I, 48

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Pluralità e diversità delle cose in particolare


Prima pars
Quaestio 48
Prooemium

[30462] Iª q. 48 pr.
Deinde considerandum est de distinctione rerum in speciali. Et primo, de distinctione boni et mali; deinde de distinctione spiritualis et corporalis creaturae. Circa primum, quaerendum est de malo; et de causa mali. Circa malum quaeruntur sex. Primo, utrum malum sit natura aliqua. Secundo, utrum malum inveniatur in rebus. Tertio, utrum bonum sit subiectum mali. Quarto, utrum malum totaliter corrumpat bonum. Quinto, de divisione mali per poenam et culpam. Sexto, quid habeat plus de ratione mali, utrum poena vel culpa.

 
Prima parte
Questione 48
Proemio

[30462] Iª q. 48 pr.
Veniamo ora a trattare della pluralità delle cose in particolare. E prima di tutto della distinzione tra bene e male; e poi della distinzione tra creature spirituali e materiali. Sul primo tema imposteremo le questioni del male, e della causa del male.
A proposito del male poniamo sei quesiti:

1. Se il male sia una entità positiva;
2. Se il male si trovi nelle cose;
3. Se il bene sia il subietto del male;
4. Se il male corrompa totalmente il bene;
5. Sulla divisione del male in pena e colpa;
6. Se abbia di più l'aspetto di male, la pena o la colpa.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Pluralità e diversità delle cose in particolare > Se il male sia una entità positiva


Prima pars
Quaestio 48
Articulus 1

[30463] Iª q. 48 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod malum sit natura quaedam. Quia omne genus est natura quaedam. Sed malum est quoddam genus, dicitur enim in praedicamentis, quod bonum et malum non sunt in genere, sed sunt genera aliorum. Ergo malum est natura quaedam.

 
Prima parte
Questione 48
Articolo 1

[30463] Iª q. 48 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il male sia una entità positiva. Infatti:
1. Ogni genere costituisce una entità positiva. Ora, il male è un genere; infatti Aristotele dice che "il bene e il male non entrano in un genere, ma sono essi generi delle altre cose". Dunque il male è qualche cosa di positivo.

[30464] Iª q. 48 a. 1 arg. 2
Praeterea, omnis differentia constitutiva alicuius speciei est natura quaedam. Malum autem est differentia constitutiva in moralibus, differt enim specie malus habitus a bono, ut liberalitas ab illiberalitate. Ergo malum significat naturam quandam.

 

[30464] Iª q. 48 a. 1 arg. 2
2. Ogni differenza costitutiva di una specie è una certa entità positiva. E il male è una differenza costitutiva in morale: infatti una qualità cattiva differisce specificamente da una buona, come la liberalità dalla taccagneria. Quindi il male sta a significare una entità positiva.

[30465] Iª q. 48 a. 1 arg. 3
Praeterea, utrumque contrariorum est natura quaedam. Sed malum et bonum non opponuntur ut privatio et habitus, sed ut contraria, ut probat philosophus, in praedicamentis, per hoc quod inter bonum et malum est aliquid medium, et a malo potest fieri reditus ad bonum. Ergo malum significat naturam quandam.

 

[30465] Iª q. 48 a. 1 arg. 3
3. Se abbiamo due contrari, l'uno e l'altro sono delle entità positive. Ora, il male e il bene non si oppongono tra loro come la privazione e il possesso [di una cosa], ma come due contrari: e lo dimostra Aristotele dal fatto che fra il bene e il male esiste qualche cosa d'intermedio, e che dal male si può far ritorno al bene. Perciò il male sta a indicare una certa entità positiva.

[30466] Iª q. 48 a. 1 arg. 4
Praeterea, quod non est, non agit. Sed malum agit, quia corrumpit bonum. Ergo malum est quoddam ens, et natura quaedam.

 

[30466] Iª q. 48 a. 1 arg. 4
4. Ciò che non è, non opera. Il male invece opera: poiché corrompe il bene. Dunque il male è un ente, e qualcosa di positivo.

[30467] Iª q. 48 a. 1 arg. 5
Praeterea, ad perfectionem universitatis rerum non pertinet nisi quod est ens et natura quaedam. Sed malum pertinet ad perfectionem universitatis rerum, dicit enim Augustinus, in Enchirid., quod ex omnibus consistit universitatis admirabilis pulchritudo; in qua etiam illud quod malum dicitur, bene ordinatum, et suo loco positum, eminentius commendat bona. Ergo malum est natura quaedam.

 

[30467] Iª q. 48 a. 1 arg. 5
5. Alla perfezione dell'universo non concorre altro che quanto è ente e realtà positiva. Ora il male concorre alla perfezione dell'universo: infatti S. Agostino dice che "l'ammirabile bellezza dell'universo è costituita da tutte le cose, e in essa persino quello che viene chiamato male, se è ordinato e messo al suo posto, mette meglio in evidenza il bene". Dunque il male è una entità positiva.

[30468] Iª q. 48 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom., malum non est existens neque bonum.

 

[30468] Iª q. 48 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Dionigi afferma: "Il male non è una natura esistente e neppure è un bene".

[30469] Iª q. 48 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod unum oppositorum cognoscitur per alterum, sicut per lucem tenebra. Unde et quid sit malum, oportet ex ratione boni accipere. Diximus autem supra quod bonum est omne id quod est appetibile, et sic, cum omnis natura appetat suum esse et suam perfectionem, necesse est dicere quod esse et perfectio cuiuscumque naturae rationem habeat bonitatis. Unde non potest esse quod malum significet quoddam esse, aut quandam formam seu naturam. Relinquitur ergo quod nomine mali significetur quaedam absentia boni. Et pro tanto dicitur quod malum neque est existens nec bonum, quia cum ens, inquantum huiusmodi, sit bonum, eadem est remotio utrorumque.

 

[30469] Iª q. 48 a. 1 co.
RISPONDO: Se troviamo due cose opposte tra loro, l'una si conosce per mezzo dell'altra, p. es., le tenebre per mezzo della luce. Quindi bisogna capire che cosa sia il male dalla nozione del bene. Si disse sopra che il bene è tutto ciò che è appetibile: e quindi siccome ogni natura desidera il proprio essere e la propria perfezione, è necessario affermare che l'essere e la perfezione di tutte le creature si presentano come un bene. Perciò non è possibile che il male indichi un qualsiasi essere, oppure una realtà o forma positiva. Rimane dunque che col termine male si indica una carenza di bene. - Per questo si dice che "il male non è esistente, e neppure è un bene": perché siccome l'ente, in quanto tale, è bene, se eliminiamo l'una cosa eliminiamo anche l'altra.

[30470] Iª q. 48 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Aristoteles ibi loquitur secundum opinionem Pythagoricorum, qui malum existimabant esse naturam quandam, et ideo ponebant bonum et malum genera. Consuevit enim Aristoteles, et praecipue in libris logicalibus, ponere exempla quae probabilia erant suo tempore, secundum opinionem aliquorum philosophorum. Vel dicendum, sicut dicit philosophus in X Metaphys., quod prima contrarietas est habitus et privatio, quia scilicet in omnibus contrariis salvatur, cum semper unum contrariorum sit imperfectum respectu alterius, ut nigrum respectu albi, et amarum respectu dulcis. Et pro tanto bonum et malum dicuntur genera, non simpliciter, sed contrariorum, quia sicut omnis forma habet rationem boni, ita omnis privatio, inquantum huiusmodi, habet rationem mali.

 

[30470] Iª q. 48 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTA: 1. Aristotele in quel brano parla secondo l'opinione dei Pitagorici, i quali ritenevano che il male fosse una entità positiva; e per questo consideravano come generi il bene e il male. Difatti Aristotele usava, specialmente nei libri di logica, portare degli esempi, che erano materia di ipotesi [probabili] ai suoi tempi, secondo l'opinione di alcuni filosofi. - Oppure si può rispondere con lo stesso Aristotele, che "la prima delle contrarietà si ha tra possesso e privazione": per il fatto, diciamo, che [queste due cose] si riscontrano in tutti i contrari avendo uno dei due contrari una carenza di perfezione rispetto all'altro, come il nero rispetto al bianco, e l'amaro rispetto al dolce. E quindi il bene e il male si possono chiamare generi non in senso rigoroso, ma [soltanto] relativamente al contrari; poiché come ogni forma riveste la natura di bene, cosi ogni privazione, in quanto tale, riveste quella di male.

[30471] Iª q. 48 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod bonum et malum non sunt differentiae constitutivae nisi in moralibus, quae recipiunt speciem ex fine, qui est obiectum voluntatis, a qua moralia dependent. Et quia bonum habet rationem finis, ideo bonum et malum sunt differentiae specificae in moralibus; bonum per se, sed malum inquantum est remotio debiti finis. Nec tamen remotio debiti finis constituit speciem in moralibus, nisi secundum quod adiungitur fini indebito, sicut neque in naturalibus invenitur privatio formae substantialis, nisi adiuncta alteri formae. Sic igitur malum quod est differentia constitutiva in moralibus, est quoddam bonum adiunctum privationi alterius boni, sicut finis intemperati est, non quidem carere bono rationis, sed delectabile sensus absque ordine rationis. Unde malum, inquantum malum, non est differentia constitutiva; sed ratione boni adiuncti.

 

[30471] Iª q. 48 a. 1 ad 2
2. Bene e male non sono differenze costitutive altro che per le azioni morali che ricevono la loro specie dal fine, che è oggetto della volontà, da cui dipendono. E poiché il bene riveste l'aspetto di fine, bene e male sono differenze specifiche per le azioni o per le qualità morali; il bene in forza di se stesso, il male in quanto è allontanamento dal debito fine. Tuttavia l'allontanamento dal debito fine non costituisce una specie nell'ordine morale, se non perché vi si aggiunge un fine indebito: come anche nell'ordine fisico non troviamo, mai una privazione di forma sostanziale, die non sia accompagnata da una nuova forma. Allo stesso modo il male, che è differenza costitutiva nell'ordine morale, è un certo bene che accompagna la privazione di un bene d'altro genere; p. es., il fine dell'intemperante non è già il mancare del bene conforme alla ragione, ma il piacere del senso, mancante dell'ordine razionale. Perciò il male non costituisce una differenza in quanto male; ma in forza del bene cui è annesso.

[30472] Iª q. 48 a. 1 ad 3
Et per hoc etiam patet responsio ad tertium. Nam ibi philosophus loquitur de bono et malo, secundum quod inveniuntur in moralibus. Sic enim inter bonum et malum invenitur medium, prout bonum dicitur quod est ordinatum; malum autem, quod non solum est deordinatum, sed etiam nocivum alteri. Unde dicit philosophus in IV Ethic., quod prodigus vanus quidem est, sed non malus. Ab hoc etiam malo quod est secundum morem, contingit fieri reditum ad bonum; non autem ex quocumque malo. Non enim ex caecitate fit reditus ad visionem, cum tamen caecitas sit malum quoddam.

 

[30472] Iª q. 48 a. 1 ad 3
3. Così è evidente anche la risposta [da darsi] alla terza difficoltà. Difatti in quel passo Aristotele parla del bene e del male nell'ordine morale. E in quest'ordine tra il bene e il male possiamo trovare qualche cosa di mezzo: poiché talora chiamiamo bene quello che è bene ordinato, e male non soltanto quello che è disordinato, ma che è anche nocivo ad altri. Per questo il nostro Filosofo potrà affermare che "il prodigo è bensì vano, ma non cattivo". - Così pure da questo male di ordine morale si può ritornare al bene, non già da qualsiasi male. Difatti dalla cecità non si può tornare ad aver la vista, eppure la cecità non è che un male.

[30473] Iª q. 48 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod aliquid agere dicitur tripliciter. Uno modo, formaliter, eo modo loquendi quo dicitur albedo facere album. Et sic malum, etiam ratione ipsius privationis, dicitur corrumpere bonum, quia est ipsa corruptio vel privatio boni. Alio modo dicitur aliquid agere effective, sicut pictor dicitur facere album parietem. Tertio modo, per modum causae finalis, sicut finis dicitur efficere, movendo efficientem. His autem duobus modis malum non agit aliquid per se, idest secundum quod est privatio quaedam, sed secundum quod ei bonum adiungitur, nam omnis actio est ab aliqua forma, et omne quod desideratur ut finis, est perfectio aliqua. Et ideo, ut Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom., malum non agit neque desideratur nisi virtute boni adiuncti; per se autem est infinitum, et praeter voluntatem et intentionem.

 

[30473] Iª q. 48 a. 1 ad 4
4. In tre modi si dice che una cosa può causare. Primo modo: come forma, e si dice allora che la bianchezza fa bianchi. In tal senso il male, anche in forza della privazione stessa, si dice che corrompe il bene: perché è la stessa corruzione o privazione del bene. Secondo modo: si dice che [il male] agisce come causa efficiente: diciamo, p. es., che l'imbianchino fa bianca una parete.
Terzo modo: come causa finale: in tal caso si dice che il fine opera, determinando la causa efficiente. Ora il male non agisce, in queste due ultime maniere, in forza di se stesso, cioè in quanto è una privazione, ma perché è connesso a un bene: infatti ogni azione deriva da una forma; e tutto ciò che viene desiderato come fine è una qualche perfezione. Per questo, come dice Dionigi, il male non agisce e non è desiderato se non in forza del bene che l'accompagna; ma di suo è "senza un fine", ed "estraneo alla volontà e all'intenzione".

[30474] Iª q. 48 a. 1 ad 5
Ad quintum dicendum quod, sicut supra dictum est, partes universi habent ordinem ad invicem, secundum quod una agit in alteram, et est finis alterius et exemplar. Haec autem, ut dictum est, non possunt convenire malo, nisi ratione boni adiuncti. Unde malum neque ad perfectionem universi pertinet, neque sub ordine universi concluditur, nisi per accidens, idest ratione boni adiuncti.

 

[30474] Iª q. 48 a. 1 ad 5
5. Come si è spiegato sopra, le parti dell'universo hanno un ordine reciproco, in quanto l'una agisce sull'altra ed è fine ed esemplare dell'altra. Ora queste cose, come si è detto, non possono convenire al male, se non in forza del bene connesso. Perciò il male non concorre alla perfezione del mondo, e non è incluso nell'ordine dell'universo, altro che indirettamente, cioè in ragione del bene che lo accompagna.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Pluralità e diversità delle cose in particolare > Se il male si trovi nelle cose


Prima pars
Quaestio 48
Articulus 2

[30475] Iª q. 48 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod malum non inveniatur in rebus. Quidquid enim invenitur in rebus, vel est ens aliquod, vel privatio entis alicuius, quod est non ens. Sed Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom., quod malum distat ab existente, et adhuc plus distat a non existente. Ergo malum nullo modo invenitur in rebus.

 
Prima parte
Questione 48
Articolo 2

[30475] Iª q. 48 a. 2 arg. 1
SEMBRA che il male non si trovi nelle cose [cioè nella realtà]. Infatti:
1. Tutto quello che si trova nelle cose è ente, oppure privazione di qualche entità, cioè non-ente. Ora Dionigi afferma che il male è lontano dall'esistere, ed è anche più lontano dal non esistere. Perciò il male non si trova in nessuna maniera nelle cose.

[30476] Iª q. 48 a. 2 arg. 2
Praeterea, ens et res convertuntur. Si ergo malum est ens in rebus, sequitur quod malum sit res quaedam. Quod est contra praedicta.

 

[30476] Iª q. 48 a. 2 arg. 2
2. Ente e cosa sono termini equivalenti. Se quindi il male esiste come ente nelle cose, ne segue che il male sia una realtà positiva. E ciò è contro quello che abbiamo dimostrato.

[30477] Iª q. 48 a. 2 arg. 3
Praeterea, albius est quod est nigro impermixtius, ut dicitur in III libro Topic. Aristotelis. Ergo et melius est quod est malo impermixtius. Sed Deus facit semper quod melius est, multo magis quam natura. Ergo in rebus a Deo conditis nihil malum invenitur.

 

[30477] Iª q. 48 a. 2 arg. 3
3. Come "più bianca", al dire di Aristotele "è quella cosa che ha minore mescolanza di nero", cosi migliore sarà quella che ha minore mescolanza di male. E siccome Dio, più ancora che la natura, produce sempre l'effetto migliore, nelle cose create da Dio non si trova male alcuno.

[30478] Iª q. 48 a. 2 s. c.
Sed contra est quod secundum hoc removerentur omnes prohibitiones et poenae, quae non sunt nisi malorum.

 

[30478] Iª q. 48 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: In base a questo [modo di ragionare] bisognerebbe eliminare le proibizioni e le pene; tutte cose che non hanno di mira altro che il male.

[30479] Iª q. 48 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, perfectio universi requirit inaequalitatem esse in rebus, ut omnes bonitatis gradus impleantur. Est autem unus gradus bonitatis ut aliquid ita bonum sit, quod nunquam deficere possit. Alius autem gradus bonitatis est, ut sic aliquid bonum sit, quod a bono deficere possit. Qui etiam gradus in ipso esse inveniuntur, quaedam enim sunt, quae suum esse amittere non possunt, ut incorporalia; quaedam vero sunt, quae amittere possunt, ut corporalia. Sicut igitur perfectio universitatis rerum requirit ut non solum sint entia incorruptibilia, sed etiam corruptibilia; ita perfectio universi requirit ut sint quaedam quae a bonitate deficere possint; ad quod sequitur ea interdum deficere. In hoc autem consistit ratio mali, ut scilicet aliquid deficiat a bono. Unde manifestum est quod in rebus malum invenitur, sicut et corruptio, nam et ipsa corruptio malum quoddam est.

 

[30479] Iª q. 48 a. 2 co.
RISPONDO: La perfezione dell'universo, come abbiamo già detto, esige che nelle cose ci siano delle disuguaglianze, affinchè si attuino tutte le gradazioni della bontà. Vi è dunque un primo grado di bontà, secondo il quale una data cosa è così buona da non poter mai avere deficienze. E vi è un secondo grado di bontà, per cui una cosa è buona, in maniera però da poter avere deficienze nel bene.
E queste disuguaglianze si riscontrano anche nell'essere: infatti ci sono delle cose che non possono perdere il proprio essere, come gli esseri incorporei; e ce ne sono altre che lo possono perdere, come le cose materiali. Ora come la perfezione dell'universo richiede che ci siano non soltanto degli esseri incorruttibili, ma anche quelli corruttibili; cosi questa stessa perfezione richiede che ci siano delle cose che possono subire deficienze nel bene; e da ciò deriva che di fatto alcune deficienze si verifichino. Ora in questo appunto consiste l'essenza del male, cioè nel fatto che una cosa subisce una deficienza di bene. E chiaro quindi che il male si trova nelle cose, come [vi si trova] la corruzione; infatti la stessa corruzione non è che uno dei tanti mali.

[30480] Iª q. 48 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod malum distat et ab ente simpliciter, et non ente simpliciter, quia neque est sicut habitus, neque sicut pura negatio, sed sicut privatio.

 

[30480] Iª q. 48 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ 1. Precisiamo: il male è ugualmente lontano dall'ente vero e proprio e dal non-ente; poiché non è una qualità e neppure è una semplice negazione, ma è una privazione.

[30481] Iª q. 48 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut dicitur in V Metaphys., ens dupliciter dicitur. Uno modo, secundum quod significat entitatem rei, prout dividitur per decem praedicamenta, et sic convertitur cum re. Et hoc modo, nulla privatio est ens, unde nec malum. Alio modo dicitur ens, quod significat veritatem propositionis, quae in compositione consistit, cuius nota est hoc verbum est, et hoc est ens quo respondetur ad quaestionem an est. Et sic caecitatem dicimus esse in oculo, vel quamcumque aliam privationem. Et hoc modo etiam malum dicitur ens. Propter huius autem distinctionis ignorantiam, aliqui, considerantes quod aliquae res dicuntur malae, vel quod malum dicitur esse in rebus, crediderunt quod malum esset res quaedam.

 

[30481] Iª q. 48 a. 2 ad 2
2. Come dice Aristotele, il termine ente si prende in due diversi significati. Primo, in quanto esprime la realtà delle cose, e si divide nei dieci predicamenti: equivale cosi al termine cosa. In questo senso nessuna privazione è un ente: e quindi neppure il male. Si usa poi il termine ente, in un secondo significato, cioè per indicare la verità di una preposizione che consiste nell'unione [di due termini'1 espressa col verbo è: e questa è l'entità che risponde [in tono affermativo] alla domanda se [una cosa qualsiasi] è o non è. In questo senso diciamo che nell'occhio c’è la cecità, o qualsiasi altra privazione. In tal senso anche il male si può chiamare ente. - Per non aver conosciuto questa distinzione alcuni, considerando che certi esseri si dicono cattivi, oppure che si afferma il male essere nelle cose, credettero che il male fosse una entità positiva.

[30482] Iª q. 48 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod Deus et natura, et quodcumque agens, facit quod melius est in toto; sed non quod melius est in unaquaque parte, nisi per ordinem ad totum, ut supra dictum est. Ipsum autem totum quod est universitas creaturarum, melius et perfectius est, si in eo sint quaedam quae a bono deficere possunt, quae interdum deficiunt, Deo hoc non impediente. Tum quia providentiae non est naturam destruere, sed salvare, ut Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom., ipsa autem natura rerum hoc habet, ut quae deficere possunt, quandoque deficiant. Tum quia, ut dicit Augustinus in Enchirid., Deus est adeo potens, quod etiam potest bene facere de malis. Unde multa bona tollerentur, si Deus nullum malum permitteret esse. Non enim generaretur ignis, nisi corrumperetur aer; neque conservaretur vita leonis, nisi occideretur asinus; neque etiam laudaretur iustitia vindicans, et patientia sufferens, si non esset iniquitas.

 

[30482] Iª q. 48 a. 2 ad 3
3. Dio, come la natura e qualsiasi altro agente, fanno quello che è meglio per il tutto, non quello che è meglio per ciascuna parte, se non in ordine al tutto. Ora, quel tutto, che è l'universo creato, è cosa migliore e più perfetta se vi si trovano delle cose che possono subire una minorazione di bontà, e che, non impedendolo Dio, effettivamente talora la subiscono; sia perché non è compito della Provvidenza distruggere la natura, ma custodirla, come osserva Dionigi: e la natura delle cose porta precisamente a questo, che quanto può venire meno, talora venga meno realmente; sia anche perché, come dice S. Agostino, Dio è così potente da saper trarre il bene anche dal male. Cosicché si eliminerebbero molte cose buone, se Dio non permettesse l'esistenza di nessun male. Infatti non si produrrebbe il fuoco, se non si corrompesse l'aria; né si conserverebbe la vita del leone, se non ci fosse l'uccisione dell'asino; e neppure si potrebbe lodare la giustizia punitiva, né la longanime pazienza [degli eroi e dei martiri] se non ci fosse l'iniquità.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Pluralità e diversità delle cose in particolare > Se il male si trovi nel bene


Prima pars
Quaestio 48
Articulus 3

[30483] Iª q. 48 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod malum non sit in bono sicut in subiecto. Omnia enim bona sunt existentia. Sed Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom., quod malum non est existens, neque in existentibus. Ergo malum non est in bono sicut in subiecto.

 
Prima parte
Questione 48
Articolo 3

[30483] Iª q. 48 a. 3 arg. 1
SEMBRA che il male non si trovi nel bene. Infatti:
1. Tutti i beni sono delle realtà esistenti. Invece Dionigi afferma che il male "non è esistente, e neppure si trova nelle cose esistenti". Dunque il male non si trova nel bene.

[30484] Iª q. 48 a. 3 arg. 2
Praeterea, malum non est ens, bonum vero est ens. Sed non ens non requirit ens, in quo sit sicut in subiecto. Ergo nec malum requirit bonum, in quo sit sicut in subiecto.

 

[30484] Iª q. 48 a. 3 arg. 2
2. Il male non è un ente, mentre il bene è un ente. Ma il non-ente non ha bisogno di un ente, in cui venir subiettato per esistere. Perciò neppure il male richiede di trovarsi nel bene.

[30485] Iª q. 48 a. 3 arg. 3
Praeterea, unum contrariorum non est subiectum alterius. Sed bonum et malum sunt contraria. Ergo malum non est in bono sicut in subiecto.

 

[30485] Iª q. 48 a. 3 arg. 3
3. L'uno dei contrari non è il subietto dell'altro. Ora, il bene e il male sono contrari. Quindi il male non si trova nel bene.

[30486] Iª q. 48 a. 3 arg. 4
Praeterea, id in quo est albedo sicut in subiecto, dicitur esse album. Ergo et id in quo est malum sicut in subiecto, est malum. Si ergo malum sit in bono sicut in subiecto, sequitur quod bonum sit malum, contra id quod dicitur Isai. V, vae, qui dicitis malum bonum, et bonum malum.

 

[30486] Iª q. 48 a. 3 arg. 4
4. La cosa su cui si trova subiettata la bianchezza si dice che è bianca. Perciò anche la cosa in cui si trova il male, è cattiva. Se, dunque il male si trova nel bene, ne segue che il bene è cattivo: in opposizione a quel che dice [il profeta] Isaia: "Guai a voi che dite male il bene e bene il male".

[30487] Iª q. 48 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in Enchirid., quod malum non est nisi in bono.

 

[30487] Iª q. 48 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino afferma che il male non si trova che nel bene stesso.

[30488] Iª q. 48 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, malum importat remotionem boni. Non autem quaelibet remotio boni malum dicitur. Potest enim accipi remotio boni et privative, et negative. Remotio igitur boni negative accepta, mali rationem non habet, alioquin sequeretur quod ea quae nullo modo sunt, mala essent; et iterum quod quaelibet res esset mala, ex hoc quod non habet bonum alterius rei, utpote quod homo esset malus, quia non habet velocitatem capreae, vel fortitudinem leonis. Sed remotio boni privative accepta, malum dicitur, sicut privatio visus caecitas dicitur. Subiectum autem privationis et formae est unum et idem, scilicet ens in potentia, sive sit ens in potentia simpliciter, sicut materia prima, quae est subiectum formae substantialis et privationis oppositae; sive sit ens in potentia secundum quid et in actu simpliciter, ut corpus diaphanum, quod est subiectum tenebrarum et lucis. Manifestum est autem quod forma per quam aliquid est actu, perfectio quaedam est, et bonum quoddam, et sic omne ens in actu, bonum quoddam est. Et similiter omne ens in potentia, inquantum huiusmodi, bonum quoddam est, secundum quod habet ordinem ad bonum, sicut enim est ens in potentia, ita et bonum in potentia. Relinquitur ergo quod subiectum mali sit bonum.

 

[30488] Iª q. 48 a. 3 co.
RISPONDO: Come abbiamo spiegato, il male importa una carenza di bene. Ma non ogni mancanza di bene si dice male; poiché la carenza di bene si può prendere come privazione o come negazione.
Ora, l'assenza del bene, presa come negazione, non riveste l'aspetto di male: altrimenti se ne dovrebbe dedurre che una cosa la quale non esiste affatto sia male; e ancora, che sarebbe cattiva qualsiasi cosa, dal momento che non ha il bene di un'altra, cosicché l'uomo sarebbe cattivo perché non ha la velocità del capriolo, o la forza del leone. Invece si chiama male la carenza del bene che si presenta come privazione: allo stesso modo che chiamiamo cecità la privazione della vista. Ora la privazione e la forma [positiva corrispondente] hanno un identico subietto, cioè l'ente potenziale: sia esso del tutto potenziale come la materia prima, che è il subietto della forma sostanziale e dell'opposta privazione; sia un ente potenziale riguardo agli accidenti e attuale per la sostanza, come un corpo diafano [p. es., l'aria], subietto [successivamente] delle tenebre e della luce. Ora è evidente che la forma, dalla quale dipende l'attualità di una cosa, è una perfezione e un bene: cosicché ogni ente in atto è un certo bene. Non solo, ma ogni ente in potenza, in quanto tale, è un certo bene, perché è ordinato al bene: infatti nella misura che è ente in potenza è anche bene in potenza. Perciò rimane provato che il bene è il soggetto in cui il male si trova.

[30489] Iª q. 48 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Dionysius intelligit malum non esse in existentibus sicut partem, aut sicut proprietatem naturalem alicuius existentis.

 

[30489] Iª q. 48 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dionigi vuol dire che il male non si trova nelle cose esistenti come parte, o come proprietà dovuta per natura a qualche realtà esistente.

[30490] Iª q. 48 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod non ens negative acceptum non requirit subiectum. Sed privatio est negatio in subiecto, ut dicitur in IV Metaphys., et tale non ens est malum.

 

[30490] Iª q. 48 a. 3 ad 2
2. Il non-ente, preso in senso puramente negativo, non richiede certo un subietto. Ma la privazione è una negazione in un subietto, come dice Aristotele; e il male è un non-ente di questo genere.

[30491] Iª q. 48 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod malum non est sicut in subiecto in bono quod ei opponitur, sed in quodam alio bono, subiectum enim caecitatis non est visus, sed animal. Videtur tamen, ut Augustinus dicit, hic fallere dialecticorum regula, quae dicit contraria simul esse non posse. Hoc tamen intelligendum est secundum communem acceptionem boni et mali, non autem secundum quod specialiter accipitur hoc bonum et hoc malum. Album autem et nigrum, dulce et amarum, et huiusmodi contraria, non accipiuntur nisi specialiter, quia sunt in quibusdam generibus determinatis. Sed bonum circuit omnia genera, unde unum bonum potest simul esse cum privatione alterius boni.

 

[30491] Iª q. 48 a. 3 ad 3
3. Il male non ha per subietto precisamente quel bene, che è il suo contrario, ma qualche altro bene: p. es., il subietto della cecità non è la vista, ma l'animale. - Tuttavia può sembrare, come dice S. Agostino, che qui venga meno quella regola di logica, la quale dice che "i contrari non possono stare insieme". L'asserzione è giusta se si considera il bene e il male da un punto di vista generico: mentre non [lo è affatto] se si prende in particolare questo bene e questo male. Difatti il bianco e il nero, il dolce e l'amaro e altri simili contrari sono considerati come cose particolari: poiché li troviamo entro determinati generi. Invece il bene abbraccia tutti i generi: e quindi un dato bene può stare insieme con la privazione di un bene di altro genere.

[30492] Iª q. 48 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod propheta imprecatur vae illis qui dicunt id quod est bonum, secundum quod est bonum, esse malum. Hoc autem non sequitur ex praemissis, ut per praedicta patet.

 

[30492] Iª q. 48 a. 3 ad 4
4. Il Profeta rivolge il suo "guai" a coloro che chiamano male ciò che è bene e in quanto è bene. Ma questo non segue da quanto precede, come è evidente dalle spiegazioni date.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Pluralità e diversità delle cose in particolare > Se il male distrugga totalmente il bene


Prima pars
Quaestio 48
Articulus 4

[30493] Iª q. 48 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod malum corrumpat totum bonum. Unum enim contrariorum totaliter corrumpitur per alterum. Sed bonum et malum sunt contraria. Ergo malum potest corrumpere totum bonum.

 
Prima parte
Questione 48
Articolo 4

[30493] Iª q. 48 a. 4 arg. 1
SEMBRA che il male distrugga totalmente il bene. Infatti:
1. L'uno dei contrari corrompe completamente l'altro. Ora il bene e il male sono due contrari. Dunque il male può corrompere totalmente il bene.

[30494] Iª q. 48 a. 4 arg. 2
Praeterea, Augustinus dicit, in Enchirid., quod malum nocet inquantum adimit bonum. Sed bonum est sibi simile et uniforme. Ergo totaliter tollitur per malum.

 

[30494] Iª q. 48 a. 4 arg. 2
2. Dice S. Agostino che il male nuoce in quanto "toglie il bene". Ma il bene è [per natura] integro in ogni sua parte. Perciò col male esso viene completamente eliminato.

[30495] Iª q. 48 a. 4 arg. 3
Praeterea, malum, quandiu est, nocet et aufert bonum. Sed illud a quo semper aliquid aufertur, quandoque consumitur, nisi sit infinitum; quod non potest dici de aliquo bono creato. Ergo malum consumit totaliter bonum.

 

[30495] Iª q. 48 a. 4 arg. 3
3. Ogni volta che abbiamo il male, viene viziata e tolta qualche cosa al bene. Ora una cosa da cui sempre si toglie finalmente si consuma tutta, se non è infinita; e questo non si può dire di un bene creato. Dunque il male consuma totalmente il bene.

[30496] Iª q. 48 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in Enchirid., quod malum non potest totaliter consumere bonum.

 

[30496] Iª q. 48 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino afferma che il male non può consumare completamente il bene.

[30497] Iª q. 48 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod malum non potest totaliter consumere bonum. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod est triplex bonum. Quoddam, quod per malum totaliter tollitur, et hoc est bonum oppositum malo; sicut lumen totaliter per tenebras tollitur, et visus per caecitatem. Quoddam vero bonum est, quod nec totaliter tollitur per malum, nec diminuitur, scilicet bonum quod est subiectum mali; non enim per tenebras aliquid de substantia aeris diminuitur. Quoddam vero bonum est, quod diminuitur quidem per malum, sed non totaliter tollitur, et hoc bonum est habilitas subiecti ad actum. Diminutio autem huius boni non est accipienda per subtractionem, sicut est diminutio in quantitatibus, sed per remissionem, sicut est diminutio in qualitatibus et formis. Remissio autem huius habilitatis est accipienda e contrario intensioni ipsius. Intenditur enim huiusmodi habilitas per dispositiones quibus materia praeparatur ad actum; quae quanto magis multiplicantur in subiecto, tanto habilius est ad recipiendum perfectionem et formam. Et e contrario remittitur per dispositiones contrarias; quae quanto magis multiplicatae sunt in materia, et magis intensae, tanto magis remittitur potentia ad actum. Si igitur contrariae dispositiones in infinitum multiplicari et intendi non possunt, sed usque ad certum terminum, neque habilitas praedicta in infinitum diminuitur vel remittitur. Sicut patet in qualitatibus activis et passivis elementorum, frigiditas enim et humiditas, per quae diminuitur sive remittitur habilitas materiae ad formam ignis, non possunt multiplicari in infinitum. Si vero dispositiones contrariae in infinitum multiplicari possunt, et habilitas praedicta in infinitum diminuitur vel remittitur. Non tamen totaliter tollitur, quia semper manet in sua radice, quae est substantia subiecti. Sicut si in infinitum interponantur corpora opaca inter solem et aerem, in infinitum diminuetur habilitas aeris ad lumen, nunquam tamen totaliter tollitur, manente aere, qui secundum naturam suam est diaphanus. Similiter in infinitum potest fieri additio in peccatis, per quae semper magis ac magis minuitur habilitas animae ad gratiam, quae quidem peccata sunt quasi obstacula interposita inter nos et Deum secundum illud Isaiae LIX, peccata nostra diviserunt inter nos et Deum. Neque tamen tollitur totaliter ab anima praedicta habilitas, quia consequitur naturam ipsius.

 

[30497] Iª q. 48 a. 4 co.
RISPONDO: Il male non può distruggere totalmente il bene. E per averne l'evidenza bisogna considerare che il bene è di tre specie.
C'è quello che viene completamente eliminato dal male: e questo è il bene direttamente opposto a quel dato male: cosi la luce viene totalmente eliminata dalle tenebre, e la vista dalla cecità. C'è un altro bene invece che non solo non è eliminato totalmente dal male, ma neppure ne resta menomato; ed è quello che forma il soggetto del male; difatti al sopraggiungere delle tenebre la sostanza dell'aria non subisce minorazioni. Ma c’è un bene che viene ad essere menomato dal male, senza esserne eliminato completamente; questo bene è l'attitudine di un soggetto ad atti determinati.
Ora la diminuzione di questo bene non deve essere concepita come una sottrazione, come avviene della quantità: ma come un indebolimento, nel modo che si verifica la diminuzione delle qualità e delle forme. E l'indebolimento di questa attitudine si deve concepire come il contrario della rispettiva intensificazione. Difatti questa attitudine viene ad essere intensificata per mezzo delle disposizioni, da cui la materia viene preparata all'atto; le quali quanto più si moltiplicano in un soggetto, tanto più quest'ultimo diventa adatto a ricevere la perfezione e la forma. Viene invece a rilassarsi a causa delle disposizioni contrarie; che, quanto più si moltiplicano nella materia e più sono intense, tanto maggiormente si perde la potenzialità rispetto all'atto. Se quindi le disposizioni contrarie non si possono moltiplicare e intensificare all’infinito, ma solo fino a un certo punto, non si potrà neppure diminuire e indebolire all’infinito l'attitudine suddetta. La cosa è evidente per le qualità attive e passive degli elementi: infatti il freddo e l'umido, da cui dipende la diminuzione e l’indebolimento dell'attitudine della materia al fuoco, non si possono moltiplicare all’infinito.
Se invece si possono moltiplicare all’indefinito le disposizioni contrarie, anche la predetta attitudine diminuirà e si indebolirà all’indefinito. Tuttavia non verrà mai ad essere del tutto eliminata: perché resta nella sua radice, che è la sostanza del soggetto. Per es., se si interponessero tra il sole e l'aria infiniti corpi opachi si diminuirebbe all’indefinito l'attitudine dell'aria alla luce: ma non si eliminerebbe totalmente, perché rimane l'aria, la quale per natura è trasparente [alla luce]. Allo stesso modo si può verificare un'addizione nei peccati, per cui l'attitudine dell'anima alla grazia viene sempre più a diminuire; i quali peccati sono come degli ostacoli interposti tra noi e Dio, secondo il detto di Isaia: "Le nostre iniquità posero una divisione tra noi e Dio". E tuttavia non viene distrutta completamente nell'anima la predetta attitudine: perché deriva dalla stessa sua natura.

[30498] Iª q. 48 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod bonum quod opponitur malo, totaliter tollitur, sed alia bona non totaliter tolluntur, ut dictum est.

 

[30498] Iª q. 48 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quel bene, che è direttamente opposto al male, viene eliminato completamente: ma non vengono soppressi così gli altri beni, come si è detto.

[30499] Iª q. 48 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod habilitas praedicta est media inter subiectum et actum. Unde ex ea parte qua attingit actum, diminuitur per malum, sed ex ea parte qua tenet se cum subiecto, remanet. Ergo, licet bonum in se sit simile, tamen, propter comparationem eius ad diversa, non totaliter tollitur, sed in parte.

 

[30499] Iª q. 48 a. 4 ad 2
2. L'attitudine di cui si è parlato sta in mezzo tra il soggetto e l'atto. Perciò in rapporto all'atto viene ad essere menomata dal male: ma in rapporto al soggetto rimane inalterata. Quindi nonostante che il bene in se considerato debba essere integralmente bene, tuttavia, dati i suoi rapporti con coso diverse, non totalmente, ma solo in parte, può essere distrutto.

[30500] Iª q. 48 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod quidam, imaginantes diminutionem boni praedicti ad similitudinem diminutionis quantitatis, dixerunt quod, sicut continuum dividitur in infinitum, facta divisione secundum eandem proportionem (ut puta quod accipiatur medium medii, vel tertium tertii), sic in proposito accidit. Sed haec ratio hic locum non habet. Quia in divisione in qua semper servatur eadem proportio, semper subtrahitur minus et minus, minus enim est medium medii quam medium totius. Sed secundum peccatum non de necessitate minus diminuit de habilitate praedicta, quam praecedens, sed forte aut aequaliter, aut magis. Dicendum est ergo quod, licet ista habilitas sit quoddam finitum, diminuitur tamen in infinitum, non per se, sed per accidens, secundum quod contrariae dispositiones etiam in infinitum augentur, ut dictum est.

 

[30500] Iª q. 48 a. 4 ad 3
3. Alcuni, immaginando la diminuzione del bene di cui ora si è parlato alla maniera della diminuzione di una quantità, rispondevano che, come si può dividere all’infinito una quantità continua, praticando la divisione secondo una data proporzione (p. es., prendendo sempre la metà della metà, oppure un terzo di un terzo), così avviene nel caso presente. - Ma questa ragione qui non vale. Poiché nella suddivisione fatta secondo una data proporzione, [successivamente] si sottrae sempre una quantità minore: infatti la metà della metà è meno della metà dell'intero. Invece il secondo peccato non [sempre] rovina meno del primo l'attitudine di cui si è parlato: ma forse ugualmente, o anche di più. Bisogna perciò affermare che questa attitudine, sebbene sia qualche cosa di finito, può tuttavia diminuire, non per se stessa ma indirettamente, all'indefinito, come, del resto, le disposizioni contrarie possono aumentare anch'esse all’indefinito, nel modo che abbiamo spiegato.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Pluralità e diversità delle cose in particolare > Se il male sia adeguatamente diviso in pena e colpa


Prima pars
Quaestio 48
Articulus 5

[30501] Iª q. 48 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod malum insufficienter dividatur per poenam et culpam. Omnis enim defectus malum quoddam esse videtur. Sed in omnibus creaturis est quidam defectus, quod se in esse conservare non possunt, qui tamen nec poena nec culpa est. Non ergo sufficienter malum dividitur per poenam et culpam.

 
Prima parte
Questione 48
Articolo 5

[30501] Iª q. 48 a. 5 arg. 1
SEMBRA che il male non sia adeguatamente diviso in pena e colpa. Infatti:
1. Ogni difetto è un male. Ma in tutte le creature c’è il difetto di non poter conservare la propria esistenza, difetto che tuttavia non è una pena ne una colpa. Dunque il male non è adeguatamente diviso in pena e colpa.

[30502] Iª q. 48 a. 5 arg. 2
Praeterea, in rebus irrationalibus non invenitur culpa nec poena. Invenitur tamen in eis corruptio et defectus, quae ad rationem mali pertinent. Ergo non omne malum est poena vel culpa.

 

[30502] Iª q. 48 a. 5 arg. 2
2. Negli esseri irragionevoli non esiste né pena né colpa. Tuttavia si riscontrano in essi la disgregazione e i malanni, che rientrano nel concetto di male. Dunque non ogni male è una pena o una colpa.

[30503] Iª q. 48 a. 5 arg. 3
Praeterea, tentatio quoddam malum est. Nec tamen est culpa, quia tentatio cui non consentitur, non est peccatum, sed materia exercendae virtutis, ut dicitur in Glossa II Cor. XII. Nec etiam poena, quia tentatio praecedit culpam, poena autem subsequitur. Insufficienter ergo malum dividitur per poenam et culpam.

 

[30503] Iª q. 48 a. 5 arg. 3
3. La tentazione è un male. Tuttavia non è una colpa; perché, come dice la Glossa "la tentazione alla quale non si consente non è peccato, ma è materia per l'esercizio della virtù". E neppure è una pena: poiché la tentazione precede la colpa, mentre la pena la segue. Perciò é inadeguata la divisione del male in pena e colpa.

[30504] Iª q. 48 a. 5 s. c.
Sed contra, videtur quod divisio sit superflua. Ut enim Augustinus dicit, in Enchirid., malum dicitur quia nocet. Quod autem nocet, poenale est. Omne ergo malum sub poena continetur.

 

[30504] Iª q. 48 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Sembra che la divisione sia invece soverchia. Come infatti osserva S. Agostino, il male si chiama [col suo nome] "perché nuoce". Ora quello che nuoce è una penalità. Dunque ogni male viene già abbracciato dal termine pena.

[30505] Iª q. 48 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod malum, sicut supra dictum est, est privatio boni, quod in perfectione et actu consistit principaliter et per se. Actus autem est duplex, primus, et secundus. Actus quidem primus est forma et integritas rei, actus autem secundus est operatio. Contingit ergo malum esse dupliciter. Uno modo, per subtractionem formae, aut alicuius partis, quae requiritur ad integritatem rei; sicut caecitas malum est, et carere membro. Alio modo, per subtractionem debitae operationis; vel quia omnino non est; vel quia debitum modum et ordinem non habet. Quia vero bonum simpliciter est obiectum voluntatis, malum, quod est privatio boni, secundum specialem rationem invenitur in creaturis rationalibus habentibus voluntatem. Malum igitur quod est per subtractionem formae vel integritatis rei, habet rationem poenae; et praecipue supposito quod omnia divinae providentiae et iustitiae subdantur, ut supra ostensum est, de ratione enim poenae est, quod sit contraria voluntati. Malum autem quod consistit in subtractione debitae operationis in rebus voluntariis, habet rationem culpae. Hoc enim imputatur alicui in culpam, cum deficit a perfecta actione, cuius dominus est secundum voluntatem. Sic igitur omne malum in rebus voluntariis consideratum vel est poena vel culpa.

 

[30505] Iª q. 48 a. 5 co.
RISPONDO: Il male, si disse, è privazione di bene, il quale ultimo consiste principalmente ed essenzialmente nella perfezione e nell'atto. L'atto poi è di due specie: atto primo e atto secondo. L'atto primo è la forma stessa e l'integrità di una cosa: mentre l'atto secondo ne è l'operazione. Perciò il male può verificarsi in due modi. Primo, per una sottrazione della forma o di qualche parte richiesta all'integrità della cosa; e così è un male la cecità, oppure la privazione di un membro. Secondo, per una carenza della debita operazione: o perché questa non si ha affatto, oppure perché manca del debito modo e del debito ordine.
Ma poiché il bene in senso pieno e assoluto è oggetto della volontà, il male, che è privazione di bene, si trova in una maniera tutta particolare nelle creature ragionevoli dotate di volontà. Il male quindi che si verifica per una sottrazione della forma o della integrità di una cosa riveste il carattere di pena; specialmente se supponiamo che tutto è sottoposto alla provvidenza e alla giustizia di Dio, come più sopra abbiamo spiegato: rientra infatti nel concetto di pena il fatto di essere contraria alla volontà. Il male poi che consiste nella carenza della debita operazione, trattandosi di azioni volontarie, riveste il carattere di colpa. Difatti a uno imputiamo come colpa il non raggiungere la perfezione di un atto del quale per la volontà è arbitro. Cosicché ogni male, nelle cose che hanno attinenza con la volontà, o è una pena o una colpa.

[30506] Iª q. 48 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, quia malum privatio est boni, et non negatio pura, ut dictum est supra; non omnis defectus boni est malum, sed defectus boni quod natum est et debet haberi. Defectus enim visionis non est malum in lapide, sed in animali, quia contra rationem lapidis est, quod visum habeat. Similiter etiam contra rationem creaturae est, quod in esse conservetur a seipsa, quia idem dat esse et conservat. Unde iste defectus non est malum creaturae.

 

[30506] Iª q. 48 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Poiché il male è una privazione di bene e non pura negazione, come si è già detto, non ogni carenza di bene è un male, ma la carenza di quel bene, che una cosa per natura dovrebbe avere. Infatti la mancanza della vista non è un male nella pietra ma nell'animale: poiché è contro il concetto stesso di pietra avere la vista. Ugualmente è contro il concetto stesso di creatura conservarsi nell'essere da se stessa: poiché può conservare l'essere soltanto chi lo da. Perciò questo difetto non è un male per la creatura.

[30507] Iª q. 48 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod poena et culpa non dividunt malum simpliciter; sed malum in rebus voluntariis.

 

[30507] Iª q. 48 a. 5 ad 2
2. Pena e colpa sono divisioni del solo male che riguarda la volontà.

[30508] Iª q. 48 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod tentatio, prout importat provocationem ad malum, semper malum culpae est in tentante. Sed in eo qui tentatur, non est proprie, nisi secundum quod aliqualiter immutatur, sic enim actio agentis est in patiente. Secundum autem quod tentatus immutatur ad malum a tentante, incidit in culpam.

 

[30508] Iª q. 48 a. 5 ad 3
3. La tentazione, come provocazione al male, è sempre una colpa per chi tenta. Ma per chi viene tentato propriamente non lo è, a meno che non ne resti in qualche modo turbato: infatti in questo caso l'azione dell'agente viene a trovarsi nel soggetto paziente. Quindi per il fatto che il tentato si lascia trascinare al male dal tentatore cade nella colpa.

[30509] Iª q. 48 a. 5 ad 4
Ad quartum dicendum quod de ratione poenae est, quod noceat agenti in seipso. Sed de ratione culpae est, quod noceat agenti in sua actione. Et sic utrumque sub malo continetur, secundum quod habet rationem nocumenti.

 

[30509] Iª q. 48 a. 5 ad 4
4. Nel concetto di pena abbiamo una menomazione diretta del soggetto che agisce. Invece nel concetto di colpa troviamo una menomazione nella di lui operazione. Cosicché l'uno e l'altro concetto vengono abbracciati da quello di male, che appunto si presenta come una menomazione o nocumento.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Pluralità e diversità delle cose in particolare > Se rivesta più il carattere di male la pena o la colpa


Prima pars
Quaestio 48
Articulus 6

[30510] Iª q. 48 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod habeat plus de ratione mali poena quam culpa. Culpa enim se habet ad poenam, ut meritum ad praemium. Sed praemium habet plus de ratione boni quam meritum, cum sit finis eius. Ergo poena plus habet de ratione mali quam culpa.

 
Prima parte
Questione 48
Articolo 6

[30510] Iª q. 48 a. 6 arg. 1
SEMBRA che rivesta più il carattere di male la pena che la colpa.
Infatti:
1. La colpa sta alla pena come il merito sta al premio. Ora il premio riveste più l'aspetto di bene che il merito, essendone il fine. Dunque la pena riveste il carattere di male più della colpa.

[30511] Iª q. 48 a. 6 arg. 2
Praeterea, illud est maius malum, quod opponitur maiori bono. Sed poena, sicut dictum est, opponitur bono agentis, culpa autem bono actionis. Cum ergo melius sit agens quam actio, videtur quod peius sit poena quam culpa.

 

[30511] Iª q. 48 a. 6 arg. 2
2. Il male che si oppone a un bene maggiore è un male maggiore. Ma la pena, come si è detto, si oppone al bene del soggetto che agisce, la colpa invece al bene della sua operazione. Essendo dunque l'agente un bene maggiore dell'azione, è chiaro che la pena è un male peggiore che la colpa.

[30512] Iª q. 48 a. 6 arg. 3
Praeterea, ipsa privatio finis poena quaedam est, quae dicitur carentia visionis divinae. Malum autem culpae est per privationem ordinis ad finem. Ergo poena est maius malum quam culpa.

 

[30512] Iª q. 48 a. 6 arg. 3
3. La stessa privazione del fine è uria pena, che viene chiamata privazione della visione di Dio. Invece il male colpa avviene [soltanto] a motivo di una mancanza di ordine al fine. Perciò la pena è un male maggiore della colpa.

[30513] Iª q. 48 a. 6 s. c.
Sed contra, sapiens artifex inducit minus malum ad vitandum maius; sicut medicus praecidit membrum, ne corrumpatur corpus. Sed Dei sapientia infert poenam ad vitandam culpam. Ergo culpa est maius malum quam poena.

 

[30513] Iª q. 48 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Un artefice sapiente produce un male minore per evitarne uno maggiore; così il medico taglia un membro, perché l'intero corpo non perisca. Ora, la sapienza di Dio suole infliggere delle pene per evitare delle colpe. Dunque la colpa è un male maggiore della pena.

[30514] Iª q. 48 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod culpa habet plus de ratione mali quam poena, et non solum quam poena sensibilis, quae consistit in privatione corporalium bonorum, cuiusmodi poenas plures intelligunt; sed etiam universaliter accipiendo poenam, secundum quod privatio gratiae vel gloriae poenae quaedam sunt. Cuius est duplex ratio. Prima quidem est, quia ex malo culpae fit aliquis malus, non autem ex malo poenae; secundum illud Dionysii, IV cap. de Div. Nom., puniri non est malum, sed fieri poena dignum. Et hoc ideo est quia, cum bonum simpliciter consistat in actu, et non in potentia, ultimus autem actus est operatio, vel usus quarumcumque rerum habitarum; bonum hominis simpliciter consideratur in bona operatione, vel bono usu rerum habitarum. Utimur autem rebus omnibus per voluntatem. Unde ex bona voluntate, qua homo bene utitur rebus habitis, dicitur homo bonus; et ex mala, malus. Potest enim qui habet malam voluntatem, etiam bono quod habet, male uti; sicut si grammaticus voluntarie incongrue loquatur. Quia ergo culpa consistit in deordinato actu voluntatis, poena vero in privatione alicuius eorum quibus utitur voluntas; perfectius habet rationem mali culpa quam poena. Secunda ratio sumi potest ex hoc, quod Deus est auctor mali poenae, non autem mali culpae. Cuius ratio est, quia malum poenae privat bonum creaturae, sive accipiatur bonum creaturae aliquid creatum, sicut caecitas privat visum; sive sit bonum increatum, sicut per carentiam visionis divinae tollitur creaturae bonum increatum. Malum vero culpae opponitur proprie ipsi bono increato, contrariatur enim impletioni divinae voluntatis, et divino amori quo bonum divinum in seipso amatur; et non solum secundum quod participatur a creatura. Sic igitur patet quod culpa habet plus de ratione mali quam poena.

 

[30514] Iª q. 48 a. 6 co.
RISPONDO: La colpa riveste maggiormente il carattere di male non solo più della pena sensibile a cui si riduce la pena nel concetto dei più, pena che consiste nella privazione dei beni del corpo, ma anche prendendo la pena in generale, in quanto cioè persino la privazione della grazia e della gloria possono essere una pena. Di ciò abbiamo due prove. La prima si ha dal fatto che una persona diventa malvagia per il male colpa, non già per il male pena; secondo quel detto di Dionigi: "Il male non è esser puniti, ma il diventare degni di punizione". Ed è così, perché siccome il bene in senso assoluto [simpliciter] consiste nell'atto e non nella potenza, ed essendo l'operazione, ovvero l'uso di qualsiasi cosa che si abbia, la nostra attualità piena, il bene dell'uomo in senso pieno e assoluto va ricercato nella buona operazione o nel giusto uso delle cose che egli possiede. Ora noi facciamo uso di tutte le cose per mezzo della volontà. Perciò si dice che un uomo è buono o cattivo per la buona o cattiva volontà, con cui si serve delle cose che egli possiede. Infatti, chi ha una cattiva volontà, può usare male anche il bene posseduto; come il grammatico che volontariamente facesse delle sgrammaticature. Poiché dunque la colpa consiste in un disordinato atto della volontà, la pena invece nella privazione di qualcuna di quelle cose che sono sottoposte alla volontà, riveste maggiormente la natura di male la colpa che la pena.
La seconda prova si può desumere dal fatto che Dio è autore del male punizione, e non del male colpa. E il motivo si è che il male pena elimina un bene della creatura: sia che si consideri bene della creatura qualche cosa di creato, p. es., la vista che viene tolta dalla cecità; sia che si tratti di un bene increato. Nel caso, p. es., che si verifichi la privazione della visione di Dio, viene sottratto alla creatura un bene increato. Invece il male colpa si oppone direttamente al bene increato in se stesso, e non solo in quanto partecipato dalle creature: inoltre va contro l'adempimento della divina volontà, e contro l'amore divino, mediante il quale il bene increato è amato per se stesso. Perciò è evidente che la colpa riveste carattere di male più della pena.

[30515] Iª q. 48 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, licet culpa terminetur ad poenam, sicut meritum ad praemium, tamen culpa non intenditur propter poenam, sicut meritum propter praemium, sed potius e converso poena inducitur ut vitetur culpa. Et sic culpa est peius quam poena.

 

[30515] Iª q. 48 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene la colpa miri come fine e faccia capo alla punizione, come il merito al premio, tuttavia la colpa non attira per la punizione annessa, come il merito per il premio: ma piuttosto al contrario, si infligge la pena perché si eviti la colpa. Quindi la colpa è un male peggiore della pena.

[30516] Iª q. 48 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod ordo actionis, qui tollitur per culpam, est perfectius bonum agentis, cum sit perfectio secunda, quam bonum quod tollitur per poenam, quod est perfectio prima.

 

[30516] Iª q. 48 a. 6 ad 2
2. L'ordine dell'operazione, che viene distrutto dalla colpa, essendo una perfezione ultima, è per l'agente un bene più perfetto che la perfezione radicale menomata dalla punizione.

[30517] Iª q. 48 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod non est comparatio culpae ad poenam sicut finis et ordinis ad finem, quia utrumque potest privari aliquo modo et per culpam, et per poenam. Sed per poenam quidem, secundum quod ipse homo removetur a fine, et ab ordine ad finem, per culpam vero, secundum quod ista privatio pertinet ad actionem, quae non ordinatur ad finem debitum.

 

[30517] Iª q. 48 a. 6 ad 3
3. La colpa e la pena non si corrispondono come fine e ordine al fine: poiché queste due ultime cose possono essere ambedue compromesse in qualche modo e dalla colpa e dalla pena. E cioè dalla pena, che ritrae l'uomo stesso dal suo fine e dall'ordine al fine, e dalla colpa in quanto tale inconveniente si verifica nell'azione non indirizzata al debito fine.

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