I-II, 37

Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Effetti del dolore, o tristezza


Prima pars secundae partis
Quaestio 37
Prooemium

[35127] Iª-IIae q. 37 pr.
Deinde considerandum est de effectibus doloris vel tristitiae. Et circa hoc quaeruntur quatuor. Primo, utrum dolor auferat facultatem addiscendi. Secundo, utrum aggravatio animi sit effectus tristitiae vel doloris. Tertio, utrum tristitia vel dolor debilitet omnem operationem. Quarto, utrum tristitia noceat corpori magis quam aliae passiones animae.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 37
Proemio

[35127] Iª-IIae q. 37 pr.
Ed eccoci a considerare gli effetti del dolore, o tristezza.
Sull'argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se il dolore tolga la facoltà di apprendere;
2. Se la depressione dell'animo sia effetto della tristezza, o del dolore;
3. Se la tristezza, o dolore, indebolisca tutte le operazioni;
4. Se la tristezza sia più nociva al corpo che le altre passioni dell'anima.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Effetti del dolore, o tristezza > Se il dolore tolga la facoltà di apprendere


Prima pars secundae partis
Quaestio 37
Articulus 1

[35128] Iª-IIae q. 37 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod dolor non auferat facultatem addiscendi. Dicitur enim Isaiae XXVI, cum feceris iudicia tua in terra, iustitiam discent omnes habitatores orbis. Et infra, in tribulatione murmuris doctrina tua eis, sed ex iudiciis Dei, et tribulatione, sequitur dolor seu tristitia in cordibus hominum. Ergo dolor vel tristitia non tollit, sed magis auget facultatem addiscendi.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 37
Articolo 1

[35128] Iª-IIae q. 37 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il dolore non tolga la facoltà di apprendere. Infatti:
1. Sta scritto in Isaia: "Allorché tu avrai eseguito i tuoi giudizi in terra, gli abitanti del mondo apprenderanno la giustizia". E poco dopo: "Il gemito della tribolazione fu scuola per essi". Ma dai giudizi di Dio e della tribolazione nasce il dolore nel cuore degli uomini. Dunque il dolore, o tristezza non toglie, ma accresce la facoltà di apprendere.

[35129] Iª-IIae q. 37 a. 1 arg. 2
Praeterea, Isaiae XXVIII, dicitur, quem docebit scientiam? Et quem intelligere faciet auditum? Ablactatos a lacte, avulsos ab uberibus idest a delectationibus. Sed dolor et tristitia maxime tollunt delectationes, impedit enim tristitia omnem delectationem, ut dicitur in VII Ethic.; et Eccli. XI dicitur quod malitia unius horae oblivionem facit luxuriae maximae. Ergo dolor non tollit, sed magis praebet facultatem addiscendi.

 

[35129] Iª-IIae q. 37 a. 1 arg. 2
2. Sta scritto ancora in Isaia: "A chi insegnerà egli la scienza? Da chi si farà egli intendere? Da bambini slattati, staccati dalle mammelle", cioè dai piaceri. Ma il dolore e la tristezza scacciano i piaceri: infatti, come scrive Aristotele, la tristezza ostacola tutti i piaceri; e nella Scrittura si legge, che "il male di un'ora fa dimenticare le più grandi delizie". Dunque il dolore non toglie, ma piuttosto conferisce la capacità di apprendere.

[35130] Iª-IIae q. 37 a. 1 arg. 3
Praeterea, tristitia interior praeeminet dolori exteriori, ut supra dictum est. Sed simul cum tristitia potest homo addiscere. Ergo multo magis simul cum dolore corporali.

 

[35130] Iª-IIae q. 37 a. 1 arg. 3
3. La tristezza inferiore supera il dolore esterno, come abbiamo detto. Ma un uomo è capace di apprendere con la tristezza. Molto più dunque ne sarà capace col dolore fisico.

[35131] Iª-IIae q. 37 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in I Soliloq., quanquam acerrimo dolore dentium his diebus torquerer, non quidem sinebar animo volvere nisi ea quae iam forte didiceram. A discendo autem penitus impediebar, ad quod mihi tota intentione animi opus erat.

 

[35131] Iª-IIae q. 37 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino racconta: "Pertanto in quei giorni io era afflitto da un atroce dolor di denti, che mi lasciava appena ripensare alle cose che già sapevo. Ma mi impediva assolutamente lo studio di cose nuove, per il quale mi era necessaria tutta l'attenzione dell'animo".

[35132] Iª-IIae q. 37 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, quia omnes potentiae animae in una essentia animae radicantur, necesse est quod, quando intentio animae vehementer trahitur ad operationem unius potentiae, retrahatur ab operatione alterius, unius enim animae non potest esse nisi una intentio. Et propter hoc, si aliquid ad se trahat totam intentionem animae, vel magnam partem ipsius, non compatitur secum aliquid aliud quod magnam attentionem requirat. Manifestum est autem quod dolor sensibilis maxime trahit ad se intentionem animae, quia naturaliter unumquodque tota intentione tendit ad repellendum contrarium, sicut etiam in rebus naturalibus apparet. Similiter etiam manifestum est quod ad addiscendum aliquid de novo, requiritur studium et conatus cum magna intentione, ut patet per illud quod dicitur Prov. II, si quaesieris sapientiam quasi pecuniam, et sicut thesauros effoderis eam, tunc intelliges disciplinam. Et ideo si sit dolor intensus, impeditur homo ne tunc aliquid addiscere possit. Et tantum potest intendi, quod nec etiam, instante dolore, potest homo aliquid considerare etiam quod prius scivit. In hoc tamen attenditur diversitas secundum diversitatem amoris quem homo habet ad addiscendum vel considerandum, qui quanto maior fuerit, magis retinet intentionem animi, ne omnino feratur ad dolorem.

 

[35132] Iª-IIae q. 37 a. 1 co.
RISPONDO: Tutte le facoltà psichiche sono radicate nella medesima essenza dell'anima; perciò quando l'attenzione dell'anima è attratta fortemente verso l'operazione di una data potenza, viene distratta dall'attività delle altre: infatti un'anima non può avere che una sola applicazione. Per questo motivo, se una cosa attira a sé tutta l'applicazione dell'anima, o gran parte di essa, rende incompossibile altre cose che richiedono una grande attenzione.
Ora, è noto che il dolore sensibile attira a sé in maniera fortissima l'attenzione dell'anima: poiché per natura ogni essere tende con ogni sua forza a respingere le forze contrarie, come è evidente nel mondo della natura. Ma è anche noto che per imparare qualche cosa di nuovo, si richiede studio e sforzo con grande attenzione, secondo quel detto dei Proverbi: "Se andrai cercando la sapienza come il denaro, scavando come per scoprire tesori nascosti, allora tu intenderai la scienza". Perciò se capita un dolore intenso, l'uomo viene ostacolato nella sua facoltà di apprendere. E il dolore può acuirsi al punto da impedire persino che un uomo possa pensare alle cose già imparate. - In questo però si deve ammettere una diversità di casi, secondo l'intensità dell'amore col quale ciascuno si applica a imparare e a meditare: infatti più grande sarà [codesto amore], e più sarà in grado di sottrarre l'attenzione dell'animo alla morsa del dolore.

[35133] Iª-IIae q. 37 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod tristitia moderata, quae excludit evagationem animi, potest conferre ad disciplinam suscipiendam, et praecipue eorum per quae homo sperat se posse a tristitia liberari. Et hoc modo in tribulatione murmuris homines doctrinam Dei magis recipiunt.

 

[35133] Iª-IIae q. 37 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Una tristezza moderata, che toglie le divagazioni dello spirito, può giovare al profitto nell'apprendere: specialmente quando si tratta di apprendere cose che danno la speranza di potersi liberare dalla tristezza. Ecco perché "nel gemito della tribolazione" gli uomini meglio ricevono gl'insegnamenti di Dio.

[35134] Iª-IIae q. 37 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod tam delectatio quam dolor, inquantum ad se trahunt animae intentionem, impediunt considerationem rationis, unde in VII Ethic. dicitur quod impossibile est in ipsa delectatione venereorum, aliquid intelligere. Sed tamen dolor magis trahit ad se intentionem animae quam delectatio, sicut etiam videmus in rebus naturalibus, quod actio corporis naturalis magis intenditur in contrarium; sicut aqua calefacta magis patitur a frigido, ut fortius congeletur. Si ergo dolor seu tristitia fuerit moderata, per accidens potest conferre ad addiscendum, inquantum aufert superabundantiam delectationum. Sed per se impedit, et si intendatur, totaliter aufert.

 

[35134] Iª-IIae q. 37 a. 1 ad 2
2. Sia il piacere che il dolore ostacolano l'esercizio della ragione, perché attirano a sé l'attenzione dell'anima: infatti Aristotele scrive, che "è impossibile intendere qualche cosa nell'atto del piacere venereo". Tuttavia il dolore attira più del piacere l'attenzione dell'anima: e del resto anche nel mondo fisico vediamo che l'azione di un corpo viene a intensificarsi di fronte al suo contrario; l'acqua calda, p. es., viene congelata dal freddo con più forza. Perciò se un dolore, o tristezza, è moderato, accidentalmente può giovare allo studio, in quanto elimina l'eccesso del piacere. Ma di suo è di ostacolo: e se aumenta, può impedirlo del tutto.

[35135] Iª-IIae q. 37 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod dolor exterior accidit ex laesione corporali, et ita magis habet transmutationem corporalem adiunctam quam dolor interior, qui tamen est maior secundum illud quod est formale in dolore, quod est ex parte animae. Et ideo dolor corporalis magis impedit contemplationem, quae requirit omnimodam quietem, quam dolor interior. Et tamen etiam dolor interior, si multum intendatur, ita trahit intentionem, ut non possit homo de novo aliquid addiscere. Unde et Gregorius propter tristitiam intermisit Ezechielis expositionem.

 

[35135] Iª-IIae q. 37 a. 1 ad 3
3. Il dolore esterno deriva da una lesione del corpo, e quindi presenta una trasmutazione fisica concomitante più forte del dolore interno: questo però è superiore per l'elemento formale del dolore, che dipende dall'anima. Perciò il dolore fisico, più di quello interiore, impedisce la contemplazione, che richiede una tranquillità completa. Tuttavia anche il dolore interno, se è molto intenso, attira talmente l'attenzione da mettere un uomo nell'impossibilità di apprendere cose nuove. A causa di cotesta tristezza, S. Gregorio interruppe il commento di Ezechiele.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Effetti del dolore, o tristezza > Se sia effetto della tristezza la depressione dell'animo


Prima pars secundae partis
Quaestio 37
Articulus 2

[35136] Iª-IIae q. 37 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod aggravatio animi non sit effectus tristitiae. Dicit enim apostolus, II ad Cor. VII, ecce hoc ipsum, contristari vos secundum Deum, quantam in vobis operatur sollicitudinem, sed defensionem, sed indignationem, et cetera. Sed sollicitudo et indignatio ad quandam erectionem animi pertinent, quae aggravationi opponitur. Non ergo aggravatio est effectus tristitiae.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 37
Articolo 2

[35136] Iª-IIae q. 37 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la depressione dell'animo non sia effetto della tristezza. Infatti:
1. L'Apostolo scrive ai Corinzi: "Appunto questo aver patito dolore secondo Dio, quanta premura ha prodotto in voi, anzi quanto desiderio di giustificarsi, quanto risentimento...". Ora, la premura e il risentimento si devono a una tensione dell'animo, che è l'opposto della depressione. Dunque la depressione non è effetto della tristezza.

[35137] Iª-IIae q. 37 a. 2 arg. 2
Praeterea, tristitia delectationi opponitur. Sed effectus delectationis est dilatatio, cui non opponitur aggravatio, sed constrictio. Ergo effectus tristitiae non debet poni aggravatio.

 

[35137] Iª-IIae q. 37 a. 2 arg. 2
2. La tristezza si contrappone al piacere. Ma effetto del piacere è l'espansione; il cui opposto non è la depressione, bensì la restrizione. Dunque la depressione non può stare tra gli effetti della tristezza.

[35138] Iª-IIae q. 37 a. 2 arg. 3
Praeterea, ad tristitiam pertinet absorbere, ut patet per illud quod apostolus dicit, II ad Cor. II, ne forte abundantiori tristitia absorbeatur qui est eiusmodi. Sed quod aggravatur, non absorbetur, quinimmo sub aliquo ponderoso deprimitur; quod autem absorbetur, intra absorbens includitur. Ergo aggravatio non debet poni effectus tristitiae.

 

[35138] Iª-IIae q. 37 a. 2 arg. 3
3. La tristezza produce l'assorbimento; come lo dimostrano le parole dell'Apostolo: "affinché non abbia per avventura quel tale a esser assorbito dalla tristezza". Ora, ciò che viene depresso non viene sommerso: infatti viene a trovarsi sotto qualche peso: mentre ciò che è assorbito viene incluso nel corpo assorbente. Dunque la depressione non va posta tra gli effetti della tristezza.

[35139] Iª-IIae q. 37 a. 2 s. c.
Sed contra est quod Gregorius Nyssenus et Damascenus ponunt tristitiam aggravantem.

 

[35139] Iª-IIae q. 37 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio di Nissa [leggi Nemesin] e il Damasceno parlano di "tristezza deprimente".

[35140] Iª-IIae q. 37 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod effectus passionum animae quandoque metaphorice nominantur, secundum similitudinem sensibilium corporum, eo quod motus appetitus animalis sunt similes inclinationibus appetitus naturalis. Et per hunc modum fervor attribuitur amori, dilatatio delectationi, et aggravatio tristitiae. Dicitur enim homo aggravari, ex eo quod aliquo pondere impeditur a proprio motu. Manifestum est autem ex praedictis quod tristitia contingit ex aliquo malo praesenti. Quod quidem, ex hoc ipso quod repugnat motui voluntatis, aggravat animum, inquantum impedit ipsum ne fruatur eo quod vult. Et si quidem non sit tanta vis mali contristantis ut auferat spem evadendi, licet animus aggravetur quantum ad hoc, quod in praesenti non potitur eo quod vult; remanet tamen motus ad repellendum nocivum contristans. Si vero superexcrescat vis mali intantum ut spem evasionis excludat, tunc simpliciter impeditur etiam interior motus animi angustiati, ut neque hac neque illac divertere valeat. Et quandoque etiam impeditur exterior motus corporis, ita quod remaneat homo stupidus in seipso.

 

[35140] Iª-IIae q. 37 a. 2 co.
RISPONDO: Si parla talora in senso metaforico degli effetti delle passioni, per analogia con i corpi visibili: poiché i moti dell'appetito animale sono simili alle inclinazioni dell'appetito naturale.
In tal senso all'amore si attribuisce l'ardore, al piacere l'espansione, e alla tristezza la depressione. Si dice infatti che un uomo è depresso, per il fatto che è ostacolato nei suoi movimenti da qualche peso. Ora, è evidente da quanto abbiamo già detto che la tristezza nasce da un male presente. Il quale, proprio perché ostacola il moto della volontà, deprime l'animo, in quanto gli impedisce di godere ciò che vuole. E se la forza del male che addolora non è tanta da togliere la speranza di scampare, rimane un moto di resistenza contro l'oggetto nocivo che rattrista, sebbene l'animo sia depresso, perché al presente non possiede ciò che vuole. Se invece la forza del male è tanto superiore da escludere ogni speranza di scampo, allora viene impedito del tutto anche il moto interiore dell'animo angustiato, al punto da non potersi volgere da nessuna parte. Anzi talvolta vengono impediti anche i moti esterni del corpo, cosicché un uomo rimane in se stesso come istupidito.

[35141] Iª-IIae q. 37 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod illa erectio animi provenit ex tristitia quae est secundum Deum, propter spem adiunctam de remissione peccati.

 

[35141] Iª-IIae q. 37 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quella tensione dell'animo deriva dalla tristezza secondo Dio, in forza della speranza nella remissione del peccato.

[35142] Iª-IIae q. 37 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod, quantum ad motum appetitivum pertinet, ad idem refertur constrictio et aggravatio. Ex hoc enim quod aggravatur animus, ut ad exteriora libere progredi non possit, ad seipsum retrahitur, quasi in seipso constrictus.

 

[35142] Iª-IIae q. 37 a. 2 ad 2
2. Per quanto riguarda i moti appetitivi, restrizione e depressione si riferiscono alla stessa cosa. Infatti l'animo, dal momento che è depresso al punto di non poter tendere liberamente verso l'oggetto, si ritrae, e quasi si restringe in se stesso.

[35143] Iª-IIae q. 37 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod tristitia absorbere hominem dicitur, quando sic totaliter vis contristantis mali afficit animam, ut omnem spem evasionis excludat. Et sic etiam eodem modo aggravat et absorbet. Quaedam enim se consequuntur in his quae metaphorice dicuntur, quae sibi repugnare videntur, si secundum proprietatem accipiantur.

 

[35143] Iª-IIae q. 37 a. 2 ad 3
3. Si dice che un uomo è assorbito dalla tristezza, quando la forza del male che addolora colpisce in pieno l'anima, da togliere ogni speranza di scampo. Perciò nello stesso momento deprime ed assorbe. Infatti ci sono delle cose che si implicano vicendevolmente nel loro significato metaforico, mentre sono contrapposte in senso letterale.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Effetti del dolore, o tristezza > Se la tristezza, o dolore, debiliti ogni attività


Prima pars secundae partis
Quaestio 37
Articulus 3

[35144] Iª-IIae q. 37 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod tristitia non impediat omnem operationem. Sollicitudo enim ex tristitia causatur, ut patet per auctoritatem apostoli inductam. Sed sollicitudo adiuvat ad bene operandum, unde apostolus dicit, II ad Tim. II, sollicite cura teipsum exhibere operarium inconfusibilem. Ergo tristitia non impedit operationem, sed magis adiuvat ad bene operandum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 37
Articolo 3

[35144] Iª-IIae q. 37 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la tristezza non debiliti tutte le operazioni. Infatti:
1. Stando alle parole riportate dall'Apostolo, dalla tristezza viene causata la premura. Ma la premura aiuta a ben operare; infatti il medesimo Apostolo scrive: "Studiati con premura di comparire come operaio che non ha mai da arrossire". Quindi la tristezza non disturba l'operazione, ma piuttosto aiuta a ben operare.

[35145] Iª-IIae q. 37 a. 3 arg. 2
Praeterea, tristitia causat in multis concupiscentiam, ut dicitur in VII Ethic. Sed concupiscentia facit ad intensionem operationis. Ergo et tristitia.

 

[35145] Iª-IIae q. 37 a. 3 arg. 2
2. In molti casi, come nota Aristotele, la tristezza provoca la concupiscenza, o desiderio. Ma il desiderio rende più intensa l'operazione. Dunque anche la tristezza.

[35146] Iª-IIae q. 37 a. 3 arg. 3
Praeterea, sicut quaedam operationes propriae sunt gaudentium, ita etiam quaedam operationes his qui tristantur, sicut lugere. Sed unumquodque augetur ex sibi convenienti. Ergo aliquae operationes non impediuntur, sed meliorantur propter tristitiam.

 

[35146] Iª-IIae q. 37 a. 3 arg. 3
3. Come certe operazioni sono proprie di chi gode, così altre sono proprie di chi è triste, piangere, p. es. Ma ogni cosa si accresce con ciò che le conviene. Ci sono dunque delle operazioni che non sono disturbate, ma favorite dalla tristezza.

[35147] Iª-IIae q. 37 a. 3 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in X Ethic., quod delectatio perficit operationem, sed e contrario tristitia impedit.

 

[35147] Iª-IIae q. 37 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna, che "il piacere dà compimento all'operazione", e, inversamente, che "la tristezza le è di ostacolo".

[35148] Iª-IIae q. 37 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut iam dictum est, tristitia quandoque non ita aggravat vel absorbet animum, ut omnem motum interiorem et exteriorem excludat; sed aliqui motus quandoque ex ipsa tristitia causantur. Sic ergo operatio ad tristitiam dupliciter potest comparari. Uno modo, sicut ad id de quo est tristitia. Et sic tristitia quamlibet operationem impedit, nunquam enim illud quod cum tristitia facimus, ita bene facimus sicut illud quod facimus cum delectatione, vel sine tristitia. Cuius ratio est, quia voluntas est causa operationis humanae, unde quando operatio est de qua aliquis contristatur, necesse est quod actio debilitetur. Alio modo comparatur operatio ad tristitiam sicut ad principium et causam. Et sic necesse est quod operatio talis ex tristitia augeatur, sicut quanto aliquis magis tristatur de re aliqua, tanto magis conatur ad expellendam tristitiam, dummodo remaneat spes expellendi, alioquin nullus motus vel operatio ex tristitia causaretur.

 

[35148] Iª-IIae q. 37 a. 3 co.
RISPONDO: Come abbiamo spiegato, certe volte la tristezza non deprime e non assorbe talmente l'animo, da escludere ogni moto interno ed esterno; che anzi alcuni moti talora sono prodotti dalla tristezza medesima. Perciò un'operazione può riferirsi alla tristezza in due maniere. Primo, come oggetto di essa. E in questo caso qualsiasi attività è ostacolata dalla tristezza: infatti ciò che facciamo con tristezza non lo facciamo mai così bene, come le cose compiute con gioia, o senza tristezza. E la ragione si è che la volontà è la causa dell'agire umano: perciò quando un'operazione riguarda cose che rattristano, è necessario che l'atto venga debilitato.
Secondo, l'operazione può riferirsi alla tristezza medesima, come a sua causa, o principio. E in questo caso l'operazione viene necessariamente potenziata dalla tristezza: più uno, p. es., si rattrista di una cosa, più si sforza di eliminare quel dolore o tristezza, purché rimanga la speranza di riuscire: altrimenti dalla tristezza non nascerebbe nessuna operazione.

[35149] Iª-IIae q. 37 a. 3 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[35149] Iª-IIae q. 37 a. 3 ad arg.
Così è evidente la risposta alle varie difficoltà




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Effetti del dolore, o tristezza > Se la tristezza sia più nociva al corpo delle altre passioni dell'anima


Prima pars secundae partis
Quaestio 37
Articulus 4

[35150] Iª-IIae q. 37 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod tristitia non inferat maxime corpori nocumentum. Tristitia enim habet esse spirituale in anima. Sed ea quae habent tantum esse spirituale, non causant transmutationem corporalem, sicut patet de intentionibus colorum quae sunt in aere, a quibus nullum corpus coloratur. Ergo tristitia non facit aliquod corporale nocumentum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 37
Articolo 4

[35150] Iª-IIae q. 37 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la tristezza non sia la passione che più danneggia il corpo. Infatti:
1. La tristezza ha un'esistenza immateriale nell'anima. Ma cose che esistono solo in modo immateriale, non possono produrre trasmutazioni corporali: il che è evidente nel caso delle "intenzioni" dei colori esistenti nell'aria, dalle quali nessun corpo viene colorato. Dunque la tristezza non arreca nessun danno corporale.

[35151] Iª-IIae q. 37 a. 4 arg. 2
Praeterea, si facit aliquod corporale nocumentum, hoc non est nisi inquantum habet corporalem transmutationem adiunctam. Sed corporalis transmutatio invenitur in omnibus animae passionibus, ut supra dictum est. Ergo non magis tristitia quam aliae animae passiones, corpori nocet.

 

[35151] Iª-IIae q. 37 a. 4 arg. 2
2. Se la tristezza produce un danno fisico, è solo perché è accompagnata da un'alterazione fisica. Ma questa è implicita in tutte le passioni, come sopra abbiamo dimostrato. Dunque la tristezza non nuoce al corpo più delle altre passioni.

[35152] Iª-IIae q. 37 a. 4 arg. 3
Praeterea, philosophus dicit, in VII Ethic., quod irae et concupiscentiae quibusdam insanias faciunt, quod videtur esse maximum nocumentum, cum ratio sit excellentissimum eorum quae sunt in homine. Desperatio etiam videtur esse magis nociva quam tristitia, cum sit causa tristitiae. Ergo tristitia non magis nocet corpori quam aliae animae passiones.

 

[35152] Iª-IIae q. 37 a. 4 arg. 3
3. Il Filosofo insegna, che "l'ira e il desiderio alcuni li rendono pazzi": e questo sembra il danno più grave, essendo la ragione quanto di più eccellente c’è nell'uomo. Anche la disperazione sembra essere più nociva della tristezza: essendo la causa di essa. Dunque la tristezza non nuoce al corpo più delle altre passioni dell'anima.

[35153] Iª-IIae q. 37 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Prov. XVII, animus gaudens aetatem floridam facit, spiritus tristis exsiccat ossa. Et Prov. XXV, sicut tinea vestimento, et vermis ligno, ita tristitia viri nocet cordi. Et Eccli. XXXVIII, a tristitia festinat mors.

 

[35153] Iª-IIae q. 37 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto nei Proverbi: "L'animo allegro fa buon sangue, e lo spirito triste secca le ossa". E ancora: "Come la tignola nel panno, e il tarlo nel legno, così nuoce la tristezza al cuore dell'uomo". E nell'Ecclesiastico: "Dalla tristezza vien presto la morte".

[35154] Iª-IIae q. 37 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod tristitia, inter omnes animae passiones, magis corpori nocet. Cuius ratio est, quia tristitia repugnat humanae vitae quantum ad speciem sui motus; et non solum quantum ad mensuram seu quantitatem, sicut aliae animae passiones. Consistit enim humana vita in quadam motione, quae a corde in cetera membra diffunditur, quae quidem motio convenit naturae humanae secundum aliquam determinatam mensuram. Si ergo ista motio procedat ultra mensuram debitam, repugnabit humanae vitae secundum quantitatis mensuram; non autem secundum similitudinem speciei. Si autem impediatur processus huius motionis, repugnabit vitae secundum suam speciem. Est autem attendendum in omnibus animae passionibus, quod transmutatio corporalis, quae est in eis materialis, est conformis et proportionata motui appetitus, qui est formalis, sicut in omnibus materia proportionatur formae. Illae ergo animae passiones quae important motum appetitus ad prosequendum aliquid, non repugnant vitali motioni secundum speciem, sed possunt repugnare secundum quantitatem, ut amor, gaudium, desiderium, et huiusmodi. Et ideo ista secundum speciem suam iuvant naturam corporis, sed propter excessum possunt nocere. Passiones autem quae important motum appetitus cum fuga vel retractione quadam, repugnant vitali motioni non solum secundum quantitatem, sed etiam secundum speciem motus, et ideo simpliciter nocent, sicut timor et desperatio, et prae omnibus tristitia, quae aggravat animum ex malo praesenti, cuius est fortior impressio quam futuri.

 

[35154] Iª-IIae q. 37 a. 4 co.
RISPONDO: Tra tutte le passioni dell'anima quella che più nuoce al corpo è la tristezza. E lo dimostra il fatto, che la tristezza si contrappone alla vita umana nel suo moto specifico; e non soltanto per un eccesso di misura o di quantità, come le altre passioni. Infatti la vita umana si riduce a un moto che parte dal cuore e si diffonde nelle altre membra: e codesto moto è proporzionato alla natura umana secondo una determinata misura. Perciò, se codesto moto viene accelerato oltre la misura dovuta, viene ad opporsi alla vita umana per un eccesso di misura; ma non per la sua natura specifica. Se invece si ostacola lo svolgimento di codesto moto, avremo un'opposizione alla vita nella sua specie.
Ora, si deve osservare che in tutte le passioni dell'anima l'alterazione fisiologica, che ne è la parte materiale, è conforme e proporzionata al moto dell'appetito, che ne è la parte formale; come in tutte le cose la materia è proporzionata alla forma. Perciò quelle passioni che implicano un moto dell'appetito volto al raggiungimento di un oggetto, come l'amore, il piacere, il desiderio, ecc., non si oppongono specificamente al moto vitale [del cuore] ma possono opporvisi per eccesso di misura. Perciò cedesti moti per la loro specie favoriscono la natura del corpo, ma possono esserle nocivi solo per un eccesso. - Invece le passioni che implicano un moto dell'appetito con la fuga, o con una certa sospensione, si oppongono al moto vitale [del cuore], non solo per una discordanza di misura, ma per la stessa specie del moto, e quindi sono direttamente nocive: tali sono il timore e la disperazione, e soprattutto la tristezza, la quale deprime l'animo con l'imposizione di un male presente, che lascia un'impressione più forte di un male futuro.

[35155] Iª-IIae q. 37 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, quia anima naturaliter movet corpus, spiritualis motus animae naturaliter est causa transmutationis corporalis. Nec est simile de spiritualibus intentionibus, quae non habent naturaliter ordinem movendi alia corpora, quae non sunt nata moveri ab anima.

 

[35155] Iª-IIae q. 37 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'anima per natura muove il corpo, e quindi il moto immateriale dell'anima è per natura causa delle trasmutazioni corporali. Non è quindi lo stesso il caso delle "intenzioni" immateriali, che per natura non sono ordinate a muovere altri corpi, non soggetti alla mozione dell'anima.

[35156] Iª-IIae q. 37 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod aliae passiones habent transmutationem corporalem conformem, secundum suam speciem, motioni vitali, sed tristitia contrariam, ut supra dictum est.

 

[35156] Iª-IIae q. 37 a. 4 ad 2
2. Le altre passioni hanno un'alterazione fisica specificamente conforme al moto vitale: quella invece della tristezza è contraria, come abbiamo spiegato.

[35157] Iª-IIae q. 37 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod ex leviori causa impeditur usus rationis quam corrumpatur vita, cum videamus multas aegritudines usum rationis tollere, quae nondum adimunt vitam. Et tamen timor et ira maxime nocumentum corporale afferunt ex permixtione tristitiae, propter absentiam eius quod cupitur. Ipsa etiam tristitia quandoque rationem aufert, sicut patet in his qui propter dolorem in melancholiam vel in maniam incidunt.

 

[35157] Iª-IIae q. 37 a. 4 ad 3
3. Si richiede una causa meno forte per impedire l'uso della ragione, che per distruggere la vita: vediamo infatti che molte infermità, le quali tolgono l'uso della ragione, non arrivano a troncare la vita. Tuttavia il timore e l'ira apportano gravissimo danno corporale, perché l'assenza di ciò che si brama include con esse la tristezza. Del resto anche la tristezza talora toglie la ragione: come è evidente in quelli che per un dolore cadono nella malinconia, o nella follia.

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