I-II, 8

Seconda parte > Gli atti umani in generale > La volizione. L'oggetto della volizione


Prima pars secundae partis
Quaestio 8
Prooemium

[33837] Iª-IIae q. 8 pr.
Deinde considerandum est de ipsis actibus voluntariis in speciali. Et primo, de actibus qui sunt immediate ipsius voluntatis velut ab ipsa voluntate eliciti; secundo de actibus imperatis a voluntate. Voluntas autem movetur et in finem, et in ea quae sunt ad finem. Primo igitur considerandum est de actibus voluntatis quibus movetur in finem; et deinde de actibus eius quibus movetur in ea quae sunt ad finem. Actus autem voluntatis in finem videntur esse tres, scilicet velle, frui et intendere. Primo ergo considerabimus de voluntate; secundo, de fruitione; tertio, de intentione. Circa primum consideranda sunt tria, primo quidem, quorum voluntas sit; secundo, a quo moveatur; tertio, quomodo moveatur. Circa primum quaeruntur tria.
Primo, utrum voluntas sit tantum boni.
Secundum, utrum sit tantum finis, an etiam eorum quae sunt ad finem.
Tertio, si est aliquo modo eorum quae sunt ad finem, utrum uno motu moveatur in finem et in ea quae sunt ad finem.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 8
Proemio

[33837] Iª-IIae q. 8 pr.
Passiamo ora a studiare distintamente gli atti volontari. E prima di tutto gli atti che appartengono immediatamente alla volontà, perché eliciti da essa; e in secondo luogo gli atti comandati dalla volontà.
Ma la volontà si muove, sia verso il fine, sia verso i mezzi ordinati al fine. Prima, dunque, bisogna considerare gli atti mediante i quali la volontà si muove verso il fine; e in seguito quelli mediante i quali si muove verso i mezzi ad esso ordinati.
Ora, tre sembrano essere gli atti della volontà riguardanti il fine: e cioè volere, fruire e intendere [o perseguire]. Studieremo perciò: primo, la volizione: secondo, la fruizione; terzo, l'intenzione.
Sul primo tema vanno considerate tre cose: primo, l'oggetto della volizione; secondo, la causa del suo movimento; terzo, la maniera del medesimo.
Sul primo argomento si pongono tre quesiti:

1. Se la volizione abbia per oggetto il bene soltanto;
2. Se abbia per oggetto soltanto il fine, oppure anche i mezzi ordinati al fine;
3. Posto che abbia per oggetto i mezzi, se tenda al fine e agli oggetti ordinati al fine mediante un unico moto.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La volizione. L'oggetto della volizione > Se la volizione abbia per oggetto il bene soltanto


Prima pars secundae partis
Quaestio 8
Articulus 1

[33838] Iª-IIae q. 8 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod voluntas non tantum sit boni. Eadem enim est potentia oppositorum, sicut visus albi et nigri. Sed bonum et malum sunt opposita. Ergo voluntas non solum est boni, sed etiam mali.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 8
Articolo 1

[33838] Iª-IIae q. 8 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la volizione non abbia per oggetto il bene soltanto. Infatti:
1. Gli opposti sono oggetto di una medesima facoltà.. Ora, bene e male sono opposti [tra loro]. Dunque la volizione non solo ha per oggetto il bene ma anche il male.

[33839] Iª-IIae q. 8 a. 1 arg. 2
Praeterea, potentiae rationales se habent ad opposita prosequenda, secundum philosophum. Sed voluntas est potentia rationalis, est enim in ratione, ut dicitur in III de anima. Ergo voluntas se habet ad opposita. Non ergo tantum ad volendum bonum, sed etiam ad volendum malum.

 

[33839] Iª-IIae q. 8 a. 1 arg. 2
2. Le potenze razionali, secondo il Filosofo, possono volgersi a perseguire cose opposte. Ora, la volontà è una facoltà razionale: difatti si trova "nella ragione" come scrive lo stesso Aristotele. Dunque la volontà ha per oggetto cose contrapposte. E quindi non vuole soltanto il bene ma anche il male.

[33840] Iª-IIae q. 8 a. 1 arg. 3
Praeterea, bonum et ens convertuntur. Sed voluntas non solum est entium, sed etiam non entium, volumus enim quandoque non ambulare et non loqui. Volumus etiam interdum quaedam futura, quae non sunt entia in actu. Ergo voluntas non tantum est boni.

 

[33840] Iª-IIae q. 8 a. 1 arg. 3
3. Il bene e l'ente si equivalgono. Ora la volizione non abbraccia soltanto gli enti, ma anche i non enti: infatti talora noi vogliamo non camminare, non parlare. Talora vogliamo cose future, che non sono enti in atto. Dunque la volizione non ha per oggetto il bene soltanto.

[33841] Iª-IIae q. 8 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom., quod malum est praeter voluntatem, et quod omnia bonum appetunt.

 

[33841] Iª-IIae q. 8 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Dionigi insegna che "il male è estraneo alla volizione", e che "tutte le cose appetiscono il bene".

[33842] Iª-IIae q. 8 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod voluntas est appetitus quidam rationalis. Omnis autem appetitus non est nisi boni. Cuius ratio est quia appetitus nihil aliud est quam inclinatio appetentis in aliquid. Nihil autem inclinatur nisi in aliquid simile et conveniens. Cum igitur omnis res, inquantum est ens et substantia, sit quoddam bonum, necesse est ut omnis inclinatio sit in bonum. Et inde est quod philosophus dicit, in I Ethic., quod bonum est quod omnia appetunt. Sed considerandum est quod, cum omnis inclinatio consequatur aliquam formam, appetitus naturalis consequitur formam in natura existentem, appetitus autem sensitivus, vel etiam intellectivus seu rationalis, qui dicitur voluntas, sequitur formam apprehensam. Sicut igitur id in quod tendit appetitus naturalis, est bonum existens in re; ita id in quod tendit appetitus animalis vel voluntarius, est bonum apprehensum. Ad hoc igitur quod voluntas in aliquid tendat, non requiritur quod sit bonum in rei veritate, sed quod apprehendatur in ratione boni. Et propter hoc philosophus dicit, in II Physic., quod finis est bonum, vel apparens bonum.

 

[33842] Iª-IIae q. 8 a. 1 co.
RISPONDO: La volontà è un appetito razionale. Ora, ogni appetito ha per oggetto il bene soltanto. E la ragione sta nel fatto che l'appetito consiste precisamente nell'inclinazione dell'appetente verso un oggetto. Ma nessun essere prova inclinazione verso cose a lui non conformi e non convenienti. E siccome ogni essere, in quanto ente e sostanza, è un bene, è necessario che ogni sua inclinazione sia orientata verso un bene. E difatti il Filosofo scrive che il bene è "quello che tutti desiderano".
Ora, bisogna considerare che, derivando ogni inclinazione da una data forma, l'appetito naturale dipende dalla forma che si trova nella natura; e l'appetito sensitivo, e quello intellettivo, o razionale, chiamato volontà, dipendono dalle forme avute dalla percezione. Perciò, come l'oggetto verso cui tende l'appetito naturale è il bene esistente nella realtà; così l'oggetto verso cui tende l'appetito animale, o quello volontario è il bene conosciuto. E quindi, perché la volontà tenda verso un oggetto, non è necessario che esso sia un vero bene, ma che sia conosciuto sotto l'aspetto di bene. Per questo il Filosofo scrive che "il fine è un bene, o un bene apparente".

[33843] Iª-IIae q. 8 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod eadem potentia est oppositorum, sed non eodem modo se habet ad utrumque. Voluntas igitur se habet et ad bonum et ad malum, sed ad bonum, appetendo ipsum; ad malum vero, fugiendo illud. Ipse ergo actualis appetitus boni vocatur voluntas, secundum quod nominat actum voluntatis, sic enim nunc loquimur de voluntate. Fuga autem mali magis dicitur noluntas. Unde sicut voluntas est boni, ita noluntas est mali.

 

[33843] Iª-IIae q. 8 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli opposti sono oggetto di una medesima facoltà, ma non allo stesso modo. Infatti la volontà ha per oggetto il bene e il male: mentre però il bene lo appetisce, il male lo fugge. Perciò l'appetizione attuale del bene si chiama volizione [voluntas], perché denomina l'atto della volontà; e noi qui parliamo della volontà in questo senso. Invece la fuga del male è piuttosto una nolizione. Perciò, come la volizione ha per oggetto il bene, così la "nolizione" ha per oggetto il male.

[33844] Iª-IIae q. 8 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod potentia rationalis non se habet ad quaelibet opposita prosequenda, sed ad ea quae sub suo obiecto convenienti continentur, nam nulla potentia prosequitur nisi suum conveniens obiectum. Obiectum autem voluntatis est bonum. Unde ad illa opposita prosequenda se habet voluntas, quae sub bono comprehenduntur, sicut moveri et quiescere, loqui et tacere, et alia huiusmodi, in utrumque enim horum fertur voluntas sub ratione boni.

 

[33844] Iª-IIae q. 8 a. 1 ad 2
2. Una potenza razionale può volgersi a perseguire non tutti gli opposti, ma soltanto quelli che rientrano nel proprio oggetto: infatti nessuna potenza è capace di cogliere altro oggetto che quello ad essa conveniente. Ora, oggetto della volontà è il bene. Dunque la volizione può avere per oggetto quegli opposti che rientrano nel bene, come muoversi e riposarsi, parlare e tacere, e così via: difatti la volizione persegue cedeste cose sotto l'aspetto di bene.

[33845] Iª-IIae q. 8 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod illud quod non est ens in rerum natura, accipitur ut ens in ratione, unde negationes et privationes dicuntur entia rationis. Per quem etiam modum futura, prout apprehenduntur, sunt entia. Inquantum igitur sunt huiusmodi entia, apprehenduntur sub ratione boni, et sic voluntas in ea tendit. Unde philosophus dicit, in V Ethic., quod carere malo habet rationem boni.

 

[33845] Iª-IIae q. 8 a. 1 ad 3
3. Ciò che nella realtà è un non ente, può essere considerato come ente dalla ragione: infatti le negazioni e le privazioni si dicono enti di ragione. A codesto modo anche le cose future, in quanto vengono pensate, sono enti. E come tali sono concepite sotto la ragione di bene: e la volizione tende verso di esse sotto tale aspetto. Perciò il Filosofo dice che "la privazione del male ha ragione di bene".




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La volizione. L'oggetto della volizione > Se il volere abbia per oggetto soltanto il fine, oppure anche le cose ordinate al fine


Prima pars secundae partis
Quaestio 8
Articulus 2

[33846] Iª-IIae q. 8 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod voluntas non sit eorum quae sunt ad finem, sed tantum finis. Dicit enim philosophus, in III Ethic., quod voluntas est finis, electio autem eorum quae sunt ad finem.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 8
Articolo 2

[33846] Iª-IIae q. 8 a. 2 arg. 1
SEMBRA che il volere non abbia per oggetto le cose ordinate al fine, ma il fine soltanto. Infatti:
1. Il Filosofo scrive nell'Etica che "il volere riguarda il fine, l'elezione invece le cose ordinate al fine".

[33847] Iª-IIae q. 8 a. 2 arg. 2
Praeterea, ad ea quae sunt diversa genere, diversae potentiae animae ordinantur, ut dicitur in VI Ethic. Sed finis et ea quae sunt ad finem sunt in diverso genere boni, nam finis, qui est bonum honestum vel delectabile, est in genere qualitatis, vel actionis aut passionis; bonum autem quod dicitur utile, quod est ad finem, est in ad aliquid, ut dicitur in I Ethic. Ergo, si voluntas est finis, non erit eorum quae sunt ad finem.

 

[33847] Iª-IIae q. 8 a. 2 arg. 2
2. Aristotele insegna nel medesimo libro, che " per cose di genere diverso sono predisposte potenze psichiche diverse". Ora, il fine e le cose ordinate al fine sono beni di genere diverso: infatti il fine, che è un bene onesto o dilettevole, è nel genere di qualità, o come azione, o come passione; invece il bene utile, cioè quello ordinato a un fine, è nel genere di relazione, secondo Aristotele. Dunque, se il volere ha per oggetto il fine non può avere per oggetto le cose ordinate al fine.

[33848] Iª-IIae q. 8 a. 2 arg. 3
Praeterea, habitus proportionantur potentis, cum sint earum perfectiones. Sed in habitibus qui dicuntur artes operativae, ad aliud pertinet finis, et ad aliud quod est ad finem, sicut ad gubernatorem pertinet usus navis, qui est finis eius; ad navifactivam vero constructio navis, quae est propter finem. Ergo, cum voluntas sit finis, non erit eorum quae sunt ad finem.

 

[33848] Iª-IIae q. 8 a. 2 arg. 3
3. Gli abiti sono proporzionati alle potenze; essendo essi le loro perfezioni. Ora negli abiti chiamati arti operative il fine e le cose, ordinate al fine appartengono a cose diverse: l'uso della nave, p. es., spetta al pilota; mentre la costruzione della nave, che è ordinata a codesto fine, spetta all'arte di fabbricare le navi. E poiché il volere ha per oggetto il fine, non potrà avere per oggetto le cose ordinate al fine.

[33849] Iª-IIae q. 8 a. 2 s. c.
Sed contra est, quia in rebus naturalibus per eandem potentiam aliquid pertransit media, et pertingit ad terminum. Sed ea quae sunt ad finem, sunt quaedam media per quae pervenitur ad finem sicut ad terminum. Ergo, si voluntas est finis, ipsa etiam est eorum quae sunt ad finem.

 

[33849] Iª-IIae q. 8 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Nelle cose materiali un corpo passa attraverso lo spazio intermedio e raggiunge il suo termine mediante un'unica potenza. Ora, le cose ordinate al fine sono altrettante posizioni intermedie, attraverso le quali si giunge al fine come ad ultimo termine. Se dunque il volere ha per oggetto il fine, deve avere per oggetto anche le cose che sono ordinate al fine.

[33850] Iª-IIae q. 8 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod voluntas quandoque dicitur ipsa potentia qua volumus; quandoque autem ipse voluntatis actus. Si ergo loquamur de voluntate secundum quod nominat potentiam, sic se extendit et ad finem, et ad ea quae sunt ad finem. Ad ea enim se extendit unaquaeque potentia, in quibus inveniri potest quocumque modo ratio sui obiecti, sicut visus se extendit ad omnia quaecumque participant quocumque modo colorem. Ratio autem boni, quod est obiectum potentiae voluntatis, invenitur non solum in fine, sed etiam in his quae sunt ad finem. Si autem loquamur de voluntate secundum quod nominat proprie actum, sic, proprie loquendo, est finis tantum. Omnis enim actus denominatus a potentia, nominat simplicem actum illius potentiae, sicut intelligere nominat simplicem actum intellectus. Simplex autem actus potentiae est in id quod est secundum se obiectum potentiae. Id autem quod est propter se bonum et volitum, est finis. Unde voluntas proprie est ipsius finis. Ea vero quae sunt ad finem, non sunt bona vel volita propter seipsa, sed ex ordine ad finem. Unde voluntas in ea non fertur, nisi quatenus fertur in finem, unde hoc ipsum quod in eis vult, est finis. Sicut et intelligere proprie est eorum quae secundum se cognoscuntur, scilicet principiorum, eorum autem quae cognoscuntur per principia, non dicitur esse intelligentia, nisi inquantum in eis ipsa principia considerantur, sic enim se habet finis in appetibilibus, sicut se habet principium in intelligibilibus, ut dicitur in VII Ethic.

 

[33850] Iª-IIae q. 8 a. 2 co.
RISPONDO: Il volere talora indica la facoltà con la quale vogliamo; altre volte invece indica l'atto stesso della volontà. Se dunque parliamo del volere in quanto sta a indicare la facoltà, allora esso abbraccia il fine e le cose ordinate al fine. Infatti ogni potenza abbraccia tutte le cose in cui si trova in qualche modo la natura del proprio oggetto: la vista, p. es., abbraccia tutte le cose che in qualche modo partecipano del colore. Ora, il bene, che è l'oggetto della facoltà volitiva, non si trova soltanto nel fine, ma anche nelle cose ordinate al fine.
Se invece parliamo propriamente del volere in quanto sta a indicare l'atto, allora esso ha per oggetto, propriamente parlando, soltanto il fine. Infatti ogni atto denominato dalla rispettiva potenza,
designa l'atto genuino di quella potenza: l'intelligere, p. es., indica l'atto più elementare dell'intelletto. Ma, l'atto genuino di una potenza ha di mira ciò che forma per se stesso l'oggetto della potenza medesima. Ora, la cosa che è buona e voluta di per se stessa è il fine. Dunque il volere ha propriamente per oggetto il fine. Le cose invece che dicono ordine al fine non sono buone e volute per se stesse, ma in ordine al fine. Dunque il volere non si porta su di esse, se non in quanto va verso il fine: cosicché anche in esse vuole il fine. Allo stesso modo l'intellezione ha propriamente per oggetto le cose di per sé intelligibili, cioè i [primi] principii: invece le cose conosciute mediante i principii non sono oggetto di intelligenza, se non in quanto si scorgono in esse i [primi] principii: infatti, come scrive Aristotele, "il fine sta alle cose appetibili, come i principii a quelle intelligibili".

[33851] Iª-IIae q. 8 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod philosophus loquitur de voluntate, secundum quod proprie nominat simplicem actum voluntatis, non autem secundum quod nominat potentiam.

 

[33851] Iª-IIae q. 8 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Filosofo parla in quel testo del volere, in quanto propriamente indica l'atto genuino della volontà: non in quanto indica la potenza.

[33852] Iª-IIae q. 8 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod ad ea quae sunt diversa genere ex aequo se habentia, ordinantur diversae potentiae, sicut sonus et color sunt diversa genera sensibilium, ad quae ordinantur auditus et visus. Sed utile et honestum non ex aequo se habent, sed sicut quod est secundum se et secundum alterum. Huiusmodi autem semper referuntur ad eandem potentiam, sicut per potentiam visivam sentitur et color, et lux, per quam color videtur.

 

[33852] Iª-IIae q. 8 a. 2 ad 2
2. Per cose di genere diverso, che non sono tra loro subordinate, sono preordinate potenze diverse: il suono e il colore, p. es., sono cose sensibili di genere diverso, per cui si richiedono l'udito e la vista. Ma il bene utile e quello onesto non sono pari tra loro, ma subordinati, come ciò che è di per sé e ciò che è tale in rapporto ad esso. E cose di codesto genere fanno sempre capo a un'unica potenza: così mediante la sola vista si percepisce e il colore e la luce che serve a far vedere il colore.

[33853] Iª-IIae q. 8 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod non quidquid diversificat habitum, diversificat potentiam, habitus enim sunt quaedam determinationes potentiarum ad aliquos speciales actus. Et tamen quaelibet ars operativa considerat et finem et id quod est ad finem. Nam ars gubernativa considerat quidem finem, ut quem operatur, id autem quod est ad finem, ut quod imperat. E contra vero navifactiva considerat id quod est ad finem, ut quod operatur, id vero quod est finis, ut ad quod ordinat id quod operatur. Et iterum in unaquaque arte operativa est aliquis finis proprius, et aliquid quod est ad finem, quod proprie ad illam artem pertinet.

 

[33853] Iª-IIae q. 8 a. 2 ad 3
3. Non è detto che esiga una diversità di potenze tutto quello che impone una diversità di abiti: poiché gli abiti sono speciali determinazioni delle potenze per certi atti determinati. Si aggiunga che qualsiasi arte operativa considera, sia il fine, sia le cose ordinate al fine. L'arte nautica, p. es., considera e il fine. come cosa da operare; e i mezzi necessari per il fine come cose da preordinare. Al contrario l'arte di fabbricare le navi considera i mezzi necessari al fine [la navigazione], come cosa da operare; e ciò che costituisce il fine come termine ultimo cui subordinare ciò che opera. E quindi in ogni arte c'è un fine proprio, e ci sono delle cose [i mezzi] ordinate al fine che è proprio di quell'arte.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La volizione. L'oggetto della volizione > Se il volere possa tendere con uno stesso atto verso il fine e verso i mezzi ordinati al fine


Prima pars secundae partis
Quaestio 8
Articulus 3

[33854] Iª-IIae q. 8 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod eodem actu voluntas feratur in finem, et in id quod est ad finem. Quia secundum philosophum, ubi est unum propter alterum, ibi est unum tantum. Sed voluntas non vult id quod est ad finem, nisi propter finem. Ergo eodem actu movetur in utrumque.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 8
Articolo 3

[33854] Iª-IIae q. 8 a. 3 arg. 1
SEMBRA che il volere possa tendere con uno stesso atto verso il fine e verso i mezzi ad esso ordinati. Infatti:
1. Il Filosofo insegna: "dove abbiamo una cosa a motivo di un'altra, abbiamo là una cosa soltanto". Ora, il volere vuole quanto e ordinato al fine solo a motivo del fine. Dunque esso tende con uno stesso atto verso le due cose.

[33855] Iª-IIae q. 8 a. 3 arg. 2
Praeterea, finis est ratio volendi ea quae sunt ad finem, sicut lumen est ratio visionis colorum. Sed eodem actu videtur lumen et color. Ergo idem est motus voluntatis quo vult finem, et ea quae sunt ad finem.

 

[33855] Iª-IIae q. 8 a. 3 arg. 2
2. Il fine costituisce il determinante per la volizione di quanto è ordinato al fine, come la luce è il determinante per la visione dei colori. Ora, la luce e il colore sono percepiti con uno stesso atto. Dunque unico è il moto della volontà verso il fine e verso i mezzi ordinati al fine.

[33856] Iª-IIae q. 8 a. 3 arg. 3
Praeterea, idem numero motus naturalis est qui per media tendit ad ultimum. Sed ea quae sunt ad finem, comparantur ad finem sicut media ad ultimum. Ergo idem motus voluntatis est quo voluntas fertur in finem, et in ea quae sunt ad finem.

 

[33856] Iª-IIae q. 8 a. 3 arg. 3
3. Unico è il moto di un corpo che tende al suo termine attraverso il mezzo [spaziale]. Ma le cose ordinate al fine stanno al fine precisamente come mezzi. Dunque identico è il moto mediante il quale la volontà tende al fine e alle cose ordinate al fine.

[33857] Iª-IIae q. 8 a. 3 s. c.
Sed contra, actus diversificantur secundum obiecta. Sed diversae species boni sunt finis, et id quod est ad finem, quod dicitur utile. Ergo non eodem actu voluntas fertur in utrumque.

 

[33857] Iª-IIae q. 8 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Gli atti si distinguono secondo gli oggetti: Ora, il fine e ciò che è ordinato al fine, ossia il bene utile, sono specie diverse del bene. Dunque il volere non tende verso le due cose con un medesimo atto.

[33858] Iª-IIae q. 8 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, cum finis sit secundum se volitus, id autem quod est ad finem, inquantum huiusmodi, non sit volitum nisi propter finem; manifestum est quod voluntas potest ferri in finem sine hoc quod feratur in ea quae sunt ad finem; sed in ea quae sunt ad finem, inquantum huiusmodi, non potest ferri, nisi feratur in ipsum finem. Sic ergo voluntas in ipsum finem dupliciter fertur, uno modo, absolute secundum se; alio modo, sicut in rationem volendi ea quae sunt ad finem. Manifestum est ergo quod unus et idem motus voluntatis est quo fertur in finem, secundum quod est ratio volendi ea quae sunt ad finem, et in ipsa quae sunt ad finem. Sed alius actus est quod fertur in ipsum finem absolute. Et quandoque praecedit tempore, sicut cum aliquis primo vult sanitatem, et postea, deliberans quomodo possit sanari, vult conducere medicum ut sanetur. Sicut etiam et circa intellectum accidit, nam primo aliquis intelligit ipsa principia secundum se; postmodum autem intelligit ea in ipsis conclusionibus, secundum quod assentit conclusionibus propter principia.

 

[33858] Iª-IIae q. 8 a. 3 co.
RISPONDO: Il fine è per se stesso oggetto di volontà, mentre ciò che è ordinato al fine o voluto, come tale, soltanto per il fine. Perciò il volere può evidentemente tendere al fine, senza tendere verso
i mezzi ordinati al fine; invece non può tendere ai mezzi in quanto tali, senza tendere al fine. E quindi la volontà può tendere in due maniere verso il fine: primo, direttamente di per se stessa; secondo, ricercandovi il motivo per cui vuole le cose ordinate al fine. E'perciò evidente che unico è il moto col quale il volere tende verso il fine, inteso come motivo della volizione dei mezzi, e verso codesti medesimi mezzi. Ma è distinto l'atto col quale tende al fine direttamente. E talora questo atto cronologicamente precede: quando uno, p. es., prima vuole la guarigione, e poi, pensando come guarire, vuole l'intervento del medico per la guarigione stessa. Il che avviene anche in campo intellettivo: infatti prima uno intende i primi principii per se stessi; e quindi li scorge applicati alle conclusioni, quando aderisce alle conclusioni in forza dei principii.

[33859] Iª-IIae q. 8 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit secundum quod voluntas fertur in finem, ut est ratio volendi ea quae sunt ad finem.

 

[33859] Iª-IIae q. 8 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'argomento vale, se applicato alla volizione che ha di mira il fine, in quanto costituisce il motivo della volizione dei mezzi.

[33860] Iª-IIae q. 8 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod quandocumque videtur color, eodem actu videtur lumen, potest tamen videri lumen sine hoc quod videatur color. Et similiter quandocumque quis vult ea quae sunt ad finem, vult eodem actu finem, non tamen e converso.

 

[33860] Iª-IIae q. 8 a. 3 ad 2
2. Tutte le volte che si vede il colore, si vede con lo stesso atto anche la luce: tuttavia si può vedere la luce senza vedere il colore. Allo stesso modo, tutte le volte che uno vuole quanto è ordinato al fine, vuole con lo stesso atto anche il fine: ma non viceversa.

[33861] Iª-IIae q. 8 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod in executione operis, ea quae sunt ad finem se habent ut media, et finis ut terminus. Unde sicut motus naturalis interdum sistit in medio, et non pertingit ad terminum; ita quandoque operatur aliquis id quod est ad finem, et tamen non consequitur finem. Sed in volendo est e converso, nam voluntas per finem devenit ad volendum ea quae sunt ad finem; sicut et intellectus devenit in conclusiones per principia, quae media dicuntur. Unde intellectus aliquando intelligit medium, et ex eo non procedit ad conclusionem. Et similiter voluntas aliquando vult finem, et tamen non procedit ad volendum id quod est ad finem.

 

[33861] Iª-IIae q. 8 a. 3 ad 3
3. Nell'esecuzione di un'opera, le cose ordinate al fine si presentano come mezzi e il fine come termine. Perciò, come il moto di un corpo talora si ferma nello spazio intermedio, senza giungere al termine; così c'è chi opera quanto è ordinato a un fine, senza raggiungere il fine. Ma nella volizione si verifica il contrario: infatti la volontà in forza del fine passa a volere le cose ordinate al fine; come l'intelletto giunge alle conclusioni dai principii, che sono chiamati mezzi [dimostrativi]. Cosicché l'intelletto talora intende il mezzo dimostrativo, senza giungere alla conclusione. Allo stesso modo qualche volta la volontà desidera il fine, e tuttavia non passa a volere ciò che è ordinato al fine.

[33862] Iª-IIae q. 8 a. 3 ad 4
Ad illud vero quod in contrarium obiicitur, patet solutio per ea quae supra dicta sunt. Nam utile et honestum non sunt species boni ex aequo divisae, sed se habent sicut propter se et propter alterum. Unde actus voluntatis in unum potest ferri sine hoc quod feratur in alterum, sed non e converso.

 

[33862] Iª-IIae q. 8 a. 3 ad 4
Riguardo poi a quanto si dice nell'argomento in contrario, abbiamo la soluzione in ciò che abbiamo già detto. Infatti l'utile e l'onesto non sono specie del bene a parità di diritto, ma stanno tra loro come ciò che è di per sé a ciò che è in forza dell'altro. Perciò l'atto della volontà può tendere verso l'uno senza tendere verso l'altro, ma non viceversa.

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva