I-II, 38

Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Rimedi della tristezza o dolore


Prima pars secundae partis
Quaestio 38
Prooemium

[35158] Iª-IIae q. 38 pr.
Deinde considerandum est de remediis doloris seu tristitiae. Et circa hoc quaeruntur quinque.
Primo, utrum dolor vel tristitia mitigetur per quamlibet delectationem.
Secundo, utrum mitigetur per fletum.
Tertio, utrum per compassionem amicorum.
Quarto, utrum per contemplationem veritatis.
Quinto, utrum per somnum et balnea.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 38
Proemio

[35158] Iª-IIae q. 38 pr.
Passiamo quindi a trattare dei rimedi del dolore, o tristezza.
Sull'argomento si pongono cinque quesiti:

1. Se il dolore, o tristezza, sia alleviato da qualsiasi piacere;
2. Se sia alleviato dal pianto;
3. Se sia alleviato dalla compassione degli amici;
4. Se lo sia dalla contemplazione della verità;
5. Se sia mitigato dal sonno e dal bagno.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Rimedi della tristezza o dolore > Se il dolore, o tristezza, sia alleviato da qualsiasi piacere


Prima pars secundae partis
Quaestio 38
Articulus 1

[35159] Iª-IIae q. 38 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod non quaelibet delectatio mitiget quemlibet dolorem seu tristitiam. Non enim delectatio tristitiam mitigat, nisi inquantum ei contrariatur, medicinae enim fiunt per contraria, ut dicitur in II Ethic. Sed non quaelibet delectatio contrariatur cuilibet tristitiae, ut supra dictum est. Ergo non quaelibet delectatio mitigat quamlibet tristitiam.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 38
Articolo 1

[35159] Iª-IIae q. 38 a. 1 arg. 1
SEMBRA che non tutti i piaceri possano alleviare qualsiasi dolore, o tristezza. Infatti:
1. Il piacere non allevia il dolore, se non perché è ad esso contrario: infatti, come dice Aristotele, "i rimedi si ottengono dai contrari". Ora, non tutti i piaceri sono contrari a qualsiasi dolore, come sopra abbiamo visto. Dunque non può alleviare qualsiasi dolore un piacere qualunque.

[35160] Iª-IIae q. 38 a. 1 arg. 2
Praeterea, illud quod causat tristitiam, non mitigat tristitiam. Sed aliquae delectationes causant tristitiam, quia, ut dicitur in IX Ethic., malus tristatur quoniam delectatus est. Non ergo omnis delectatio mitigat tristitiam.

 

[35160] Iª-IIae q. 38 a. 1 arg. 2
2. Non può alleviare il dolore ciò che lo causa. Ora, certi piaceri causano il dolore: poiché, come scrive Aristotele, "chi ha fatto del male si rattrista per aver goduto". Dunque non ogni piacere mitiga il dolore.

[35161] Iª-IIae q. 38 a. 1 arg. 3
Praeterea, Augustinus dicit, in IV Confess., quod ipse fugit de patria, in qua conversari solitus erat cum amico suo iam mortuo, minus enim quaerebant eum oculi eius, ubi videre non solebant. Ex quo accipi potest quod illa in quibus nobis amici mortui vel absentes communicaverunt, efficiuntur nobis, de eorum morte vel absentia dolentibus, onerosa. Sed maxime communicaverunt nobis in delectationibus. Ergo ipsae delectationes efficiuntur nobis dolentibus onerosae. Non ergo quaelibet delectatio mitigat quamlibet tristitiam.

 

[35161] Iª-IIae q. 38 a. 1 arg. 3
3. S. Agostino racconta di aver abbandonato la patria, nella quale aveva a lungo vissuto con l'amico defunto: "perché i suoi occhi lo avrebbero cercato meno, là dove non erano soliti vederlo". Da questo fatto si desume che le cose, in cui gli amici morti o assenti hanno comunicato con noi, diventano per noi penose, quando siamo addolorati della loro morte o della loro assenza. Ma essi hanno avuto in comune con noi specialmente i godimenti. Perciò i godimenti stessi diventano penosi quando siamo addolorati. Dunque non tutti i godimenti possono alleviare qualsiasi tristezza.

[35162] Iª-IIae q. 38 a. 1 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in VII Ethic., quod expellit delectatio tristitiam, et quae contraria, et quae contingens, si sit fortis.

 

[35162] Iª-IIae q. 38 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna, che "il piacere scaccia la tristezza, e quella contraria, e qualsiasi altra, purché sia forte".

[35163] Iª-IIae q. 38 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut ex praedictis patet, delectatio est quaedam quies appetitus in bono convenienti; tristitia autem est ex eo quod repugnat appetitui. Unde sic se habet delectatio ad tristitiam in motibus appetitivis, sicut se habet in corporibus quies ad fatigationem, quae accidit ex aliqua transmutatione innaturali, nam et ipsa tristitia fatigationem quandam, seu aegritudinem appetitivae virtutis importat. Sicut igitur quaelibet quies corporis remedium affert contra quamlibet fatigationem, ex quacumque causa innaturali provenientem; ita quaelibet delectatio remedium affert ad mitigandam quamlibet tristitiam, ex quocumque procedat.

 

[35163] Iª-IIae q. 38 a. 1 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, il piacere è il quietarsi dell'appetito nel bene voluto, mentre il dolore nasce da ciò che contraria l’appetito. Perciò tra i motivi dell'appetito il piacere sta alla tristezza, come nell'attività del corpo il riposo sta alla fatica, prodotta da qualche alterazione innaturale: del resto il dolore stesso implica un affaticamento o un'infermità della potenza appetitiva. Perciò come qualsiasi riposo del corpo è un rimedio contro qualsiasi fatica, proveniente da qualsiasi causa innaturale; così qualsiasi piacere porta un sollievo capace di mitigare qualsiasi tristezza, qualunque ne sia l'origine.

[35164] Iª-IIae q. 38 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, licet non omnis delectatio contrarietur omni tristitiae secundum speciem, contrariatur tamen secundum genus, ut supra dictum est. Et ideo ex parte dispositionis subiecti, quaelibet tristitia per quamlibet delectationem mitigari potest.

 

[35164] Iª-IIae q. 38 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene non tutti i piaceri siano contrari specificamente a qualsiasi tristezza, sono però contrari nel genere, come sopra abbiamo notato. Perciò, per il suo influsso sulle condizioni del soggetto, qualsiasi piacere può alleviare qualsiasi tristezza.

[35165] Iª-IIae q. 38 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod delectationes malorum non causant tristitiam in praesenti, sed in futuro, inquantum scilicet mali poenitent de malis de quibus laetitiam habuerunt. Et huic tristitiae subvenitur per contrarias delectationes.

 

[35165] Iª-IIae q. 38 a. 1 ad 2
2. I piaceri dei malvagi non producono tristezza nel presente, ma nel futuro: cioè quando i malvagi si pentono del male in cui provarono godimento. Anche a questa tristezza si rimedia con i piaceri contrari.

[35166] Iª-IIae q. 38 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod, quando sunt duae causae ad contrarios motus inclinantes, utraque alteram impedit, et tamen illa finaliter vincit, quae fortior est et diuturnior. In eo autem qui tristatur de his in quibus simul cum amico mortuo vel absente delectari consuevit, duae causae in contrarium moventes inveniuntur. Nam mors vel absentia amici recogitata, inclinat ad dolorem, bonum autem praesens inclinat ad delectationem. Unde utrumque per alterum minuitur. Sed tamen, quia fortius movet sensus praesentis quam memoria praeteriti, et amor sui ipsius quam amor alterius diuturnius manet; inde est quod finaliter delectatio tristitiam expellit. Unde post pauca subdit ibidem Augustinus quod pristinis generibus delectationum cedebat dolor eius.

 

[35166] Iª-IIae q. 38 a. 1 ad 3
3. Quando due cause spingono verso moti contrari, l'una è di ostacolo all'altra: ma finisce col prevalere la più forte e la più tenace. Ora, in colui che è addolorato per il ricordo di quanto era solito godere con l'amico morto o assente, si trovano due cause dai moti contrari. Infatti il pensiero della morte, o dell'assenza dell'amico inclina al dolore: il bene presente, invece, inclina al godimento. Perciò l'uno disturba l'altro. Ma poiché muove più fortemente la percezione sensibile del presente che la memoria del passato, e l'amore verso se stessi è più tenace dell'amore verso gli altri, finalmente il piacere scaccia il dolore. Perciò S. Agostino aggiunge poco dopo, che "il suo dolore cedeva davanti ai medesimi piaceri di una volta".




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Rimedi della tristezza o dolore > Se il dolore, o tristezza, sia alleviato dal pianto


Prima pars secundae partis
Quaestio 38
Articulus 2

[35167] Iª-IIae q. 38 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod fletus non mitiget tristitiam. Nullus enim effectus diminuit suam causam. Sed fletus, vel gemitus, est effectus tristitiae. Ergo non minuit tristitiam.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 38
Articolo 2

[35167] Iª-IIae q. 38 a. 2 arg. 1
SEMBRA che il pianto non possa alleviare la tristezza. Infatti:
1. Nessun effetto può sminuire la sua causa. Ora, il pianto, e i gemiti sono effetti del dolore. Dunque non diminuiscono il dolore.

[35168] Iª-IIae q. 38 a. 2 arg. 2
Praeterea, sicut fletus vel gemitus est effectus tristitiae, ita risus est effectus laetitiae. Sed risus non minuit laetitiam. Ergo fletus non mitigat tristitiam.

 

[35168] Iª-IIae q. 38 a. 2 arg. 2
2. Il pianto, o il gemito, è effetto della tristezza, come il riso è effetto della gioia. Ma il riso non diminuisce la gioia. Dunque il pianto non allevia la tristezza.

[35169] Iª-IIae q. 38 a. 2 arg. 3
Praeterea, in fletu repraesentatur nobis malum contristans. Sed imaginatio rei contristantis auget tristitiam, sicut imaginatio rei delectantis auget laetitiam. Ergo videtur quod fletus non mitiget tristitiam.

 

[35169] Iª-IIae q. 38 a. 2 arg. 3
3. Nel pianto ci si presenta il male che addolora. Ma l'immagine di ciò che addolora aumenta la tristezza; come l'immagine di ciò che piace aumenta la gioia. Dunque il pianto non allevia la tristezza.

[35170] Iª-IIae q. 38 a. 2 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in IV Confess., quod quando dolebat de morte amici, in solis gemitibus et lacrimis erat ei aliquantula requies.

 

[35170] Iª-IIae q. 38 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino racconta, che quando era addolorato per la morte del suo amico, "trovava un po' di pace soltanto nei gemiti e nelle lacrime".

[35171] Iª-IIae q. 38 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod lacrimae et gemitus naturaliter mitigant tristitiam. Et hoc duplici ratione. Primo quidem, quia omne nocivum interius clausum magis affligit, quia magis multiplicatur intentio animae circa ipsum, sed quando ad exteriora diffunditur, tunc animae intentio ad exteriora quodammodo disgregatur, et sic interior dolor minuitur. Et propter hoc, quando homines qui sunt in tristitiis, exterius suam tristitiam manifestant vel fletu aut gemitu, vel etiam verbo, mitigatur tristitia. Secundo, quia semper operatio conveniens homini secundum dispositionem in qua est, sibi est delectabilis. Fletus autem et gemitus sunt quaedam operationes convenientes tristato vel dolenti. Et ideo efficiuntur ei delectabiles. Cum igitur omnis delectatio aliqualiter mitiget tristitiam vel dolorem, ut dictum est, sequitur quod per planctum et gemitum tristitia mitigetur.

 

[35171] Iª-IIae q. 38 a. 2 co.
RISPONDO: Le lacrime e i gemiti per loro natura alleviano il dolore. E questo per due motivi. - Primo, perché ogni elemento nocivo covato interiormente dà maggiore afflizione, poiché si concentra di più su di esso l'attenzione dell'anima; invece quando si espande all'esterno, l'attenzione dell'anima in qualche modo si disgrega, e così il dolore interno diminuisce. Per questo, quando gli uomini colpiti dal dolore manifestano esternamente la loro tristezza col pianto, con i gemiti, e persino con le parole, la loro tristezza viene mitigata.
- Secondo, perché l'operazione che conviene ad un uomo, secondo la disposizione in cui si trova, è sempre piacevole per lui. Ora, piangere e gemere sono operazioni convenienti per chi è triste, o addolorato. E quindi sono piacevoli per lui. Perciò, siccome ogni piacere mitiga in qualche modo la tristezza, o dolore, secondo le spiegazioni date, ne segue che il dolore viene alleviato dal pianto e dai gemiti.

[35172] Iª-IIae q. 38 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ipsa habitudo causae ad effectum contrariatur habitudini contristantis ad contristatum, nam omnis effectus est conveniens suae causae, et per consequens est ei delectabilis; contristans autem contrariatur contristato. Et ideo effectus tristitiae habet contrariam habitudinem ad contristatum, quam contristans ad ipsum. Et propter hoc, mitigatur tristitia per effectum tristitiae, ratione contrarietatis praedictae.

 

[35172] Iª-IIae q. 38 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ; 1. Il rapporto tra ciò che addolora e chi viene rattristato è contrario persino al rapporto esistente tra causa ed effetto: poiché ogni effetto è conveniente alla propria causa, e quindi è piacevole per essa; invece ciò che addolora è contrario a chi viene rattristato. Perciò l'effetto del dolore deve avere con colui che è addolorato un rapporto contrario a quello che ha verso di lui la causa del dolore. E quindi il dolore viene alleviato dagli effetti del dolore in forza alla suddetta contrarietà.

[35173] Iª-IIae q. 38 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod habitudo effectus ad causam est similis habitudini delectantis ad delectatum, quia utrobique convenientia invenitur. Omne autem simile auget suum simile. Et ideo per risum et alios effectus laetitiae augetur laetitia, nisi forte per accidens, propter excessum.

 

[35173] Iª-IIae q. 38 a. 2 ad 2
2. Il rapporto tra causa ed effetto è simile al rapporto tra ciò che fa godere e chi ne gode: poiché in entrambi i casi si trova una convenienza. Ora, cose che si somigliano, si potenziano a vicenda. Ecco perché la gioia viene accresciuta dal riso e dagli altri effetti di essa: a meno che non si ecceda.

[35174] Iª-IIae q. 38 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod imaginatio rei contristantis, quantum est de se, nata est augere tristitiam, sed ex hoc ipso quod homo imaginatur quod facit illud quod convenit sibi secundum talem statum, consurgit inde quaedam delectatio. Et eadem ratione, si alicui subrepat risus in statu in quo videtur sibi esse lugendum, ex hoc ipso dolet, tanquam faciat id quod non convenit, ut Tullius dicit, in III de Tuscul. quaestionibus.

 

[35174] Iª-IIae q. 38 a. 2 ad 3
3. Il pensiero di una cosa che addolora, di per sé è fatto per accrescere il dolore: ma dal momento che uno pensa di fare quello che a lui si addice in quel suo stato, nasce un certo godimento. Per lo stesso motivo, fa osservare Cicerone, se a uno scappa da ridere in una circostanza in cui gli sembra di dover piangere, di questo si addolora, come se avesse fatto una cosa sconveniente.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Rimedi della tristezza o dolore > Se il dolore e la tristezza siano alleviati dalla compassione degli amici


Prima pars secundae partis
Quaestio 38
Articulus 3

[35175] Iª-IIae q. 38 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod dolor amici compatientis non mitiget tristitiam. Contrariorum enim contrarii sunt effectus. Sed sicut Augustinus dicit, VIII Confess., quando cum multis gaudetur, in singulis uberius est gaudium, quia fervere faciunt se, et inflammantur ex alterutro. Ergo, pari ratione, quando multi simul tristantur, videtur quod sit maior tristitia.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 38
Articolo 3

[35175] Iª-IIae q. 38 a. 3 arg. 1
SEMBRA che il dolore compassionevole di un amico non possa alleviare la tristezza. Infatti:
1. Cause contrarie hanno effetti contrari. Ora, come osserva S. Agostino: "Quando si è molti a godere, anche nei singoli la gioia è maggiore, poiché ci si scalda e ci s'infiamma reciprocamente". Dunque, per lo stesso motivo, quando molti insieme si rattristano, il dolore è più grande.

[35176] Iª-IIae q. 38 a. 3 arg. 2
Praeterea, hoc requirit amicitia, ut amoris vicem quis rependat, ut Augustinus dicit, IV Confess. Sed amicus condolens dolet de dolore amici dolentis. Ergo ipse dolor amici condolentis est causa amico prius dolenti de proprio malo, alterius doloris. Et sic, duplicato dolore, videtur tristitia crescere.

 

[35176] Iª-IIae q. 38 a. 3 arg. 2
2. L'amicizia esige, come dice S. Agostino, che si renda amore per amore. Ora, l'amico che compiange si rattrista per il dolore dell'amico addolorato. Perciò il dolore stesso dell'amico che compiange, provoca un altro dolore nell'amico già addolorato del proprio malanno. Raddoppiandosi quindi il dolore, dovrà aumentare la tristezza.

[35177] Iª-IIae q. 38 a. 3 arg. 3
Praeterea, omne malum amici est contristans, sicut et malum proprium, nam amicus est alter ipse. Sed dolor est quoddam malum. Ergo dolor amici condolentis auget tristitiam amico cui condoletur.

 

[35177] Iª-IIae q. 38 a. 3 arg. 3
3. Ogni male dell'amico rattrista come male proprio: infatti l'amico è un alter ego. Ma il dolore è un male. Dunque il dolore dell'amico che compiange, aumenta la tristezza dell'amico compianto.

[35178] Iª-IIae q. 38 a. 3 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in IX Ethic., quod in tristitiis amicus condolens consolatur.

 

[35178] Iª-IIae q. 38 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna che l'amico, il quale compiange nella tristezza, consola.

[35179] Iª-IIae q. 38 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod naturaliter amicus condolens in tristitiis, est consolativus. Cuius duplicem rationem tangit philosophus in IX Ethic. Quarum prima est quia, cum ad tristitiam pertineat aggravare, habet rationem cuiusdam oneris, a quo aliquis aggravatus alleviari conatur. Cum ergo aliquis videt de sua tristitia alios contristatos, fit ei quasi quaedam imaginatio quod illud onus alii cum ipso ferant, quasi conantes ad ipsum ab onere alleviandum et ideo levius fert tristitiae onus, sicut etiam in portandis oneribus corporalibus contingit. Secunda ratio, et melior, est quia per hoc quod amici contristantur ei, percipit se ab eis amari; quod est delectabile, ut supra dictum est. Unde, cum omnis delectatio mitiget tristitiam, sicut supra dictum est, sequitur quod amicus condolens tristitiam mitiget.

 

[35179] Iª-IIae q. 38 a. 3 co.
RISPONDO: L'amico che compiange nella tristezza, di suo consola.
Il Filosofo lo prova con due ragioni. La prima accenna al fatto che la tristezza si presenta come un peso, dal quale uno cerca di essere alleggerito, essendo effetto proprio della tristezza deprimere. Perciò quando uno vede altri rattristati dal proprio dolore, ha l'idea che gli altri portino il suo peso con lui, nel tentativo di alleggerirlo; e quindi sente più leggero il peso della tristezza: presso a poco come avviene nel portare dei pesi materiali. - La seconda ragione, che è anche la migliore, accenna al fatto che dalle condoglianze dell'amico uno si accorge di essere amato; e questo è piacevole, come sopra abbiamo detto. Perciò, siccome ogni piacere allevia il dolore, secondo le considerazioni precedenti, ne segue che il compianto degli amici viene a mitigare la tristezza.

[35180] Iª-IIae q. 38 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in utroque amicitia manifestatur, scilicet et quod congaudet gaudenti, et quod condolet dolenti. Et ideo utrumque ratione causae redditur delectabile.

 

[35180] Iª-IIae q. 38 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In tutti e due i casi si ha la manifestazione dell'amicizia, cioè nel godere con chi gode, e nel piangere con chi è addolorato. Perciò l'uno e l'altro fatto, a motivo della causa indicata, diventa piacevole.

[35181] Iª-IIae q. 38 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod ipse dolor amici secundum se contristaret. Sed consideratio causae eius, quae est amor, magis delectat.

 

[35181] Iª-IIae q. 38 a. 3 ad 2
2. Il dolore dell'amico di suo potrebbe rattristare. Ma il pensiero di ciò che lo causa, cioè dell'amore, ne fa prevalere l'aspetto piacevole.

[35182] Iª-IIae q. 38 a. 3 ad 3
Et per hoc patet responsio ad tertium.

 

[35182] Iª-IIae q. 38 a. 3 ad 3
3. In tal modo è risolta anche la terza difficoltà.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Rimedi della tristezza o dolore > Se il dolore e la tristezza siano alleviati dalla contemplazione della verità


Prima pars secundae partis
Quaestio 38
Articulus 4

[35183] Iª-IIae q. 38 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod contemplatio veritatis non mitiget dolorem. Dicitur enim Eccle. I, qui addit scientiam, addit et dolorem. Sed scientia ad contemplationem veritatis pertinet. Non ergo contemplatio veritatis mitigat dolorem.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 38
Articolo 4

[35183] Iª-IIae q. 38 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la contemplazione della verità non mitighi il dolore.
Infatti:
1. Sta scritto: "Chi aumenta la scienza aumenta il travaglio". Ora, la scienza appartiene alla contemplazione della verità. Dunque la contemplazione della verità non allevia il dolore.

[35184] Iª-IIae q. 38 a. 4 arg. 2
Praeterea, contemplatio veritatis ad intellectum speculativum pertinet. Sed intellectus speculativus non movet, ut dicitur in III de anima. Cum igitur gaudium et dolor sint quidam motus animi, videtur quod contemplatio veritatis nihil faciat ad mitigationem doloris.

 

[35184] Iª-IIae q. 38 a. 4 arg. 2
2. La contemplazione della verità appartiene all’intelletto speculativo. Ora, come dice Aristotele, "l'intelletto speculativo non muove". D'altra parte, essendo la gioia e il dolore moti dell'animo, sembra che la contemplazione della verità non contribuisca affatto a mitigare il dolore.

[35185] Iª-IIae q. 38 a. 4 arg. 3
Praeterea, remedium aegritudinis apponendum est ubi est aegritudo. Sed contemplatio veritatis est in intellectu. Non ergo mitigat dolorem corporalem, qui est in sensu.

 

[35185] Iª-IIae q. 38 a. 4 arg. 3
3. Il rimedio va applicato dove si trova il malanno. Ora, la contemplazione della verità è nell'intelletto. Dunque non può alleviare il dolore fisico, che risiede nel senso.

[35186] Iª-IIae q. 38 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in I Soliloq., videbatur mihi, si se ille mentibus nostris veritatis fulgor aperiret, aut non me sensurum fuisse illum dolorem, aut certe pro nihilo toleraturum.

 

[35186] Iª-IIae q. 38 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino racconta: "Mi sembrava che se alle nostre menti si fosse mostrato quello splendore della verità, o non avrei sentito quel dolore, o l'avrei sopportato come un'inezia".

[35187] Iª-IIae q. 38 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, in contemplatione veritatis maxima delectatio consistit. Omnis autem delectatio dolorem mitigat, ut supra dictum est. Et ideo contemplatio veritatis mitigat tristitiam vel dolorem, et tanto magis, quanto perfectius aliquis est amator sapientiae. Et ideo homines ex contemplatione divina et futurae beatitudinis, in tribulationibus gaudent; secundum illud Iacobi I, omne gaudium existimate, fratres mei, cum in tentationes varias incideritis. Et quod est amplius, etiam inter corporis cruciatus huiusmodi gaudium invenitur, sicut Tiburtius martyr, cum nudatis plantis super ardentes prunas incederet, dixit, videtur mihi quod super roseos flores incedam, in nomine Iesu Christi.

 

[35187] Iª-IIae q. 38 a. 4 co.
RISPONDO: Come abbiamo detto sopra, nella contemplazione della verità abbiamo il massimo godimento. Ora, ogni godimento allevia il dolore secondo le dimostrazioni date. Dunque la contemplazione della verità allevia la tristezza, o dolore, nella misura in cui uno ama la sapienza. Perciò per la contemplazione di Dio e della futura beatitudine, gli uomini godono nelle tribolazioni, secondo l'esortazione di S. Giacomo: "Voi, fratelli miei, dovete stimare vero gaudio le diverse prove alle quali vi troverete esposti". Anzi codesto gaudio si trova persino, ed è cosa assai più grande, tra i tormenti del corpo; come fu per "il martire S. Tiburzio, il quale nel camminare a piedi nudi sui carboni ardenti diceva: Mi sembra di passeggiare sulle rose, nel nome di Gesù Cristo".

[35188] Iª-IIae q. 38 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod qui addit scientiam, addit dolorem, vel propter difficultatem et defectum inveniendae veritatis, vel propter hoc, quod per scientiam homo cognoscit multa quae voluntati contrariantur. Et sic ex parte rerum cognitarum, scientia dolorem causat, ex parte autem contemplationis veritatis, delectationem.

 

[35188] Iª-IIae q. 38 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che "chi aumenta la scienza aumenta il travaglio", o per la difficoltà e le deficienze nello scoprire la verità; oppure perché mediante la scienza uno viene a conoscere molte cose contrarie al suo volere. Quindi la scienza può causare dolore a motivo delle cose conosciute; ma causa il godimento per la contemplazione della verità.

[35189] Iª-IIae q. 38 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod intellectus speculativus non movet animum ex parte rei speculatae, movet tamen animum ex parte ipsius speculationis, quae est quoddam bonum hominis, et naturaliter delectabilis.

 

[35189] Iª-IIae q. 38 a. 4 ad 2
2. L'intelletto speculativo non muove l'animo in forza dell'oggetto contemplato [che è astratto]; lo muove però in forza della contemplazione stessa, che è un bene dell'uomo, e per natura piacevole.

[35190] Iª-IIae q. 38 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod in viribus animae fit redundantia a superiori ad inferius. Et secundum hoc, delectatio contemplationis, quae est in superiori parte, redundat ad mitigandum etiam dolorem qui est in sensu.

 

[35190] Iª-IIae q. 38 a. 4 ad 3
3. Tra le facoltà dell'anima c'è una ridondanza di quelle superiori nelle inferiori. E in questo modo il godimento della contemplazione, che risiede nella parte superiore, ridonda a sollievo del dolore che risiede nel senso.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Rimedi della tristezza o dolore > Se il dolore, o tristezza, sia alleviato dal sonno o dal bagno


Prima pars secundae partis
Quaestio 38
Articulus 5

[35191] Iª-IIae q. 38 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod somnus et balneum non mitigent tristitiam. Tristitia enim in anima consistit. Sed somnus et balneum ad corpus pertinent. Non ergo aliquid faciunt ad mitigationem tristitiae.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 38
Articolo 5

[35191] Iª-IIae q. 38 a. 5 arg. 1
SEMBRA che il sonno e il bagno non mitighino la tristezza. Infatti:
1. La tristezza risiede nell'anima. Ora, il sonno e il bagno riguardano il corpo. Dunque non possono far niente per mitigare la tristezza.

[35192] Iª-IIae q. 38 a. 5 arg. 2
Praeterea, idem effectus non videtur causari ex contrariis causis. Sed huiusmodi, cum sint corporalia, repugnant contemplationi veritatis, quae est causa mitigationis tristitiae, ut dictum est. Non ergo per huiusmodi tristitia mitigatur.

 

[35192] Iª-IIae q. 38 a. 5 arg. 2
2. Il medesimo effetto non può essere prodotto da cause contrarie. Ma i rimedi suddetti, essendo corporali, sono contrari alla contemplazione della verità, la quale, come si è visto, è un rimedio alla tristezza. Quindi i rimedi indicati non possono mitigare la tristezza.

[35193] Iª-IIae q. 38 a. 5 arg. 3
Praeterea, tristitia et dolor, secundum quod pertinent ad corpus, in quadam transmutatione cordis consistunt. Sed huiusmodi remedia magis videntur pertinere ad exteriores sensus et membra, quam ad interiorem cordis dispositionem. Non ergo per huiusmodi tristitia mitigatur.

 

[35193] Iª-IIae q. 38 a. 5 arg. 3
3. La tristezza e il dolore consistono, nella loro parte materiale, in un'alterazione del cuore. Ma i rimedi indicati sembrano appartenere più ai sensi esterni e alle membra del corpo, che all’interna disposizione del cuore. Dunque la tristezza non viene alleviata da essi.

[35194] Iª-IIae q. 38 a. 5 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, IX Confess., audieram balnei nomen inde dictum, quod anxietatem pellat ex animo et infra, dormivi, et evigilavi, et non parva ex parte mitigatum inveni dolorem meum. Et inducit quod in hymno Ambrosii dicitur, quod quies artus solutos reddit laboris usui, mentesque fessas allevat, luctusque solvit anxios.

 

[35194] Iª-IIae q. 38 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Racconta S. Agostino: "Avevo sentito dire che il termine bagno sarebbe derivato dal fatto, che libera lo spirito dalle inquietudini". E aggiunge poco dopo: "Poi dormii, e quando mi svegliai mi trovai un poco sollevato dal mio dolore". E finalmente, citando le parole di un inno di S. Ambrogio, afferma, che "le membra disciolte il sonno - restituisce al travaglio usato - e l'anime stanche solleva - e l'ansia tristezza dissolve".

[35195] Iª-IIae q. 38 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, tristitia secundum suam speciem repugnat vitali motioni corporis. Et ideo illa quae reformant naturam corporalem in debitum statum vitalis motionis, repugnant tristitiae, et ipsam mitigant. Per hoc etiam quod huiusmodi remediis reducitur natura ad debitum statum, causatur ex his delectatio, hoc enim est quod delectationem facit, ut supra dictum est. Unde, cum omnis delectatio tristitiam mitiget, per huiusmodi remedia corporalia tristitia mitigatur.

 

[35195] Iª-IIae q. 38 a. 5 co.
RISPONDO: Come sopra abbiamo visto, la tristezza si contrappone specificamente al moto vitale del corpo. Perciò tutto ciò che riporta la natura corporea allo stato normale la mozione vitale [del cuore], è contrario alla tristezza, e ne è un rimedio. - Dal fatto, anzi, che con codesti rimedi la natura viene ricondotta al suo stato normale, nasce da essi un piacere: del resto è questa la funzione stessa del piacere, come abbiamo già detto. Perciò, siccome ogni piacere allevia la tristezza, anche i rimedi suddetti producono codesto effetto.

[35196] Iª-IIae q. 38 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ipsa debita corporis dispositio, inquantum sentitur, delectationem causat, et per consequens tristitiam mitigat.

 

[35196] Iª-IIae q. 38 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La stessa buona disposizione del corpo, in quanto percepita, causa piacere; e quindi allevia la tristezza.

[35197] Iª-IIae q. 38 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod delectationum una aliam impedit, ut supra dictum est, et tamen omnis delectatio tristitiam mitigat. Unde non est inconveniens quod ex causis se invicem impedientibus tristitia mitigetur.

 

[35197] Iª-IIae q. 38 a. 5 ad 2
2. Come abbiamo già detto, un godimento è di ostacolo all'altro: e tuttavia ogni godimento allevia la tristezza. Perciò niente impedisce che la tristezza sia mitigata da cause contrastanti tra loro.

[35198] Iª-IIae q. 38 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod omnis bona dispositio corporis redundat quodammodo ad cor, sicut ad principium et finem corporalium motionum, ut dicitur in libro de causa motus animalium.

 

[35198] Iª-IIae q. 38 a. 5 ad 3
3. Ogni buona disposizione del corpo si ripercuote in qualche modo sul cuore, essendo esso principio e fine di tutti i moti del corpo come insegna Aristotele.

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