I-II, 19

Seconda parte > Gli atti umani in generale > Bontà e malizia dell'atto interno della volontà


Prima pars secundae partis
Quaestio 19
Prooemium

[34346] Iª-IIae q. 19 pr.
Deinde considerandum est de bonitate actus interioris voluntatis. Et circa hoc quaeruntur decem.
Primo, utrum bonitas voluntatis dependeat ex obiecto.
Secundo, utrum ex solo obiecto dependeat.
Tertio, utrum dependeat ex ratione.
Quarto, utrum dependeat ex lege aeterna.
Quinto, utrum ratio errans obliget.
Sexto, utrum voluntas contra legem Dei sequens rationem errantem, sit mala.
Septimo, utrum bonitas voluntatis in his quae sunt ad finem, dependeat ex intentione finis.
Octavo, utrum quantitas bonitatis vel malitiae in voluntate, sequatur quantitatem boni vel mali in intentione.
Nono, utrum bonitas voluntatis dependeat ex conformitate ad voluntatem divinam.
Decimo, utrum necesse sit voluntatem humanam conformari divinae voluntati in volito, ad hoc quod sit bona.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 19
Proemio

[34346] Iª-IIae q. 19 pr.
C'è ora da trattare della bontà dell'atto interno del volere.
Sull'argomento si pongono dieci quesiti:

1. Se la bontà del volere dipenda dall'oggetto;
2. Se dipenda unicamente dall'oggetto;
3. Se dipenda dalla ragione;
4. Se dipenda dalla legge eterna;
5. Se la ragione erronea debba obbligare;
6. Se la volontà che segue la ragione erronea, contro la legge eterna di Dio, sia cattiva;
7. Se la bontà della volizione dei mezzi dipenda dall'intenzione del fine;
8. Se, nel volere, la quantità della bontà o della malizia sia pari al bene o al male esistente nell'intenzione;
9. Se la bontà del volere dipenda dalla conformità con la volontà divina;
10. Se sia necessario che la volontà umana, per essere buona, si uniformi nel suo oggetto alla volontà di Dio.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Bontà e malizia dell'atto interno della volontà > Se la bontà del volere dipenda dall'oggetto


Prima pars secundae partis
Quaestio 19
Articulus 1

[34347] Iª-IIae q. 19 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod bonitas voluntatis non dependeat ex obiecto. Voluntas enim non potest esse nisi boni, quia malum est praeter voluntatem, ut Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom. Si igitur bonitas voluntatis iudicaretur ex obiecto, sequeretur quod omnis voluntas esset bona, et nulla esset mala.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 19
Articolo 1

[34347] Iª-IIae q. 19 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la bontà del volere non dipenda dall'oggetto. Infatti:
1. La volontà non può avere per oggetto che il bene: poiché il male è "estraneo alla volontà", come si esprime Dionigi. Se dunque la bontà del volere si giudicasse dall'oggetto, tutte le volizioni sarebbero buone, e nessuna cattiva.

[34348] Iª-IIae q. 19 a. 1 arg. 2
Praeterea, bonum per prius invenitur in fine, unde bonitas finis, inquantum huiusmodi, non dependet ab aliquo alio. Sed secundum philosophum, in VI Ethic., bona actio est finis, licet factio nunquam sit finis, ordinatur enim semper, sicut ad finem, ad aliquid factum. Ergo bonitas actus voluntatis non dependet ex aliquo obiecto.

 

[34348] Iª-IIae q. 19 a. 1 arg. 2
2. Il bene si trova innanzi tutto nel fine: difatti la volizione del fine come tale non dipende da altre cose. Ma secondo il Filosofo, "l'azione buona ha natura di fine, a differenza del facimento"; il quale è sempre ordinato come a suo fine a un determinato prodotto. Dunque la bontà di un atto di volontà non dipende dal suo oggetto.

[34349] Iª-IIae q. 19 a. 1 arg. 3
Praeterea, unumquodque quale est, tale alterum facit. Sed obiectum voluntatis est bonum bonitate naturae. Non ergo potest praestare voluntati bonitatem moralem. Moralis ergo bonitas voluntatis non dependet ex obiecto.

 

[34349] Iª-IIae q. 19 a. 1 arg. 3
3. Una cosa col suo influsso tende a rendere le altre come se stessa. Ora, l'oggetto della volizione è buono di bontà fisica. Dunque non può dare alla volizione una bontà morale. E quindi la bontà della volizione non dipende dall'oggetto.

[34350] Iª-IIae q. 19 a. 1 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in V Ethic., quod iustitia est secundum quam aliqui volunt iusta, et eadem ratione, virtus est secundum quam aliqui volunt bona. Sed bona voluntas est quae est secundum virtutem. Ergo bonitas voluntatis est ex hoc quod aliquis vult bonum.

 

[34350] Iª-IIae q. 19 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: II Filosofo insegna che la giustizia è la virtù in forza della quale si vogliono cose giuste: e per lo stesso motivo la virtù è quel costume in forza del quale si vogliono cose buone. Ora, un volere è buono se è conforme alla virtù. Dunque la bontà del volere dipende dal l'atto che si vogliono cose buone.

[34351] Iª-IIae q. 19 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod bonum et malum sunt per se differentiae actus voluntatis. Nam bonum et malum per se ad voluntatem pertinent; sicut verum et falsum ad rationem, cuius actus per se distinguitur differentia veri et falsi, prout dicimus opinionem esse veram vel falsam. Unde voluntas bona et mala sunt actus differentes secundum speciem. Differentia autem speciei in actibus est secundum obiecta, ut dictum est. Et ideo bonum et malum in actibus voluntatis proprie attenditur secundum obiecta.

 

[34351] Iª-IIae q. 19 a. 1 co.
RISPONDO: Il bene e il male sono differenze essenziali dell'atto della volizione. Infatti bontà e malizia sono per se differenze del volere; come verità e falsità lo sono della ragione, i cui atti si distinguono essenzialmente in veri e falsi, ogni qual volta affermino che una data opinione è vera o falsa. Perciò un volere buono e un volere cattivo sono atti specificamente differenti. Ora, la differenza specifica degli atti si desume dall'oggetto, come abbiamo dimostrato.
Perciò il bene e il male degli atti di volizione propriamente si determinano in base all'oggetto.

[34352] Iª-IIae q. 19 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod voluntas non semper est veri boni, sed quandoque est apparentis boni, quod quidem habet aliquam rationem boni, non tamen simpliciter convenientis ad appetendum. Et propter hoc actus voluntatis non est bonus semper, sed aliquando malus.

 

[34352] Iª-IIae q. 19 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non sempre la volontà ha per oggetto il vero bene, ma talora si contenta del bene apparente, che ha anch'esso ragione di bene, non però di bene appetibile in senso assoluto. Perciò l'atto della volizione non sempre è buono, ma talora è cattivo.

[34353] Iª-IIae q. 19 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod, quamvis aliquis actus possit esse ultimus finis hominis secundum aliquem modum, non tamen talis actus est actus voluntatis, ut supra dictum est.

 

[34353] Iª-IIae q. 19 a. 1 ad 2
2. Sebbene un atto possa essere in un certo senso l'ultimo fine dell'uomo, tuttavia tale atto non è un atto di volontà, come abbiamo visto in precedenza.

[34354] Iª-IIae q. 19 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod bonum per rationem repraesentatur voluntati ut obiectum; et inquantum cadit sub ordine rationis, pertinet ad genus moris, et causat bonitatem moralem in actu voluntatis. Ratio enim principium est humanorum et moralium actuum, ut supra dictum est.

 

[34354] Iª-IIae q. 19 a. 1 ad 3
3. Il bene diviene oggetto della volontà perché presentato dalla ragione; e in quanto cade sotto l'ordinamento di essa, appartiene all'ordine morale, e causa la bontà morale nell'atto di volontà. Infatti la ragione e il principio degli atti umani e morali, come abbiamo spiegato.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Bontà e malizia dell'atto interno della volontà > Se la bontà del volere dipenda unicamente dall'oggetto


Prima pars secundae partis
Quaestio 19
Articulus 2

[34355] Iª-IIae q. 19 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod bonitas voluntatis non dependeat solum ex obiecto. Finis enim affinior est voluntati quam alteri potentiae. Sed actus aliarum potentiarum recipiunt bonitatem non solum ex obiecto, sed etiam ex fine, ut ex supradictis patet. Ergo etiam actus voluntatis recipit bonitatem non solum ex obiecto, sed etiam ex fine.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 19
Articolo 2

[34355] Iª-IIae q. 19 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la bontà del volere non dipenda unicamente dall'oggetto. Infatti:
1. Il fine è più affine alla volontà che ad altre potenze. Ora gli atti delle altre potenze ricevono la bontà non solo dall'oggetto, ma anche dal fine, come si è visto. Dunque anche gli atti del volere non ricevono la bontà unicamente dall'oggetto, ma anche dal fine.

[34356] Iª-IIae q. 19 a. 2 arg. 2
Praeterea, bonitas actus non solum est ex obiecto, sed etiam ex circumstantiis, ut supra dictum est. Sed secundum diversitatem circumstantiarum contingit esse diversitatem bonitatis et malitiae in actu voluntatis, puta quod aliquis velit quando debet et ubi debet, et quantum debet, et quomodo debet, vel prout non debet. Ergo bonitas voluntatis non solum dependet ex obiecto, sed etiam ex circumstantiis.

 

[34356] Iª-IIae q. 19 a. 2 arg. 2
2. La bontà di un atto non dipende solo dall'oggetto, ma anche dalle circostanze, come abbiamo dimostrato. Ora, secondo le diverse circostanze si determina una diversità di bontà o di malizia nella volizione: se, p. es., uno vuole o non vuole nel tempo e nel luogo debito, nella misura dovuta e nel modo dovuto. Dunque la bontà della volizione non dipende soltanto dall'oggetto, ma anche dalle circostanze.

[34357] Iª-IIae q. 19 a. 2 arg. 3
Praeterea, ignorantia circumstantiarum excusat malitiam voluntatis, ut supra habitum est. Sed hoc non esset, nisi bonitas et malitia voluntatis a circumstantiis dependeret. Ergo bonitas et malitia voluntatis dependet ex circumstantiis, et non a solo obiecto.

 

[34357] Iª-IIae q. 19 a. 2 arg. 3
3. L'ignoranza delle circostanze scusa la malizia del volere, come si vide in precedenza. Ma questo non sarebbe possibile se la bontà e la malizia del volere non dipendesse dalle circostanze. Dunque la bontà e la malizia del volere dipende dalle circostanze, e non unicamente dall'oggetto.

[34358] Iª-IIae q. 19 a. 2 s. c.
Sed contra, ex circumstantiis, inquantum huiusmodi, actus non habet speciem, ut supra dictum est. Sed bonum et malum sunt specificae differentiae actus voluntatis, ut dictum est. Ergo bonitas et malitia voluntatis non dependet ex circumstantiis, sed ex solo obiecto.

 

[34358] Iª-IIae q. 19 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Abbiamo già dimostrato che un atto non può ricevere la specie dalle circostanze come tali. Ora, bene o male, si è detto, sono differenze specifiche dell'atto di volontà. Dunque la bontà e la malizia della volizione non dipende dalle circostanze, ma unicamente dall'oggetto.

[34359] Iª-IIae q. 19 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod in quolibet genere, quanto aliquid est prius, tanto est simplicius et in paucioribus consistens, sicut prima corpora sunt simplicia. Et ideo invenimus quod ea quae sunt prima in quolibet genere, sunt aliquo modo simplicia, et in uno consistunt. Principium autem bonitatis et malitiae humanorum actuum est ex actu voluntatis. Et ideo bonitas et malitia voluntatis secundum aliquid unum attenditur, aliorum vero actuum bonitas et malitia potest secundum diversa attendi. Illud autem unum quod est principium in quolibet genere, non est per accidens, sed per se, quia omne quod est per accidens, reducitur ad id quod est per se, sicut ad principium. Et ideo bonitas voluntatis ex solo uno illo dependet, quod per se facit bonitatem in actu, scilicet ex obiecto, et non ex circumstantiis, quae sunt quaedam accidentia actus.

 

[34359] Iª-IIae q. 19 a. 2 co.
RISPONDO: In ogni genere di cose quanto più un essere è anteriore, tanto più è semplice, e meno sono gli elementi che lo compongono: i primi corpi, p. es., sono corpi semplici. Perciò riscontriamo che i primi dati, in qualsiasi genere di cose, hanno una certa semplicità, e constano di un solo elemento. Ora, la bontà, o la malizia, degli atti umani ha il suo principio nell'atto della volizione. Perciò la bontà, o la malizia, della volizione va riscontrata in un unico elemento: mentre quella degli altri atti può derivare da una pluralità di elementi.
Ora la realtà primigenia, che ha un primato in qualsiasi genere di cose, non deve avere un'esistenza per accidens, ma per se: poiché tutto ciò che è per accidens ha il suo principio in ciò che è per se. Perciò la bontà o la malizia del volere deve essere riscontrata in quell'unico elemento che costituisce essenzialmente la bontà di un atto, cioè nell'oggetto; non già nelle circostanze, che sono come gli accidenti dell'atto.

[34360] Iª-IIae q. 19 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod finis est obiectum voluntatis, non autem aliarum virium. Unde quantum ad actum voluntatis, non differt bonitas quae est ex obiecto, a bonitate quae est ex fine, sicut in actibus aliarum virium, nisi forte per accidens, prout finis dependet ex fine, et voluntas ex voluntate.

 

[34360] Iª-IIae q. 19 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il fine è oggetto della volontà, mentre non lo è delle altre potenze. Perciò nell'atto della volontà non c'è differenza, come per gli atti delle altre potenze, tra la bontà derivante dall'oggetto, e quella derivante dal fine: o tutt'al più è accidentale, in quanto il fine può dipendere da un fine superiore, e la volizione da un'altra volizione.

[34361] Iª-IIae q. 19 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod, supposito quod voluntas sit boni, nulla circumstantia potest eam facere malam. Quod ergo dicitur quod aliquis vult aliquod bonum quando non debet vel ubi non debet, potest intelligi dupliciter. Uno modo, ita quod ista circumstantia referatur ad volitum. Et sic voluntas non est boni, quia velle facere aliquid quando non debet fieri, non est velle bonum. Alio modo, ita quod referatur ad actum volendi. Et sic impossibile est quod aliquis velit bonum quando non debet, quia semper homo debet velle bonum, nisi forte per accidens, inquantum aliquis, volendo hoc bonum, impeditur ne tunc velit aliquod bonum debitum. Et tunc non incidit malum ex eo quod aliquis vult illud bonum; sed ex eo quod non vult aliud bonum. Et similiter dicendum est de aliis circumstantiis.

 

[34361] Iª-IIae q. 19 a. 2 ad 2
2. Supposto che una volizione abbia il bene per oggetto, nessuna circostanza può renderla cattiva. Perciò l'affermazione che uno può volere un bene quando e dove non deve, si può intendere in due modi. Primo, riferendo questa circostanza all'atto [esterno] che si vuole. E in questo caso il volere non ha il bene per oggetto: poiché voler fare una cosa quando non si deve, non è volere il bene. Secondo, riferendo detta circostanza all'atto interno di volontà. E allora è impossibile che uno voglia il bene quando non deve, poiché l'uomo deve sempre volere il bene. Tutt'al più il fatto può verificarsi per accidens, in quanto uno, nel volere quel bene, è impedito di volere attualmente un altro bene voluto. E in questo caso egli non commette il male perché vuole quel bene, ma perché non vuole quest'altro bene. Lo stesso si dica delle altre circostanze.

[34362] Iª-IIae q. 19 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod circumstantiarum ignorantia excusat malitiam voluntatis, secundum quod circumstantiae se tenent ex parte voliti, inquantum scilicet ignorat circumstantias actus quem vult.

 

[34362] Iª-IIae q. 19 a. 2 ad 3
3. L'ignoranza delle circostanze scusa la malizia della volontà, in quanto le circostanze condizionano l'atto [esterno] che si vuole: in quanto, cioè, uno ignora le circostanze dell'atto che vuol compiere.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Bontà e malizia dell'atto interno della volontà > Se la bontà del volere dipenda dalla ragione


Prima pars secundae partis
Quaestio 19
Articulus 3

[34363] Iª-IIae q. 19 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod bonitas voluntatis non dependeat a ratione. Prius enim non dependet a posteriori. Sed bonum per prius pertinet ad voluntatem quam ad rationem, ut ex supradictis patet. Ergo bonum voluntatis non dependet a ratione.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 19
Articolo 3

[34363] Iª-IIae q. 19 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la bontà del volere non dipenda dalla ragione. Infatti:
1. Ciò che è prima non può dipendere da ciò che viene dopo. Ma il bene appartiene prima alla volontà che alla ragione, come abbiamo visto. Perciò la bontà del volere non può dipendere dalla ragione.

[34364] Iª-IIae q. 19 a. 3 arg. 2
Praeterea, philosophus dicit, in VI Ethic., quod bonitas intellectus practici est verum conforme appetitui recto. Appetitus autem rectus est voluntas bona. Ergo bonitas rationis practicae magis dependet a bonitate voluntatis, quam e converso.

 

[34364] Iª-IIae q. 19 a. 3 arg. 2
2. Il Filosofo insegna che la bontà dell'intelletto pratico consiste nel "vero conforme, all'appetito l'etto". Ora, l'appetito retto è la volontà buona. Dunque la bontà della ragione pratica dipende dalla bontà del volere, e non viceversa.

[34365] Iª-IIae q. 19 a. 3 arg. 3
Praeterea, movens non dependet ab eo quod movetur, sed e converso. Voluntas autem movet rationem et alias vires, ut supra dictum est. Ergo bonitas voluntatis non dependet a ratione.

 

[34365] Iª-IIae q. 19 a. 3 arg. 3
3. Il motore non può dipendere da ciò che esso muove, ma piuttosto il contrario. Ora la volontà muove la ragione e le altre potenze, come abbiamo detto. Perciò la bontà del volere non dipende dalla ragione.

[34366] Iª-IIae q. 19 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Hilarius dicit, in X de Trin., immoderata est omnis susceptarum voluntatum pertinacia, ubi non rationi voluntas subiicitur. Sed bonitas voluntatis consistit in hoc quod non sit immoderata. Ergo bonitas voluntatis dependet ex hoc quod sit subiecta rationi.

 

[34366] Iª-IIae q. 19 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive S. Ilario: "Ogni pertinacia nei voleri prestabiliti è smodata, quando la volontà non è sottomessa alla ragione". Ma la bontà del volere consiste nel fatto che esso non è smodato. Dunque la bontà del volere dipende dalla sua sottomissione alla ragione.

[34367] Iª-IIae q. 19 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, bonitas voluntatis proprie ex obiecto dependet. Obiectum autem voluntatis proponitur ei per rationem. Nam bonum intellectum est obiectum voluntatis proportionatum ei; bonum autem sensibile, vel imaginarium, non est proportionatum voluntati, sed appetitui sensitivo, quia voluntas potest tendere in bonum universale, quod ratio apprehendit; appetitus autem sensitivus non tendit nisi in bonum particulare, quod apprehendit vis sensitiva. Et ideo bonitas voluntatis dependet a ratione, eo modo quo dependet ab obiecto.

 

[34367] Iª-IIae q. 19 a. 3 co.
RISPONDO: Come abbiamo spiegato, la bontà del volere propriamente dipende dall'oggetto. Ora, l'oggetto viene proposto alla volontà dalla ragione. Infatti la volontà ha come suo oggetto proporzionato il bene intellettualmente conosciuto; invece il bene percepito dal senso e dall'immaginazione non è proporzionato alla volontà, ma all'appetito sensitivo: poiché la volontà può tendere al bene universale conosciuto dalla ragione; mentre l'appetito sensitivo tende soltanto al bene particolare conosciuto dalle potenze sensitive. Perciò la bontà del volere dipende dalla ragione, nel modo stesso che dipende dall'oggetto.

[34368] Iª-IIae q. 19 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod bonum sub ratione boni, idest appetibilis, per prius pertinet ad voluntatem quam ad rationem. Sed tamen per prius pertinet ad rationem sub ratione veri, quam ad voluntatem sub ratione appetibilis, quia appetitus voluntatis non potest esse de bono, nisi prius a ratione apprehendatur.

 

[34368] Iª-IIae q. 19 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il bene, sotto l'aspetto di bene, cioè di appetibile, appartiene prima alla volontà che alla ragione. Tuttavia appartiene prima alla ragione sotto l'aspetto di vero, che alla volontà sotto l'aspetto di appetibile: poiché non può esserci nella volontà il desiderio di un bene, se questo prima non viene appreso dalla ragione.

[34369] Iª-IIae q. 19 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod philosophus ibi loquitur de intellectu practico, secundum quod est consiliativus et ratiocinativus eorum quae sunt ad finem, sic enim perficitur per prudentiam. In his autem quae sunt ad finem, rectitudo rationis consistit in conformitate ad appetitum finis debiti. Sed tamen et ipse appetitus finis debiti praesupponit rectam apprehensionem de fine, quae est per rationem.

 

[34369] Iª-IIae q. 19 a. 3 ad 2
2. Il Filosofo in quel testo parla dell'intelletto pratico in quanto consiglia e discute dei mezzi: in tal caso esso ottiene la sua perfezione dalla prudenza. Ora, trattandosi di mezzi, la rettitudine della ragione consiste nel conformarsi all'appetito del debito fine. Tuttavia la stessa appetizione del debito fine presuppone la retta apprensione del fine, che si deve alla ragione.

[34370] Iª-IIae q. 19 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod voluntas quodam modo movet rationem; et ratio alio modo movet voluntatem, ex parte scilicet obiecti, ut supra dictum est.

 

[34370] Iª-IIae q. 19 a. 3 ad 3
3. La volontà in un certo senso muove la ragione; e la ragione in un altro senso muove la volontà, cioè in forza dell'oggetto, come abbiamo spiegato.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Bontà e malizia dell'atto interno della volontà > Se la bontà del volere dipenda dalla legge eterna


Prima pars secundae partis
Quaestio 19
Articulus 4

[34371] Iª-IIae q. 19 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod bonitas voluntatis humanae non dependeat a lege aeterna. Unius enim una est regula et mensura. Sed regula humanae voluntatis, ex qua eius bonitas dependet, est ratio recta. Ergo non dependet bonitas voluntatis a lege aeterna.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 19
Articolo 4

[34371] Iª-IIae q. 19 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la bontà del volere non dipenda dalla legge eterna. Infatti:
1. Una cosa non può avere che un'unica regola o misura. Ora, la volontà umana ha come regola, da cui dipende la sua bontà, la retta ragione. Dunque la bontà del volere non può dipendere dalla legge eterna.

[34372] Iª-IIae q. 19 a. 4 arg. 2
Praeterea, mensura est homogenea mensurato, ut dicitur X Metaphys. Sed lex aeterna non est homogenea voluntati humanae. Ergo lex aeterna non potest esse mensura voluntatis humanae, ut ab ea bonitas eius dependeat.

 

[34372] Iª-IIae q. 19 a. 4 arg. 2
2. Come dice Aristotele, "la misura è omogenea al misurato". Ma la legge eterna, non è omogenea alla, volontà umana. Dunque la legge eterna non può essere misura della volontà umana, così da decidere della sua bontà.

[34373] Iª-IIae q. 19 a. 4 arg. 3
Praeterea, mensura debet esse certissima. Sed lex aeterna est nobis ignota. Ergo non potest esse nostrae voluntatis mensura, ut ab ea bonitas voluntatis nostrae dependeat.

 

[34373] Iª-IIae q. 19 a. 4 arg. 3
3. La misura deve essere certissima. Invece la legge eterna per noi è ignota. Perciò essa non può essere misura della nostra volontà, determinando così la bontà del nostro volere.

[34374] Iª-IIae q. 19 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, XXII libro contra Faustum, quod peccatum est factum, dictum vel concupitum aliquid contra aeternam legem. Sed malitia voluntatis est radix peccati. Ergo, cum malitia bonitati opponatur, bonitas voluntatis dependet a lege aeterna.

 

[34374] Iª-IIae q. 19 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive S. Agostino che "il peccato è un fatto, una parola, o un desiderio contro la legge eterna". Ma la malizia del volere è la radice del peccato. Dunque, essendo la malizia il contrario della bontà, la bontà del volere dipende dalla legge eterna.

[34375] Iª-IIae q. 19 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod in omnibus causis ordinatis, effectus plus dependet a causa prima quam a causa secunda, quia causa secunda non agit nisi in virtute primae causae. Quod autem ratio humana sit regula voluntatis humanae, ex qua eius bonitas mensuretur, habet ex lege aeterna, quae est ratio divina. Unde in Psalmo IV, dicitur, multi dicunt, quis ostendit nobis bona? Signatum est super nos lumen vultus tui, domine, quasi diceret, lumen rationis quod in nobis est, intantum potest nobis ostendere bona, et nostram voluntatem regulare, inquantum est lumen vultus tui, idest a vultu tuo derivatum. Unde manifestum est quod multo magis dependet bonitas voluntatis humanae a lege aeterna, quam a ratione humana, et ubi deficit humana ratio, oportet ad rationem aeternam recurrere.

 

[34375] Iª-IIae q. 19 a. 4 co.
RISPONDO: Quando si tratta di cose subordinate, l'effetto dipende più dalla causa prima che dalla causa seconda: poiché la causa seconda non agisce che in virtù della causa prima. Ora, la ragione dell'uomo deve il fatto di essere la regola della volontà umana, e quindi la misura della sua bontà, alla legge eterna, che è la ragione di Dio. Perciò sta scritto: "Molti dicono: Chi ci farà vedere il bene? Quale sigillo è impresso su noi la luce del tuo volto, o Signore". Come per dire: La luce della ragione che è in noi, in tanto può mostrarci il bene, e regolare la nostra volontà, in quanto è luce del tuo volto, cioè derivante dal tuo volto. Perciò è evidente che la bontà del volere umano dipende molto più dalla legge eterna, che dalla ragione umana; e dove non può giungere la ragione umana bisogna ricorrere alla ragione eterna.

[34376] Iª-IIae q. 19 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod unius rei non sunt plures mensurae proximae, possunt tamen esse plures mensurae, quarum una sub alia ordinetur.

 

[34376] Iª-IIae q. 19 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non esistono più misure prossime di un'unica cosa: ma possono esserci più misure subordinate l'una all'altra.

[34377] Iª-IIae q. 19 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod mensura proxima est homogenea mensurato, non autem mensura remota.

 

[34377] Iª-IIae q. 19 a. 4 ad 2
2. La misura prossima deve essere omogenea al misurato, non così quella remota.

[34378] Iª-IIae q. 19 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod, licet lex aeterna sit nobis ignota secundum quod est in mente divina; innotescit tamen nobis aliqualiter vel per rationem naturalem, quae ab ea derivatur ut propria eius imago; vel per aliqualem revelationem superadditam.

 

[34378] Iª-IIae q. 19 a. 4 ad 3
3. Sebbene la legge eterna sia per noi ignota, in quanto essa si trova nella mente divina, tuttavia veniamo a conoscerla in qualche modo, sia. mediante la ragione naturale, che ne deriva come immagine di essa, sia mediante qualche rivelazione che vi si aggiunge.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Bontà e malizia dell'atto interno della volontà > Se il volere che discorda dalla ragione erronea sia cattivo


Prima pars secundae partis
Quaestio 19
Articulus 5

[34379] Iª-IIae q. 19 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod voluntas discordans a ratione errante, non sit mala. Ratio enim est regula voluntatis humanae, inquantum derivatur a lege aeterna, ut dictum est. Sed ratio errans non derivatur a lege aeterna. Ergo ratio errans non est regula voluntatis humanae. Non est ergo voluntas mala, si discordat a ratione errante.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 19
Articolo 5

[34379] Iª-IIae q. 19 a. 5 arg. 1
SEMBRA che il volere che discorda dalla ragione erronea non sia cattivo. Infatti:
1. La ragione è regola della volontà umana, in quanto, come s'è detto, deriva dalla legge eterna. Ma la ragione erronea non deriva dalla legge eterna. Dunque la ragione erronea non è regola del volere umano. E quindi la volontà non è cattiva, se discorda dalla ragione che sbaglia.

[34380] Iª-IIae q. 19 a. 5 arg. 2
Praeterea, secundum Augustinum, inferioris potestatis praeceptum non obligat, si contrarietur praecepto potestatis superioris, sicut si proconsul iubeat aliquid quod imperator prohibet. Sed ratio errans quandoque proponit aliquid quod est contra praeceptum superioris, scilicet Dei, cuius est summa potestas. Ergo dictamen rationis errantis non obligat. Non est ergo voluntas mala, si discordet a ratione errante.

 

[34380] Iª-IIae q. 19 a. 5 arg. 2
2. Secondo S. Agostino, il comando di un'autorità inferiore non obbliga, se è contrario al comando dell'autorità superiore: nel caso, p. es., che un proconsole comandasse quello che l'imperatore proibisce. Ora, la ragione che sbaglia falera propone delle cose che sono contro il precetto di chi è superiore, cioè di Dio, l'autorità del quale è suprema. Dunque il dettame della ragione erronea non obbliga. E quindi la volontà non è cattiva, sé discorda dalla ragione erronea.

[34381] Iª-IIae q. 19 a. 5 arg. 3
Praeterea, omnis voluntas mala reducitur ad aliquam speciem malitiae. Sed voluntas discordans a ratione errante, non potest reduci ad aliquam speciem malitiae, puta, si ratio errans errat in hoc, quod dicat esse fornicandum, voluntas eius qui fornicari non vult, ad nullam malitiam reduci potest. Ergo voluntas discordans a ratione errante, non est mala.

 

[34381] Iª-IIae q. 19 a. 5 arg. 3
3. Ogni volere cattivo si riporta a una qualche categoria di peccati. Ma il volere che discorda dalla ragione erronea non si può classificare in nessuna categoria di peccati: nel caso, mettiamo, che la ragione erronea mostrasse che bisogna fornicare, il volere di chi non vuol fornicare non potrebbe classificarsi in nessun genere di peccati. Dunque il volere discorde della ragione che erra non è cattivo.

[34382] Iª-IIae q. 19 a. 5 s. c.
Sed contra, sicut in primo dictum est, conscientia nihil aliud est quam applicatio scientiae ad aliquem actum. Scientia autem in ratione est. Voluntas ergo discordans a ratione errante, est contra conscientiam. Sed omnis talis voluntas est mala, dicitur enim Rom. XIV, omne quod non est ex fide, peccatum est, idest omne quod est contra conscientiam. Ergo voluntas discordans a ratione errante, est mala.

 

[34382] Iª-IIae q. 19 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Come abbiamo detto nella Prima Parte, la coscienza non è che l'applicazione della scienza o cognizione a un atto particolare. Ora, la scienza è nella ragione. Quindi il volere che discorda dalla ragione erronea è contrario alla coscienza. Ma ogni volere di questo genere è cattivo. Poiché sta scritto: "È peccato tutto quello che non è secondo la fede", vale a dire tutto quello che è contro la coscienza. Dunque il volere discorde dalla ragione erronea è cattivo.

[34383] Iª-IIae q. 19 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod, cum conscientia sit quodammodo dictamen rationis (est enim quaedam applicatio scientiae ad actum, ut in primo dictum est), idem est quaerere utrum voluntas discordans a ratione errante sit mala, quod quaerere utrum conscientia errans obliget. Circa quod, aliqui distinxerunt tria genera actuum, quidam enim sunt boni ex genere; quidam sunt indifferentes; quidam sunt mali ex genere. Dicunt ergo quod, si ratio vel conscientia dicat aliquid esse faciendum quod sit bonum ex suo genere, non est ibi error. Similiter, si dicat aliquid non esse faciendum quod est malum ex suo genere, eadem enim ratione praecipiuntur bona, qua prohibentur mala. Sed si ratio vel conscientia dicat alicui quod illa quae sunt secundum se mala, homo teneatur facere ex praecepto; vel quod illa quae sunt secundum se bona, sint prohibita; erit ratio vel conscientia errans. Et similiter si ratio vel conscientia dicat alicui quod id quod est secundum se indifferens, ut levare festucam de terra, sit prohibitum vel praeceptum, erit ratio vel conscientia errans. Dicunt ergo quod ratio vel conscientia errans circa indifferentia, sive praecipiendo sive prohibendo, obligat, ita quod voluntas discordans a tali ratione errante, erit mala et peccatum. Sed ratio vel conscientia errans praecipiendo ea quae sunt per se mala, vel prohibendo ea quae sunt per se bona et necessaria ad salutem, non obligat, unde in talibus voluntas discordans a ratione vel conscientia errante, non est mala. Sed hoc irrationabiliter dicitur. In indifferentibus enim, voluntas discordans a ratione vel conscientia errante, est mala aliquo modo propter obiectum, a quo bonitas vel malitia voluntatis dependet, non autem propter obiectum secundum sui naturam; sed secundum quod per accidens a ratione apprehenditur ut malum ad faciendum vel ad vitandum. Et quia obiectum voluntatis est id quod proponitur a ratione, ut dictum est, ex quo aliquid proponitur a ratione ut malum, voluntas, dum in illud fertur, accipit rationem mali. Hoc autem contingit non solum in indifferentibus, sed etiam in per se bonis vel malis. Non solum enim id quod est indifferens, potest accipere rationem boni vel mali per accidens; sed etiam id quod est bonum, potest accipere rationem mali, vel illud quod est malum, rationem boni, propter apprehensionem rationis. Puta, abstinere a fornicatione bonum quoddam est, tamen in hoc bonum non fertur voluntas, nisi secundum quod a ratione proponitur. Si ergo proponatur ut malum a ratione errante, feretur in hoc sub ratione mali. Unde voluntas erit mala, quia vult malum, non quidem id quod est malum per se, sed id quod est malum per accidens, propter apprehensionem rationis. Et similiter credere in Christum est per se bonum, et necessarium ad salutem, sed voluntas non fertur in hoc, nisi secundum quod a ratione proponitur. Unde si a ratione proponatur ut malum, voluntas feretur in hoc ut malum, non quia sit malum secundum se, sed quia est malum per accidens ex apprehensione rationis. Et ideo philosophus dicit, in VII Ethic., quod, per se loquendo, incontinens est qui non sequitur rationem rectam, per accidens autem, qui non sequitur etiam rationem falsam. Unde dicendum est simpliciter quod omnis voluntas discordans a ratione, sive recta sive errante, semper est mala.

 

[34383] Iª-IIae q. 19 a. 5 co.
RISPONDO: Domandarsi se il volere che discorda dalla ragione erronea sia cattivo, equivale a domandarsi se sia obbligante la, coscienza erronea; poiché la coscienza è come il dettato della ragione (infatti nella Prima Parte si disse che è un'applicazione della scienza all'atto). A questo proposito qualcuno ha distinto tre generi di atti.
Alcuni buoni nel loro genere; altri indifferenti; altri ancora cattivi nel loro genere. Essi dunque concludono che, se la ragione o la coscienza impone di compiere una cosa che è buona nel suo genere, non c'è errore. Così pure, se impone di non fare quello che è cattivo nel suo genere: poiché per uno stesso motivo si comanda il bene e si proibisce il male. Ma se la ragione o la coscienza dicesse a una persona che un uomo è tenuto a compiere per legge cose che sono per se stesse cattive, oppure che sono proibite cose per se stesse buone, allora la ragione, o la coscienza, è erronea. Così pure sarebbe erronea, se dicesse che è proibito, o che è comandato ciò che di suo è indifferente, come alzare una pagliuzza da terra. In questo caso, essi dicono, la ragione, o coscienza, che sbaglia in cose indifferenti, sia nel comandare, sia nel proibire, è obbligante: cosicché il volere, che non si uniforma a codesta ragione erronea, è cattivo, e si ha il peccato. Ma la ragione, o coscienza, che sbaglia comandando cose intrinsecamente cattive, o proibendo cose intrinsecamente buone e necessarie alla salvezza, non è obbligante: e quindi in questi casi il volere che discorda dalla ragione o dalla coscienza erronea non è cattivo.
Ma questa conclusione non è ragionevole. Infatti nelle cose indifferenti la volontà, che è in disaccordo con la ragione, o con la coscienza erronea, è cattiva, in una maniera o nell'altra, per l'oggetto dal quale dipende la bontà o la malizia della volizione: non già per l'oggetto in se stesso, ma in quanto occasionalmente viene considerato dalla ragione come un male da farsi o da evitare. E poiché l'oggetto della volontà è condizionato alla presentazione della ragione, per il fatto che una cosa viene presentata dalla ragione come cattiva, la volontà nel perseguirla diventa cattiva. Ora, questo non sì verifica soltanto nelle cose indifferenti, ma anche in quelle intrinsecamente buone o cattive. Infatti non soltanto la cosa indifferente può accidentalmente assumere natura di bene o di male; ma il bene stesso può assumere aspetto di male, e il male l'aspetto di bene, in forza dell'apprezzamento della ragione. Astenersi dalla fornicazione, p. es., è un bene: e tuttavia la volontà non può perseguirlo come tale, che in base alla presentazione della ragione. Se quindi venisse presentato dalla ragione erronea come un male, verrebbe perseguito sotto l'aspetto di male. Perciò la volontà sarebbe cattiva, poiché vorrebbe un male: non già un male che è tale per se stesso, ma per accidens, cioè in l'orza dell'apprezzamento della ragione. Così credere in Cristo è cosa essenzialmente buona e necessaria alla salvezza: ma la volontà non può tendere a questo che in base alla presentazione della ragione. E quindi, se la ragione lo presentasse come un male, la volontà non potrebbe volerlo che come un male: non perché sia un male per se stesso, ma perché è un male nella considerazione della ragione. Per questo il Filosofo insegna che, "assolutamente parlando, incontinente è colui che non segue la retta ragione: per accidens è incontinente anche colui che non segue la ragione falsa". Dunque bisogna concludere, assolutamente parlando, che ogni volere discorde dalla ragione, sia retta che erronea, è sempre peccaminoso.

[34384] Iª-IIae q. 19 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod iudicium rationis errantis licet non derivetur a Deo, tamen ratio errans iudicium suum proponit ut verum, et per consequens ut a Deo derivatum, a quo est omnis veritas.

 

[34384] Iª-IIae q. 19 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene il giudizio della ragione erronea non derivi da Dio, tuttavia questa presenta il suo giudizio come vero, e quindi come derivato da Dio, da cui dipende ogni verità.

[34385] Iª-IIae q. 19 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod verbum Augustini habet locum, quando cognoscitur quod inferior potestas praecipit aliquid contra praeceptum superioris potestatis. Sed si aliquis crederet quod praeceptum proconsulis esset praeceptum imperatoris, contemnendo praeceptum proconsulis, contemneret praeceptum imperatoris. Et similiter si aliquis homo cognosceret quod ratio humana dictaret aliquid contra praeceptum Dei, non teneretur rationem sequi, sed tunc ratio non totaliter esset errans. Sed quando ratio errans proponit aliquid ut praeceptum Dei, tunc idem est contemnere dictamen rationis, et Dei praeceptum.

 

[34385] Iª-IIae q. 19 a. 5 ad 2
2. Le parole di S. Agostino si applicano nel caso che uno conosca il comando dell'autorità subalterna come contrario al comando dell'autorità superiore. Se uno invece credesse che il comando del proconsole è il comando dell'imperatore, disprezzando il comando del proconsole, disprezzerebbe il comando dell'imperatore. Così se un uomo conoscesse che la ragione umana detta una cosa contraria alla legge di Dio, non sarebbe tenuto a seguirla: ma allora la ragione non potrebbe essere del tutto erronea. Quando invece la ragione propone una cosa come comandata da Dio, allora trasgredire il dettame della ragione e la legge di Dio è la stessa cosa.

[34386] Iª-IIae q. 19 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod ratio, quando apprehendit aliquid ut malum, semper apprehendit illud sub aliqua ratione mali, puta quia contrariatur divino praecepto, vel quia est scandalum, vel propter aliquid huiusmodi. Et tunc ad talem speciem malitiae reducitur talis mala voluntas.

 

[34386] Iª-IIae q. 19 a. 5 ad 3
3. Quando la ragione apprende una cosa come cattiva, la considera sempre sotto una particolare ragione di male: o come cosa contraria alla legge di Dio, o come scandalo, o sotto altri aspetti consimili. E allora codesta volizione peccaminosa si riporta a quella particolare specie di peccati.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Bontà e malizia dell'atto interno della volontà > Se il volere che concorda con la ragione erronea sia buono


Prima pars secundae partis
Quaestio 19
Articulus 6

[34387] Iª-IIae q. 19 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod voluntas concordans rationi erranti, sit bona. Sicut enim voluntas discordans a ratione tendit in id quod ratio iudicat malum; ita voluntas concordans rationi, tendit in id quod ratio iudicat bonum. Sed voluntas discordans a ratione, etiam errante, est mala. Ergo voluntas concordans rationi, etiam erranti, est bona.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 19
Articolo 6

[34387] Iª-IIae q. 19 a. 6 arg. 1
SEMBRA che il volere conforme alla ragione erronea sia buono. Infatti:
1. Come il volere discorde dalla ragione persegue una cosa che la ragione giudica cattiva, così la volontà concorde con la ragione persegue una cosa che la ragione giudica buona. Ora, il volere che discorda dalla ragione, anche erronea, è cattivo. Dunque il volere concorde con la ragione, anche se erronea, è buono.

[34388] Iª-IIae q. 19 a. 6 arg. 2
Praeterea, voluntas concordans praecepto Dei et legi aeternae, semper est bona. Sed lex aeterna et praeceptum Dei proponitur nobis per apprehensionem rationis, etiam errantis. Ergo voluntas concordans etiam rationi erranti, est bona.

 

[34388] Iª-IIae q. 19 a. 6 arg. 2
2. Il volere, che concorda con i comandamenti di Dio e con la legge eterna, è sempre buono. Ma la legge eterna e i comandamenti di Dio ci vengono proposti dalia ragione, anche se erronea. Dunque il volere che concorda con la ragione erronea è buono.

[34389] Iª-IIae q. 19 a. 6 arg. 3
Praeterea, voluntas discordans a ratione errante, est mala. Si ergo voluntas concordans rationi erranti sit etiam mala, videtur quod omnis voluntas habentis rationem errantem, sit mala. Et sic talis homo erit perplexus, et ex necessitate peccabit, quod est inconveniens. Ergo voluntas concordans rationi erranti, est bona.

 

[34389] Iª-IIae q. 19 a. 6 arg. 3
3. Il volere che discorda dalla ragione erronea è cattivo. Se, dunque, il volere che con quella concorda è anch'esso cattivo, sarà cattiva qualsiasi volizione di chi si trova ad avere una ragione erronea. E allora il volere di costui sarà perplesso, e dovrà peccare necessariamente: il che è inammissibile. Dunque il volere che segue la ragione erronea è buono.

[34390] Iª-IIae q. 19 a. 6 s. c.
Sed contra, voluntas occidentium apostolos erat mala. Sed tamen concordabat rationi erranti ipsorum, secundum illud Ioan. XVI, venit hora, ut omnis qui interficit vos, arbitretur obsequium se praestare Deo. Ergo voluntas concordans rationi erranti, potest esse mala.

 

[34390] Iª-IIae q. 19 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Il volere di coloro che uccidevano gli Apostoli era cattivo. E tuttavia concordava con la loro ragione erronea, poiché sta scritto: " Viene l'ora in cui chi vi ucciderà, penserà di rendere omaggio a Dio". Dunque il volere che concorda con la ragione erronea può essere cattivo.

[34391] Iª-IIae q. 19 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod, sicut praemissa quaestio eadem est cum quaestione qua quaeritur utrum conscientia erronea liget; ita ista quaestio eadem est cum illa qua quaeritur utrum conscientia erronea excuset. Haec autem quaestio dependet ab eo quod supra de ignorantia dictum est. Dictum est enim supra quod ignorantia quandoque causat involuntarium, quandoque autem non. Et quia bonum et malum morale consistit in actu inquantum est voluntarius, ut ex praemissis patet; manifestum est quod illa ignorantia quae causat involuntarium, tollit rationem boni et mali moralis; non autem illa quae involuntarium non causat. Dictum est etiam supra quod ignorantia quae est aliquo modo volita, sive directe sive indirecte, non causat involuntarium. Et dico ignorantiam directe voluntariam, in quam actus voluntatis fertur, indirecte autem, propter negligentiam, ex eo quod aliquis non vult illud scire quod scire tenetur, ut supra dictum est. Si igitur ratio vel conscientia erret errore voluntario, vel directe, vel propter negligentiam, quia est error circa id quod quis scire tenetur; tunc talis error rationis vel conscientiae non excusat quin voluntas concordans rationi vel conscientiae sic erranti, sit mala. Si autem sit error qui causet involuntarium, proveniens ex ignorantia alicuius circumstantiae absque omni negligentia; tunc talis error rationis vel conscientiae excusat, ut voluntas concordans rationi erranti non sit mala. Puta, si ratio errans dicat quod homo teneatur ad uxorem alterius accedere, voluntas concordans huic rationi erranti est mala, eo quod error iste provenit ex ignorantia legis Dei, quam scire tenetur. Si autem ratio erret in hoc, quod credat aliquam mulierem submissam, esse suam uxorem, et, ea petente debitum, velit eam cognoscere; excusatur voluntas eius, ut non sit mala, quia error iste ex ignorantia circumstantiae provenit, quae excusat, et involuntarium causat.

 

[34391] Iª-IIae q. 19 a. 6 co.
RISPONDO: Come il problema precedente si identifica col quesito, se obblighi la coscienza erronea, così il quesito attuale si identifica con quello in cui ci si domanda se la coscienza erronea scusi [dal peccato]. Ora, il problema attuale dipende da ciò che abbiamo detto a proposito dell'ignoranza. Infatti sopra abbiamo detto che l'ignoranza non sempre causa involontarietà. E poiché e il bene e il male morale si determinano nell'atto in quanto questo è volontario, come è evidente da quanto abbiamo detto, è chiaro che esclude la ragione di bene e di male morale l'ignoranza che causa l'involontarietà dell'atto; non già quella che non produce codesta involontarietà. E abbiamo anche detto che l'ignoranza, direttamente e indirettamente volontaria, non può causare involontarietà. E chiamo ignoranza direttamente volontaria quella che è perseguita da un atto di volontà; indirettamente volontaria quella dovuta a negligenza; e questo perché uno non vuol sapere quello che è tenuto a sapere, come abbiamo spiegato.
Se dunque la ragione o la coscienza è erronea, per un errore direttamente o indirettamente volontario, riguardando cose che uno è tenuto a sapere, tale errore non scusa dal peccato la volontà che segue la ragione o la coscienza erronea. Se invece si tratta di un errore che produce involontarietà, perché provocato, senza negligenza alcuna, dall'ignoranza di particolari circostanze, allora tale errore della ragione, o della coscienza, scusa la volontà dal peccato. Se la ragione erronea, p. es., affermasse che un uomo è tenuto ad accostarsi alla moglie di un altro, il volere che si uniformasse a codesta ragione sarebbe peccaminoso: poiché codesto errore proviene dall'ignoranza della legge di Dio, che siamo tenuti a conoscere. Se invece uno s'inganna, credendo che la donna furtivamente introdotta sia sua moglie, e alle richieste di lei volesse trattarla per tale, questa sua volizione sarebbe scusata dal peccato: poiché codesto errore proviene dall'ignoranza delle circostanze, la quale scusa, e causa involontarietà.

[34392] Iª-IIae q. 19 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut Dionysius dicit in IV cap. de Div. Nom., bonum causatur ex integra causa, malum autem ex singularibus defectibus. Et ideo ad hoc quod dicatur malum id in quod fertur voluntas, sufficit sive quod secundum suam naturam sit malum, sive quod apprehendatur ut malum. Sed ad hoc quod sit bonum, requiritur quod utroque modo sit bonum.

 

[34392] Iª-IIae q. 19 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come insegna Dionigi, "il bene è causato da una integrità di cause, il male invece anche da particolari difetti". Perciò, per rendere cattivo l'oggetto che ha di mira la volontà, basta che sia cattivo in se stesso, o che sia percepito come tale. Ma perché sia buono si richiede sia l'una che l'altra cosa.

[34393] Iª-IIae q. 19 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod lex aeterna errare non potest, sed ratio humana potest errare. Et ideo voluntas concordans rationi humanae non semper est recta, nec semper est concordans legis aeternae.

 

[34393] Iª-IIae q. 19 a. 6 ad 2
2. La legge eterna non può sbagliarsi mai, invece la ragione umana può sbagliare. Perciò il volere che concorda con la ragione umana non è sempre retto, e non sempre concorda con la legge eterna.

[34394] Iª-IIae q. 19 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut in syllogisticis, uno inconvenienti dato, necesse est alia sequi; ita in moralibus, uno inconvenienti posito, ex necessitate alia sequuntur. Sicut, supposito quod aliquis quaerat inanem gloriam, sive propter inanem gloriam faciat quod facere tenetur, sive dimittat, peccabit. Nec tamen est perplexus, quia potest intentionem malam dimittere. Et similiter, supposito errore rationis vel conscientiae qui procedit ex ignorantia non excusante, necesse est quod sequatur malum in voluntate. Nec tamen est homo perplexus, quia potest ab errore recedere, cum ignorantia sit vincibilis et voluntaria.

 

[34394] Iª-IIae q. 19 a. 6 ad 3
3. In logica, come in morale, posto un errore, necessariamente ne seguono altri. Posto, p. es., che uno cerchi la vanagloria, sia che faccia per vanagloria quello che deve fare, sia che non lo faccia, peccherà ugualmente. E tuttavia non è perplesso, poiché può deporre la cattiva intenzione. Così, posto l'errore della ragione o della coscienza, dovuto a un'ignoranza colpevole, segue necessariamente il peccato nella volizione. E tuttavia quella persona non è perplessa, avendo la possibilità di togliersi dall'errore, essendo la sua ignoranza vincibile e volontaria.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Bontà e malizia dell'atto interno della volontà > Se la bontà della volizione dei mezzi dipenda dall'intenzione del fine


Prima pars secundae partis
Quaestio 19
Articulus 7

[34395] Iª-IIae q. 19 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod bonitas voluntatis non dependeat ex intentione finis. Dictum est enim supra quod bonitas voluntatis dependet ex solo obiecto. Sed in his quae sunt ad finem, aliud est obiectum voluntatis, et aliud finis intentus. Ergo in talibus bonitas voluntatis non dependet ab intentione finis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 19
Articolo 7

[34395] Iª-IIae q. 19 a. 7 arg. 1
SEMBRA che la bontà della volizione non dipenda dall'intenzione
del fine. Infatti:
1. Abbiamo già detto che la bontà del volere dipende solo dall'oggetto. Ora, nella volizione dei mezzi l'oggetto della volontà è distinto dal fine che si persegue. Dunque in questi casi la bontà del volere non dipende dall'intenzione del fine.

[34396] Iª-IIae q. 19 a. 7 arg. 2
Praeterea, velle servare mandatum Dei, pertinet ad voluntatem bonam. Sed hoc potest referri ad malum finem, scilicet ad finem inanis gloriae, vel cupiditatis, dum aliquis vult obedire Deo propter temporalia consequenda. Ergo bonitas voluntatis non dependet ab intentione finis.

 

[34396] Iª-IIae q. 19 a. 7 arg. 2
2. Voler osservare i comandamenti di Dio è proprio di una volontà buona. Ma questo può essere indirizzato a un fine cattivo, cioè alla vanagloria, oppure alla cupidigia, quando uno vuole ubbidire a Dio per conseguire dei beni temporali. Dunque la bontà della volizione non dipende dall'intenzione del fine.

[34397] Iª-IIae q. 19 a. 7 arg. 3
Praeterea, bonum et malum, sicut diversificant voluntatem, ita diversificant finem. Sed malitia voluntatis non dependet a malitia finis intenti, qui enim vult furari ut det eleemosynam, voluntatem malam habet, licet intendat finem bonum. Ergo etiam bonitas voluntatis non dependet a bonitate finis intenti.

 

[34397] Iª-IIae q. 19 a. 7 arg. 3
3. Il bene e il male, come distinguono le volizioni, distinguono i fini. Ora, la malizia della volizione non dipende dalla cattiveria del fine che si persegue. Chi infatti vuoi rubare per fare elemosina, ha una volontà cattiva, anche se persegue un fine buono. Dunque la bontà della volizione non dipende dalla bontà del fine desiderato.

[34398] Iª-IIae q. 19 a. 7 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, IX Confess., quod intentio remuneratur a Deo. Sed ex eo aliquid remuneratur a Deo, quia est bonum. Ergo bonitas voluntatis ex intentione finis dependet.

 

[34398] Iª-IIae q. 19 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna che Dio premia l'intenzione. Ma una cosa è premiata da Dio perché è buona. Dunque la bontà del volere dipende dall'intenzione del fine.

[34399] Iª-IIae q. 19 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod intentio dupliciter se potest habere ad voluntatem, uno modo, ut praecedens; alio modo, ut concomitans. Praecedit quidem causaliter intentio voluntatem, quando aliquid volumus propter intentionem alicuius finis. Et tunc ordo ad finem consideratur ut ratio quaedam bonitatis ipsius voliti, puta cum aliquis vult ieiunare propter Deum, habet enim ieiunium rationem boni ex hoc ipso quod fit propter Deum. Unde, cum bonitas voluntatis dependeat a bonitate voliti, ut supra dictum est, necesse est quod dependeat ex intentione finis. Consequitur autem intentio voluntatem, quando accedit voluntati praeexistenti, puta si aliquis velit aliquid facere, et postea referat illud in Deum. Et tunc primae voluntatis bonitas non dependet ex intentione sequenti, nisi quatenus reiteratur actus voluntatis cum sequenti intentione.

 

[34399] Iª-IIae q. 19 a. 7 co.
RISPONDO: L'intenzione può avere verso la volizione due rapporti differenti: può essere precedente, oppure conseguente. L'intenzione precede la volizione come sua causa, quando vogliamo una cosa per l'intenzione di un fine. E allora l'ordine al fine viene considerato come un'intima ragione della bontà dell'oggetto [o atto esterno] voluto, quando, p. es., uno vuol digiunare in onore di Dio: infatti il digiuno ha ragione di bene dall'esser fatto in onore di Dio. Quindi, siccome la bontà della volizione dipende, come abbiamo detto, dalla bontà dell'oggetto voluto, necessariamente deve dipendere dall'intenzione del fine.
Invece l'intenzione è conseguente alla volizione, quando si accompagna a una volizione preesistente: quando uno, p. es., vuol fare una cosa, e pensa poi di riferirla a Dio. E allora la bontà della prima volizione non dipende dall'intenzione susseguente, a meno che non venga reiterato l'atto di volizione con la sopravvenuta intenzione.

[34400] Iª-IIae q. 19 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, quando intentio est causa volendi, ordo ad finem accipitur ut quaedam ratio bonitatis in obiecto, ut dictum est.

 

[34400] Iª-IIae q. 19 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando l'intenzione è causa della volizione, l'ordine al fine viene considerato, secondo le spiegazioni date, come un'intima ragion d'essere della bontà dell'oggetto.

[34401] Iª-IIae q. 19 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod voluntas non potest dici bona, si sit intentio mala causa volendi. Qui enim vult dare eleemosynam propter inanem gloriam consequendam, vult id quod de se est bonum, sub ratione mali, et ideo, prout est volitum ab ipso, est malum. Unde voluntas eius est mala. Sed si intentio sit consequens, tunc voluntas potuit esse bona, et per intentionem sequentem non depravatur ille actus voluntatis qui praecessit, sed actus voluntatis qui iteratur.

 

[34401] Iª-IIae q. 19 a. 7 ad 2
2. La volizione non può dirsi buona, se è cattiva l'intenzione che spinge a volere. Infatti chi vuoi dare l'elemosina, per conseguire la vanagloria, vuole una cosa che è buona in se stessa, sotto aspetto di male: perciò, in quanto da lui voluta, la cosa è cattiva. E quindi la sua volizione è cattiva. Ma se l'intenzione fosse stata posteriore, allora la volizione poteva esser buona: e dall'intenzione successiva non poteva essere depravato l'atto di volontà fatto in precedenza, bensì l'atto di volontà che fosse stato reiterato.

[34402] Iª-IIae q. 19 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut iam dictum est, malum contingit ex singularibus defectibus, bonum vero ex tota et integra causa. Unde sive voluntas sit eius quod est secundum se malum, etiam sub ratione boni; sive sit boni sub ratione mali; semper voluntas erit mala. Sed ad hoc quod sit voluntas bona, requiritur quod sit boni sub ratione boni; idest quod velit bonum, et propter bonum.

 

[34402] Iª-IIae q. 19 a. 7 ad 3
3. Abbiamo già detto che "il male è occasionato da singoli difetti, il bene invece dalla totalità e integrità delle cause". Perciò, sia che la volizione abbia per oggetto una cosa cattiva, anche sotto l'aspetto di bene, sia che abbia per oggetto il bene sotto l'aspetto di male, sarà sempre cattiva. Ma perché sia buona si richiede che abbia per oggetto il bene sotto l'aspetto di bene, e cioè che voglia il bene per il bene.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Bontà e malizia dell'atto interno della volontà > Se nella volizione la misura della bontà o della malizia sia pari al bene o al male esistente nell'intenzione


Prima pars secundae partis
Quaestio 19
Articulus 8

[34403] Iª-IIae q. 19 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod quantitas bonitatis in voluntate, dependeat ex quantitate bonitatis in intentione. Quia super illud Matth. XII, bonus homo de thesauro bono cordis sui profert bona, dicit Glossa, tantum boni quis facit, quantum intendit. Sed intentio non solum dat bonitatem actui exteriori, sed etiam voluntati, ut dictum est. Ergo tantum aliquis habet bonam voluntatem, quantum intendit.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 19
Articolo 8

[34403] Iª-IIae q. 19 a. 8 arg. 1
SEMBRA che nella volizione la misura della bontà sia pari al bene esistente nell'intenzione. Infatti:
1. Commentando quel passo, "L'uomo buono cava fuori cose buone dal buon tesoro del suo cuore", la Glossa aggiunge: "Tanto è il bene che uno compie, quanto è quello che egli intende". Ma l'intenzione comunica la bontà non soltanto all'atto esterno, ma anche alla volizione, come abbiamo visto. Dunque tanto è buono il volere di un uomo, quanto lo comporta la sua intenzione.

[34404] Iª-IIae q. 19 a. 8 arg. 2
Praeterea, augmentata causa, augmentatur effectus. Sed intentionis bonitas est causa bonae voluntatis. Ergo quantum quis intendit de bono, tantum voluntas est bona.

 

[34404] Iª-IIae q. 19 a. 8 arg. 2
2. Se cresce la causa, deve crescere l'effetto. Ora la bontà dell'intenzione è causa della buona volontà. Perciò più grande è l'intenzione nel bene, e più la volontà è buona.

[34405] Iª-IIae q. 19 a. 8 arg. 3
Praeterea, in malis quantum aliquis intendit, tantum peccat, si enim aliquis proiiciens lapidem, intenderet facere homicidium, reus esset homicidii. Ergo, pari ratione, in bonis tantum est bona voluntas, quantum aliquis bonum intendit.

 

[34405] Iª-IIae q. 19 a. 8 arg. 3
3. Nel male uno pecca tanto, quanto si estende la sua intenzione: chi infatti nel lanciare un sasso intendesse di fare un omicidio, sarebbe reo di omicidio. Dunque nel bene, per la stessa ragione, la volontà tanto è buona, quanto è esteso il bene che intende [di compiere].

[34406] Iª-IIae q. 19 a. 8 s. c.
Sed contra, potest esse intentio bona, et voluntas mala. Ergo, pari ratione, potest esse intentio magis bona, et voluntas minus bona.

 

[34406] Iª-IIae q. 19 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Può essere buona l'intenzione, e la volizione cattiva. Per lo stesso motivo, quindi, l'intenzione può essere più buona e la volizione meno buona.

[34407] Iª-IIae q. 19 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod circa actum et intentionem finis, duplex quantitas potest considerari, una ex parte obiecti, quia vult maius bonum, vel agit; alia ex intensione actus, quia intense vult vel agit, quod est maius ex parte agentis. Si igitur loquamur de quantitate utriusque quantum ad obiectum, manifestum est quod quantitas actus non sequitur quantitatem intentionis. Quod quidem ex parte actus exterioris, contingere potest dupliciter. Uno modo, quia obiectum quod ordinatur ad finem intentum, non est proportionatum fini illi, sicut si quis daret decem libras, non posset consequi suam intentionem, si intenderet emere rem valentem centum libras. Alio modo, propter impedimenta quae supervenire possunt circa exteriorem actum, quae non est in potestate nostra removere, puta, aliquis intendit ire usque Romam, et occurrunt ei impedimenta, quod non potest hoc facere. Sed ex parte interioris actus voluntatis, non est nisi uno modo, quia interiores actus voluntatis sunt in potestate nostra, non autem exteriores actus. Sed voluntas potest velle aliquod obiectum non proportionatum fini intento, et sic voluntas quae fertur in illud obiectum absolute consideratum, non est tantum bona, quantum est intentio. Sed quia etiam ipsa intentio quodammodo pertinet ad actum voluntatis, inquantum scilicet est ratio eius; propter hoc redundat quantitas bonae intentionis in voluntatem, inquantum scilicet voluntas vult aliquod bonum magnum ut finem, licet illud per quod vult consequi tantum bonum, non sit dignum illo bono. Si vero consideretur quantitas intentionis et actus secundum intensionem utriusque, sic intensio intentionis redundat in actum interiorem et exteriorem voluntatis, quia ipsa intentio quodammodo se habet formaliter ad utrumque, ut ex supra dictis patet. Licet materialiter, intentione existente intensa, possit esse actus interior vel exterior non ita intensus, materialiter loquendo, puta cum aliquis non ita intense vult medicinam sumere, sicut vult sanitatem. Tamen hoc ipsum quod est intense intendere sanitatem, redundat formaliter in hoc quod est intense velle medicinam. Sed tamen hoc est considerandum, quod intensio actus interioris vel exterioris potest referri ad intentionem ut obiectum, puta cum aliquis intendit intense velle, vel aliquid intense operari. Et tamen non propter hoc intense vult vel operatur, quia quantitatem boni intenti non sequitur bonitas actus interioris vel exterioris, ut dictum est. Et inde est quod non quantum aliquis intendit mereri, meretur, quia quantitas meriti consistit in intensione actus, ut infra dicetur.

 

[34407] Iª-IIae q. 19 a. 8 co.
RISPONDO: Negli atti [volontari interni ed esterni] e nell'intenzione del fine si possono considerare due tipi di grandezza: la prima, oggettiva, dipendente dal volere o dal compiere maggiore bene; la seconda [soggettiva], dovuta all'intensità dell'atto, e cioè dipendente dal volere o dall'agire con maggiore intensità. Se dunque parliamo della misura dell'intenzione e della volizione in rapporto all'oggetto, è chiaro che la portata dell'atto voluto è indipendente dalla portata dell'intenzione. E questo a proposito dell'atto esterno può verificarsi in due maniere. Primo, perché l'oggetto ordinato al fine inteso può darsi che non sia proporzionato a quel fine: se uno p. es., intendesse acquistare una cosa che vale cento libbre, non potrebbe soddisfare alla sua intenzione offrendone dieci. Secondo, per colpa degli ostacoli che può incontrare l'atto esterno, e che non sono elimina.bili da parte nostra: se uno, p. es., intendesse di andare fino a Roma, e nascessero tali ostacoli da non poterlo fare. -
Invece a proposito degli atti interni della volontà ciò può verificarsi in una sola maniera: poiché gli atti interni della volontà, a differenza delle azioni esterne, sono in nostro potere. Però la volontà può avere per oggetto una cosa che non è proporzionata al fine inteso: e allora la volizione, che persegue direttamente quel dato oggetto, non è buona quanto l'intenzione di esso. Ma poiché l'intenzione stessa fa parte in qualche modo dell'atto della volizione, come intima ragione di essa, la grandezza della buona intenzione ridonda sulla volizione, in quanto la volontà vuole un grande bene come fine, quantunque l'oggetto col quale vuole conseguirlo non sia ad esso proporzionato.
Se invece si considera la misura dell'intenzione e degli altri atti in rapporto alla loro intensità, allora l'intensità dell'intenzione ridonda sull'atto interno e su quello esterno della volontà: poiché l'intenzione è la ragione intima dell'una e dell'altra, come abbiamo spiegato nelle questioni precedenti. Può anche darsi che materialmente l'atto interno o quello esterno non siano molto intensi, pur essendo intensa l'intenzione: uno, p. es., può non volere la medicina così intensamente come vuole la guarigione. Tuttavia l'intensità con cui si tende alla guarigione ridonda formalmente sul volere intensamente la medicina.
Però si deve tener presente che l'intensità dell'atto interno o esterno può divenire oggetto dell'intenzione stessa: quando uno, p. es., formula l'intenzione di volere, o di compiere, una cosa con intensità. Ma questo non basta perché egli voglia ed operi con intensità: poiché la misura del bene esistente nell'intenzione non determina la bontà dell'atto interno, o di quello esterno, come abbiamo spiegato. E per questo che uno non merita quanto intende di meritare: poiché la grandezza del merito è costituita dall'intensità dei vari atti, come vedremo.

[34408] Iª-IIae q. 19 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Glossa illa loquitur quantum ad reputationem Dei, qui praecipue considerat intentionem finis. Unde alia Glossa dicit ibidem quod thesaurus cordis intentio est, ex qua Deus iudicat opera. Bonitas enim intentionis, ut dictum est, redundat quodammodo in bonitatem voluntatis, quae facit etiam exteriorem actum meritorium apud Deum.

 

[34408] Iª-IIae q. 19 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La Glossa indicata parla dell'apprezzamento di Dio, il quale considera l'intenzione del fine. Perciò un'altra Glossa spiega che "il tesoro del cuore è l'intenzione, in base alla quale Dio giudica le opere". Infatti la bontà dell'intenzione, come si è detto, in qualche modo ridonda sulla bontà del volere, che rende meritorio presso Dio anche l'atto esterno.

[34409] Iª-IIae q. 19 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod bonitas intentionis non est tota causa bonae voluntatis. Unde ratio non sequitur.

 

[34409] Iª-IIae q. 19 a. 8 ad 2
2. La bontà, dell'intenzione non è la causa unica della volizione buona. Perciò la ragione non vale.

[34410] Iª-IIae q. 19 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod sola malitia intentionis sufficit ad malitiam voluntatis, et ideo etiam quantum mala est intentio, tantum mala est voluntas. Sed non est eadem ratio de bonitate, ut dictum est.

 

[34410] Iª-IIae q. 19 a. 8 ad 3
3. La sola malizia dell'intenzione basta a rendere, cattiva la volizione: perciò quanto più cattiva è l'intenzione, tanto peggiore è la volontà. Ma per la bontà non è lo stesso.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Bontà e malizia dell'atto interno della volontà > Se la bontà del volere dipenda dalla conformità col volere di Dio


Prima pars secundae partis
Quaestio 19
Articulus 9

[34411] Iª-IIae q. 19 a. 9 arg. 1
Ad nonum sic proceditur. Videtur quod bonitas voluntatis humanae non dependeat ex conformitate voluntatis divinae. Impossibile est enim voluntatem hominis conformari voluntati divinae, ut patet per id quod dicitur Isaiae LV, sicut exaltantur caeli a terra, ita exaltatae sunt viae meae a viis vestris, et cogitationes meae a cogitationibus vestris. Si ergo ad bonitatem voluntatis requireretur conformitas ad divinam voluntatem, sequeretur quod impossibile esset hominis voluntatem esse bonam. Quod est inconveniens.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 19
Articolo 9

[34411] Iª-IIae q. 19 a. 9 arg. 1
SEMBRA che la bontà del volere umano non dipenda dalla conformità col volere di Dio. Intatti:
1. E impossibile che la volontà dell'uomo possa conformarsi al volere di Dio; come è evidente dalle parole riportate in Isaia: "Quanto il cielo è più alto della terra, altrettanto le mie vie sono più alte delle vostre, e i miei propositi al disopra dei vostri". Se dunque alla bontà del volere si richiedesse la conformità col volere di Dio, seguirebbe l'impossibilità per il volere umano di essere onesto. Il che è impossibile.

[34412] Iª-IIae q. 19 a. 9 arg. 2
Praeterea, sicut voluntas nostra derivatur a voluntate divina, ita scientia nostra derivatur a scientia divina. Sed non requiritur ad scientiam nostram quod sit conformis scientiae divinae, multa enim Deus scit quae nos ignoramus. Ergo non requiritur quod voluntas nostra sit conformis voluntati divinae.

 

[34412] Iª-IIae q. 19 a. 9 arg. 2
2. La volontà nostra dipende dalla volontà di Dio, come la nostra scienza dipende dalla scienza divina. Ma non è richiesta per la nostra scienza la conformità con la scienza di Dio: infatti Dio conosce molte cose che noi ignoriamo. Dunque non si richiede che la nostra volontà sia conforme al volere di Dio.

[34413] Iª-IIae q. 19 a. 9 arg. 3
Praeterea, voluntas est actionis principium. Sed actio nostra non potest conformari actioni divinae. Ergo nec voluntas voluntati.

 

[34413] Iª-IIae q. 19 a. 9 arg. 3
3. Il volere è il principio dell'agire. Ma il nostro agire non può essere conforme all'agire di Dio. Dunque neppure il nostro volere può conformarsi al volere di Dio.

[34414] Iª-IIae q. 19 a. 9 s. c.
Sed contra est quod dicitur Matth. XXVI, non sicut ego volo, sed sicut tu vis, quod dicit quia rectum vult esse hominem, et ad Deum dirigi, ut Augustinus exponit in Enchirid. Rectitudo autem voluntatis est bonitas eius. Ergo bonitas voluntatis dependet ex conformitate ad voluntatem divinam.

 

[34414] Iª-IIae q. 19 a. 9 s. c.
IN CONTRARIO: Commentando la frase, "Non come voglio io, ma come vuoi tu", S. Agostino scrive che il Signore vuole che " l'uomo sia retto, e indirizzato a Dio". Ora, la rettitudine costituisce la bontà del volere. Dunque la bontà del volere dipende dalla conformità col volere di Dio.

[34415] Iª-IIae q. 19 a. 9 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, bonitas voluntatis dependet ex intentione finis. Finis autem ultimus voluntatis humanae est summum bonum, quod est Deus, ut supra dictum est. Requiritur ergo ad bonitatem humanae voluntatis, quod ordinetur ad summum bonum, quod est Deus. Hoc autem bonum primo quidem et per se comparatur ad voluntatem divinam ut obiectum proprium eius. Illud autem quod est primum in quolibet genere, est mensura et ratio omnium quae sunt illius generis. Unumquodque autem rectum et bonum est, inquantum attingit ad propriam mensuram. Ergo ad hoc quod voluntas hominis sit bona, requiritur quod conformetur voluntati divinae.

 

[34415] Iª-IIae q. 19 a. 9 co.
RISPONDO: Come abbiamo detto, la bontà del volere dipende dall'intenzione del fine. Ora, secondo le spiegazioni date, l'ultimo fine della volontà umana è il sommo bene, cioè Dio. Dunque per la bontà del volere umano si richiede che esso venga indirizzato al sommo bene che è Dio. Ma codesto bene prima di tutto dice ordine essenziale alla volontà divina, come oggetto proprio di essa. D'altra parte ciò che è primo in un dato genere di cose costituisce la misura e la ragion d'essere di tutte le cose che rientrano in esso. Ora, ogni cosa è retta ed è buona in quanto raggiunge la propria misura. Dunque perché il volere umano sia buono, si richiede che sia conforme alla volontà di Dio.

[34416] Iª-IIae q. 19 a. 9 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod voluntas hominis non potest conformari voluntati divinae per aequiparantiam, sed per imitationem. Et similiter conformatur scientia hominis scientiae divinae, inquantum cognoscit verum. Et actio hominis actioni divinae, inquantum est agenti conveniens. Et hoc per imitationem, non autem per aequiparantiam.

 

[34416] Iª-IIae q. 19 a. 9 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La volontà umana può essere conforme alla volontà di Dio non per uguaglianza, ma per imitazione. Cosi pure si ha una conformità della scienza dell'uomo con la scienza divina, in quanto conoscenza della verità. E l'azione umana è conforme all'azione di Dio, in quanto s'addice alla natura dell'agente. Tutto questo per imitazione, non per uguaglianza.

[34417] Iª-IIae q. 19 a. 9 ad 2
Unde patet solutio ad secundum, et ad tertium argumentum.

 

[34417] Iª-IIae q. 19 a. 9 ad 2
Di qui la risposta alla seconda e alla terza difficoltà.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Bontà e malizia dell'atto interno della volontà > Se sia necessario che la volontà umana, per essere buona, si uniformi all'oggetto della volontà divina


Prima pars secundae partis
Quaestio 19
Articulus 10

[34418] Iª-IIae q. 19 a. 10 arg. 1
Ad decimum sic proceditur. Videtur quod voluntas hominis non debeat semper conformari divinae voluntati in volito. Non enim possumus velle quod ignoramus, bonum enim apprehensum est obiectum voluntatis. Sed quid Deus velit, ignoramus in plurimis. Ergo non potest humana voluntas divinae voluntati conformari in volito.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 19
Articolo 10

[34418] Iª-IIae q. 19 a. 10 arg. 1
SEMBRA che la volontà umana non debba sempre conformarsi alla volontà divina nel suo oggetto. Infatti:
1. Noi non possiamo volere quello che ignoriamo: poiché l'oggetto della volontà consiste nel bene conosciuto. Ma per lo più noi ignoriamo quello che Dio vuole. Dunque la volontà umana non può conformarsi all'oggetto della volontà divina.

[34419] Iª-IIae q. 19 a. 10 arg. 2
Praeterea, Deus vult damnare aliquem, quem praescit in mortali peccato moriturum. Si ergo homo teneretur conformare voluntatem suam divinae voluntati in volito, sequeretur quod homo teneretur velle suam damnationem. Quod est inconveniens.

 

[34419] Iª-IIae q. 19 a. 10 arg. 2
2. Dio vuole la dannazione di qualcuno, di cui egli prevede la morte in peccato mortale. Se dunque l'uomo fosse tenuto a conformare la sua volontà a ciò che Dio vuole, sarebbe tenuto a volere la propria dannazione. Il che è inammissibile.

[34420] Iª-IIae q. 19 a. 10 arg. 3
Praeterea, nullus tenetur velle aliquid quod est contra pietatem. Sed si homo vellet illud quod Deus vult, hoc esset quandoque contra pietatem, puta, cum Deus vult mori patrem alicuius, si filius hoc idem vellet, contra pietatem esset. Ergo non tenetur homo conformare voluntatem suam voluntati divinae in volito.

 

[34420] Iª-IIae q. 19 a. 10 arg. 3
3. Nessuno è tenuto a volere una cosa che è contro la pietà [filiale]. Ma se un uomo volesse quello che Dio vuole, qualche volta ciò sarebbe contro la pietà [filiale]: quando Dio, p. es., vuole la morte di un padre di famiglia, se il figlio volesse la stessa cosa, sarebbe contro la pietà filiale. Dunque l'uomo non è tenuto a conformare la propria volontà con quanto forma l'oggetto del volere di Dio.

[34421] Iª-IIae q. 19 a. 10 s. c. 1
Sed contra est quia super illud Psalmi XXXII, rectos decet collaudatio, dicit Glossa, rectum cor habet qui vult quod Deus vult. Sed quilibet tenetur habere rectum cor. Ergo quilibet tenetur velle quod Deus vult.

 

[34421] Iª-IIae q. 19 a. 10 s. c. 1
IN CONTRARIO: 1. Illustrando l'espressione del Salmo, "Ai retti si conviene la lode", la Glossa dice: "Ha il cuore rotto chi vuole quello che vuole Dio". Ora, chiunque è tenuto ad avere il cuore retto. Dunque chiunque è tenuto a volere quello che Dio vuole.

[34422] Iª-IIae q. 19 a. 10 s. c. 2
Praeterea, forma voluntatis est ex obiecto sicut et cuiuslibet actus. Si ergo tenetur homo conformare voluntatem suam voluntati divinae, sequitur quod teneatur conformare in volito.

 

[34422] Iª-IIae q. 19 a. 10 s. c. 2
2. La forma della volizione, come di qualsiasi atto, deriva dall'oggetto. Quindi, se l'uomo è tenuto a conformare la sua volontà a quella divina, ne segue che è tenuto a conformarla con l'oggetto di essa.

[34423] Iª-IIae q. 19 a. 10 s. c. 3
Praeterea, repugnantia voluntatum consistit in hoc, quod homines diversa volunt. Sed quicumque habet voluntatem repugnantem divinae voluntati, habet malam voluntatem. Ergo quicumque non conformat voluntatem suam voluntati divinae in volito, habet malam voluntatem.

 

[34423] Iª-IIae q. 19 a. 10 s. c. 3
3. Il contrasto delle volontà si ha nel fatto che gli uomini vogliono cose diverse. Ma chiunque ha una volontà contrastante con quella divina ha una volontà cattiva. Quindi chiunque non conforma la propria volontà alla volontà divina in quello che essa vuole, ha una volontà cattiva.

[34424] Iª-IIae q. 19 a. 10 co.
Respondeo dicendum quod, sicut ex praedictis patet, voluntas fertur in suum obiectum secundum quod a ratione proponitur. Contingit autem aliquid a ratione considerari diversimode, ita quod sub una ratione est bonum, et secundum aliam rationem non bonum. Et ideo voluntas alicuius, si velit illud esse, secundum quod habet rationem boni, est bona, et voluntas alterius, si velit illud idem non esse, secundum quod habet rationem mali, erit voluntas etiam bona. Sicut iudex habet bonam voluntatem, dum vult occisionem latronis, quia iusta est, voluntas autem alterius, puta uxoris vel filii, qui non vult occidi ipsum, inquantum est secundum naturam mala occisio, est etiam bona. Cum autem voluntas sequatur apprehensionem rationis vel intellectus, secundum quod ratio boni apprehensi fuerit communior, secundum hoc et voluntas fertur in bonum communius. Sicut patet in exemplo proposito, nam iudex habet curam boni communis, quod est iustitia, et ideo vult occisionem latronis, quae habet rationem boni secundum relationem ad statum communem; uxor autem latronis considerare habet bonum privatum familiae, et secundum hoc vult maritum latronem non occidi. Bonum autem totius universi est id quod est apprehensum a Deo, qui est universi factor et gubernator, unde quidquid vult, vult sub ratione boni communis, quod est sua bonitas, quae est bonum totius universi. Apprehensio autem creaturae, secundum suam naturam, est alicuius boni particularis proportionati suae naturae. Contingit autem aliquid esse bonum secundum rationem particularem, quod non est bonum secundum rationem universalem, aut e converso, ut dictum est. Et ideo contingit quod aliqua voluntas est bona volens aliquid secundum rationem particularem consideratum, quod tamen Deus non vult secundum rationem universalem, et e converso. Et inde est etiam quod possunt diversae voluntates diversorum hominum circa opposita esse bonae, prout sub diversis rationibus particularibus volunt hoc esse vel non esse. Non est autem recta voluntas alicuius hominis volentis aliquod bonum particulare, nisi referat illud in bonum commune sicut in finem, cum etiam naturalis appetitus cuiuslibet partis ordinetur in bonum commune totius. Ex fine autem sumitur quasi formalis ratio volendi illud quod ad finem ordinatur. Unde ad hoc quod aliquis recta voluntate velit aliquod particulare bonum, oportet quod illud particulare bonum sit volitum materialiter, bonum autem commune divinum sit volitum formaliter. Voluntas igitur humana tenetur conformari divinae voluntati in volito formaliter, tenetur enim velle bonum divinum et commune, sed non materialiter, ratione iam dicta. Sed tamen quantum ad utrumque, aliquo modo voluntas humana conformatur voluntati divinae. Quia secundum quod conformatur voluntati divinae in communi ratione voliti, conformatur ei in fine ultimo. Secundum autem quod non conformatur ei in volito materialiter, conformatur ei secundum rationem causae efficientis, quia hanc propriam inclinationem consequentem naturam, vel apprehensionem particularem huius rei, habet res a Deo sicut a causa effectiva. Unde consuevit dici quod conformatur, quantum ad hoc, voluntas hominis voluntati divinae, quia vult hoc quod Deus vult eum velle. Est et alius modus conformitatis secundum rationem causae formalis, ut scilicet homo velit aliquid ex caritate, sicut Deus vult. Et ista etiam conformitas reducitur ad conformitatem formalem quae attenditur ex ordine ad ultimum finem, quod est proprium obiectum caritatis.

 

[34424] Iª-IIae q. 19 a. 10 co.
RISPONDO: Come abbiamo già dimostrato, la volontà si muove verso il proprio oggetto, quale viene presentato dalla ragione. Ora, può capitare che una cosa venga considerata sotto vari aspetti dalla ragione, cosicché può essere buona sotto un aspetto, e non esserlo sotto un altro. Perciò se la, volontà di uno vuole l'attuazione di codesta cosa sotto l'aspetto di bene, la sua volizione è buona; e se la volontà di un altro vuole che non si attui per il suo aspetto di male, sarà buona ugualmente. Il giudice, p. es., quando vuole l'uccisione del brigante ha una volontà buona, perché giusta; però è buona anche la volontà di un'altra persona, mettiamo della moglie o del figlio, che non vuole quell'uccisione, perché l'uccisione è cattiva per natura.
Ma siccome la volizione dipende dall'apprezzamento della ragione, o intelletto, la volontà si muove verso un bene più universale e comune, a seconda che l'aspetto del bene percepito è più universale.
Ciò è evidente nell'esempio addotto: infatti il giudice ha cura del bene comune, cioè della giustizia, e per questo vuole l'uccisione del brigante, la quale ha un aspetto di bene in rapporto al comune benessere; invece la moglie del brigante prende a considerare il bene particolare della famiglia, e in base a questo vuole che il marito brigante non venga ucciso. - Ora, il bene considerato da Dio creatore e moderatore del mondo è il bene di tutto l'universo: perciò quanto Dio vuole, lo vuole sotto l'aspetto del bene comune, cioè della sua bontà, che è il bene di tutto l'universo. Invece la considerazione di una creatura di suo riguarda un bene particolare, proporzionato alla propria natura. Ora, può capitare, come si è detto, che una cosa sia buona secondo un aspetto particolare, e non lo sia secondo un aspetto universale, o viceversa. Perciò può capitare che una volontà sia buona nel volere, sotto un aspetto particolare, una cosa che Dio non vuole sotto un aspetto più universale, e viceversa. Di qui segue anche che possono esser buone più volontà umane divergenti, in quanto sotto aspetti diversi vogliono che una data cosa sia e non sia.
Ora, però, la volontà di chi vuole un bene particolare può essere retta, solo se subordina codesto bene al bene comune: e questo perché anche l'appetito naturale di ciascuna parte dice ordine al bene comune del tutto. E si sa che dal fine si desume la ragione formale di volere quanto al fine è ordinato. Quindi, perché uno possa volere con volontà retta un bene particolare, è necessario che codesto bene particolare sia l'oggetto materiale della sua volontà, e il bene divino e universale ne sia l'oggetto formale. Perciò la volontà umana è tenuta a conformarsi all'oggetto formale della volontà di Dio; infatti è tenuta a volere il bene divino e universale: invece non è tenuta per l'oggetto materiale. - In definitiva, però, la volontà umana si uniforma in qualche modo alla volontà di Dio nell'un caso e nell'altro. Infatti, in quanto si conforma all'oggetto formale e universale della volontà divina, si rende conforme al fine ultimo di essa. E, pur non conformandosi all'oggetto materiale di essa, si rende conforme alla volontà divina quale a sua causa efficiente: poiché le cose ricevono da Dio, come da causa efficiente, le singole inclinazioni suscitate dalla natura, o dalle attrattive particolari dell'oggetto. Perciò si usa dire che la volontà dell'uomo si uniforma in questo senso alla volontà di Dio, poiché vuole tutto quello che Dio vuole che voglia.
C'è poi un altro tipo di conformità, secondo la ragione di causa formale, che consiste nel fatto che l'uomo, mosso dalia carità, vuole quello che vuole Dio. Anche codesta conformità si riduce però alla conformità formale desunta dalla tendenza verso l'ultimo fine, oggetto proprio della carità.

[34425] Iª-IIae q. 19 a. 10 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod volitum divinum, secundum rationem communem, quale sit, scire possumus. Scimus enim quod Deus quidquid vult, vult sub ratione boni. Et ideo quicumque vult aliquid sub quacumque ratione boni, habet voluntatem conformem voluntati divinae, quantum ad rationem voliti. Sed in particulari nescimus quid Deus velit. Et quantum ad hoc, non tenemur conformare voluntatem nostram divinae voluntati. In statu tamen gloriae, omnes videbunt in singulis quae volent, ordinem eorum ad id quod Deus circa hoc vult. Et ideo non solum formaliter, sed materialiter in omnibus suam voluntatem Deo conformabunt.

 

[34425] Iª-IIae q. 19 a. 10 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Possiamo conoscere quale sia l'oggetto della volontà divina sotto un aspetto universale. Infatti sappiamo che quanto Dio vuole, lo vuole sotto l'aspetto di bene. Perciò chiunque vuole una cosa sotto un aspetto qualsiasi di bene, ha il volere conforme a quello di Dio, in rapporto all'oggetto. Ma nei casi particolari non sappiamo quello che Dio vuole. E in questo non siamo tenuti a conformare la nostra volontà a quella di Dio. - Tuttavia nello stato di gloria tutti vedranno il rapporto di ogni oggetto di volontà con ciò che Dio vuole a proposito di esso. Perciò conformeranno la loro volontà con quella di Dio, non solo formalmente, ma anche materialmente.

[34426] Iª-IIae q. 19 a. 10 ad 2
Ad secundum dicendum quod Deus non vult damnationem alicuius sub ratione damnationis, nec mortem alicuius inquantum est mors, quia ipse vult omnes homines salvos fieri, sed vult ista sub ratione iustitiae. Unde sufficit circa talia quod homo velit iustitiam Dei, et ordinem naturae servari.

 

[34426] Iª-IIae q. 19 a. 10 ad 2
2. Di nessuno Dio vuole la dannazione come dannazione, come di nessuno vuole la morte in quanto morte; poiché egli "vuole che tutti gli uomini si salvino": ma vuole queste cose sotto l'aspetto di giustizia. Perciò a questo proposito basta che l'uomo voglia il rispetto della giustizia di Dio e dell'ordine naturale.

[34427] Iª-IIae q. 19 a. 10 ad 3
Unde patet solutio ad tertium.

 

[34427] Iª-IIae q. 19 a. 10 ad 3
3. E perciò evidente la risposta, alla terza difficoltà.

[34428] Iª-IIae q. 19 a. 10 ad 4
Ad primum vero quod in contrarium obiiciebatur, dicendum quod magis vult quod Deus vult, qui conformat voluntatem suam voluntati divinae quantum ad rationem voliti, quam qui conformat quantum ad ipsam rem volitam, quia voluntas principalius fertur in finem, quam in id quod est ad finem.

 

[34428] Iª-IIae q. 19 a. 10 ad 4
Per gli argomenti in contrario diremo:
1. E'più aderente alla volontà di Dio chi conforma la propria volontà a quella divina quanto all'oggetto formale della volizione, di colui il quale la conforma in quello che Dio materialmente vuole [oggetto materiale]: poiché la volontà tende più al fine che ai mezzi.

[34429] Iª-IIae q. 19 a. 10 ad 5
Ad secundum dicendum quod species et forma actus magis attenditur secundum rationem obiecti, quam secundum id quod est materiale in obiecto.

 

[34429] Iª-IIae q. 19 a. 10 ad 5
2. La specie e la forma di un atto si desumono più dalla ragione [formale] dell'oggetto, che dall'oggetto materiale.

[34430] Iª-IIae q. 19 a. 10 ad 6
Ad tertium dicendum quod non est repugnantia voluntatum, quando aliqui diversa volunt non secundum eandem rationem. Sed si sub una ratione esset aliquid ab uno volitum, quod alius nollet, hoc induceret repugnantiam voluntatum. Quod tamen non est in proposito.

 

[34430] Iª-IIae q. 19 a. 10 ad 6
3. Non c'è contrasto di volontà quando più persone vogliono cose diverse sotto aspetti diversi. Invece ci sarebbe contrasto, se uno volesse quello che l'altro non vuole sotto il medesimo aspetto. Ma questo nel caso non interessa.

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