I, 54

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro facoltà conoscitiva


Prima pars
Quaestio 54
Prooemium

[30674] Iª q. 54 pr.
Consideratis his quae ad substantiam Angeli pertinent, procedendum est ad cognitionem ipsius. Haec autem consideratio erit quadripartita, nam primo considerandum est de his quae pertinent ad virtutem cognoscitivam Angeli; secundo, de his quae pertinent ad medium cognoscendi ipsius; tertio, de his quae ab eo cognoscuntur; quarto, de modo cognitionis ipsorum. Circa primum quaeruntur quinque.
Primo, utrum intelligere Angeli sit sua substantia.
Secundo, utrum eius esse sit suum intelligere.
Tertio, utrum eius substantia sit sua virtus intellectiva.
Quarto, utrum in Angelis sit intellectus agens et possibilis.
Quinto, utrum in eis sit aliqua alia potentia cognoscitiva quam intellectus.

 
Prima parte
Questione 54
Proemio

[30674] Iª q. 54 pr.
Dopo aver trattato le questioni relative alla sostanza degli angeli, passiamo a trattare della loro conoscenza. Questo studio abbraccia i quattro punti seguenti: primo, parleremo della virtù conoscitiva degli angeli; secondo, del loro mezzo di conoscenza; terzo, degli oggetti da essi conosciuti; quarto, del loro modo di conoscere.
Sul primo argomento si pongono cinque quesiti:

1. Se l'intellezione dell'angelo sia la di lui sostanza;
2. Se l'essere di lui sia la sua intellezione;
3. Se la sostanza ne sia la virtù intellettiva;
4. Se negli angeli vi sia l'intelletto agente e l'intelletto possibile;
5. Se negli angeli, oltre l'intelletto, vi sia qualche altra facoltà di conoscenza.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro facoltà conoscitiva > Se l'intellezione dell'angelo sia la di lui sostanza


Prima pars
Quaestio 54
Articulus 1

[30675] Iª q. 54 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod intelligere Angeli sit eius substantia. Angelus enim est sublimior et simplicior quam intellectus agens animae. Sed substantia intellectus agentis est sua actio; ut patet in III de anima per Aristotelem, et eius Commentatorem. Ergo, multo fortius, substantia Angeli est sua actio, quae est intelligere.

 
Prima parte
Questione 54
Articolo 1

[30675] Iª q. 54 a. 1 arg. 1
SEMBRA che l'intellezione dell'angelo sia la di lui sostanza. Infatti:
1. L'angelo è più perfetto e più semplice dell'intelletto agente dell'anima [nostra]. Ma la sostanza dell'intelletto agente si identifica con l'azione del medesimo, come dimostrano Aristotele e il Commentatore. Dunque, a più forte ragione, la sostanza dell'angelo è l'azione di lui, ossia l'intendere.

[30676] Iª q. 54 a. 1 arg. 2
Praeterea, philosophus dicit, in XII Metaphys., quod actio intellectus est vita. Sed cum vivere sit esse viventibus, ut dicitur in II de anima, videtur quod vita sit essentia. Ergo actio intellectus est essentia intelligentis Angeli.

 

[30676] Iª q. 54 a. 1 arg. 2
2. Dice il Filosofo che «l'azione dell'intelletto è vita». Ora, poiché «vivere», come lo stesso Aristotele insegna, «per i viventi è essere», è chiaro che per essi la vita è l'essenza. Dunque l'operazione dell'intelletto è l'essenza dell'angelo che [sempre] intende.

[30677] Iª q. 54 a. 1 arg. 3
Praeterea, si extrema sunt unum, medium non differt ab eis, quia extremum magis distat ab extremo, quam medium. Sed in Angelo idem est intellectus et intellectum, ad minus inquantum intelligit essentiam suam. Ergo intelligere, quod cadit medium inter intellectum et rem intellectam, est idem cum substantia Angeli intelligentis.

 

[30677] Iª q. 54 a. 1 arg. 3
3. Se due estremi sono un'identica cosa, anche il termine intermedio si identifica con essi: poiché c'è maggiore distanza tra un estremo e l'altro che tra un estremo e il punto intermedio. Ora, nell'angelo sono un'identica cosa l'intelletto e l'oggetto conosciuto, per lo meno quando l'angelo conosce la propria essenza. Dunque l’intellezione che sta di mezzo tra l'intelletto e l'oggetto, si identifica con la sostanza dell'angelo, che è un essere dotato d'intelligenza.

[30678] Iª q. 54 a. 1 s. c.
Sed contra, plus differt actio rei a substantia eius, quam ipsum esse eius. Sed nullius creati suum esse est sua substantia, hoc enim solius Dei proprium est, ut ex superioribus patet. Ergo neque Angeli, neque alterius creaturae, sua actio est eius substantia.

 

[30678] Iª q. 54 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Tra l'azione di una cosa e la sostanza di essa c'è una differenza maggiore che tra la sostanza e l'essere della medesima. Ora, in nessuna creatura la sostanza è l'essere della medesima: ciò infatti è proprio di Dio soltanto, come si è visto. Dunque né l’azione degli angeli, né l’azione di alcun'altra creatura è la loro sostanza.

[30679] Iª q. 54 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod impossibile est quod actio Angeli, vel cuiuscumque alterius creaturae, sit eius substantia. Actio enim est proprie actualitas virtutis; sicut esse est actualitas substantiae vel essentiae. Impossibile est autem quod aliquid quod non est purus actus, sed aliquid habet de potentia admixtum, sit sua actualitas, quia actualitas potentialitati repugnat. Solus autem Deus est actus purus. Unde in solo Deo sua substantia est suum esse et suum agere. Praeterea, si intelligere Angeli esset sua substantia, oporteret quod intelligere Angeli esset subsistens. Intelligere autem subsistens non potest esse nisi unum; sicut nec aliquod abstractum subsistens. Unde unius Angeli substantia non distingueretur neque a substantia Dei, quae est ipsum intelligere subsistens; neque a substantia alterius Angeli. Si etiam Angelus ipse esset suum intelligere, non possent esse gradus in intelligendo perfectius et minus perfecte, cum hoc contingat propter diversam participationem ipsius intelligere.

 

[30679] Iª q. 54 a. 1 co.
RISPONDO: È impossibile che l'azione dell'angelo, o di un'altra creatura, ne sia la sostanza [o l'essenza]. L'azione infatti è l'atto di una facoltà; come l'essere è l'atto di una sostanza o essenza. Ora, è impossibile che una realtà, la quale non è atto puro ed ha qualche cosa di potenziale, sia la sua propria attualità: poiché l'attualità è il contrario della potenzialità. Ma soltanto Dio è atto puro. Quindi soltanto in Dio la sostanza è il suo essere e il suo agire.
Inoltre, se l'intellezione dell'angelo fosse la sua sostanza, tale intellezione dovrebbe essere sussistente. Ma l'intendere sussistente, come ogni realtà immateriale sussistente, non può essere che uno. Perciò la sostanza di un angelo non si distinguerebbe né dalla sostanza di Dio, che è la stessa intellezione sussistente, né dalla sostanza di un altro angelo.
Di più, ammesso che l'angelo sia la sua stessa intellezione, non vi potrebbero essere vari gradi d'intellezione più o meno perfetti: mentre invece la cosa è possibile a causa della diversa partecipazione della intellezione medesima.

[30680] Iª q. 54 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, cum dicitur quod intellectus agens est sua actio, est praedicatio non per essentiam, sed per concomitantiam, quia cum sit in actu eius substantia, statim quantum est in se, concomitatur ipsam actio. Quod non est de intellectu possibili, qui non habet actiones nisi postquam fuerit factus in actu.

 

[30680] Iª q. 54 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando si dice che l'intelletto agente è la sua azione, non si vuol dire che lo è per essenza, ma per concomitanza; poiché, essendo la sua natura in atto, subito, per quanto dipende da essa, ne segue l'azione. Cosa che non si verifica per l'intelletto possibile, il quale non compie le sue azioni se non dopo essere stato posto in atto.

[30681] Iª q. 54 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod vita non hoc modo se habet ad vivere, sicut essentia ad esse; sed sicut cursus ad currere, quorum unum significat actum in abstracto, aliud in concreto. Unde non sequitur si vivere sit esse, quod vita sit essentia. Quamvis etiam quandoque vita pro essentia ponatur; secundum quod Augustinus dicit, in libro de Trin., quod memoria et intelligentia et voluntas sunt una essentia, una vita. Sed sic non accipitur a philosopho cum dicit quod actio intellectus est vita.

 

[30681] Iª q. 54 a. 1 ad 2
2. La vita non sta al vivere come l'essenza sta all'essere, bensì come la corsa sta al correre. Nel quale confronto il primo termine significa l'operazione in astratto, mentre il secondo la indica in concreto. Per il fatto quindi che vivere equivale ad essere, non ne segue che la vita sia l'essenza [o la sostanza]. - Talvolta però vita si usa in luogo di essenza, come quando S. Agostino afferma che «la memoria e l'intelligenza e la volontà sono una sola essenza, una sola vita». Non così però viene usata dal Filosofo quando dice che «l'azione dell'intelletto è vita».

[30682] Iª q. 54 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod actio quae transit in aliquid extrinsecum, est realiter media inter agens et subiectum recipiens actionem. Sed actio quae manet in agente, non est realiter medium inter agens et obiectum, sed secundum modum significandi tantum, realiter vero consequitur unionem obiecti cum agente. Ex hoc enim quod intellectum fit unum cum intelligente, consequitur intelligere, quasi quidam effectus differens ab utroque.

 

[30682] Iª q. 54 a. 1 ad 3
3. L'azione che passa in un soggetto estrinseco è realmente qualche cosa di intermedio tra l'agente e il soggetto che la subisce. Ma l'azione [intransitiva] che rimane nell'operante non è qualche cosa di intermedio tra l'agente e l'oggetto in maniera reale, ma lo è soltanto secondo il [nostro] modo di esprimerci: in realtà essa è il risultato dell'unione tra oggetto e soggetto. Infatti, si ha l'intellezione, considerata come un effetto differente dal soggetto e dall'oggetto, solo perché l'oggetto diviene una cosa sola col soggetto conoscente.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro facoltà conoscitiva > Se l'intellezione degli angeli sia il loro essere


Prima pars
Quaestio 54
Articulus 2

[30683] Iª q. 54 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod intelligere Angeli sit eius esse. Vivere enim viventibus est esse, ut dicitur in II de anima. Sed intelligere est quoddam vivere, ut in eodem dicitur. Ergo intelligere Angeli est eius esse.

 
Prima parte
Questione 54
Articolo 2

[30683] Iª q. 54 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l'intellezione degli angeli sia il loro essere. Infatti:
1. «Vivere per i viventi è essere», come dice Aristotele. Ma intendere, egli aggiunge, è un vivere. Dunque l'intendere dell'angelo è il suo essere.

[30684] Iª q. 54 a. 2 arg. 2
Praeterea, sicut se habet causa ad causam, ita effectus ad effectum. Sed forma per quam Angelus est, est eadem cum forma per quam intelligit ad minus seipsum. Ergo eius intelligere est idem cum suo esse.

 

[30684] Iª q. 54 a. 2 arg. 2
2. Le cause si corrispondono tra loro, come si corrispondono gli effetti. Ma la forma, che da all'angelo di essere, è la stessa forma in virtù della quale egli intende, per lo meno [nell'intendere] se stesso. Quindi la sua intellezione si identifica con il suo essere.

[30685] Iª q. 54 a. 2 s. c.
Sed contra, intelligere Angeli est motus eius; ut patet per Dionysium, IV cap. de Div. Nom. Sed esse non est motus. Ergo esse Angeli non est intelligere eius.

 

[30685] Iª q. 54 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: L'intendere dell'angelo, come spiega Dionigi, è il di lui moto. Ora l'essere non è un moto. Dunque l'essere degli angeli non è la loro intellezione.

[30686] Iª q. 54 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod actio Angeli non est eius esse, neque actio alicuius creaturae. Duplex enim est actionis genus, ut dicitur IX Metaphys. Una scilicet actio est quae transit in aliquid exterius, inferens ei passionem, sicut urere et secare. Alia vero actio est quae non transit in rem exteriorem, sed manet in ipso agente, sicut sentire, intelligere et velle, per huiusmodi enim actionem non immutatur aliquid extrinsecum, sed totum in ipso agente agitur. De prima ergo actione manifestum est quod non potest esse ipsum esse agentis, nam esse agentis significatur intra ipsum, actio autem talis est effluxus in actum ab agente. Secunda autem actio de sui ratione habet infinitatem, vel simpliciter, vel secundum quid. Simpliciter quidem, sicut intelligere, cuius obiectum est verum, et velle, cuius obiectum est bonum, quorum utrumque convertitur cum ente; et ita intelligere et velle, quantum est de se, habent se ad omnia; et utrumque recipit speciem ab obiecto. Secundum quid autem infinitum est sentire, quod se habet ad omnia sensibilia, sicut visus ad omnia visibilia. Esse autem cuiuslibet creaturae est determinatum ad unum secundum genus et speciem, esse autem solius Dei est simpliciter infinitum, in se omnia comprehendens, ut dicit Dionysius, V cap. de Div. Nom. Unde solum esse divinum est suum intelligere et suum velle.

 

[30686] Iª q. 54 a. 2 co.
RISPONDO: Né l'operazione degli angeli, né quella di alcuna altra creatura, è il loro essere. Ci sono infatti, come insegna Aristotele, due generi di azioni. Una è quella che passa su di un soggetto esterno, causando in esso una passione: p. es., bruciare e segare.
L'altra è quella che non passa su un oggetto esterno, ma rimane nell'agente stesso: come sentire, intendere e volere; queste azioni infatti non influiscono in qualche cosa di estrinseco, ma si compiono totalmente nel soggetto operante. - Ora, quanto alla prima è chiaro che l'azione non può identificarsi con l'essere: perché l'essere dell'operante rimane dentro di esso, mentre tale azione dal soggetto passa nell'opera. La seconda poi ha di per se stessa un'infinità o assoluta [simpliciter], o relativa [secundum quid]. Infinita assoluta è quella dell'intendere, che ha per oggetto il vero, e quella del volere, che ha per oggetto il bene: entrambi questi oggetti sono convertibili con l'ente; perciò l'intendere e il volere, considerati nella loro natura, si estendono a tutte le cose, e sia l'uno che l'altro sono specificati dall'oggetto. Infinità relativa invece è quella del sentire, che dice ordine a tutte le cose sensibili, come la vista dice ordine a tutte quelle visibili. Ora, l'essere di ogni creatura è determinato a un solo genere e a una sola specie: e soltanto l'essere di Dio è assolutamente infinito e abbraccia in sé tutte le cose, come insegna Dionigi. Dunque soltanto l'essere divino è la propria intellezione e il proprio volere.

[30687] Iª q. 54 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod vivere quandoque sumitur pro ipso esse viventis, quandoque vero pro operatione vitae, idest per quam demonstratur aliquid esse vivens. Et hoc modo philosophus dicit quod intelligere est vivere quoddam, ibi enim distinguit diversos gradus viventium secundum diversa opera vitae.

 

[30687] Iª q. 54 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Talvolta il termine vivere sta a indicare l'essere stesso del vivente; altre volte invece significa un'operazione vitale, quell'operazione cioè per cui si conosce che un essere è vivo. In questo senso il Filosofo afferma che intendere è vivere. Nel passo citato infatti egli distingue i vari gradi dei viventi secondo le diverse operazioni vitali.

[30688] Iª q. 54 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod ipsa essentia Angeli est ratio totius sui esse, non autem est ratio totius sui intelligere, quia non omnia intelligere potest per suam essentiam. Et ideo secundum propriam rationem, inquantum est talis essentia, comparatur ad ipsum esse Angeli. Sed ad eius intelligere comparatur secundum rationem universalioris obiecti, scilicet veri vel entis. Et sic patet quod, licet sit eadem forma, non tamen secundum eandem rationem est principium essendi et intelligendi. Et propter hoc non sequitur quod in Angelo sit idem esse et intelligere.

 

[30688] Iª q. 54 a. 2 ad 2
2. L'essenza dell'angelo è principio causale di tutto il suo essere, non lo è invece di tutta la sua conoscenza, perché l'angelo non è in grado di conoscere tutte le cose per mezzo della sua essenza. Perciò, l'essenza in forza della propria natura, in quanto è tale essenza, ha come corrispettivo l'essere dell'angelo. Invece dice ordine all’intellezione dell'angelo in quanto si considera sotto un aspetto più universale, ossia in quanto vero o ente. È chiaro quindi che, pur trattandosi della stessa forma, questa non è principio dell'essere e dell'intendere sotto un medesimo aspetto. Non ne segue perciò che nell'angelo l'essere e l'intendere siano la stessa cosa.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro facoltà conoscitiva > Se la potenza intellettiva dell'angelo sia la di lui essenza


Prima pars
Quaestio 54
Articulus 3

[30689] Iª q. 54 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod virtus vel potentia intellectiva in Angelo non sit aliud quam sua essentia. Mens enim et intellectus nominant potentiam intellectivam. Sed Dionysius in pluribus locis suorum librorum, nominat ipsos Angelos intellectus et mentes. Ergo Angelus est sua potentia intellectiva.

 
Prima parte
Questione 54
Articolo 3

[30689] Iª q. 54 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la virtù o potenza conoscitiva dell'angelo non sia altro che la di lui essenza. Infatti:
1. I termini mente e intelletto significano la potenza intellettiva. Ora Dionigi, in molti passi delle sue opere, chiama gli angeli menti o intelletti. Dunque l'angelo è la propria potenza intellettiva.

[30690] Iª q. 54 a. 3 arg. 2
Praeterea, si potentia intellectiva in Angelo est aliquid praeter eius essentiam, oportet quod sit accidens, hoc enim dicimus esse accidens alicuius, quod est praeter eius essentiam. Sed forma simplex subiectum esse non potest, ut Boetius dicit, in libro de Trin. Ergo Angelus non esset forma simplex, quod est contra praemissa.

 

[30690] Iª q. 54 a. 3 arg. 2
2. Se la potenza intellettiva dell'angelo è altra cosa che la di lui essenza, dovrà essere un accidente: dicesi infatti accidente di una cosa ciò che si sovrappone all'essenza. Ora, come fa osservare Boezio, «la forma semplice non può essere soggetto». Quindi l'angelo, contrariamente a quanto è stato detto sopra, non sarebbe una forma semplice.

[30691] Iª q. 54 a. 3 arg. 3
Praeterea, Augustinus dicit, XII Confess., quod Deus fecit angelicam naturam prope se, materiam autem primam prope nihil, ex quo videtur quod Angelus sit simplicior quam materia prima, utpote Deo propinquior. Sed materia prima est sua potentia. Ergo multo magis Angelus est sua potentia intellectiva.

 

[30691] Iª q. 54 a. 3 arg. 3
3. S. Agostino dice che Dio ha fatto la natura angelica «vicina a sé», e la materia prima «vicina al nulla»: è chiaro perciò che l'angelo, come più vicino a Dio, è più semplice della materia prima. Ora, la materia prima è la sua potenza. Dunque a maggior ragione l'angelo deve essere la sua potenza intellettiva.

[30692] Iª q. 54 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Dionysius dicit, XI cap. Angel. Hier., quod Angeli dividuntur in substantiam, virtutem et operationem. Ergo aliud est in eis substantia, et aliud virtus, et aliud operatio.

 

[30692] Iª q. 54 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Dionigi insegna che l'angelo «si divide in sostanza, virtù e operazione». Dunque negli angeli la sostanza non si identifica con la virtù e con l'operazione.

[30693] Iª q. 54 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod nec in Angelo nec in aliqua creatura, virtus vel potentia operativa est idem quod sua essentia. Quod sic patet. Cum enim potentia dicatur ad actum, oportet quod secundum diversitatem actuum sit diversitas potentiarum, propter quod dicitur quod proprius actus respondet propriae potentiae. In omni autem creato essentia differt a suo esse, et comparatur ad ipsum sicut potentia ad actum, ut ex supra dictis patet. Actus autem ad quem comparatur potentia operativa, est operatio. In Angelo autem non est idem intelligere et esse, nec aliqua alia operatio aut in ipso aut in quocumque alio creato, est idem quod eius esse. Unde essentia Angeli non est eius potentia intellectiva, nec alicuius creati essentia est eius operativa potentia.

 

[30693] Iª q. 54 a. 3 co.
RISPONDO: Nell'angelo, come in ogni altra creatura, la virtù o potenza operativa non si identifica con l'essenza. Ed eccone la prova. La potenza è ordinata all'atto, bisogna perciò distinguere le diversa potenze secondo la diversità degli atti; appunto per tale ragione si dice che l'atto corrisponde alla propria potenza. Ora, si è già visto che in ogni creatura l'essenza non si identifica con l'essere, al quale viene ordinata come potenza al suo atto. Mentre l’atto a cui è ordinata la potenza operativa è l'operazione. E nell'angelo l'intellezione non s'identifica con l'essere, come pure non s'identifica con l'essere alcun'altra operazione; il che vale tanto per l'angelo che per qualsiasi altra creatura. Quindi l'essenza dell'angelo non è la di lui potenza intellettiva. Del resto nessuna essenza di cose create è la potenza operativa delle medesime.

[30694] Iª q. 54 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Angelus dicitur intellectus et mens, quia tota eius cognitio est intellectualis. Cognitio autem animae partim est intellectualis, et partim sensitiva.

 

[30694] Iª q. 54 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'angelo viene chiamato intelletto e mente, perché tutta la sua cognizione o di ordine intellettivo. La cognizione dell'anima, invece, è in parte intellettiva e in parte sensitiva.

[30695] Iª q. 54 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod forma simplex quae est actus purus, nullius accidentis potest esse subiectum, quia subiectum comparatur ad accidens ut potentia ad actum. Et huiusmodi est solus Deus. Et de tali forma loquitur ibi Boetius. Forma autem simplex quae non est suum esse, sed comparatur ad ipsum ut potentia ad actum, potest esse subiectum accidentis, et praecipue eius quod consequitur speciem, huiusmodi enim accidens pertinet ad formam (accidens vero quod est individui, non consequens totam speciem, consequitur materiam, quae est individuationis principium). Et talis forma simplex est Angelus.

 

[30695] Iª q. 54 a. 3 ad 2
2. La forma semplice, che è atto puro, non può essere soggetto di alcun accidente: poiché il soggetto rispetto all'accidente è come una potenza rispetto al proprio atto. Orbene, [forma] di tale natura è soltanto Dio. E di questa forma parla Boezio nel passo citato. - Invece la forma semplice, che non è il proprio essere, ma che ad esso corrisponde come potenza ad atto, può essere soggetto di accidenti, e soprattutto di quell'accidente che è proprio della specie: tale accidente infatti appartiene alla forma ( - mentre gli accidenti individuali, quelli cioè che non si estendono a tutta la specie, derivano dalla materia, che è principio d'individuazione). E l'angelo è appunto una forma semplice in questa maniera.

[30696] Iª q. 54 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod potentia materiae est ad ipsum esse substantiale, et non potentia operativa, sed ad esse accidentale. Unde non est simile.

 

[30696] Iª q. 54 a. 3 ad 3
3. La potenza della materia dice ordine all'essere sostanziale: non così la potenza operativa, che è in correlazione con l'essere accidentale. Il confronto perciò non regge.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro facoltà conoscitiva > Se nell'angelo vi siano l'intelletto agente e l'intelletto possibile


Prima pars
Quaestio 54
Articulus 4

[30697] Iª q. 54 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod in Angelo sit intellectus agens et possibilis. Dicit enim philosophus, in III de anima, quod sicut in omni natura est aliquid quo est omnia fieri, et aliquid quo est omnia facere, ita etiam in anima. Sed Angelus est natura quaedam. Ergo in eo est intellectus agens et possibilis.

 
Prima parte
Questione 54
Articolo 4

[30697] Iª q. 54 a. 4 arg. 1
SEMBRA che nell'angelo vi siano l'intelletto agente e quello possibile. Infatti:
1. Dice il Filosofo: «come in ogni natura, così nell'anima, c'è qualche cosa per cui può diventare tutti gli esseri, e c’è un'altra cosa per cui può far divenire ogni altro essere». Ma l'angelo è una natura. Dunque nell'angelo vi è l'intelletto agente e l'intelletto possibile.

[30698] Iª q. 54 a. 4 arg. 2
Praeterea, recipere est proprium intellectus possibilis, illuminare autem est proprium intellectus agentis, ut patet in III de anima. Sed Angelus recipit illuminationem a superiori, et illuminat inferiorem. Ergo in eo est intellectus agens et possibilis.

 

[30698] Iª q. 54 a. 4 arg. 2
2. Ricevere è proprio dell'intelletto possibile, mentre illuminare è proprio dell'intelletto agente, come Aristotele dimostra. Ora, l'angelo riceve l'illuminazione dell'angelo superiore e illumina l'inferiore. Dunque in lui c’è l'intelletto agente e quello possibile.

[30699] Iª q. 54 a. 4 s. c.
Sed contra est quod in nobis intellectus agens et possibilis est per comparationem ad phantasmata; quae quidem comparantur ad intellectum possibilem ut colores ad visum, ad intellectum autem agentem ut colores ad lumen, ut patet ex III de anima. Sed hoc non est in Angelo. Ergo in Angelo non est intellectus agens et possibilis.

 

[30699] Iª q. 54 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Ci sono in noi l'intelletto agente e l'intelletto possibile a motivo dei fantasmi, i quali, al dire di Aristotele, in rapporto all’intelletto possibile sono come i colori rispetto alla vista, e in rapporto all’intelletto agente sono come i colori rispetto alla luce. Ma tutto questo non si riscontra nell'angelo. Dunque nell'angelo non ci sono l'intelletto agente e l'intelletto possibile.

[30700] Iª q. 54 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod necessitas ponendi intellectum possibilem in nobis, fuit propter hoc, quod nos invenimur quandoque intelligentes in potentia et non in actu, unde oportet esse quandam virtutem, quae sit in potentia ad intelligibilia ante ipsum intelligere, sed reducitur in actum eorum cum fit sciens, et ulterius cum fit considerans. Et haec virtus vocatur intellectus possibilis. Necessitas autem ponendi intellectum agentem fuit, quia naturae rerum materialium, quas nos intelligimus, non subsistunt extra animam immateriales et intelligibiles in actu, sed sunt solum intelligibiles in potentia, extra animam existentes, et ideo oportuit esse aliquam virtutem, quae faceret illas naturas intelligibiles actu. Et haec virtus dicitur intellectus agens in nobis. Utraque autem necessitas deest in Angelis. Quia neque sunt quandoque intelligentes in potentia tantum, respectu eorum quae naturaliter intelligunt, neque intelligibilia eorum sunt intelligibilia in potentia, sed in actu; intelligunt enim primo et principaliter res immateriales, ut infra patebit. Et ideo non potest in eis esse intellectus agens et possibilis, nisi aequivoce.

 

[30700] Iª q. 54 a. 4 co.
RISPONDO: La necessità di ammettere in noi un intelletto possibile è derivata dal fatto che non sempre noi siamo intelligenti in atto ma solo in potenza: ci deve essere quindi una certa virtù, la quale prima dell'intellezione sia in potenza rispetto alle cose intelligibili, e che viene posta in atto, relativamente ad esse, quando ne acquista la scienza, e ulteriormente quando pensa ad esse. Questa virtù è chiamata intelletto possibile. - La necessità poi di ammettere un intelletto agente fu causata dal fatto che le essenze delle cose materiali, che formano l'oggetto della nostra intelligenza, fuori dell'anima non esistono come attualmente immateriali e intelligibili, ma [fuori dell'anima] sono intelligibili soltanto in potenza: ci vuole quindi una facoltà la quale renda intelligibili attualmente tali essenze. E questa nostra facoltà viene chiamata intelletto agente.
Ora, negli angeli manca questa doppia necessità. Gli angeli, infatti, né sono mai in potenza rispetto a quelle cose che naturalmente conoscono, né i loro propri oggetti intelligibili sono intelligibili in potenza, bensì in atto, poiché, come si vedrà in seguito, essi intendono in primo luogo e principalmente le cose immateriali. Perciò non può esserci in essi l'intelletto agente e quello possibile, se non in senso metaforico.

[30701] Iª q. 54 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod philosophus intelligit ista duo esse in omni natura in qua contingit esse generari vel fieri, ut ipsa verba demonstrant. In Angelo autem non generatur scientia, sed naturaliter adest. Unde non oportet ponere in eis agens et possibile.

 

[30701] Iª q. 54 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Filosofo, come risulta dalle sue stesse parole, intendi; dire che vi sono quelle due cose in tutte le nature soggette alla generazione, ovvero al divenire. Ora, nell'angelo la scienza non viene generata, ma vi si trova naturalmente.
Perciò non è necessario ammettere in essi l'intelletto agente e quello possibile.

[30702] Iª q. 54 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod intellectus agentis est illuminare non quidem alium intelligentem, sed intelligibilia in potentia, inquantum per abstractionem facit ea intelligibilia actu. Ad intellectum autem possibilem pertinet esse in potentia respectu naturalium cognoscibilium, et quandoque fieri actu. Unde quod Angelus illuminat Angelum, non pertinet ad rationem intellectus agentis. Neque ad rationem intellectus possibilis pertinet, quod illuminatur de supernaturalibus mysteriis, ad quae cognoscenda quandoque est in potentia. Si quis autem velit haec vocare intellectum agentem et possibilem, aequivoce dicet, nec de nominibus est curandum.

 

[30702] Iª q. 54 a. 4 ad 2
2. Il compito dell'intelletto agente non è quello di illuminare un altro essere intelligente, ma di illuminare degli oggetti che sono intelligibili in potenza, rendendoli attualmente intelligibili per mezzo dell'astrazione. Il compito poi dell'intelletto possibile è quello di essere in potenza a [conoscere] oggetti naturalmente conoscibili, rispetto ai quali viene finalmente attuato. Perciò l'illuminazione di un angelo da parte di un altro angelo non ha nulla a che vedere con l'intelletto agente. E non ha niente a che vedere con l'intelletto possibile il fatto che l'angelo talora viene illuminato sui misteri soprannaturali, che per un certo tempo era solo in potenza a conoscere. Se poi qualcuno vorrà chiamare tutto questo intelletto agente e possibile, avremo delle espressioni metaforiche: ma non dobbiamo far questioni di parole.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La loro facoltà conoscitiva > Se negli angeli vi sia soltanto la cognizione intellettiva


Prima pars
Quaestio 54
Articulus 5

[30703] Iª q. 54 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod in Angelis non sit sola intellectiva cognitio. Dicit enim Augustinus, VIII de Civ. Dei, quod in Angelis est vita quae intelligit et sentit. Ergo in eis est potentia sensitiva.

 
Prima parte
Questione 54
Articolo 5

[30703] Iª q. 54 a. 5 arg. 1
SEMBRA che negli angeli non vi sia soltanto la cognizione intellettiva, Infatti:
1. S. Agostino dice che negli angeli c’è «la vita che intende e che sente». Dunque vi sono in essi le potenze sensitive.

[30704] Iª q. 54 a. 5 arg. 2
Praeterea, Isidorus dicit quod Angeli multa noverunt per experientiam. Experientia autem fit ex multis memoriis, ut dicitur in I Metaphys. Ergo in eis est etiam memorativa potentia.

 

[30704] Iª q. 54 a. 5 arg. 2
2. S. Isidoro afferma che gli angeli apprendono molte cose per esperienza. Ora, l'esperienza, come insegna Aristotele, è il risultato di molti ricordi. Quindi gli angeli hanno la facoltà della memoria.

[30705] Iª q. 54 a. 5 arg. 3
Praeterea, Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom., quod in Daemonibus est phantasia proterva. Phantasia autem ad vim imaginativam pertinet. Ergo in Daemonibus est vis imaginativa. Et eadem ratione in Angelis, quia sunt eiusdem naturae.

 

[30705] Iª q. 54 a. 5 arg. 3
3. Insegna Dionigi che nei demoni vi è «una fantasia proterva». Ora, la fantasia si riduce all’immaginativa. Dunque i demoni hanno la potenza immaginativa. E la ragione vale anche per gli angeli, essendo essi della stessa natura.

[30706] Iª q. 54 a. 5 s. c.
Sed contra est quod Gregorius dicit, in homilia de ascensione, quod homo sentit cum pecoribus, et intelligit cum Angelis.

 

[30706] Iª q. 54 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio fa osservare che l'uomo «ha il sentire in comune con i bruti, e ha l'intendere in comune con gli angeli».

[30707] Iª q. 54 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod in anima nostra sunt quaedam vires, quarum operationes per organa corporea exercentur, et huiusmodi vires sunt actus quarundam partium corporis, sicut est visus in oculo, et auditus in aure. Quaedam vero vires animae nostrae sunt, quarum operationes per organa corporea non exercentur, ut intellectus et voluntas, et huiusmodi non sunt actus aliquarum partium corporis. Angeli autem non habent corpora sibi naturaliter unita, ut ex supra dictis patet. Unde de viribus animae non possunt eis competere nisi intellectus et voluntas. Et hoc etiam Commentator dicit, XII Metaphys., quod substantiae separatae dividuntur in intellectum et voluntatem. Et hoc convenit ordini universi, ut suprema creatura intellectualis sit totaliter intellectiva; et non secundum partem, ut anima nostra. Et propter hoc etiam Angeli vocantur intellectus et mentes, ut supra dictum est.

 

[30707] Iª q. 54 a. 5 co.
RISPONDO: Nella nostra anima ci sono alcune facoltà le cui operazioni si compiono per mezzo di organi corporei. Tali facoltà sono perfezioni di determinate parti del corpo: la vista, p. es., lo è dell'occhio, e l'udito dell'orecchio. Vi sono invece nella nostra anima certe altre facoltà, come la volontà e l'intelligenza, le cui operazioni non sono compiute per mezzo di organi corporei: e tali facoltà non sono perfezioni di nessuna parte del corpo. Ora, gli angeli, come si è visto, non sono uniti naturalmente a dei corpi. Perciò di tutte le facoltà dell'anima non possono avere che l'intelligenza e la volontà. E ciò corrisponde a quanto dice il Commentatore, quando afferma che le sostanze separate constano di intelletto e di volontà. - Del resto è anche conforme all'ordine dell'universo che la suprema creatura intellettiva sia totalmente intellettiva, e non in parte soltanto, come l'anima nostra. - Ed è appunto per questo che gli angeli sono chiamati Intelligenze e Menti, come si è detto più sopra.

[30708] Iª q. 54 a. 5 ad 1
Ad ea vero quae in contrarium obiiciuntur, potest dupliciter responderi. Uno modo, quod auctoritates illae loquuntur secundum opinionem illorum qui posuerunt Angelos et Daemones habere corpora naturaliter sibi unita. Qua opinione frequenter Augustinus in libris suis utitur, licet eam asserere non intendat, unde dicit, XXI de Civ. Dei, quod super hac inquisitione non est multum laborandum. Alio modo potest dici, quod auctoritates illae, et consimiles, sunt intelligendae per quandam similitudinem. Quia cum sensus certam apprehensionem habeat de proprio sensibili, est in usu loquentium ut etiam secundum certam apprehensionem intellectus aliquid sentire dicamur. Unde etiam sententia nominatur. Experientia vero Angelis attribui potest per similitudinem cognitorum, etsi non per similitudinem virtutis cognoscitivae. Est enim in nobis experientia, dum singularia per sensum cognoscimus, Angeli autem singularia cognoscunt, ut infra patebit, sed non per sensum. Sed tamen memoria in Angelis potest poni, secundum quod ab Augustino ponitur in mente; licet non possit eis competere secundum quod ponitur pars animae sensitivae. Similiter dicendum quod phantasia proterva attribuitur Daemonibus, ex eo quod habent falsam practicam existimationem de vero bono, deceptio autem in nobis proprie fit secundum phantasiam, per quam interdum similitudinibus rerum inhaeremus sicut rebus ipsis, ut patet in dormientibus et amentibus.

 

[30708] Iª q. 54 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: Alle difficoltà si può rispondere in due modi. Primo, che gli autori citati parlano conforme all'opinione di coloro per i quali gli angeli e i demoni sarebbero uniti naturalmente a dei corpi. Della quale opinione S. Agostino si serve spesso nelle sue opere, per quanto non intenda farla sua. Infatti egli fa osservare che «non è necessario interessarsi troppo di questo argomento».
Secondo, [possiamo rispondere] che siffatte espressioni ed altre consimili vanno intese nel senso di una certa analogia. Infatti poiché i sensi colgono con un'apprensione certa il proprio oggetto sensibile, si usa dire che sentiamo qualche cosa quando ne abbiamo un'apprensione intellettiva certa. Di qui è nato il termine sentenza. - L'esperienza poi viene attribuita agli angeli non già in forza di un'analogia tra facoltà conoscitive, ma per un'analogia tra oggetti conosciuti. Noi infatti abbiamo l'esperienza delle cose quando, per mezzo dei sensi, le conosciamo nella loro singolarità [e concretezza]. Ora gli angeli, come vedremo, conoscono anch'essi i singolari, ma non per mezzo dei sensi. Però si può ammettere la memoria negli angeli, nel senso in cui S. Agostino l'ammette nella mente; ma non si può ammettere in essi quella memoria che fa parte dell'anima sensitiva. - Lo stesso si dica della fantasia proterva, che viene attribuita ai demoni per il fatto che hanno un falso giudizio pratico sul vero bene. Sta il fatto che in noi l'inganno è causato propriamente dalla fantasia, la quale talora ci fa scambiare le immagini delle cose per le cose stesse, come è evidente nel sonno e nella pazzia.

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