I-II, 39

Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Bontà e malizia della tristezza o dolore


Prima pars secundae partis
Quaestio 39
Prooemium

[35199] Iª-IIae q. 39 pr.
Deinde considerandum est de bonitate et malitia doloris vel tristitiae. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum omnis tristitia sit malum.
Secundo, utrum possit esse bonum honestum.
Tertio, utrum possit esse bonum utile.
Quarto, utrum dolor corporis sit summum malum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 39
Proemio

[35199] Iª-IIae q. 39 pr.
Passiamo finalmente a considerare la bontà e la malizia del dolore, o tristezza.
Sull'argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se ogni dolore, o tristezza sia un male;
2. Se possa essere un bene onesto;
3. Se possa essere un bene utile;
4. Se il dolore (del corpo) sia il supremo male.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Bontà e malizia della tristezza o dolore > Se ogni tristezza, o dolore, sia cattiva


Prima pars secundae partis
Quaestio 39
Articulus 1

[35200] Iª-IIae q. 39 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod omnis tristitia sit mala. Dicit enim Gregorius Nyssenus, omnis tristitia malum est, sui ipsius natura. Sed quod naturaliter est malum, semper et ubique est malum. Ergo omnis tristitia est mala.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 39
Articolo 1

[35200] Iª-IIae q. 39 a. 1 arg. 1
SEMBRA che ogni tristezza sia cattiva. Infatti:
1. S. Gregorio di Nissa [ossia Nemesio] scrive: "Ogni tristezza è un male, per sua natura". Ora, ciò che è male per sua natura è un male sempre e dovunque. Perciò ogni tristezza è cattiva.

[35201] Iª-IIae q. 39 a. 1 arg. 2
Praeterea, illud quod omnes fugiunt, etiam virtuosi, est malum. Sed tristitiam omnes fugiunt, etiam virtuosi, quia, ut dicitur in VII Ethic., etsi prudens non intendat delectari, tamen intendit non tristari. Ergo tristitia est malum.

 

[35201] Iª-IIae q. 39 a. 1 arg. 2
2. Quello che tutti, compresi i virtuosi, fuggono, è un male. Ora, tutti, compresi i virtuosi, fuggono la tristezza: poiché, come dice Aristotele, "sebbene l'uomo prudente non cerchi di godere, tuttavia cerca di non essere contristato". Dunque la tristezza è un male.

[35202] Iª-IIae q. 39 a. 1 arg. 3
Praeterea, sicut malum corporale est obiectum et causa doloris corporalis, ita malum spirituale est obiectum et causa tristitiae spiritualis. Sed omnis dolor corporalis est malum corporis. Ergo omnis tristitia spiritualis est malum animae.

 

[35202] Iª-IIae q. 39 a. 1 arg. 3
3. Come il male fisico è oggetto e causa del dolore fisico, così il male spirituale è oggetto e causa della tristezza spirituale. Ora, ogni dolore fisico è un male del corpo. Dunque ogni tristezza spirituale è un male dell'anima.

[35203] Iª-IIae q. 39 a. 1 s. c.
Sed contra, tristitia de malo contrariatur delectationi de malo. Sed delectatio de malo est mala, unde in detestationem quorundam dicitur Prov. II, quod laetantur cum malefecerint. Ergo tristitia de malo est bona.

 

[35203] Iª-IIae q. 39 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Rattristarsi del male si contrappone al compiacersi del male. Ora, la compiacenza nel male è cattiva: infatti alcuni vengono biasimati dalla Scrittura, perché "godono del malfare". Dunque la tristezza del male è buona.

[35204] Iª-IIae q. 39 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod aliquid esse bonum vel malum, potest dici dupliciter. Uno modo, simpliciter et secundum se. Et sic omnis tristitia est quoddam malum, hoc enim ipsum quod est appetitum hominis anxiari de malo praesenti, rationem mali habet; impeditur enim per hoc quies appetitus in bono. Alio modo dicitur aliquid bonum vel malum, ex suppositione alterius, sicut verecundia dicitur esse bonum, ex suppositione alicuius turpis commissi, ut dicitur in IV Ethic. Sic igitur, supposito aliquo contristabili vel doloroso, ad bonitatem pertinet quod aliquis de malo praesenti tristetur vel doleat. Quod enim non tristaretur vel non doleret, non posset esse nisi quia vel non sentiret, vel quia non reputaret sibi repugnans, et utrumque istorum est malum manifeste. Et ideo ad bonitatem pertinet ut, supposita praesentia mali, sequatur tristitia vel dolor. Et hoc est quod Augustinus dicit, VIII super Gen. ad Litt., adhuc est bonum quod dolet amissum bonum, nam nisi aliquod bonum remansisset in natura, nullius boni amissi dolor esset in poena. Sed quia sermones morales sunt in singularibus, quorum sunt operationes, illud quod est ex suppositione bonum, debet bonum iudicari, sicut quod est ex suppositione voluntarium, iudicatur voluntarium, ut dicitur in III Ethic., et supra habitum est.

 

[35204] Iª-IIae q. 39 a. 1 co.
RISPONDO: Una cosa può considerarsi buona o cattiva in due maniere. Primo, assolutamente parlando e per se stessa. E in questo senso ogni tristezza è un male: infatti l'angoscia dell'appetito umano per la presenza del male si presenta come qualche cosa di cattivo; poiché viene così ostacolata la quiete dell'appetito nel bene.
Secondo, una cosa può considerarsi buona o cattiva [ipoteticamente], in forza della presupposizione di un'altra: così si considera cosa buona la vergogna, presupposto il compimento di un atto vergognoso, come nota Aristotele. Perciò, supposto un fatto rattristante e doloroso, è cosa buona che uno si rattristi e si addolori del male presente. Se infatti non si rattristasse e non si dolesse, mostrerebbe, o di non sentire, o di non stimare quel fatto come ripugnante: e l'una e l'altra cosa è certamente cattiva. Perciò è un bene, supposta la presenza del male, che si produca la tristezza, o il dolore. È quanto dice S. Agostino, il quale scrive: "È ancora un bene che uno si dolga del bene perduto: infatti se nella natura non fosse rimasto qualche cosa di buono, nella pena non ci sarebbe dolore per nessun bene perduto". - Ma poiché in morale gli enunciati hanno per oggetto i singolari cui appartengono le operazioni, le cose che sono ipoteticamente [e concretamente] buone, sono da considerarsi buone: così un atto ipoteticamente volontario viene giudicato volontario, come dice Aristotele, e come sopra abbiamo dimostrato.

[35205] Iª-IIae q. 39 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Gregorius Nyssenus loquitur de tristitia ex parte mali tristantis, non autem ex parte sentientis et repudiantis malum. Et ex hac etiam parte omnes fugiunt tristitiam, inquantum fugiunt malum, sed sensum et refutationem mali non fugiunt. Et sic etiam dicendum est de dolore corporali, nam sensus et recusatio mali corporalis attestatur naturae bonae.

 

[35205] Iª-IIae q. 39 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Gregorio Nisseno [ossia Nemesio] parla della tristezza o dolore, dal punto di vista [dell'oggetto, o] del male che affligge: non dal punto di vista del soggetto che lo sente e ne prova ripulsa. - Da quel lato tutti fuggono i dolori in quanto fuggono il male: non fuggono però la percezione e la ripulsa del male. - Lo stesso si dica per il dolore fisico: infatti la sensazione e la ripulsa del male fisico dimostra la bontà della natura.

[35206] Iª-IIae q. 39 a. 1 ad 2
Unde patet responsio ad secundum et tertium.

 

[35206] Iª-IIae q. 39 a. 1 ad 2
2. 3. Sono così risolte anche la seconda e la terza difficoltà.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Bontà e malizia della tristezza o dolore > Se la tristezza possa essere un bene onesto


Prima pars secundae partis
Quaestio 39
Articulus 2

[35207] Iª-IIae q. 39 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod tristitia non habeat rationem boni honesti. Quod enim ad Inferos deducit, contrariatur honesto. Sed sicut dicit Augustinus, XII super Gen. ad Litt., Iacob hoc timuisse videtur, ne nimia tristitia sic perturbaretur, ut non ad requiem beatorum iret, sed ad Inferos peccatorum. Ergo tristitia non habet rationem boni honesti.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 39
Articolo 2

[35207] Iª-IIae q. 39 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la tristezza non possa essere un bene onesto. Infatti:
1. Ciò che conduce all’inferno si contrappone al bene onesto. Ora, stando a S. Agostino, "sembra che Giacobbe temesse di finire non nella pace dei beati, ma nell'inferno dei peccatori, se si fosse lasciato turbare da una tristezza troppo grave". Dunque la tristezza non può presentarsi come un bene onesto.

[35208] Iª-IIae q. 39 a. 2 arg. 2
Praeterea, bonum honestum habet rationem laudabilis et meritorii. Sed tristitia diminuit rationem laudis et meriti, dicit enim apostolus, II ad Cor. IX, unusquisque prout destinavit in corde suo, non ex tristitia aut ex necessitate. Ergo tristitia non est bonum honestum.

 

[35208] Iª-IIae q. 39 a. 2 arg. 2
2. Il bene onesto implica la lode e il merito. Ma la tristezza diminuisce la lode e il merito; infatti l'Apostolo scrive: "Ciascuno secondo che destinò nel suo cuore, non con tristezza, né per forza". Perciò la tristezza non è un bene onesto.

[35209] Iª-IIae q. 39 a. 2 arg. 3
Praeterea, sicut Augustinus dicit, XIV de Civ. Dei, tristitia est de his quae, nobis nolentibus, accidunt. Sed non velle ea quae praesentialiter fiunt, est habere voluntatem repugnantem ordinationi divinae, cuius providentiae subiacent omnia quae aguntur. Ergo, cum conformitas humanae voluntatis ad divinam pertineat ad rectitudinem voluntatis, ut supra dictum est; videtur quod tristitia contrarietur rectitudini voluntatis. Et sic non habet rationem honesti.

 

[35209] Iª-IIae q. 39 a. 2 arg. 3
3. S. Agostino scrive, che "la tristezza ha per oggetto le cose che accadono contro il nostro volere". Ora, non volere le cose che attualmente avvengono, significa avere una volontà contraria alle disposizioni di Dio, dalla cui provvidenza dipendono tutti i fatti che avvengono. E poiché la conformità della volontà umana con quella divina è richiesta per la rettitudine del nostro volere, come sopra abbiamo detto: sembra che la tristezza si opponga alla rettitudine della volontà. E quindi non può essere un bene onesto.

[35210] Iª-IIae q. 39 a. 2 s. c.
Sed contra, omne quod meretur praemium vitae aeternae, habet rationem honesti. Sed tristitia est huiusmodi, ut patet per id quod dicitur Matth. V, beati qui lugent, quoniam ipsi consolabuntur. Ergo tristitia est bonum honestum.

 

[35210] Iª-IIae q. 39 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Tutto ciò che merita il premio della vita eterna è un bene onesto. Ma tale è la tristezza, poiché sta scritto: "Beati coloro che piangono, perché essi saranno consolati". Dunque la tristezza è un bene onesto.

[35211] Iª-IIae q. 39 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, secundum illam rationem qua tristitia est bonum, potest esse bonum honestum. Dictum est enim quod tristitia est bonum secundum cognitionem et recusationem mali. Quae quidem duo in dolore corporali, attestantur bonitati naturae, ex qua provenit quod sensus sentit, et natura refugit laesivum, quod causat dolorem. In interiori vero tristitia, cognitio mali quandoque quidem est per rectum iudicium rationis; et recusatio mali est per voluntatem bene dispositam detestantem malum. Omne autem bonum honestum ex his duobus procedit, scilicet ex rectitudine rationis et voluntatis. Unde manifestum est quod tristitia potest habere rationem boni honesti.

 

[35211] Iª-IIae q. 39 a. 2 co.
RISPONDO: L’aspetto che la rende buona permette alla tristezza di essere un bene onesto. Infatti la tristezza è una cosa buona come percezione e ripulsa del male. Ora, queste due cose nel dolore fisico dimostrano la bontà della natura, dalla quale nasce la percezione del senso, e la ripulsa naturale per ciò che nuoce e provoca il dolore. Ma nella tristezza interiore la conoscenza del male spesso dipende dal retto giudizio della ragione; e l'avversione al male dipende dalla volontà ben disposta che lo detesta. Ora, ogni bene onesto deriva appunto da cedeste due cose, cioè dalla rettitudine e della ragione e della volontà. Perciò è evidente che la tristezza può essere un bene onesto.

[35212] Iª-IIae q. 39 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod omnes passiones animae regulari debent secundum regulam rationis, quae est radix boni honesti. Quam transcendit immoderata tristitia, de qua loquitur Augustinus. Et ideo recedit a ratione boni honesti.

 

[35212] Iª-IIae q. 39 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tutte le passioni devono essere regolate secondo la regola della ragione, radice del bene onesto. Codesta regola è invece trasgredita dalla tristezza esagerata di cui parla S. Agostino. Perciò tale tristezza si allontana dalla nozione di bene onesto.

[35213] Iª-IIae q. 39 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut tristitia de malo procedit ex voluntate et ratione recta, quae detestatur malum; ita tristitia de bono procedit ex ratione et voluntate perversa, quae detestatur bonum. Et ideo talis tristitia impedit laudem vel meritum boni honesti, sicut cum quis facit cum tristitia eleemosynam.

 

[35213] Iª-IIae q. 39 a. 2 ad 2
2. Come la tristezza per il male proviene da una volontà e da una ragione retta, che detestano il male; così la tristezza per il bene proviene da una ragione e da una volontà perversa, che detestano il bene. Perciò questa seconda viene a infirmare il merito e la lode del bene onesto: come quando uno fa l'elemosina con tristezza.

[35214] Iª-IIae q. 39 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod aliqua praesentialiter eveniunt, quae non fiunt Deo volente, sed Deo permittente, sicut peccata. Unde voluntas repugnans peccato existenti vel in se vel in alio, non discordat a voluntate Dei. Mala vero poenalia praesentialiter contingunt, etiam Deo volente. Non tamen exigitur ad rectitudinem voluntatis, quod ea secundum se homo velit, sed solum quod non contranitatur ordini divinae iustitiae, ut supra dictum est.

 

[35214] Iª-IIae q. 39 a. 2 ad 3
3. Certe cose, che avvengono attualmente, non avvengono perché Dio le vuole, ma perché le permette: i peccati, p. es. Perciò la volontà, che si ribella al peccato proprio o altrui, non è in disaccordo con la volontà di Dio. - Invece i castighi capitano nella realtà proprio perché Dio li vuole. Tuttavia per la rettitudine della volontà non si richiede che l'uomo li ami per se stessi, ma solo che non si ribelli all'ordine della divina giustizia, come sopra abbiamo spiegato.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Bontà e malizia della tristezza o dolore > Se la tristezza possa essere un bene utile


Prima pars secundae partis
Quaestio 39
Articulus 3

[35215] Iª-IIae q. 39 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod tristitia non possit esse bonum utile. Dicitur enim Eccli. XXX, multos occidit tristitia, et non est utilitas in illa.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 39
Articolo 3

[35215] Iª-IIae q. 39 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la tristezza non possa essere un bene utile. Infatti:
1. Sta scritto: "Molti invero ha ucciso la tristezza, e non c'è utilità in essa".

[35216] Iª-IIae q. 39 a. 3 arg. 2
Praeterea, electio est de eo quod est utile ad finem aliquem. Sed tristitia non est eligibilis, quinimmo idem sine tristitia, quam cum tristitia, est magis eligendum, ut dicitur in III Topic. Ergo tristitia non est bonum utile.

 

[35216] Iª-IIae q. 39 a. 3 arg. 2
2. Ciò che è utile per un fine è oggetto di elezione. Ma la tristezza non è degna di elezione; anzi, come scrive Aristotele, "è meglio scegliere una cosa senza tristezza, che con tristezza". Dunque la tristezza non è un bene utile.

[35217] Iª-IIae q. 39 a. 3 arg. 3
Praeterea, omnis res est propter suam operationem, ut dicitur in II de coelo. Sed tristitia impedit operationem, ut dicitur in X Ethic. Ergo tristitia non habet rationem boni utilis.

 

[35217] Iª-IIae q. 39 a. 3 arg. 3
3. "Ogni cosa è per la sua operazione", insegna Aristotele. Ma egli scrive pure, che "la tristezza disturba l'operazione". Dunque la tristezza non ha l'aspetto di bene utile.

[35218] Iª-IIae q. 39 a. 3 s. c.
Sed contra, sapiens non quaerit nisi utilia. Sed sicut dicitur Eccle. VII, cor sapientum ubi tristitia, et cor stultorum ubi laetitia. Ergo tristitia est utilis.

 

[35218] Iª-IIae q. 39 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Il sapiente cerca solo le cose utili. Ora, sta scritto, che "il cuore de' savi è dove sta la tristezza, e il cuore degli stolti, dove l'allegria". Dunque la tristezza è utile.

[35219] Iª-IIae q. 39 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod ex malo praesenti insurgit duplex appetitivus motus. Unus quidem est quo appetitus contrariatur malo praesenti. Et ex ista parte tristitia non habet utilitatem, quia id quod est praesens, non potest non esse praesens. Secundus motus consurgit in appetitu ad fugiendum vel repellendum malum contristans. Et quantum ad hoc, tristitia habet utilitatem, si sit de aliquo quod est fugiendum. Est enim aliquid fugiendum dupliciter. Uno modo, propter seipsum, ex contrarietate quam habet ad bonum; sicut peccatum. Et ideo tristitia de peccato utilis est ad hoc quod homo fugiat peccatum, sicut apostolus dicit, II ad Cor. VII, gaudeo, non quia contristati estis, sed quia contristati estis ad poenitentiam. Alio modo est aliquid fugiendum, non quia sit secundum se malum, sed quia est occasio mali; dum vel homo nimis inhaeret ei per amorem, vel etiam ex hoc praecipitatur in aliquod malum, sicut patet in bonis temporalibus. Et secundum hoc, tristitia de bonis temporalibus potest esse utilis, sicut dicitur Eccle. VII, melius est ire ad domum luctus quam ad domum convivii, in illa enim finis cunctorum admonetur hominum. Ideo autem tristitia in omni fugiendo est utilis, quia geminatur fugiendi causa. Nam ipsum malum secundum se fugiendum est, ipsam autem tristitiam secundum se omnes fugiunt, sicut etiam bonum omnes appetunt, et delectationem de bono. Sicut ergo delectatio de bono facit ut bonum avidius quaeratur, ita tristitia de malo facit ut malum vehementius fugiatur.

 

[35219] Iª-IIae q. 39 a. 3 co.
RISPONDO: Dalla presenza del male insorgono due moti appetitivi. Il primo è il moto di contrarietà al male presente. E da questo lato la tristezza non offre nessuna utilità: poiché ciò che è presente non può non esser presente.
Il secondo moto nasce dall'appetito come fuga o come reazione al male che addolora. E in questo la tristezza offre un'utilità, se ha per oggetto una cosa da fuggire. Ora, una cosa è degna di fuga per due motivi. - Primo, per se stessa, cioè per esser contraria al bene; il peccato, p. es. Perciò il dolore dei peccati serve all'uomo per fuggire il peccato; così infatti si esprime l'Apostolo: "Ne godo, non perché siete stati addolorati, ma perché la vostra pena ha servito al pentimento. - Secondo, una cosa è degna di fuga non perché cattiva in se stessa, ma perché occasione di male; per il fatto che l'uomo vi si lega con l'amore, oppure perché ne prende occasione per cadere nel male; e ne abbiamo l'esempio nel caso dei beni temporali. Per questo i dolori e le tristezze aventi per oggetto i beni temporali possono essere utili; come si legge nell'Ecclesiaste: "È meglio andare alla casa del lutto, che alla casa del festino: perché colà è rammentata la fine di ogni uomo".
Quindi la tristezza di fronte a ogni cosa da fuggire è utile, poiché viene così duplicata la causa che spinge alla fuga. Infatti il male stesso è degno di fuga, e d'altra parte tutti fuggono la stessa tristezza: allo stesso modo tutti desiderano il bene e il godimento di esso. Perciò, come il godimento del bene fa sì che il bene sia cercato con maggior avidità, così il dolore, o tristezza del male fa sì che il male sia fuggito con più impegno.

[35220] Iª-IIae q. 39 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod auctoritas illa intelligitur de immoderata tristitia, quae animum absorbet. Huiusmodi enim tristitia immobilitat animum, et impedit fugam mali, ut supra dictum est.

 

[35220] Iª-IIae q. 39 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quel testo si riferisce alla tristezza esagerata, che sommerge l'animo. Infatti codesta tristezza, come abbiamo visto, immobilizza l'animo, e impedisce la fuga del male.

[35221] Iª-IIae q. 39 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut quodlibet eligibile fit minus eligibile propter tristitiam, ita quodlibet fugiendum redditur magis fugiendum propter tristitiam. Et quantum ad hoc, tristitia est utilis.

 

[35221] Iª-IIae q. 39 a. 3 ad 2
2. Come tutte le cose degne di elezione diventano meno eleggibili per la tristezza, così tutte quelle che sono da fuggire diventano per la tristezza più degne di fuga. E in questo sta l'utilità della tristezza.

[35222] Iª-IIae q. 39 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod tristitia de operatione aliqua, impedit operationem, sed tristitia de cessatione operationis, facit avidius operari.

 

[35222] Iª-IIae q. 39 a. 3 ad 3
3. Se la tristezza è motivata dall'operazione, ne costituisce un ostacolo; se invece è motivata dalla cessazione di essa fa operare con più impegno.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Bontà e malizia della tristezza o dolore > Se il dolore (del corpo) sia il supremo male


Prima pars secundae partis
Quaestio 39
Articulus 4

[35223] Iª-IIae q. 39 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod tristitia sit summum malum. Optimo enim opponitur pessimum, ut dicitur in VIII Ethic. Sed quaedam delectatio est optimum, quae scilicet pertinet ad felicitatem. Ergo aliqua tristitia est summum malum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 39
Articolo 4

[35223] Iª-IIae q. 39 a. 4 arg. 1
SEMBRA che il dolore, o tristezza, sia il supremo male. Infatti:
1. Aristotele afferma che "la cosa migliore ha come suo contrario la cosa peggiore". Ora, c'è un godimento che costituisce la cosa migliore, e cioè la beatitudine. Dunque c'è un dolore che costituisce il male supremo.

[35224] Iª-IIae q. 39 a. 4 arg. 2
Praeterea, beatitudo est summum bonum hominis, quia est ultimus hominis finis. Sed beatitudo consistit in hoc quod homo habeat quidquid velit, et nihil mali velit, ut supra dictum est. Ergo summum bonum hominis est impletio voluntatis ipsius. Sed tristitia consistit in hoc quod accidit aliquid contra voluntatem, ut patet per Augustinum, XIV de Civ. Dei. Ergo tristitia est summum malum hominis.

 

[35224] Iª-IIae q. 39 a. 4 arg. 2
2. La beatitudine è il bene supremo dell'uomo, perché ne è l'ultimo fine. Ora, la felicità consiste nel fatto che un uomo "ha quel che vuole, e non vuole niente di male", come sopra abbiamo detto. Dunque il bene supremo di un uomo è il compimento del suo volere. Ma la tristezza ha per oggetto quanto capita contro la propria volontà, come S. Agostino dimostra. Quindi la tristezza è per l'uomo il male supremo.

[35225] Iª-IIae q. 39 a. 4 arg. 3
Praeterea, Augustinus sic argumentatur in Soliloq., ex duabus partibus compositi sumus, ex anima scilicet et corpore, quarum pars deterior corpus est. Summum autem bonum est melioris partis optimum, summum autem malum, pessimum deterioris. Est autem optimum in animo sapientia, in corpore pessimum dolor. Summum igitur bonum hominis est sapere, summum malum dolere.

 

[35225] Iª-IIae q. 39 a. 4 arg. 3
3. Nei Soliloqui S. Agostino porta questo argomento: "Noi siamo composti da due parti, cioè di anima e di corpo, la peggiore delle quali è il corpo. Quindi il sommo bene è quello che c'è di meglio nella parte migliore: e il male supremo è quello che c’è di peggio nella parte peggiore. Ora, quello che c’è di meglio nell'animo è la sapienza: quello che c'è di peggio nel corpo è il dolore. Dunque per l'uomo il bene supremo è la sapienza: male supremo il dolore".

[35226] Iª-IIae q. 39 a. 4 s. c.
Sed contra, culpa est magis malum quam poena, ut in primo habitum est. Sed tristitia seu dolor pertinet ad poenam peccati; sicut frui rebus mutabilibus est malum culpae. Dicit enim Augustinus, in libro de vera religione, quis est dolor qui dicitur animi, nisi carere mutabilibus rebus quibus fruebatur, aut frui se posse speraverat? Et hoc est totum quod dicitur malum, idest peccatum, et poena peccati. Ergo tristitia seu dolor non est summum malum hominis.

 

[35226] Iª-IIae q. 39 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: La colpa, come abbiamo visto nella Prima Parte, è un male più grande della pena. Ora, la tristezza, o dolore fa parte della pena dovuta al peccato, come la fruizione delle cose transitorie costituisce il male colpa. Infatti S. Agostino insegna: "Che cosa è il dolore attribuito all'anima, se non la privazione delle cose transitorie di cui fruiva, o delle quali sperava fruire? Il male è tutto qui, abbiamo cioè il peccato e la pena del peccato". Dunque la tristezza, o dolore non è il male supremo dell'uomo.

[35227] Iª-IIae q. 39 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod impossibile est aliquam tristitiam seu dolorem esse summum hominis malum. Omnis enim tristitia seu dolor aut est de hoc quod est vere malum, aut est de aliquo apparenti malo, quod est vere bonum. Dolor autem seu tristitia quae est de vere malo, non potest esse summum malum, est enim aliquid eo peius, scilicet vel non iudicare esse malum illud quod vere est malum, vel etiam non refutare illud. Tristitia autem vel dolor qui est de apparenti malo, quod est vere bonum, non potest esse summum malum, quia peius esset omnino alienari a vero bono. Unde impossibile est quod aliqua tristitia vel dolor sit summum hominis malum.

 

[35227] Iª-IIae q. 39 a. 4 co.
RISPONDO: È impossibile che una tristezza, o un dolore sia il supremo male dell'uomo. Ogni tristezza o dolore ha per oggetto, o il vero male, o un male apparente, che veramente è un bene. Ora, rattristarsi di un vero male non può essere il male supremo: infatti esiste qualche cosa di peggio, e cioè il non stimar come male quello che lo è realmente, oppure il non respingerlo. D'altra parte rattristarsi di un male apparente, che è un vero bene, non può essere il male supremo, poiché sarebbe peggio allontanarsi totalmente dal vero bene. Dunque è impossibile che una tristezza, o un dolore sia il supremo male dell'uomo.

[35228] Iª-IIae q. 39 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod duo bona sunt communia et delectationi et tristitiae, scilicet iudicium verum de bono et malo; et ordo debitus voluntatis approbantis bonum et recusantis malum. Et sic patet quod in dolore vel tristitia est aliquod bonum per cuius privationem potest fieri deterius. Sed non in omni delectatione est aliquod malum, per cuius remotionem possit fieri melius. Unde delectatio aliqua potest esse summum hominis bonum, eo modo quo supra dictum est, tristitia autem non potest esse summum hominis malum.

 

[35228] Iª-IIae q. 39 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il piacere e la tristezza, hanno in comune due cose buone: un giudizio vero sul bene e sul male, e la giusta disposizione della volontà attratta verso il bene e recalcitrante al male. Dal che si dimostra che nel dolore, o tristezza c’è qualche cosa di buono, con la cui perdita può diventare peggiore. Invece non sempre si trova nel godimento un male, con la cui perdita possa diventare migliore. Per questo può esserci un godimento che è il bene supremo dell'uomo, come abbiamo spiegato: invece la tristezza non può essere per l'uomo il male supremo.

[35229] Iª-IIae q. 39 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod hoc ipsum quod est voluntatem repugnare malo, est quoddam bonum. Et propter hoc, tristitia vel dolor non potest esse summum malum, quia habet aliquam permixtionem boni.

 

[35229] Iª-IIae q. 39 a. 4 ad 2
2. Il fatto stesso che la volontà si ribelli al male è già un bene. E proprio per questo la tristezza, o dolore non può essere il male supremo: poiché vi si trova mescolato del bene.

[35230] Iª-IIae q. 39 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod peius est quod nocet meliori, quam quod nocet peiori. Malum autem dicitur quia nocet, ut dicit Augustinus in Enchirid. Unde maius malum est quod est malum animae, quam quod est malum corporis. Unde non est efficax, ratio, quam Augustinus inducit non ex sensu suo sed ex sensu alterius.

 

[35230] Iª-IIae q. 39 a. 4 ad 3
3. Come dice S. Agostino, una cosa si chiama male "perché nuoce". Ora il male che danneggia una cosa migliore, è peggiore di quello che ne danneggia una peggiore. Perciò è peggiore il male dell'anima che quello del corpo. E quindi l'argomento che S. Agostino riporta, non come proprio ma altrui, non ha valore.

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