I-II, 36

Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Cause della tristezza, o dolore


Prima pars secundae partis
Quaestio 36
Prooemium

[35094] Iª-IIae q. 36 pr.
Deinde considerandum est de causis tristitiae. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum causa doloris sit bonum amissum, vel magis malum coniunctum.
Secundo, utrum concupiscentia sit causa doloris.
Tertio, utrum appetitus unitatis sit causa doloris.
Quarto, utrum potestas cui resisti non potest, sit causa doloris.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 36
Proemio

[35094] Iª-IIae q. 36 pr.
Passiamo a considerare le cause della tristezza, o dolore.
Sull'argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se causa del dolore sia il bene perduto, o il male presente;
2. Se il desiderio sia causa del dolore;
3. Se causi il dolore l'amore dell'integrità;
4. Se causi il dolore una potenza cui non si può resistere.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Cause della tristezza, o dolore > Se causa del dolore sia il bene perduto, o il male presente


Prima pars secundae partis
Quaestio 36
Articulus 1

[35095] Iª-IIae q. 36 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod bonum amissum sit magis causa doloris quam malum coniunctum. Dicit enim Augustinus, in libro de octo quaestionibus Dulcitii, dolorem esse de amissione bonorum temporalium. Eadem ergo ratione, quilibet dolor ex amissione alicuius boni contingit.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 36
Articolo 1

[35095] Iª-IIae q. 36 a. 1 arg. 1
SEMBRA che provochi più dolore il bene perduto, che il male presente. Infatti:
1. S. Agostino insegna che il dolore deriva dalla perdita dei beni temporali. Quindi, per lo stesso motivo, qualsiasi dolore dipende dalla perdita di un bene.

[35096] Iª-IIae q. 36 a. 1 arg. 2
Praeterea, supra dictum est quod dolor qui delectationi contrariatur, est de eodem de quo est delectatio. Sed delectatio est de bono, sicut supra dictum est. Ergo dolor est principaliter de amissione boni.

 

[35096] Iª-IIae q. 36 a. 1 arg. 2
2. Abbiamo detto sopra, che il dolore contrario a un dato piacere ha lo stesso oggetto di codesto piacere. Ora, il piacere ha per oggetto il bene, come si è visto. Dunque il dolore riguarda principalmente la perdita di un bene.

[35097] Iª-IIae q. 36 a. 1 arg. 3
Praeterea, secundum Augustinum, XIV de Civ. Dei, amor est causa tristitiae, sicut et aliarum affectionum animae. Sed obiectum amoris est bonum. Ergo dolor vel tristitia magis respicit bonum amissum quam malum coniunctum.

 

[35097] Iª-IIae q. 36 a. 1 arg. 3
3. Scrive S. Agostino, che causa della tristezza e degli altri affetti dell'anima è l'amore. Ma oggetto dell'amore è il bene. Quindi il dolore, o tristezza, riguarda più il bene perduto che il male presente.

[35098] Iª-IIae q. 36 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Damascenus dicit, in II libro, quod expectatum malum timorem constituit, praesens vero tristitiam.

 

[35098] Iª-IIae q. 36 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Il Damasceno insegna, che "il male atteso provoca il timore, quello presente la tristezza".

[35099] Iª-IIae q. 36 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, si hoc modo se haberent privationes in apprehensione animae, sicut se habent in ipsis rebus, ista quaestio nullius momenti esse videretur. Malum enim, ut in primo libro habitum est, est privatio boni, privatio autem, in rerum natura, nihil est aliud quam carentia oppositi habitus, secundum hoc ergo, idem esset tristari de bono amisso, et de malo habito. Sed tristitia est motus appetitus apprehensionem sequentis. In apprehensione autem ipsa privatio habet rationem cuiusdam entis, unde dicitur ens rationis. Et sic malum, cum sit privatio, se habet per modum contrarii. Et ideo, quantum ad motum appetitivum, differt utrum respiciat principalius malum coniunctum, vel bonum amissum. Et quia motus appetitus animalis hoc modo se habet in operibus animae, sicut motus naturalis in rebus naturalibus; ex consideratione naturalium motuum veritas accipi potest. Si enim accipiamus in motibus naturalibus accessum et recessum, accessus per se respicit id quod est conveniens naturae; recessus autem per se respicit id quod est contrarium; sicut grave per se recedit a loco superiori, accedit autem naturaliter ad locum inferiorem. Sed si accipiamus causam utriusque motus, scilicet gravitatem, ipsa gravitas per prius inclinat ad locum deorsum, quam retrahat a loco sursum, a quo recedit ut deorsum tendat. Sic igitur, cum tristitia in motibus appetitivis se habeat per modum fugae vel recessus, delectatio autem per modum prosecutionis vel accessus; sicut delectatio per prius respicit bonum adeptum, quasi proprium obiectum, ita tristitia respicit malum coniunctum. Sed causa delectationis et tristitiae, scilicet amor, per prius respicit bonum quam malum. Sic ergo eo modo quo obiectum est causa passionis, magis proprie est causa tristitiae vel doloris malum coniunctum, quam bonum amissum.

 

[35099] Iª-IIae q. 36 a. 1 co.
RISPONDO: Se nella conoscenza le privazioni si presentassero come nella realtà, il problema non avrebbe nessun valore. Infatti, come abbiamo visto nella Prima Parte, il male è privazione di bene: e nella realtà la privazione non è altro che assenza della perfezione contraria; perciò in realtà è la stessa cosa rattristarsi del bene perduto, e del male ricevuto. - Ma la tristezza è un moto dell'appetito che segue la conoscenza. E nella conoscenza la privazione stessa si presenta come un'entità: difatti si denomina ente di ragione. Perciò, il male, pur essendo privazione, si presenta come un contrario. E quindi per il moto appetitivo è diverso stabilire se riguarda principalmente il male presente, o il bene perduto.
E poiché il moto dell'appetito animale sta alle operazioni dell'anima, come il moto fisico e naturale agli esseri fisici; si può desumere la vera soluzione del problema dall'analisi dei moti fisici naturali. Se consideriamo in codesti ultimi l'accedere e il recedere, vediamo che l'accedere di per sé riguarda quanto conviene alla natura; invece il recedere ha per oggetto diretto quanto la contraria; i gravi, p. es., si allontanano di per sé dall'alto e si avvicinano naturalmente al basso. Ma se prendiamo la causa di entrambi i fatti, cioè la gravità, quest'ultima tende di più a inclinare verso il basso, che ad allontanare dall'alto.
Perciò, siccome la tristezza tra i moti appetitivi ha l'aspetto di fuga e di allontanamento, mentre il piacere ha quello di ricerca e di avvicinamento; la tristezza deve avere per oggetto suo proprio il male presente, come il piacere riguarda principalmente il bene raggiunto. Tuttavia la causa del piacere e della tristezza, cioè l'amore, riguarda prima il bene che il male. Perciò, stando al modo col quale l'oggetto produce le passioni, è causa più appropriata della tristezza, o dolore, il male presente che il bene perduto.

[35100] Iª-IIae q. 36 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ipsa amissio boni apprehenditur sub ratione mali, sicut et amissio mali apprehenditur sub ratione boni. Et ideo Augustinus dicit dolorem provenire ex amissione temporalium bonorum.

 

[35100] Iª-IIae q. 36 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La perdita di un bene viene conosciuta sotto l'aspetto di un male: come la perdita di un male può essere considerata sotto l'aspetto di bene. Perciò S. Agostino insegna che il dolore deriva dalla perdita dei beni temporali.

[35101] Iª-IIae q. 36 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod delectatio et dolor ei contrarius respiciunt idem, sed sub contraria ratione, nam si delectatio est de praesentia alicuius, tristitia est de absentia eiusdem. In uno autem contrariorum includitur privatio alterius, ut patet in X Metaphys. Et inde est quod tristitia quae est de contrario, est quodammodo de eodem sub contraria ratione.

 

[35101] Iª-IIae q. 36 a. 1 ad 2
2. Un dato piacere e il suo dolore contrario hanno per oggetto la stessa cosa, ma sotto aspetti contrari: infatti se il piacere deriva dalla presenza di un dato oggetto, la tristezza deriva dalla sua mancanza. Ma in uno dei contrari, come Aristotele dimostra, è inclusa la privazione dell'altro. E per questo che la tristezza, avendo per oggetto il contrario del dolore, in qualche modo ha il medesimo oggetto sotto l'aspetto contrario.

[35102] Iª-IIae q. 36 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod, quando ex una causa proveniunt multi motus, non oportet quod omnes principalius respiciant illud quod principalius respicit causa, sed primus tantum. Unusquisque autem aliorum principalius respicit illud quod est ei conveniens secundum propriam rationem.

 

[35102] Iª-IIae q. 36 a. 1 ad 3
3. Quando da una causa derivano molte operazioni, non è necessario che tutte riguardino quello che principalmente è oggetto di codesta causa, ma basta che così lo riguardi la prima. Invece ciascuna delle altre ha per oggetto principale ciò che ad essa conviene secondo la propria natura.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Cause della tristezza, o dolore > Se il desiderio sia causa di tristezza


Prima pars secundae partis
Quaestio 36
Articulus 2

[35103] Iª-IIae q. 36 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod concupiscentia non sit causa doloris seu tristitiae. Tristitia enim per se respicit malum, ut dictum est. Concupiscentia autem est motus quidam appetitus in bonum. Motus autem qui est in unum contrarium, non est causa motus qui respicit aliud contrarium. Ergo concupiscentia non est causa doloris.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 36
Articolo 2

[35103] Iª-IIae q. 36 a. 2 arg. 1
SEMBRA che il desiderio non sia causa di tristezza. Infatti:
1. Di per sé la tristezza ha per oggetto il male, come abbiamo visto. Invece il desiderio, o concupiscenza, è un moto dell'appetito verso il bene. Ora, il moto verso uno dei contrari non è causa del moto che ha per oggetto l'altro contrario. Dunque il desiderio non è causa di dolore.

[35104] Iª-IIae q. 36 a. 2 arg. 2
Praeterea, dolor, secundum Damascenum, est de praesenti, concupiscentia autem est de futuro. Ergo concupiscentia non est causa doloris.

 

[35104] Iª-IIae q. 36 a. 2 arg. 2
2. Secondo il Damasceno, il dolore ha per oggetto il presente, il desiderio invece ha per oggetto il futuro. Dunque il desiderio non è causa del dolore.

[35105] Iª-IIae q. 36 a. 2 arg. 3
Praeterea, id quod est per se delectabile, non est causa doloris. Sed concupiscentia est secundum seipsam delectabilis, ut philosophus dicit, in I Rhetoric. Ergo concupiscentia non est causa doloris seu tristitiae.

 

[35105] Iª-IIae q. 36 a. 2 arg. 3
3. Ciò che di per sé è piacevole non è causa di dolore. Ma il desiderio è per se stesso piacevole, come dice Aristotele. Dunque il desiderio non è causa di dolore o di tristezza.

[35106] Iª-IIae q. 36 a. 2 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in Enchirid., subintrantibus ignorantia agendarum rerum, et concupiscentia noxiarum, comites subinferuntur error et dolor. Sed ignorantia est causa erroris. Ergo concupiscentia est causa doloris.

 

[35106] Iª-IIae q. 36 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive S. Agostino: "Quando s'insinuano l'ignoranza delle cose da farsi e la concupiscenza, o desiderio di quelle nocive, s'introducono come compagni l'errore e il dolore". Ora, l'ignoranza è causa di errore. Dunque il desiderio, o concupiscenza, è causa di dolore.

[35107] Iª-IIae q. 36 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod tristitia est motus quidam appetitus animalis. Motus autem appetitivus habet, sicut dictum est, similitudinem appetitus naturalis. Cuius duplex causa assignari potest, una per modum finis; alia sicut unde est principium motus. Sicut descensionis corporis gravis causa sicut finis, est locus deorsum, principium autem motus est inclinatio naturalis, quae est ex gravitate. Causa autem motus appetitivi per modum finis, est eius obiectum. Et sic supra dictum est quod causa doloris seu tristitiae est malum coniunctum. Causa autem sicut unde est principium talis motus, est interior inclinatio appetitus. Qui quidem per prius inclinatur ad bonum; et ex consequenti ad repudiandum malum contrarium. Et ideo huiusmodi motus appetitivi primum principium est amor, qui est prima inclinatio appetitus ad bonum consequendum, secundum autem principium est odium, quod est inclinatio prima appetitus ad malum fugiendum. Sed quia concupiscentia vel cupiditas est primus effectus amoris, quo maxime delectamur, ut supra dictum est; ideo frequenter Augustinus cupiditatem vel concupiscentiam pro amore ponit, ut etiam supra dictum est. Et hoc modo concupiscentiam dicit esse universalem causam doloris. Sed ipsa concupiscentia, secundum propriam rationem considerata, est interdum causa doloris. Omne enim quod impedit motum ne perveniat ad terminum, est contrarium motui. Illud autem quod est contrarium motui appetitus, est contristans. Et sic per consequens concupiscentia fit causa tristitiae, inquantum de retardatione boni concupiti, vel totali ablatione, tristamur. Universalis autem causa doloris esse non potest, quia magis dolemus de subtractione bonorum praesentium, in quibus iam delectamur, quam futurorum, quae concupiscimus.

 

[35107] Iª-IIae q. 36 a. 2 co.
RISPONDO: La tristezza è un moto dell'appetito animale. Ora, il moto di codesto appetito ha una somiglianza, come si è detto, con quello dell'appetito naturale. E di quest'ultimo si possono determinare due cause: la prima come fine, la seconda come principio di movimento. Nella caduta dei gravi, p. es., il luogo inferiore fa da causa finale; e l'inclinazione naturale, dovuta alla gravità, fa da principio di moto.
Ora, nel moto dell'appetito fa da causa finale l'oggetto. E in questo senso, come abbiamo già visto, causa del dolore, o tristezza è il male presente. - Invece fa da principio di codesto moto l'inclinazione interiore dell'appetito. Il quale prima di tutto inclina verso il bene; e di conseguenza tende a respingere il male contrario. Perciò il primo principio di codesto moto appetitivo è l'amore, che è la prima inclinazione dell'appetito al conseguimento del bene; il secondo principio è l'odio che è la prima inclinazione dell'appetito a fuggire il male. Ma poiché il desiderio, o concupiscenza, è il primo effetto dell'amore, massima fonte di godimento, secondo le cose già viste, ecco che S. Agostino mette il desiderio, o concupiscenza al posto dell'amore, come abbiamo già notato. E in questo modo può dire che il desiderio, o concupiscenza è la causa universale del dolore.
Ma il desiderio stesso, considerato nella sua natura, può essere talora causa del dolore. Infatti tutto ciò che impedisce a un moto di raggiungere il suo termine, è contrario al moto medesimo. Ora, quanto è contrario al moto dell'appetito rattrista. È così che il desiderio diviene causa di tristezza, in quanto ci rattristiamo del differimento, o della privazione di un bene desiderato. Ma non può essere causa universale del dolore: poiché ci addolora di più la privazione dei beni presenti di cui godiamo, che quella dei beni futuri, oggetto del desiderio.

[35108] Iª-IIae q. 36 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod inclinatio appetitus ad bonum consequendum, est causa inclinationis appetitus ad malum fugiendum, sicut dictum est. Et ex hoc contingit quod motus appetitivi qui respiciunt bonum, ponuntur causa motuum appetitus qui respiciunt malum.

 

[35108] Iª-IIae q. 36 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'inclinazione dell'appetito verso il bene è causa dell'inclinazione di esso a fuggire il male, come abbiamo spiegato. Ecco perché i moti appetitivi riguardanti il bene sono tra le cause dei moti appetitivi riguardanti il male.

[35109] Iª-IIae q. 36 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod illud quod concupiscitur, etsi realiter sit futurum, est tamen quodammodo praesens, inquantum speratur. Vel potest dici quod, licet ipsum bonum concupitum sit futurum, tamen impedimentum praesentialiter apponitur, quod dolorem causat.

 

[35109] Iª-IIae q. 36 a. 2 ad 2
2. Sebbene ciò che si desidera sia futuro, in qualche modo è presente, in quanto oggetto di speranza. - Ma si può anche rispondere che, pur essendo futuro il bene desiderato, è però presente l'impedimento che causa il dolore.

[35110] Iª-IIae q. 36 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod concupiscentia est delectabilis, quandiu manet spes adipiscendi quod concupiscitur. Sed, subtracta spe per impedimentum appositum, concupiscentia dolorem causat.

 

[35110] Iª-IIae q. 36 a. 2 ad 3
3. Il desiderio è piacevole finché dura la speranza di raggiungere quello che si desidera. Ma venuta a mancare la speranza, per l'ostacolo sopraggiunto, il desiderio produce dolore.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Cause della tristezza, o dolore > Se l'amore dell'unità o integrità sia causa del dolore


Prima pars secundae partis
Quaestio 36
Articulus 3

[35111] Iª-IIae q. 36 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod appetitus unitatis non sit causa doloris. Dicit enim philosophus, in X Ethic., quod haec opinio, quae posuit repletionem esse causam delectationis, et incisionem causam tristitiae, videtur esse facta ex delectationibus et tristitiis quae sunt circa cibum. Sed non omnis delectatio vel tristitia est huiusmodi. Ergo appetitus unitatis non est causa universalis doloris, cum repletio ad unitatem pertineat, incisio vero multitudinem inducat.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 36
Articolo 3

[35111] Iª-IIae q. 36 a. 3 arg. 1
SEMBRA che l'amore dell'unità, o integrità non sia causa del dolore. Infatti:
1. Il Filosofo fa osservare, che "questa opinione", la quale sostiene che la pienezza produce piacere e la dissociazione tristezza, "sembra imbastita sui piaceri e sui dolori attinenti al cibo". Ma i piaceri e i dolori non sono tutti di questo genere. Dunque l'amore dell'unità non è causa universale del dolore: difatti la pienezza si riconduce all'unità e la dissociazione alla pluralità.

[35112] Iª-IIae q. 36 a. 3 arg. 2
Praeterea, quaelibet separatio unitati opponitur. Si ergo dolor causaretur ex appetitu unitatis, nulla separatio esset delectabilis. Quod patet esse falsum in separatione omnium superfluorum.

 

[35112] Iª-IIae q. 36 a. 3 arg. 2
2. Qualsiasi separazione si oppone all’integrità. Se dunque l'amore per l'integrità causasse il dolore, nessuna separazione sarebbe piacevole. E ciò evidentemente è falso nella separazione, o eliminazione del superfluo.

[35113] Iª-IIae q. 36 a. 3 arg. 3
Praeterea, eadem ratione appetimus coniunctionem boni, et remotionem mali. Sed sicut coniunctio pertinet ad unitatem, cum sit unio quaedam; ita separatio est contrarium unitati. Ergo appetitus unitatis non magis debet poni causa doloris quam appetitus separationis.

 

[35113] Iª-IIae q. 36 a. 3 arg. 3
3. Identico è il motivo per cui bramiamo la congiunzione col bene, e la fuga dal male. Ora, come la congiunzione col bene si riferisce all'unità, essendo una specie di unione; così la separazione è il contrario dell'unità. Dunque non è giusto indicare la brama per l'unità come causa del dolore, a preferenza della brama per la separazione.

[35114] Iª-IIae q. 36 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in III de libero arbitrio, quod ex dolore quem bestiae sentiunt, satis apparet in regendis animandisque suis corporibus, quam sint animae appetentes unitatis. Quid enim est aliud dolor, nisi quidam sensus divisionis vel corruptionis impatiens?

 

[35114] Iª-IIae q. 36 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive S. Agostino: "Dal dolore che le bestie sentono appare chiaramente quanto le anime, nel reggere e nell'animare i loro corpi amino l'integrità. Infatti che cos'altro è il dolore, se non una certa sensazione insofferente di divisione e di corruzione?".

[35115] Iª-IIae q. 36 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod eo modo quo concupiscentia vel cupiditas boni est causa doloris, etiam appetitus unitatis, vel amor, causa doloris ponendus est. Bonum enim uniuscuiusque rei in quadam unitate consistit, prout scilicet unaquaeque res habet in se unita illa ex quibus consistit eius perfectio, unde et Platonici posuerunt unum esse principium, sicut et bonum. Unde naturaliter unumquodque appetit unitatem, sicut et bonitatem. Et propter hoc, sicut amor vel appetitus boni est causa doloris, ita etiam amor vel appetitus unitatis.

 

[35115] Iª-IIae q. 36 a. 3 co.
RISPONDO: Come abbiamo detto che è causa del dolore il desiderio del bene, così bisogna considerare causa del dolore l'amore dell'unità ossia della integrità. Infatti il bene di ogni cosa si riduce a una certa unità, cioè al fatto che ciascuna cosa ha riunite in sé tutte le parti che formano la sua perfezione: non per nulla i platonici pensavano che l'uno fosse principio, o causa come il bene. Quindi ogni cosa, come naturalmente appetisce la bontà, così appetisce l'unità o integrità. Perciò, come l'amore o l'appetito del bene è causa del dolore, così pure ne è causa l'amore, o appetito dell'unità.

[35116] Iª-IIae q. 36 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod non omnis unio perficit rationem boni, sed solum illa a qua dependet esse perfectum rei. Et propter hoc etiam, non cuiuslibet appetitus unitatis est causa doloris vel tristitiae, ut quidam opinabantur. Quorum opinionem ibi philosophus excludit per hoc, quod quaedam repletiones non sunt delectabiles, sicut repleti cibis non delectantur in ciborum sumptione. Talis enim repletio, sive unio, magis repugnaret ad perfectum esse, quam ipsum constitueret. Unde dolor non causatur ex appetitu cuiuslibet unitatis, sed eius in qua consistit perfectio naturae.

 

[35116] Iª-IIae q. 36 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non tutte le unioni, ma soltanto quelle da cui dipende lo stato perfetto di una cosa, integrano la ragione di bene. Per questo motivo non l'amore di qualsiasi unità è causa del dolore, come alcuni pensavano. E il Filosofo ne condanna l'opinione per il fatto che certe pienezze non sono piacevoli: chi, p. es., è già sazio non prova piacere nel riempirsi di altro cibo. Infatti tale riempimento, o unione, non costituisce ma distrugge lo stato perfetto [dell'animale]. Perciò il dolore non è prodotto dall'amore di qualsiasi unità, ma di quella unità in cui consiste la perfezione naturale.

[35117] Iª-IIae q. 36 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod separatio potest esse delectabilis, vel inquantum removetur illud quod est contrarium perfectioni rei, vel inquantum separatio habet aliquam unionem adiunctam, puta sensibilis ad sensum.

 

[35117] Iª-IIae q. 36 a. 3 ad 2
2. Una separazione può essere piacevole, o perché toglie un ostacolo alla perfezione di una cosa; o perché si tratta di una separazione che implica qualche unione, mettiamo quella dell'oggetto col senso.

[35118] Iª-IIae q. 36 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod separatio nocivorum et corrumpentium appetitur, inquantum tollunt debitam unitatem. Unde appetitus huiusmodi separationis non est prima causa doloris, sed magis appetitus unitatis.

 

[35118] Iª-IIae q. 36 a. 3 ad 3
3. La separazione degli elementi nocivi e pericolosi è anch'essa oggetto d'amore, ma in quanto codesti elementi minacciano la debita unità. Perciò non l'amore di codesta separazione è la prima causa del dolore, ma piuttosto l'amore dell'integrità minacciata.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Cause della tristezza, o dolore > Se siano causa del dolore forze superiori e irresistibili


Prima pars secundae partis
Quaestio 36
Articulus 4

[35119] Iª-IIae q. 36 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod potestas maior non debeat poni causa doloris. Quod enim est in potestate agentis, nondum est praesens, sed futurum. Dolor autem est de malo praesenti. Ergo potestas maior non est causa doloris.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 36
Articolo 4

[35119] Iª-IIae q. 36 a. 4 arg. 1
SEMBRA che non si debba mettere tra le cause del dolore la potenza di forze superiori. Infatti:
1. Ciò che è in potere dell'agente, non è presente ancora, ma futuro. Il dolore invece ha per oggetto un male presente. Dunque la potenza di forze superiori non è causa di dolore.

[35120] Iª-IIae q. 36 a. 4 arg. 2
Praeterea, nocumentum illatum est causa doloris. Sed nocumentum potest inferri etiam a potestate minore. Ergo potestas maior non debet poni causa doloris.

 

[35120] Iª-IIae q. 36 a. 4 arg. 2
2. Causa di dolore è un danno irrogato. Ora, un danno può essere irrogato anche da una forza inferiore. Dunque non si deve ritenere come causa di dolore la potenza di forze superiori.

[35121] Iª-IIae q. 36 a. 4 arg. 3
Praeterea, causae appetitivorum motuum sunt interiores inclinationes animae. Potestas autem maior est aliquid exterius. Ergo non debet poni causa doloris.

 

[35121] Iª-IIae q. 36 a. 4 arg. 3
3. Cause dei moti appetitivi sono le interiori inclinazioni dell'anima. Ora, una forza superiore è qualche cosa di estraneo. Quindi essa non si deve mettere tra le cause del dolore.

[35122] Iª-IIae q. 36 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro de natura boni, in animo dolorem facit voluntas resistens potestati maiori; in corpore dolorem facit sensus resistens corpori potentiori.

 

[35122] Iª-IIae q. 36 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive S. Agostino: "Ciò che produce il dolore nell'anima è il volere che resiste a una forza superiore; e nel corpo lo produce il senso che resiste a un corpo più duro".

[35123] Iª-IIae q. 36 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, malum coniunctum est causa doloris vel tristitiae per modum obiecti. Id ergo quod est causa coniunctionis mali, debet poni causa doloris vel tristitiae. Manifestum est autem hoc esse contra inclinationem appetitus, ut malo praesentialiter inhaereat. Quod autem est contra inclinationem alicuius, nunquam advenit ei nisi per actionem alicuius fortioris. Et ideo potestas maior ponitur esse causa doloris ab Augustino. Sed sciendum est quod, si potestas fortior intantum invalescat quod mutet contrariam inclinationem in inclinationem propriam, iam non erit aliqua repugnantia vel violentia, sicut quando agens fortius, corrumpendo corpus grave, aufert ei inclinationem qua tendit deorsum; et tunc ferri sursum non est ei violentum, sed naturale. Sic igitur si aliqua potestas maior intantum invalescat quod auferat inclinationem voluntatis vel appetitus sensitivi, ex ea non sequitur dolor vel tristitia, sed tunc solum sequitur, quando remanet inclinatio appetitus in contrarium. Et inde est quod Augustinus dicit quod voluntas resistens potestati fortiori, causat dolorem, si enim non resisteret, sed cederet consentiendo, non sequeretur dolor, sed delectatio.

 

[35123] Iª-IIae q. 36 a. 4 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, causa oggettiva del dolore, o tristezza, è il male presente. Si deve perciò considerare come causa del dolore o della tristezza ciò che produce la presenza di un male. Ora, è evidente che la presenza e l'applicazione del male ripugna alla inclinazione dell'appetito. D'altra parte ciò che contrasta l'inclinazione di un dato soggetto non può imporsi ad esso senza l'intervento di un agente più forte. Per questo S. Agostino mette la forza maggiore tra le cause del dolore.
Ma si deve considerare che, se una forza superiore giunge a mutare l'inclinazione contraria in inclinazione propria del soggetto, allora non ci sarà più nessuna ripugnanza o violenza: se, p. es., un agente virulento, nel distruggere un corpo grave gli togliesse la tendenza verso il basso, sarebbe naturale e non più violento per codesto corpo l'attrazione verso l'alto. Perciò se una potenza superiore giunge al punto, da eliminare una data inclinazione della volontà o dell'appetito sensitivo, essa non produce dolore o tristezza: ma lo produce soltanto quando rimane l'inclinazione contraria nell'appetito. Ecco perché S. Agostino afferma, che "il volere il quale resiste a una forza superiore" causa il dolore: infatti, se non resistesse ma consentisse, non ne seguirebbe un dolore, bensì un piacere.

[35124] Iª-IIae q. 36 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod maior potestas dolorem causat, non secundum quod est agens in potentia, sed secundum quod est agens actu, dum scilicet facit coniunctionem mali corruptivi.

 

[35124] Iª-IIae q. 36 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Una forza superiore causa il dolore non come agente in potenza, ma come agente in atto: cioè in quanto infligge un male distruttivo.

[35125] Iª-IIae q. 36 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod nihil prohibet aliquam potestatem quae non est maior simpliciter, esse maiorem quantum ad aliquid. Et secundum hoc, aliquod nocumentum inferre potest. Si autem nullo modo maior esset, nullo modo posset nocere. Unde non posset causam doloris inferre.

 

[35125] Iª-IIae q. 36 a. 4 ad 2
2. Niente impedisce che una forza la quale non è superiore in senso assoluto, sia superiore in senso relativo. E così può irrogare un danno. Ma se non fosse superiore in nessun senso, in nessuna maniera potrebbe nuocere. E quindi non potrebbe essere causa di dolore.

[35126] Iª-IIae q. 36 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod exteriora agentia possunt esse causa motuum appetitivorum, inquantum causant praesentiam obiecti. Et hoc modo potestas maior ponitur causa doloris.

 

[35126] Iª-IIae q. 36 a. 4 ad 3
3. Gli agenti esterni possono essere causa dei moti appetitivi, perché possono determinare la presenza dell'oggetto. E in questo modo viene posta tra le cause della tristezza una forza superiore.

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