I-II, 7

Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le circostanze degli atti umani


Prima pars secundae partis
Quaestio 7
Prooemium

[33804] Iª-IIae q. 7 pr. Deinde considerandum est de circumstantiis humanorum actuum. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, quid sit circumstantia.
Secundo, utrum circumstantiae sint circa humanos actus attendendae a theologo.
Tertio, quot sunt circumstantiae. Quarto, quae sunt in eis principaliores.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 7
Proemio

[33804] Iª-IIae q. 7 pr. Passiamo a considerare le circostanze degli atti umani.
Sull'argomento si pongono quattro quesiti:

1. Che cosa siano le circostanze;
2. Se vi siano circostanze degli atti umani di cui debba interessarsi il teologo;
3. Quante siano le circostanze;
4. Quali tra loro siano principali.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le circostanze degli atti umani > Se le circostanze siano accidenti dell'atto umano


Prima pars secundae partis
Quaestio 7
Articulus 1

[33805] Iª-IIae q. 7 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod circumstantia non sit accidens actus humani. Dicit enim Tullius, in rhetoricis, quod circumstantia est per quam argumentationi auctoritatem et firmamentum adiungit oratio. Sed oratio dat firmamentum argumentationi praecipue ab his quae sunt de substantia rei, ut definitio, genus, species, et alia huiusmodi; a quibus etiam Tullius oratorem argumentari docet. Ergo circumstantia non est accidens humani actus.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 7
Articolo 1

[33805] Iª-IIae q. 7 a. 1 arg. 1
SEMBRA che le circostanze non siano accidenti dell'atto umano. Infatti:
1. Scrive Cicerone che le circostanze sono " il mezzo di cui si serve il discorso per aggiungere autorità e forza all'argomento". Ora il discorso da forza all'argomentazione specialmente partendo dai dati essenziali di una cosa: definizione, genere, specie, e simili; dai quali, secondo 1'insegnamento dello stesso Cicerone, l'oratore deve trarre i suoi argomenti. Dunque le circostanze non sono accidenti dell'atto umano.

[33806] Iª-IIae q. 7 a. 1 arg. 2
Praeterea, accidentis proprium est inesse. Quod autem circumstat, non inest, sed magis est extra. Ergo circumstantiae non sunt accidentia humanorum actuum.

 

[33806] Iª-IIae q. 7 a. 1 arg. 2
2. L'accidente ha per proprietà l'inerenza [in un soggetto]. Ora, ciò che sta intorno [circumstat] non è inerente, ma è esterno piuttosto. Dunque le circostanze non sono accidenti degli atti umani.

[33807] Iª-IIae q. 7 a. 1 arg. 3
Praeterea, accidentis non est accidens. Sed ipsi humani actus sunt quaedam accidentia. Non ergo circumstantiae sunt accidentia actuum.

 

[33807] Iª-IIae q. 7 a. 1 arg. 3
3. Nessun accidente può appartenere a un accidente. Ora, anche gli atti umani sono accidenti. Dunque le circostanze non sono accidenti degli atti.

[33808] Iª-IIae q. 7 a. 1 s. c.
Sed contra, particulares conditiones cuiuslibet rei singularis dicuntur accidentia individuantia ipsam. Sed philosophus, in III Ethic., circumstantias nominat particularia, idest particulares singulorum actuum conditiones. Ergo circumstantiae sunt accidentia individualia humanorum actuum.

 

[33808] Iª-IIae q. 7 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Le condizioni particolari di qualsiasi singolare sono suoi accidenti individuanti. Ora, Aristotele nell'Etica ha posto le circostanze tra le "cose particolari", cioè tra le condizioni particolari dei singoli atti. Dunque le circostanze sono accidenti individuanti degli atti umani.

[33809] Iª-IIae q. 7 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, quia nomina, secundum philosophum, sunt signa intellectuum, necesse est quod secundum processum intellectivae cognitionis, sit etiam nominationis processus. Procedit autem nostra cognitio intellectualis a notioribus ad minus nota. Et ideo apud nos a notioribus nomina transferuntur ad significandum res minus notas. Et inde est quod, sicut dicitur in X Metaphys., ab his quae sunt secundum locum, processit nomen distantiae ad omnia contraria, et similiter nominibus pertinentibus ad motum localem, utimur ad significandum alios motus, eo quod corpora, quae loco circumscribuntur, sunt maxime nobis nota. Et inde est quod nomen circumstantiae ab his quae in loco sunt, derivatur ad actus humanos. Dicitur autem in localibus aliquid circumstare, quod est quidem extrinsecum a re, tamen attingit ipsam, vel appropinquat ei secundum locum. Et ideo quaecumque conditiones sunt extra substantiam actus, et tamen attingunt aliquo modo actum humanum, circumstantiae dicuntur. Quod autem est extra substantiam rei ad rem ipsam pertinens, accidens eius dicitur. Unde circumstantiae actuum humanorum accidentia eorum dicenda sunt.

 

[33809] Iª-IIae q. 7 a. 1 co.
RISPONDO: Come insegna il Filosofo, "i nomi sono segni dei concetti"; perciò è necessario che l'ordine della denominazione corrisponda all'ordine della conoscenza intellettiva. Ora, la nostra conoscenza intellettiva procede dalle cose più note a quelle meno note. E quindi noi usiamo estendere i termini presi dalle cose più conosciute a quelle meno conosciute. Da ciò si comprende quanto Aristotele ha scritto nella Metafisica: "dalle cose esistenti nello spazio, il termine distanza è passato a indicare tutti i contrari": e alla stessa maniera usiamo i termini presi dal moto locale, per indicare altri moti, perché i corpi localmente circoscritti sono per noi le cose più note. Perciò anche il termine circostanza è passato al campo degli atti umani dalle cose esistenti nello spazio. Ora, parlando di un corpo localizzato, si denominano circostanti quelle cose che, pur essendo estrinseche, tuttavia lo toccano e gli sono localmente vicine. Perciò tutte le condizioni che sono fuori dell'essenza dell'atto, e che tuttavia riguardano in qualche modo l'atto umano, sono denominate circostanze. Ma quello che riguarda una cosa ed è fuori dell'essenza di essa è un suo accidente. Dunque le circostanze degli atti umani sono da considerarsi loro accidenti.

[33810] Iª-IIae q. 7 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod oratio quidem dat firmamentum argumentationi, primo ex substantia actus, secundario vero, ex his quae circumstant actum. Sicut primo accusabilis redditur aliquis ex hoc quod homicidium fecit, secundario vero, ex hoc quod dolo fecit, vel propter lucrum, vel in tempore aut loco sacro, aut aliquid aliud huiusmodi. Et ideo signanter dicit quod per circumstantiam oratio argumentationi firmamentum adiungit, quasi secundario.

 

[33810] Iª-IIae q. 7 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Certamente il discorso desume la forza dell'argomentazione prima di tutto dall'essenza di un atto; ma secondariamente anche dalle circostanze di esso. Uno, insomma, è imputabile prima di tutto perché ha commesso un omicidio: secondariamente perché lo ha commesso con inganno, o a scopo di rapina, oppure in tempo o in luogo sacro, ecc. Perciò di proposito Cicerone dice che, mediante la circostanza, "il discorso aggiunge forza al ragionamento", sottolineandone l'aspetto secondario.

[33811] Iª-IIae q. 7 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod aliquid dicitur accidens alicuius dupliciter. Uno modo, quia inest ei, sicut album dicitur accidens Socratis. Alio modo quia est simul cum eo in eodem subiecto, sicut dicitur quod album accidit musico, inquantum conveniunt, et quodammodo se contingunt, in uno subiecto. Et per hunc modum dicuntur circumstantiae accidentia actuum.

 

[33811] Iª-IIae q. 7 a. 1 ad 2
2. Una cosa può essere accidente di un'altra in due diverse maniere. Primo, inerendo ad essa: come la bianchezza del colore è un accidente di Socrate. Secondo, perché si trova abbinata con essa nel medesimo soggetto: come il fatto di esser bianco è un accidente dell'esser musico, in quanto si trovano abbinati, e in qualche modo si sovrappongono sul medesimo soggetto. E in questa maniera si dice che le circostanze sono accidenti degli atti.

[33812] Iª-IIae q. 7 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut dictum est, accidens dicitur accidenti accidere propter convenientiam in subiecto. Sed hoc contingit dupliciter. Uno modo, secundum quod duo accidentia comparantur ad unum subiectum absque aliquo ordine, sicut album et musicum ad Socratem. Alio modo, cum aliquo ordine, puta quia subiectum recipit unum accidens alio mediante, sicut corpus recipit colorem mediante superficie. Et sic unum accidens dicitur etiam alteri inesse, dicimus enim colorem esse in superficie. Utroque autem modo circumstantiae se habent ad actus. Nam aliquae circumstantiae ordinatae ad actum, pertinent ad agentem non mediante actu, puta locus et conditio personae, aliquae vero mediante ipso actu, sicut modus agendi.

 

[33812] Iª-IIae q. 7 a. 1 ad 3
3. Come abbiamo spiegato, si dice che un accidente capita su di un altro accidente, per l'unicità del loro soggetto. Ciò avviene in due modi. Primo, per il semplice fatto che due accidenti dicono rapporto a un unico soggetto, senza nessun ordine tra loro: come l'esser bianco e l'esser musico in rapporto a Socrate. Secondo, con un certo ordine: perché, mettiamo, il soggetto riceve un accidente mediante l'altro: il corpo, p. es., riceve il colore mediante la superficie. In questo senso si può anche dire che un accidente è inerente all'altro: e infatti diciamo che il colore è sulla superficie. Ora, le circostanze possono essere accidenti dell'atto in tutti e due i modi.
Infatti alcune circostanze, che si riferiscono all'atto appartengono all'agente a prescindere dall'atto, come il luogo e la condizione della persona; altre invece gli appartengono mediante l'atto, il modo di agire, p. es.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le circostanze degli atti umani > Se le circostanze degli atti umani debbano interessare il teologo


Prima pars secundae partis
Quaestio 7
Articulus 2

[33813] Iª-IIae q. 7 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod circumstantiae humanorum actuum non sint considerandae a theologo. Non enim considerantur a theologo actus humani, nisi secundum quod sunt aliquales, idest boni vel mali. Sed circumstantiae non videntur posse facere actus aliquales, quia nihil qualificatur, formaliter loquendo, ab eo quod est extra ipsum, sed ab eo quod in ipso est. Ergo circumstantiae actuum non sunt a theologo considerandae.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 7
Articolo 2

[33813] Iª-IIae q. 7 a. 2 arg. 1
SEMBRA che le circostanze degli atti umani non debbano interessare il teologo. Infatti:
1. Gli atti umani non sono considerati dal teologo che in quanto sono atti qualificati, cioè buoni o cattivi. Ora, le circostanze non possono qualificare gli atti; perché nessuna cosa viene qualificata formalmente da ciò che è fuori di essa, ma da quanto in essa si trova. Dunque le circostanze non devono essere considerate dal teologo.

[33814] Iª-IIae q. 7 a. 2 arg. 2
Praeterea, circumstantiae sunt accidentia actuum. Sed uni infinita accidunt, et ideo, ut dicitur in VI Metaphys., nulla ars vel scientia est circa ens per accidens, nisi sola sophistica. Ergo theologos non habet considerare circumstantias humanorum actuum.

 

[33814] Iª-IIae q. 7 a. 2 arg. 2
2. Le circostanze sono accidenti degli atti. Ma "per ogni cosa ci sono infiniti accidenti": perciò, come dice Aristotele "nessun'arte o scienza, eccetto la sofistica, si occupa di quanto è accidentalmente". Dunque il teologo non deve occuparsi delle circostanze degli atti umani.

[33815] Iª-IIae q. 7 a. 2 arg. 3
Praeterea, circumstantiarum consideratio pertinet ad rhetorem. Rhetorica autem non est pars theologiae. Ergo consideratio circumstantiarum non pertinet ad theologum.

 

[33815] Iª-IIae q. 7 a. 2 arg. 3

3. Lo studio delle circostanze interessa gli avvocati [o i retori]. Ma la retorica non fa parte della teologia. Dunque lo studio delle circostanze non appartiene al teologo.

[33816] Iª-IIae q. 7 a. 2 s. c.
Sed contra, ignorantia circumstantiarum causat involuntarium, ut Damascenus et Gregorius Nyssenus dicunt. Sed involuntarium excusat a culpa, cuius consideratio pertinet ad theologum. Ergo et consideratio circumstantiarum ad theologum pertinet.

 

[33816] Iª-IIae q. 7 a. 2 s. c.

IN CONTRARIO: L'ignoranza delle circostanze causa atti involontari, come insegnano il Damasceno e S. Gregorio di Nissa. Ma l'involontarietà scusa dalla colpa, di cui il teologo deve interessarsi. Dunque al teologo spetta anche lo studio delle circostanze.

[33817] Iª-IIae q. 7 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod circumstantiae pertinent ad considerationem theologi triplici ratione. Primo quidem, quia theologus considerat actus humanos secundum quod per eos homo ad beatitudinem ordinatur. Omne autem quod ordinatur ad finem, oportet esse proportionatum fini. Actus autem proportionantur fini secundum commensurationem quandam, quae fit per debitas circumstantias. Unde consideratio circumstantiarum ad theologum pertinet. Secundo, quia theologus considerat actus humanos secundum quod in eis invenitur bonum et malum, et melius et peius, et hoc diversificatur secundum circumstantias, ut infra patebit. Tertio, quia theologus considerat actus humanos secundum quod sunt meritorii vel demeritorii, quod convenit actibus humanis; ad quod requiritur quod sint voluntarii. Actus autem humanus iudicatur voluntarius vel involuntarius, secundum cognitionem vel ignorantiam circumstantiarum, ut dictum est. Et ideo consideratio circumstantiarum pertinet ad theologum.

 

[33817] Iª-IIae q. 7 a. 2 co.
RISPONDO: Le circostanze interessano il teologo per tre motivi. Primo, perché il teologo considera gli atti umani in quanto l'uomo si serve di essi per orientarsi verso la beatitudine. Ora, tutto quello che è ordinato a un fine deve essere proporzionato a quel fine. Ma gli atti vengono proporzionati al loro fine mediante una certa commisurazione, determinata dalle debite circostanze. Dunque la considerazione delle circostanze deve interessare il teologo. - Secondo, perché il teologo considera gli atti umani in quanto si trova in essi il bene e il male, il meglio e il peggio: e cedeste variazioni dipendono dalle circostanze, come vedremo. - Terzo, perché il teologo considera l'aspetto caratteristico degli atti umani di essere mentori o demeritori; proprietà questa che presuppone la loro volontarietà. Ora, l'atto umano è giudicato volontario o involontario in base alla cognizione o all'ignoranza delle circostanze, come abbiamo già detto. Dunque lo studio delle circostanze deve interessare il teologo.

[33818] Iª-IIae q. 7 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod bonum ordinatum ad finem dicitur utile, quod importat relationem quandam, unde philosophus dicit, in I Ethic., quod in ad aliquid bonum est utile. In his autem quae ad aliquid dicuntur, denominatur aliquid non solum ab eo quod inest, sed etiam ab eo quod extrinsecus adiacet, ut patet in dextro et sinistro, aequali et inaequali, et similibus. Et ideo, cum bonitas actuum sit inquantum sunt utiles ad finem, nihil prohibet eos bonos vel malos dici secundum proportionem ad aliqua quae exterius adiacent.

 

[33818] Iª-IIae q. 7 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il bene ordinato a un fine è denominato utile, e questo importa una relazione: difatti il Filosofo scrive che "il bene di una relazione è l'utile". Ora, trattandosi di termini relativi, le cose vengono qualificate non solo da quanto in esse si trova, ma anche da ciò che le riguarda esternamente: ciò è evidente nelle determinazioni di destro o di sinistro, di uguale o disuguale, e simili. Perciò, siccome la bontà degli atti consiste nella loro utilità in rapporto al fine, niente impedisce che essi siano denominati buoni o cattivi in rapporto a elementi che li toccano dall'esterno.

[33819] Iª-IIae q. 7 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod accidentia quae omnino per accidens se habent, relinquuntur ab omni arte, propter eorum incertitudinem et infinitatem. Sed talia accidentia non habent rationem circumstantiae, quia, ut dictum est, sic circumstantiae sunt extra actum, quod tamen actum aliquo modo contingunt, ordinatae ad ipsum. Accidentia autem per se cadunt sub arte.

 

[33819] Iª-IIae q. 7 a. 2 ad 2
2. Gli accidenti che capitano in maniera del tutto accidentale sono trascurati da qualsiasi disciplina, per la loro incertezza e infinità. Ma cedesti accidenti non hanno il carattere di circostanza: poiché, le circostanze come abbiamo spiegato, pur restando estrinseche all'atto, tuttavia lo riguardano, essendo ordinate ad esso. E gli accidenti di suo fanno parte della scienza.

[33820] Iª-IIae q. 7 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod consideratio circumstantiarum pertinet ad moralem, et politicum, et ad rhetorem. Ad moralem quidem, prout secundum eas invenitur vel praetermittitur medium virtutis in humanis actibus et passionibus. Ad politicum autem et rhetorem, secundum quod ex circumstantiis actus redduntur laudabiles vel vituperabiles, excusabiles vel accusabiles. Diversimode tamen, nam quod rhetor persuadet, politicus diiudicat. Ad theologum autem, cui omnes aliae artes deserviunt, pertinent omnibus modis praedictis, nam ipse habet considerationem de actibus virtuosis et vitiosis, cum morali; et considerat actus secundum quod merentur poenam vel praemium, cum rhetore et politico.

 

[33820] Iª-IIae q. 7 a. 2 ad 3
3. Lo studio delle circostanze interessa il moralista, il magistrato e l'avvocato. Il moralista, perché in base ad esse si riscontra, o viene a mancare, il giusto mezzo della virtù negli atti umani e nelle passioni. Il magistrato e l'avvocato, perché le circostanze rendono gli atti lodevoli o riprovevoli, scusabili o condannabili. Il loro interesse però è diverso: infatti l'avvocato se ne serve per persuadere, il magistrato per giudicare. Invece al teologo, cui devono servire tutte le altre discipline, le circostanze interessano in tutti i modi suddetti: egli infatti deve giudicare, col moralista, degli atti virtuosi e peccaminosi; con l'avvocato e col magistrato deve considerare gli atti in quanto meritano un premio o una pena.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le circostanze degli atti umani > Se le circostanze siano bene enumerate nel III Libro dell'Etica


Prima pars secundae partis
Quaestio 7
Articulus 3

[33821] Iª-IIae q. 7 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod inconvenienter circumstantiae numerentur in III Ethic. Circumstantia enim actus dicitur quod exterius se habet ad actum. Huiusmodi autem sunt tempus et locus. Ergo solae duae sunt circumstantiae, scilicet quando et ubi.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 7
Articolo 3

[33821] Iª-IIae q. 7 a. 3 arg. 1
SEMBRA che le circostanze non siano bene enumerate nel III Libro dell'Etica. Infatti:
1. Si chiama circostanza dell'atto ciò che ha con esso un rapporto esterno. Tali sono soltanto il tempo e il luogo. Dunque le circostanze sono due sole, e cioè il quanto e il dove.

[33822] Iª-IIae q. 7 a. 3 arg. 2
Praeterea, ex circumstantiis accipitur quid bene vel male fiat. Sed hoc pertinet ad modum actus. Ergo omnes circumstantiae concluduntur sub una, quae est modus agendi.

 

[33822] Iª-IIae q. 7 a. 3 arg. 2
2. Dalle circostanze si desume, se una cosa è fatta bene o male. Ma codesto rientra nelle modalità di un atto. Dunque tutte le circostanze sono racchiuse in quell'unica circostanza che è il modo di agire.

[33823] Iª-IIae q. 7 a. 3 arg. 3
Praeterea, circumstantiae non sunt de substantia actus. Sed ad substantiam actus pertinere videntur causae ipsius actus. Ergo nulla circumstantia debet sumi ex causa ipsius actus. Sic ergo neque quis, neque propter quid, neque circa quid, sunt circumstantiae, nam quis pertinet ad causam efficientem, propter quid ad finalem, circa quid ad materialem.

 

[33823] Iª-IIae q. 7 a. 3 arg. 3
3. Le circostanze non appartengono all'essenza dell'atto. Invece appartengono evidentemente all'essenza dell'atto le cause di esso. Dunque non si deve desumere nessuna circostanza dalle cause dell'atto. E quindi né chi, né perché, né intorno a che cosa sono delle circostanze: infatti chi indica la causa efficiente, perché la causa finale, e intorno a che cosa la causa materiale.

[33824] Iª-IIae q. 7 a. 3 s. c.
Sed contra est auctoritas philosophi in III Ethicorum.

 

[33824] Iª-IIae q. 7 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: C'è il brano del Filosofo nel III Libro dell'Etica.

[33825] Iª-IIae q. 7 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod Tullius, in sua rhetorica, assignat septem circumstantias, quae hoc versu continentur, quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando. Considerandum est enim in actibus quis fecit, quibus auxiliis vel instrumentis fecerit, quid fecerit, ubi fecerit, cur fecerit, quomodo fecerit, et quando fecerit. Sed Aristoteles, in III Ethic., addit aliam, scilicet circa quid, quae a Tullio comprehenditur sub quid. Et ratio huius annumerationis sic accipi potest. Nam circumstantia dicitur quod, extra substantiam actus existens, aliquo modo attingit ipsum. Contingit autem hoc fieri tripliciter, uno modo, inquantum attingit ipsum actum; alio modo, inquantum attingit causam actus; tertio modo, inquantum attingit effectum. Ipsum autem actum attingit, vel per modum mensurae, sicut tempus et locus; vel per modum qualitatis actus, sicut modus agendi. Ex parte autem effectus, ut cum consideratur quid aliquis fecerit. Ex parte vero causae actus, quantum ad causam finalem, accipitur propter quid; ex parte autem causae materialis, sive obiecti, accipitur circa quid; ex parte vero causae agentis principalis, accipitur quis egerit; ex parte vero causae agentis instrumentalis, accipitur quibus auxiliis.

 

[33825] Iª-IIae q. 7 a. 3 co.
RISPONDO: Cicerone nella sua Retorica enumera sette circostanze, contenute nel verso: "Quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando"; "Chi, che cosa, dove, con quali mezzi, perché, in che modo, quando". E difatti dobbiamo considerare, nelle varie azioni, chi le compie, con quali mezzi o strumenti le compie, che cosa ha compiuto, dove, perché e quando lo compie. Aristotele però nel terzo libro dell'Etica ne aggiunge un'altra, e cioè intorno a che cosa, inclusa da Cicerone nel che cosa.
Dell'enumerazione suddetta si può dare questa spiegazione. Si chiama circostanza una cosa che, pur essendo esterna all'essenza di un atto, in qualche modo lo riguarda. E ciò può avvenire in tre maniere: primo, una cosa può riguardare l'atto medesimo; secondo, le sue cause; terzo, gli effetti. Può riguardare l'atto stesso, o come misura, e abbiamo il tempo e il luogo; oppure come qualità dell'atto, e abbiamo il modo di agire. In rapporto all'effetto, abbiamo la considerazione di che cosa uno abbia fatto. Riguardo poi alle cause dell'atto si ha il perché rispetto alla causa finale; in rapporto alla causa materiale abbiamo l'intorno a che cosa. In rapporto alla causa agente principale si considera chi abbia agito; e in rapporto alla causa agente strumentale, con quali mezzi [abbia agito].

[33826] Iª-IIae q. 7 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod tempus et locus circumstant actum per modum mensurae, sed alia circumstant actum inquantum attingunt ipsum quocumque alio modo, extra substantiam eius existentia.

 

[33826] Iª-IIae q. 7 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il tempo e il luogo sono circostanze dell'atto in qualità di misura: ma ci sono altre circostanze che lo riguardano in altre maniere, pur rimanendo estranee alla sua essenza.

[33827] Iª-IIae q. 7 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod iste modus qui est bene vel male, non ponitur circumstantia, sed consequens ad omnes circumstantias. Sed specialis circumstantia ponitur modus qui pertinet ad qualitatem actus, puta quod aliquis ambulet velociter vel tarde, et quod aliquis percutit fortiter vel remisse, et sic de aliis.

 

[33827] Iª-IIae q. 7 a. 3 ad 2
2. Codesto modo, indicato con [gli avverbi] bene o male, non è una circostanza, ma è la risultante di tutte le circostanze. Viene considerato come una circostanza speciale il modo che è una qualità dell'atto: p. es., camminare svelto o adagio, battere forte o piano, e così via.

[33828] Iª-IIae q. 7 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod illa conditio causae ex qua substantia actus dependet, non dicitur circumstantia; sed aliqua conditio adiuncta. Sicut in obiecto non dicitur circumstantia furti quod sit alienum, hoc enim pertinet ad substantiam furti; sed quod sit magnum vel parvum. Et similiter est de aliis circumstantiis quae accipiuntur ex parte aliarum causarum. Non enim finis qui dat speciem actus, est circumstantia; sed aliquis finis adiunctus. Sicut quod fortis fortiter agat propter bonum fortitudinis, non est circumstantia; sed si fortiter agat propter liberationem civitatis, vel populi Christiani, vel aliquid huiusmodi. Similiter etiam ex parte eius quod est quid, nam quod aliquis perfundens aliquem aqua, abluat ipsum, non est circumstantia ablutionis; sed quod abluendo infrigidet vel calefaciat, et sanet vel noceat, hoc est circumstantia.

 

[33828] Iª-IIae q. 7 a. 3 ad 3
3. Le condizioni della causa, dalle quali dipende l'essenza di un atto, non sono circostanze; ma condizioni implicite. Riguardo all'oggetto, p. es., non si può dire che sia una circostanza del furto la roba altrui, poiché appartiene all'essenza di esso; ma solo il fatto di essere molta o poca. Lo stesso si dica delle altre circostanze desunte in rapporto alle altre cause. Infatti il fine che determina la specie dell'atto non è una circostanza; lo è invece un fine connesso. Non è una circostanza, p. es., che l'uomo forte agisca con energia nell'esercizio della fortezza; lo è invece agire in tal modo per la liberazione della città, o del popolo Cristiano, o per altri motivi del genere. Lo stesso vale per il che cosa: infatti non è circostanza di un lavaggio, il fatto che uno versando l'acqua su una persona, la lavi; lo è invece il fatto di raffreddarla o di riscaldarla, di sanarla o di farle del male.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le circostanze degli atti umani > Se le principali circostanze siano il perché e le cose in cui si estrinseca l'operazione.


Prima pars secundae partis
Quaestio 7
Articulus 4

[33829] Iª-IIae q. 7 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod non sint principales circumstantiae propter quid, et ea in quibus est operatio, ut dicitur in III Ethic. Ea enim in quibus est operatio, videntur esse locus et tempus, quae non videntur esse principalia inter circumstantias, cum sint maxime extrinseca ab actu. Ea ergo in quibus est operatio non sunt principalissimae circumstantiarum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 7
Articolo 4

[33829] Iª-IIae q. 7 a. 4 arg. 1
SEMBRA che le principali circostanze non siano, come vorrebbe Aristotele, il perché e le cose in cui si estrinseca l'operazione. Infatti:
1. Le cose in cui si estrinseca l'operazione sembrano essere il luogo e il tempo: circostanze queste che non sembrano affatto principali, essendo le più estrinseche all'atto. Dunque le cose in cui si estrinseca l'operazione non sono tra le circostanze principali.

[33830] Iª-IIae q. 7 a. 4 arg. 2
Praeterea, finis est extrinsecus rei. Non ergo videtur esse principalissima circumstantiarum.

 

[33830] Iª-IIae q. 7 a. 4 arg. 2
2. Il fine è anch'esso estrinseco alla cosa. Perciò non può essere una delle principali circostanze.

[33831] Iª-IIae q. 7 a. 4 arg. 3
Praeterea, principalissimum in unoquoque est causa eius et forma ipsius. Sed causa ipsius actus est persona agens; forma autem actus est modus ipsius. Ergo istae duae circumstantiae videntur esse principalissimae.

 

[33831] Iª-IIae q. 7 a. 4 arg. 3
3. Ciò che è principalissimo in ogni genere di cose è causa e forma di esso. Invece causa dell'atto è la persona che agisce; e forma di un'azione è il modo di essa. Dunque queste due ultime [chi, in che modo] sembrano essere le circostanze principali.

[33832] Iª-IIae q. 7 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Gregorius Nyssenus dicit, quod principalissimae circumstantiae sunt cuius gratia agitur, et quid est quod agitur.

 

[33832] Iª-IIae q. 7 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio Nisseno [o meglio, NemesioJ scrive, che "le principali circostanze sono il fine per cui si agisce, e quello che si fa".

[33833] Iª-IIae q. 7 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod actus proprie dicuntur humani, sicut supra dictum est, prout sunt voluntarii. Voluntatis autem motivum et obiectum est finis. Et ideo principalissima est omnium circumstantiarum illa quae attingit actum ex parte finis, scilicet cuius gratia, secundaria vero, quae attingit ipsam substantiam actus, idest quid fecit. Aliae vero circumstantiae sunt magis vel minus principales, secundum quod magis vel minus ad has appropinquant.

 

[33833] Iª-IIae q. 7 a. 4 co.
RISPONDO: Gli atti si chiamano propriamente umani in quante sono volontari, come abbiamo visto. Ora, movente e oggetto della volontà è il fine. Perciò la principale tra tutte le circostanze è quella che riguarda l'atto in rapporto al fine, cioè il perché: al secondo posto c'è la circostanza che riguarda l'essenza stessa dell'atto, cioè il che si fa. Le altre circostanze sono più o meno importanti, secondo che si avvicinano più o meno ad esse.

[33834] Iª-IIae q. 7 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod per ea in quibus est operatio, philosophus non intelligit tempus et locum, sed ea quae adiunguntur ipsi actui. Unde Gregorius Nyssenus, quasi exponens dictum philosophi, loco eius quod philosophus dixit, in quibus est operatio, dicit quid agitur.

 

[33834] Iª-IIae q. 7 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: Le cose in cui si estrinseca l'operazione per il Filosofo non sono il tempo e il luogo, ma le circostanze annesse all'atto medesimo. Difatti S. Gregorio Nisseno [cioè Nemesio], quasi commentando questa espressione del Filosofo, parla di " quello che si fa".

[33835] Iª-IIae q. 7 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod finis, etsi non sit de substantia actus, est tamen causa actus principalissima, inquantum movet ad agendum. Unde et maxime actus moralis speciem habet ex fine.

 

[33835] Iª-IIae q. 7 a. 4 ad 2
2. Il fine, pur non appartenendo all'essenza dell'atto, ne è tuttavia la causa principalissima in quanto spinge ad agire. Perciò l'atto deriva la sua specie morale soprattutto dal fine.

[33836] Iª-IIae q. 7 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod persona agens causa est actus secundum quod movetur a fine; et secundum hoc principaliter ordinatur ad actum. Aliae vero conditiones personae non ita principaliter ordinantur ad actum. Modus etiam non est substantialis forma actus, hoc enim attenditur in actu secundum obiectum et terminum vel finem, sed est quasi quaedam qualitas accidentalis.

 

[33836] Iª-IIae q. 7 a. 4 ad 3
3. La persona che agisce è causa dell'azione perché mossa dal fine; e principalmente in forza di quest'ultimo è ordinata all'atto.
Invece le altre condizioni della persona non sono ordinate all'atto così direttamente. - Il modo poi non è la forma costitutiva dell'atto, infatti la sua forma è data dall'oggetto, ovvero dal termine o fine; il modo è piuttosto una qualità accidentale.

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