I-II, 11

Seconda parte > Gli atti umani in generale > La fruizione, quale atto della volontà


Prima pars secundae partis
Quaestio 11
Prooemium

[33945] Iª-IIae q. 11 pr.
Deinde considerandum est de fruitione. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum frui sit actus appetitivae potentiae.
Secundo, utrum soli rationali creaturae conveniat, an etiam animalibus brutis.
Tertio, utrum fruitio sit tantum ultimi finis.
Quarto, utrum sit solum finis habiti.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 11
Proemio

[33945] Iª-IIae q. 11 pr.
Ed eccoci a parlare della fruizione.
Sull'argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se la fruizione sia un atto della potenza appetitiva;
2. Se appartenga alla sola creatura razionale, o anche ai bruti;
3. Se non esista altra fruizione che quella dell'ultimo fine;
4. Se esista soltanto quella dell'ultimo fine raggiunto.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La fruizione, quale atto della volontà > Se la fruizione sia un atto delle potenze appetitive


Prima pars secundae partis
Quaestio 11
Articulus 1

[33946] Iª-IIae q. 11 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod frui non sit solum appetitivae potentiae. Frui enim nihil aliud esse videtur quam fructum capere. Sed fructum humanae vitae, qui est beatitudo, capit intellectus, in cuius actu beatitudo consistit, ut supra ostensum est. Ergo frui non est appetitivae potentiae, sed intellectus.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 11
Articolo 1

[33946] Iª-IIae q. 11 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la fruizione non sia un atto delle sole potenze appetitive. Infatti:
1. Fruire non è altro che cogliere il frutto. Ma il frutto della vita umana, che è la beatitudine, lo coglie l'intelletto, con l'operazione del quale la beatitudine si identifica. Dunque la fruizione non appartiene alle potenze appetitive ma all'intelletto.

[33947] Iª-IIae q. 11 a. 1 arg. 2
Praeterea, quaelibet potentia habet proprium finem, qui est eius perfectio, sicut visus finis est cognoscere visibile, auditus percipere sonos, et sic de aliis. Sed finis rei est fructus eius. Ergo frui est potentiae cuiuslibet, et non solum appetitivae.

 

[33947] Iª-IIae q. 11 a. 1 arg. 2
2. Qualsiasi potenza ha il proprio fine, che è la perfezione di essa; fine della vista, p. es., è conoscere le cose visibili, dell'udito percepire i suoni, e così via. Ora, il fine di una cosa è il frutto di essa. Quindi la fruizione appartiene a tutte le facoltà, e non soltanto a quelle appetitive.

[33948] Iª-IIae q. 11 a. 1 arg. 3
Praeterea, fruitio delectationem quandam importat. Sed delectatio sensibilis pertinet ad sensum, qui delectatur in suo obiecto, et eadem ratione, delectatio intellectualis ad intellectum. Ergo fruitio pertinet ad apprehensivam potentiam, et non ad appetitivam.

 

[33948] Iª-IIae q. 11 a. 1 arg. 3
3. La fruizione importa un certo godimento. Ora, il godimento sensibile spetta ai sensi, che godono del loro oggetto: e il godimento intellettivo, per lo stesso motivo, all'intelletto. Dunque la fruizione appartiene alle facoltà conoscitive e non a quelle appetitive.

[33949] Iª-IIae q. 11 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, I de Doctr. Christ., et in X de Trin., frui est amore inhaerere alicui rei propter seipsam. Sed amor pertinet ad appetitivam potentiam. Ergo et frui est actus appetitivae potentiae.

 

[33949] Iª-IIae q. 11 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Fruire è aderire mediante l'amore ad una cosa per se stessa". Ma l'amore appartiene alle potenze appetitive. Dunque la fruizione è un atto delle potenze appetitive.

[33950] Iª-IIae q. 11 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod fruitio et fructus ad idem pertinere videntur, et unum ex altero derivari. Quid autem a quo, nihil ad propositum refert; nisi quod hoc probabile videtur, quod id quod magis est manifestum, prius etiam fuerit nominatum. Sunt autem nobis primo manifesta quae sunt sensibilia magis. Unde a sensibilibus fructibus nomen fruitionis derivatum videtur. Fructus autem sensibilis est id quod ultimum ex arbore expectatur, et cum quadam suavitate percipitur. Unde fruitio pertinere videtur ad amorem vel delectationem quam aliquis habet de ultimo expectato, quod est finis. Finis autem et bonum est obiectum appetitivae potentiae. Unde manifestum est quod fruitio est actus appetitivae potentiae.

 

[33950] Iª-IIae q. 11 a. 1 co.
RISPONDO: Frutto e fruizione hanno lo stesso significato, e un termine deriva dall'altro. Per quanto ci riguarda, non interessa sapere quali dei due derivi dall'altro; ma è probabile che la cosa più nota sia stata anche la prima nella denominazione. E quindi sembra che il termine fruizione sia derivato dai frutti sensibili. - Ora, il frutto materiale è quello che per ultimo si aspetta dall'albero, e che viene raccolto con un certo godimento. Perciò la fruizione è implicita nell'amore o nel godimento che uno prova per il fine, che è l'ultima cosa attesa. Ma il fine, come il bene, è oggetto dell'appetito. E evidente quindi che la fruizione è un atto della potenza appetitiva.

[33951] Iª-IIae q. 11 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod nihil prohibet unum et idem, secundum diversas rationes, ad diversas potentias pertinere. Ipsa igitur visio Dei, inquantum est visio, est actus intellectus, inquantum autem est bonum et finis, est voluntatis obiectum. Et hoc modo est eius fruitio. Et sic hunc finem intellectus consequitur tanquam potentia agens, voluntas autem tanquam potentia movens ad finem, et fruens fine iam adepto.

 

[33951] Iª-IIae q. 11 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Niente impedisce che una identica cosa, sotto aspetti diversi, appartenga a potenze diverse. Quindi la stessa visione di Dio, in quanto visione è atto dell'intelletto; ma in quanto bene e fine è oggetto della volontà. E in tal senso questa ne ha la fruizione. Cosicché l'intelletto raggiunge codesto fine come facoltà esecutiva; la volontà invece lo raggiunge come facoltà che muove verso di esso, e che ne fruisce una volta raggiunto.

[33952] Iª-IIae q. 11 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod perfectio et finis cuiuslibet alterius potentiae, continetur sub obiecto appetitivae, sicut proprium sub communi, ut dictum est supra. Unde perfectio et finis cuiuslibet potentiae, inquantum est quoddam bonum, pertinet ad appetitivam. Propter quod appetitiva potentia movet alias ad suos fines; et ipsa consequitur finem, quando quaelibet aliarum pertingit ad finem.

 

[33952] Iª-IIae q. 11 a. 1 ad 2
2. Come abbiamo già spiegato, la perfezione e il fine di qualsiasi altra potenza rientra nell'oggetto di quella appetitiva, come il singolare nell'universale. Perciò la perfezione e il fine di ciascuna potenza, in quanto è un bene, spetta alla facoltà appetitiva. Ed è per questo che la facoltà appetitiva muove le altre potenze ai fini rispettivi, e raggiunge il proprio fine, quando ciascuna delle altre facoltà ha raggiunto il suo fine.

[33953] Iª-IIae q. 11 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod in delectatione duo sunt, scilicet perceptio convenientis, quae pertinet ad apprehensivam potentiam; et complacentia eius quod offertur ut conveniens. Et hoc pertinet ad appetitivam potentiam, in qua ratio delectationis completur.

 

[33953] Iª-IIae q. 11 a. 1 ad 3
3. Il godimento abbraccia due cose: la percezione dell'oggetto conveniente, la quale appartiene alla potenza conoscitiva; e la compiacenza in quanto viene presentato come conveniente. Quest'ultima appartiene alla facoltà appetitiva, in cui si riscontra pienamente il godimento.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La fruizione, quale atto della volontà > Se la fruizione appartenga soltanto alle creature ragionevoli, oppure anche ai bruti


Prima pars secundae partis
Quaestio 11
Articulus 2

[33954] Iª-IIae q. 11 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod frui solummodo sit hominum. Dicit enim Augustinus, in I de Doct. Christ., quod nos homines sumus qui fruimur et utimur. Non ergo alia animalia frui possunt.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 11
Articolo 2

[33954] Iª-IIae q. 11 a. 2 arg. 1
SEMBRA che fruire sia soltanto degli uomini. Infatti:
1. S. Agostino insegna che "siamo noi uomini a fruire e ad usare". Dunque gli altri animali non possono fruire.

[33955] Iª-IIae q. 11 a. 2 arg. 2
Praeterea, frui est ultimi finis. Sed ad ultimum finem non possunt pertingere bruta animalia. Ergo eorum non est frui.

 

[33955] Iª-IIae q. 11 a. 2 arg. 2
2. La fruizione ha per oggetto l'ultimo fine. Ma i bruti non possono raggiungere l'ultimo fine. Dunque essi non hanno la fruizione.

[33956] Iª-IIae q. 11 a. 2 arg. 3
Praeterea, sicut appetitus sensitivus est sub intellectivo, ita appetitus naturalis est sub sensitivo. Si igitur frui pertinet ad appetitum sensitivum, videtur quod pari ratione possit ad naturalem pertinere. Quod patet esse falsum, quia eius non est delectari. Ergo appetitus sensitivi non est frui. Et ita non convenit brutis animalibus.

 

[33956] Iª-IIae q. 11 a. 2 arg. 3
3. Come l'appetito sensitivo è al disotto di quello intellettivo, così l'appetito naturale è al disotto di quello sensitivo. Ora, se si attribuisce la fruizione all'appetito sensitivo, si dovrebbe attribuire per lo stesso motivo anche all'appetito naturale. Il che è falso: poiché non è capace di godimento Dunque la fruizione non appartiene all'appetito sensitivo. E quindi va esclusa nei bruti.

[33957] Iª-IIae q. 11 a. 2 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro octoginta trium quaest., frui quidem cibo et qualibet corporali voluptate, non absurde existimantur et bestiae.

 

[33957] Iª-IIae q. 11 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Non è una cosa assurda pensare che anche le bestie fruiscono del cibo e di ogni altro piacere del corpo".

[33958] Iª-IIae q. 11 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut ex praedictis habetur, frui non est actus potentiae pervenientis ad finem sicut exequentis, sed potentiae imperantis executionem, dictum est enim quod est appetitivae potentiae. In rebus autem cognitione carentibus invenitur quidem potentia pertingens ad finem per modum exequentis, sicut qua grave tendit deorsum et leve sursum. Sed potentia ad quam pertineat finis per modum imperantis, non invenitur in eis; sed in aliqua superiori natura, quae sic movet totam naturam per imperium, sicut in habentibus cognitionem appetitus movet alias potentias ad suos actus. Unde manifestum est quod in his quae cognitione carent, quamvis pertingant ad finem, non invenitur fruitio finis; sed solum in his quae cognitionem habent. Sed cognitio finis est duplex, perfecta, et imperfecta. Perfecta quidem, qua non solum cognoscitur id quod est finis et bonum, sed universalis ratio finis et boni, et talis cognitio est solius rationalis naturae. Imperfecta autem cognitio est qua cognoscitur particulariter finis et bonum, et talis cognitio est in brutis animalibus. Quorum etiam virtutes appetitivae non sunt imperantes libere; sed secundum naturalem instinctum ad ea quae apprehenduntur, moventur. Unde rationali naturae convenit fruitio secundum rationem perfectam, brutis autem animalibus secundum rationem imperfectam, aliis autem creaturis nullo modo.

 

[33958] Iª-IIae q. 11 a. 2 co.
RISPONDO: Abbiamo già visto che la fruizione non è un atto della potenza che raggiunge il fine come facoltà esecutiva, ma della potenza che comanda l'esecuzione: si è detto infatti che appartiene alla potenza appetitiva. Ora, negli esseri privi di conoscenza si trovano le facoltà che raggiungono il fine in via di esecuzione, p. es., la capacità, nei corpi gravi, di tendere al basso e quella, nei corpi leggeri, di tendere in alto. Però non si trova in essi la facoltà che ha il compito di raggiungere il fine in funzione di comando; ma questo si trova in un essere superiore, che muove col suo comando tutta la natura, come negli esseri dotati di conoscenza l'appetito muove le altre facoltà ai rispettivi atti. Perciò è evidente che gli esseri privi di cognizione, sebbene raggiungano il fine, mancano della fruizione del fine; la quale si trova soltanto in quelli che sono dotati di conoscenza.
Ma la conoscenza del fine è di due generi: perfetta e imperfetta. Con quella perfetta, che appartiene alla sola natura razionale, non si conosce solamente ciò che è line e ciò che è bene, ma la ragione universale di fine e di bene. Invece la conoscenza imperfetta si limita a conoscere il singolo fine e il singolo bene in particolare: e questa è propria dei bruti. E le stesse potenze appetitive di questi ultimi non comandano liberamente; ma si muovono verso gli oggetti percepiti secondo l'istinto naturale. Perciò la fruizione spetta perfettamente alla natura ragionevole; agli animali bruti in maniera imperfetta; alle altre creature in nessuna maniera.

[33959] Iª-IIae q. 11 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Augustinus loquitur de fruitione perfecta.

 

[33959] Iª-IIae q. 11 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino parla della fruizione perfetta.

[33960] Iª-IIae q. 11 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod non oportet quod fruitio sit ultimi finis simpliciter, sed eius quod habetur ab unoquoque pro ultimo fine.

 

[33960] Iª-IIae q. 11 a. 2 ad 2
2. La fruizione non ha per oggetto il vero ultimo fine; ma la cosa che ciascuno considera come ultimo fine.

[33961] Iª-IIae q. 11 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod appetitus sensitivus consequitur aliquam cognitionem, non autem appetitus naturalis, praecipue prout est in his quae cognitione carent.

 

[33961] Iª-IIae q. 11 a. 2 ad 3
3. L'appetito sensitivo è connesso a una. certa conoscenza: non così l'appetito naturale, specialmente come si trova negli esseri privi di cognizione.

[33962] Iª-IIae q. 11 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum, quod Augustinus ibi loquitur de fruitione imperfecta. Quod ex ipso modo loquendi apparet, dicit enim quod frui non adeo absurde existimantur et bestiae, scilicet sicut uti absurdissime dicerentur.

 

[33962] Iª-IIae q. 11 a. 2 ad 4
4. Qui S. Agostino parla della fruizione imperfetta. E ciò traspare dal modo stesso di esprimersi: infatti egli dice che "non è una cosa tanto assurda, pensare che anche le bestie fruiscono", come invece è del tutto assurdo attribuire loro l'uso.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La fruizione, quale atto della volontà > Se non esista altra fruizione che quella dell'ultimo fine


Prima pars secundae partis
Quaestio 11
Articulus 3

[33963] Iª-IIae q. 11 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod fruitio non sit tantum ultimi finis. Dicit enim apostolus, ad Philem., ita, frater, ego te fruar in domino. Sed manifestum est quod Paulus non posuerat ultimum suum finem in homine. Ergo frui non tantum est ultimi finis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 11
Articolo 3

[33963] Iª-IIae q. 11 a. 3 arg. 1
SEMBRA che non esista altra fruizione che quella dell'ultimo fine.
Infatti:
1. L'Apostolo scriveva a Filemone: " Sì, fratello, possa io fruire di te nel Signore". Ora, è evidente che Paolo non aveva riposto il suo ultimo fine in un uomo. Dunque non c'è la sola fruizione dell'ultimo fine.

[33964] Iª-IIae q. 11 a. 3 arg. 2
Praeterea, fructus est quo aliquis fruitur. Sed apostolus dicit, ad Galat. V, fructus spiritus est caritas, gaudium, pax, et cetera huiusmodi; quae non habent rationem ultimi finis. Non ergo fruitio est tantum ultimi finis.

 

[33964] Iª-IIae q. 11 a. 3 arg. 2
2. Il frutto è la cosa di cui uno fruisce. Ma l'Apostolo scrive: "Frutto dello Spirito è l'amore, la gioia, la pace", ed altre cose del genere; le quali non hanno la natura di ultimo fine. Dunque la fruizione non si restringe all'ultimo fine.

[33965] Iª-IIae q. 11 a. 3 arg. 3
Praeterea, actus voluntatis supra seipsos reflectuntur, volo enim me velle, et amo me amare. Sed frui est actus voluntatis, voluntas enim est per quam fruimur, ut Augustinus dicit X de Trin. Ergo aliquis fruitur sua fruitione. Sed fruitio non est ultimus finis hominis, sed solum bonum increatum, quod est Deus. Non ergo fruitio est solum ultimi finis.

 

[33965] Iª-IIae q. 11 a. 3 arg. 3
3. Gli atti della volontà possono riflettere su se stessi: infatti io voglio volere, amo di amare. Ora, fruire è un atto della volontà; poiché "la volontà è la facoltà mediante la quale noi abbiamo la fruizione", come scrive S. Agostino. Perciò uno può fruire della propria fruizione. D'altra parte non è la fruizione l'ultimo fine dell'uomo, ma soltanto il bene increato, cioè Dio. Dunque la fruizione non si limita all'ultimo fine.

[33966] Iª-IIae q. 11 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, X de Trin., non fruitur si quis id quod in facultatem voluntatis assumit, propter aliud appetit. Sed solum ultimus finis est qui non propter aliud appetitur. Ergo solius ultimi finis est fruitio.

 

[33966] Iª-IIae q. 11 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Non si ha fruizione, quando uno fa oggetto della sua facoltà volitiva una cosa, desiderandola in vista di un'altra". Ora, soltanto l'ultimo fine non viene desiderato in vista di altre cose. Dunque la fruizione è limitata all'ultimo fine.

[33967] Iª-IIae q. 11 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, ad rationem fructus duo pertinent, scilicet quod sit ultimum; et quod appetitum quietet quadam dulcedine vel delectatione. Ultimum autem est simpliciter, et secundum quid, simpliciter quidem, quod ad aliud non refertur; sed secundum quid, quod est aliquorum ultimum. Quod ergo est simpliciter ultimum, in quo aliquid delectatur sicut in ultimo fine, hoc proprie dicitur fructus, et eo proprie dicitur aliquis frui. Quod autem in seipso non est delectabile, sed tantum appetitur in ordine ad aliud, sicut potio amara ad sanitatem; nullo modo fructus dici potest. Quod autem in se habet quandam delectationem, ad quam quaedam praecedentia referuntur, potest quidem aliquo modo dici fructus, sed non proprie, et secundum completam rationem fructus, eo dicimur frui. Unde Augustinus, in X de Trin., dicit quod fruimur cognitis in quibus voluntas delectata conquiescit. Non autem quiescit simpliciter nisi in ultimo, quia quandiu aliquid expectatur, motus voluntatis remanet in suspenso, licet iam ad aliquid pervenerit. Sicut in motu locali, licet illud quod est medium in magnitudine, sit principium et finis; non tamen accipitur ut finis in actu, nisi quando in eo quiescitur.

 

[33967] Iª-IIae q. 11 a. 3 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, la nozione di frutto implica due elementi: che la cosa sia ultima, e che sazi l'appetito con una certa dolcezza o godimento. Ora, una cosa può essere ultima, o in modo assoluto, o in senso relativo: è ultimo in modo assoluto ciò che è tale senza riferimento ad altri; è ultimo in senso relativo ciò che è ultimo rispetto ad altri. Perciò, propriamente parlando, è frutto la sola cosa che in modo assoluto è ultima, e che viene goduta come ultimo fine: e a proposito di tale oggetto si può parlare in senso proprio di fruizione. - Le cose, al contrario, che sono gradevoli in se stesse, ma che sono desiderate in ordine ad altro, come una bevanda amara in ordine alla guarigione, in nessun modo possono chiamarsi frutti. - Invece trattandosi di cose che in sé offrono un certo godimento, verso il quale miravano degli atti precedenti, si può parlare in qualche modo di frutti; ma non di fruizione in senso proprio, e secondo la perfetta nozione di frutto. Infatti S. Agostino afferma, che "noi abbiamo la fruizione di quegli oggetti di conoscenza, nei quali la volontà compiaciuta si riposa". Assolutamente parlando, però, questa non riposa che all'ultimo: poiché il moto della volontà rimane in sospeso finche è in attesa, sebbene abbia già raggiunto qualche cosa. Così anche nel moto locale, sebbene uno dei punti intermedi possa essere principio e termine, tuttavia non si può considerare come termine effettivo, se non quando uno in esso riposa.

[33968] Iª-IIae q. 11 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut Augustinus dicit in I de Doctr. Christ., si dixisset te fruar, et non addidisset in domino, videretur finem dilectionis in eo posuisse. Sed quia illud addidit, in domino se posuisse finem, atque eo se frui significavit. Ut sic fratre se frui dixerit non tanquam termino, sed tanquam medio.

 

[33968] Iª-IIae q. 11 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come fa osservare S. Agostino, "se avesse detto "possa io fruire di tè", senza aggiungere "nel Signore ", poteva sembrare che egli avesse riposto in lui il fine del suo amore. Ma con quella aggiunta mostrava di aver posto il suo fine in Dio, e di voler fruire di lui". Cosicché l'Apostolo auspicava la fruizione del fratello, non come fine, ma come mezzo.

[33969] Iª-IIae q. 11 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod fructus aliter comparatur ad arborem producentem, et aliter ad hominem fruentem. Ad arborem quidem producentem comparatur ut effectus ad causam, ad fruentem autem, sicut ultimum expectatum et delectans. Dicuntur igitur ea quae enumerat ibi apostolus, fructus, quia sunt effectus quidam spiritus sancti in nobis, unde et fructus spiritus dicuntur, non autem ita quod eis fruamur tanquam ultimo fine. Vel aliter dicendum quod dicuntur fructus, secundum Ambrosium, quia propter se petenda sunt, non quidem ita quod ad beatitudinem non referantur; sed quia in seipsis habent unde nobis placere debeant.

 

[33969] Iª-IIae q. 11 a. 3 ad 2
2. Il rapporto del frutto con l'albero che lo produce è diverso da quello esistente tra il frutto e l'uomo che ne fruisce. Infatti il frutto sta all'albero che lo produce come un effetto alla sua causa: invece sta a chi ne fruisce come ultimo oggetto della sua attesa e causa del suo godimento. Perciò le cose enumerate dall'Apostolo sono chiamate frutti, poiché sono effetti determinati dello Spirito Santo in noi, e quindi vengono denominati "frutti dello Spirito": non già nel senso che di essi noi abbiamo la fruizione come dell'ultimo fine. - Oppure si potrebbe rispondere, seguendo S. Ambrogio, che sono denominati frutti, "perché sono da chiedersi per se stessi": non già perché non ordinabili alla beatitudine; ma perché in se stessi hanno qualche cosa per cui devono incontrare il nostro gradimento.

[33970] Iª-IIae q. 11 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut supra dictum est finis dicitur dupliciter, uno modo, ipsa res; alio modo, adeptio rei. Quae quidem non sunt duo fines, sed unus finis, in se consideratus, et alteri applicatus. Deus igitur est ultimus finis sicut res quae ultimo quaeritur, fruitio autem sicut adeptio huius ultimi finis. Sicut igitur non est alius finis Deus, et fruitio Dei; ita eadem ratio fruitionis est qua fruimur Deo, et qua fruimur divina fruitione. Et eadem ratio est de beatitudine creata, quae in fruitione consistit.

 

[33970] Iª-IIae q. 11 a. 3 ad 3
3. Come abbiamo spiegato nelle questioni precedenti, il fine può indicare due cose: o l'oggetto da raggiungere, o il conseguimento di esso. E non si tratta di due fini, ma di un identico fine considerato, o in se stesso, o nella sua applicazione a un soggetto. Ora, Dio è l'ultimo fine come ultimo oggetto desiderato: la fruizione invece è come il conseguimento di codesto ultimo fine. Perciò, come Dio non è un fine diverso dalla fruizione di Dio, così identico è il motivo della fruizione che abbiamo di Dio, e della fruizione che abbiamo della fruizione divina. Lo stesso vale per la beatitudine creata, che consiste nella fruizione.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La fruizione, quale atto della volontà > Se non esista che la fruizione del fine raggiunto


Prima pars secundae partis
Quaestio 11
Articulus 4

[33971] Iª-IIae q. 11 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod fruitio non sit nisi finis habiti. Dicit enim Augustinus, X de Trin., quod frui est cum gaudio uti, non adhuc spei, sed iam rei. Sed quandiu non habetur, non est gaudium rei, sed spei. Ergo fruitio non est nisi finis habiti.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 11
Articolo 4

[33971] Iª-IIae q. 11 a. 4 arg. 1
SEMBRA che esista soltanto la fruizione del fine raggiunto. Infatti:
1. Scrive S. Agostino che "fruire è usare di un bene con la gioia della realtà, e non con quella della speranza". Ora, finché un bene non si possiede non si ha la gioia della realtà, ma quella della speranza. Dunque la fruizione si limita al fine raggiunto.

[33972] Iª-IIae q. 11 a. 4 arg. 2
Praeterea, sicut dictum est, fruitio non est proprie nisi ultimi finis, quia solus ultimus finis quietat appetitum. Sed appetitus non quietatur nisi in fine iam habito. Ergo fruitio, proprie loquendo, non est nisi finis habiti.

 

[33972] Iª-IIae q. 11 a. 4 arg. 2
2. Propriamente parlando, come si è detto, la fruizione non ha per oggetto che l'ultimo fine, poiché esso soltanto acquieta l'appetito. Ma l'appetito non si acquieta che nel fine già raggiunto. Dunque, propriamente parlando, la fruizione non ha per oggetto che l'ultimo fine raggiunto.

[33973] Iª-IIae q. 11 a. 4 arg. 3
Praeterea, frui est capere fructum. Sed non capitur fructus, nisi quando iam finis habetur. Ergo fruitio non est nisi finis habiti.

 

[33973] Iª-IIae q. 11 a. 4 arg. 3
3. Fruire significa cogliere il frutto. Ora, non si coglie il frutto che quando si possiede il fine. Dunque la fruizione riguarda solo il fine già posseduto.

[33974] Iª-IIae q. 11 a. 4 s. c.
Sed contra, frui est amore inhaerere alicui rei propter seipsam, ut Augustinus dicit. Sed hoc potest fieri etiam de re non habita. Ergo frui potest esse etiam finis non habiti.

 

[33974] Iª-IIae q. 11 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Come spiega S. Agostino, "fruire è aderire a una cosa per se stessa con l'amore". Ma questo può avvenire a proposito di cose non possedute. Dunque la fruizione può avere per oggetto anche il fine non ancora raggiunto.

[33975] Iª-IIae q. 11 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod frui importat comparationem quandam voluntatis ad ultimum finem, secundum quod voluntas habet aliquid pro ultimo fine. Habetur autem finis dupliciter, uno modo, perfecte; et alio modo, imperfecte. Perfecte quidem, quando habetur non solum in intentione, sed etiam in re, imperfecte autem, quando habetur in intentione tantum. Est ergo perfecta fruitio finis iam habiti realiter. Sed imperfecta est etiam finis non habiti realiter, sed in intentione tantum.

 

[33975] Iª-IIae q. 11 a. 4 co.
RISPONDO: La fruizione implica un rapporto tra volontà e ultimo fine, in quanto la volontà stima una cosa come suo ultimo fine. Ora, il fine può presentarsi in due modi: allo stato perfetto; o nel suo stato imperfetto. E allo stato perfetto quando non si ha soltanto nell'intenzione, ma anche nella realtà: è nello stato imperfetto, quando si possiede soltanto nell'intenzione. Perciò la perfetta fruizione si ha in rapporto al fine già posseduto realmente. Invece quella imperfetta può anche riguardare il fine non ancora posseduto nella realtà, ma solo nell'intenzione.

[33976] Iª-IIae q. 11 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Augustinus loquitur de fruitione perfecta.

 

[33976] Iª-IIae q. 11 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino qui parla della fruizione perfetta.

[33977] Iª-IIae q. 11 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod quies voluntatis dupliciter impeditur, uno modo, ex parte obiecti, quia scilicet non est ultimus finis, sed ad aliud ordinatur; alio modo, ex parte appetentis finem qui nondum adipiscitur finem. Obiectum autem est quod dat speciem actui, sed ab agente dependet modus agendi, ut sit perfectus vel imperfectus, secundum conditionem agentis. Et ideo eius quod non est ultimus finis, fruitio est impropria, quasi deficiens a specie fruitionis. Finis autem ultimi non habiti, est fruitio propria quidem, sed imperfecta, propter imperfectum modum habendi ultimum finem.

 

[33977] Iª-IIae q. 11 a. 4 ad 2
2. L'acquietarsi della volontà può essere impedito in due maniere: primo, da parte dell'oggetto, per il fatto che non è l'ultimo fine, ma è ordinato ad altro; secondo, da parte del soggetto che desidera il fine, senza averlo ancora raggiunto. Ora, mentre dall'oggetto deriva la specificazione dell'atto; dall'agente dipendono solo le sue modalità, cioè il suo essere perfetto o imperfetto, secondo le condizioni del soggetto operante. Perciò la fruizione è impropria, quando non ha per oggetto l'ultimo fine, perché menomata nella nozione specifica di fruizione. Invece si ha una fruizione propria, anche se imperfetta per il modo di possederlo, quando ha per oggetto il fine ultimo non ancora raggiunto.

[33978] Iª-IIae q. 11 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod finem accipere vel habere dicitur aliquis, non solum secundum rem, sed etiam secundum intentionem, ut dictum est.

 

[33978] Iª-IIae q. 11 a. 4 ad 3
3. Si può dire che si coglie e si possiede il fine, non solo quando si raggiunge realmente, ma anche quando si possiede intenzionalmente, come abbiamo spiegato.

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