancora: la molteplicità esistente nella natura delle cose è creata; tutto ciò che è creato è compreso sotto una certa intenzione del Creatore, altrimenti l'agente opererebbe invano: quindi è necessario che tutti gli esseri creati siano compresi sotto un numero determinato. È dunque impossibile una moltitudine attualmente infinita, anche solo per accidens.
È però possibile una molteplicità numerica infinita in potenza; perché l'aumento del numero consegue alla divisione dell'estensione quantitativa. Infatti, quanto più una cosa si divide, tanto più numerose sono le parti che ne risultano. Per cui, come si ha l'infinito in potenza dividendo la quantità continua, perché si procede verso la materia, secondo la dimostrazione già fatta; per la stessa ragione si ha l'infinito in potenza anche aumentando il numero.

[28525] Iª q. 7 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod unumquodque quod est in potentia, reducitur in actum secundum modum sui esse, dies enim non reducitur in actum ut sit tota simul, sed successive. Et similiter infinitum multitudinis non reducitur in actum ut sit totum simul, sed successive, quia post quamlibet multitudinem, potest sumi alia multitudo in infinitum.

 

[28525] Iª q. 7 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tutto ciò che è in potenza si riduce all'atto, ma in conformità al proprio modo di essere: il giorno infatti non si riduce all'atto in modo da esistere tutto insieme, ma successivamente. Del pari: un infinito numerico non si riduce all'atto in maniera da essere tutto simultaneamente, ma successivamente, perché dopo un numero qualsiasi, se ne può prendere sempre un altro e così all'infinito.

[28526] Iª q. 7 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod species figurarum habent infinitatem ex infinitate numeri, sunt enim species figurarum, trilaterum, quadrilaterum, et sic inde. Unde, sicut multitudo infinita numerabilis non reducitur in actum quod sit tota simul, ita nec multitudo figurarum.

 

[28526] Iª q. 7 a. 4 ad 2
2. Le specie delle figure partecipano dell'infinità del numero: difatti le specie delle figure sono il triangolo, il quadrato, ecc. Quindi, come una moltitudine numerica infinita non si riduce in atto in modo da esistere tutta insieme, così nemmeno la moltitudine delle figure.

[28527] Iª q. 7 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod, licet, quibusdam positis, alia poni non sit eis oppositum; tamen infinita poni opponitur cuilibet speciei multitudinis. Unde non est possibile esse aliquam multitudinem actu infinitam.

 

[28527] Iª q. 7 a. 4 ad 3
3. Sebbene sia vero che poste alcune cose, se ne possono ammettere delle altre, senza creare delle opposizioni; tuttavia ammetterne infinite si oppone a qualsiasi specie di molteplicità. Perciò non è possibile che ci sia una molteplicità infinita in atto.

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