I-II, 107

Seconda parte > Gli atti umani in generale > La legge > Confronto tra la nuova e l'antica legge


Prima pars secundae partis
Quaestio 107
Prooemium

[38283] Iª-IIae q. 107 pr.
Deinde considerandum est de comparatione legis novae ad legem veterem. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum lex nova sit alia lex a lege veteri.
Secundo, utrum lex nova impleat veterem.
Tertio, utrum lex nova contineatur in veteri.
Quarto, quae sit gravior, utrum lex nova vel vetus.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 107
Proemio

[38283] Iª-IIae q. 107 pr.
Veniamo ora a considerare il confronto della nuova con l'antica legge.
Sull'argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se la nuova legge sia una legge distinta da quella antica;
2. Se la legge nuova completi l'antica;
3. Se la nuova legge sia contenuta nella legge antica;
4. Se sia più gravosa la legge nuova o quella antica.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La legge > Confronto tra la nuova e l'antica legge > Se la legge nuova sia distinta dalla legge antica


Prima pars secundae partis
Quaestio 107
Articulus 1

[38284] Iª-IIae q. 107 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod lex nova non sit alia a lege veteri. Utraque enim lex datur fidem Dei habentibus, quia sine fide impossibile est placere Deo, ut dicitur Heb. XI. Sed eadem fides est antiquorum et modernorum, ut dicitur in Glossa Matth. XXI. Ergo etiam est eadem lex.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 107
Articolo 1

[38284] Iª-IIae q. 107 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la nuova legge non sia distinta da quella antica. Infatti: 1. Sia l'una che l'altra è data per coloro che credono in Dio: poiché, a detta di S. Paolo, "senza la fede è impossibile piacere a Dio". Ora, la Glossa afferma che la fede degli antichi è identica a quella dei tempi nuovi. Dunque è identica anche la legge.

[38285] Iª-IIae q. 107 a. 1 arg. 2
Praeterea, Augustinus dicit, in libro contra Adamantum Manich. Discip., quod brevis differentia legis et Evangelii est timor et amor. Sed secundum haec duo nova lex et vetus diversificari non possunt, quia etiam in veteri lege proponuntur praecepta caritatis; Lev. XIX, diliges proximum tuum; et Deut. VI, diliges dominum Deum tuum. Similiter etiam diversificari non possunt per aliam differentiam quam Augustinus assignat, contra Faustum, quod vetus testamentum habuit promissa temporalia, novum testamentum habet promissa spiritualia et aeterna. Quia etiam in novo testamento promittuntur aliqua promissa temporalia; secundum illud Marc. X, accipiet centies tantum in tempore hoc, domos et fratres, et cetera. Et in veteri testamento sperabantur promissa spiritualia et aeterna; secundum illud ad Heb. XI, nunc autem meliorem patriam appetunt, idest caelestem, quod dicitur de antiquis patribus. Ergo videtur quod nova lex non sit alia a veteri.

 

[38285] Iª-IIae q. 107 a. 1 arg. 2
2. S. Agostino scrive, che "tra Legge e Vangelo è breve la distanza, quella cioè che passa tra il timore e l'amore". Ma le due leggi ricordate non possono distinguersi su questo punto; poiché anche nell'antica legge troviamo i precetti della carità: "Amerai il prossimo tuo", e "Amerai il Signore Dio tuo". - Così pure non possono distinguersi secondo l'altra differenza proposta da S. Agostino, cioè per il fatto "che l'antico Testamento presentava promesse temporali, mentre il nuovo presenta promesse spirituali ed eterne". Poiché anche nel nuovo Testamento si fanno delle promesse temporali, come in quel passo di S. Marco: "Riceverà il centuplo adesso, in questo tempo, in case, fratelli, ecc.". Mentre anche nell'antico Testamento si aveva la speranza di cose spirituali ed eterne, come si rileva dalle parole di S. Paolo: "Aspirano ad una patria migliore, cioè ad una patria celeste". E ciò vien detto degli antichi Patriarchi. Quindi sembra che la nuova legge non si distingua da quella antica.

[38286] Iª-IIae q. 107 a. 1 arg. 3
Praeterea, apostolus videtur distinguere utramque legem, ad Rom. III, veterem legem appellans legem factorum, legem vero novam appellans legem fidei. Sed lex vetus fuit etiam fidei; secundum illud Heb. XI, omnes testimonio fidei probati sunt, quod dicit de patribus veteris testamenti. Similiter etiam lex nova est lex factorum, dicitur enim Matth. V, benefacite his qui oderunt vos; et Luc. XXII, hoc facite in meam commemorationem. Ergo lex nova non est alia a lege veteri.

 

[38286] Iª-IIae q. 107 a. 1 arg. 3
3. Sembra che l'Apostolo voglia distinguere le due leggi col chiamare l'antica "legge delle opere", e la nuova "legge della fede". Ma l'antica legge fu anch'essa della fede, secondo l'espressione paolina che si riferisce agli antichi Padri: "Tutti costoro ebbero testimonianza per la fede". D'altra parte la nuova legge è una legge di opere; poiché si legge nel Vangelo: "Fate del bene a quelli che vi odiano"; "Fate questo in mio ricordo". Dunque la nuova legge non si distingue da quella antica.

[38287] Iª-IIae q. 107 a. 1 s. c.
Sed contra est quod apostolus dicit, ad Heb. VII, translato sacerdotio, necesse est ut legis translatio fiat. Sed aliud est sacerdotium novi et veteris testamenti, ut ibidem apostolus probat. Ergo est etiam alia lex.

 

[38287] Iª-IIae q. 107 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: L'Apostolo insegna: "Mutato il sacerdozio, di necessità avviene anche il mutamento della legge". Ma il sacerdozio del nuovo Testamento, come S. Paolo dimostra nel brano citato, è distinto da quello dell'antico Testamento. Dunque è distinta anche la legge.

[38288] Iª-IIae q. 107 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, omnis lex ordinat conversationem humanam in ordine ad aliquem finem. Ea autem quae ordinantur ad finem, secundum rationem finis dupliciter diversificari possunt. Uno modo, quia ordinantur ad diversos fines, et haec est diversitas speciei, maxime si sit finis proximus. Alio modo, secundum propinquitatem ad finem vel distantiam ab ipso. Sicut patet quod motus differunt specie secundum quod ordinantur ad diversos terminos, secundum vero quod una pars motus est propinquior termino quam alia, attenditur differentia in motu secundum perfectum et imperfectum. Sic ergo duae leges distingui possunt dupliciter. Uno modo, quasi omnino diversae, utpote ordinatae ad diversos fines, sicut lex civitatis quae esset ordinata ad hoc quod populus dominaretur, esset specie differens ab illa lege quae esset ad hoc ordinata quod optimates civitatis dominarentur. Alio modo duae leges distingui possunt secundum quod una propinquius ordinat ad finem, alia vero remotius. Puta in una et eadem civitate dicitur alia lex quae imponitur viris perfectis, qui statim possunt exequi ea quae pertinent ad bonum commune; et alia lex de disciplina puerorum, qui sunt instruendi qualiter postmodum opera virorum exequantur. Dicendum est ergo quod secundum primum modum, lex nova non est alia a lege veteri, quia utriusque est unus finis, scilicet ut homines subdantur Deo; est autem unus Deus et novi et veteris testamenti, secundum illud Rom. III, unus Deus est qui iustificat circumcisionem ex fide, et praeputium per fidem. Alio modo, lex nova est alia a veteri. Quia lex vetus est quasi paedagogus puerorum, ut apostolus dicit, ad Gal. III, lex autem nova est lex perfectionis, quia est lex caritatis, de qua apostolus dicit, ad Colos. III, quod est vinculum perfectionis.

 

[38288] Iª-IIae q. 107 a. 1 co.
RISPONDO: Come abbiamo già visto, qualsiasi legge ordina la vita umana a un determinato fine. Ora le cose che dicono ordine a un fine possono differenziarsi tra loro in rapporto al fine, per due motivi. Primo, perché sono ordinate a fini diversi: e allora si ha una differenza specifica, soprattutto se si tratta del fine immediato. Secondo, in base alla vicinanza o alla lontananza del fine. I vari moti, p. es., differiscono specificamente tra loro in quanto sono indirizzati verso termini differenti: invece per il fatto che una fase del moto è più vicina al termine di un'altra, determina una differenza nel moto stesso, come ciò che è imperfetto differisce dalla sua perfezione.
Perciò due leggi si possono distinguere tra loro in due maniere. Primo, come del tutto diverse, perché ordinate a fini diversi: la legge di uno stato, p. es., ordinato a regime popolare differisce specificamente da quella di uno stato a regime aristocratico. - Secondo, due leggi possono distinguersi tra loro per il fatto che l'una è ordinata al fine più immediatamente dell'altra. In un medesimo stato, p. es., la legge imposta alle persone mature, che sono già capaci di eseguire quanto è richiesto dal bene comune, è diversa dalla legge per l'educazione dei bambini, i quali devono essere formati ad eseguire in seguito le azioni dei grandi.
Dobbiamo quindi concludere che la nuova legge non differisce dalla legge antica nella prima maniera: essendo unico il fine di entrambe, cioè la sottomissione degli uomini a Dio; e d'altra parte unico è il Dio del nuovo e del vecchio Testamento, secondo l'espressione paolina: "Unico è il Dio che giustifica i circoncisi per la fede come i non circoncisi mediante la fede". - Ma la legge nuova è distinta dalla legge antica nell'altra maniera. Poiché l'antica legge è come il pedagogo dei bambini, secondo le parole dell'Apostolo: mentre la nuova legge è una legge di perfezione perché legge della carità, di cui l'Apostolo afferma che è "il vincolo della perfezione".

[38289] Iª-IIae q. 107 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod unitas fidei utriusque testamenti attestatur unitati finis, dictum est enim supra quod obiectum theologicarum virtutum, inter quas est fides, est finis ultimus. Sed tamen fides habuit alium statum in veteri et in nova lege, nam quod illi credebant futurum, nos credimus factum.

 

[38289] Iª-IIae q. 107 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'unità della fede dei due Testamenti dimostra l'unità del fine: infatti sopra abbiamo spiegato che oggetto delle virtù teologali, tra le quali c'è la fede, non è che il fine ultimo. Tuttavia la fede ebbe stati diversi nell'antica e nella nuova legge: poiché quanto allora si credeva come cosa futura, oggi si crede come cosa avvenuta.

[38290] Iª-IIae q. 107 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod omnes differentiae quae assignantur inter novam legem et veterem, accipiuntur secundum perfectum et imperfectum. Praecepta enim legis cuiuslibet dantur de actibus virtutum. Ad operanda autem virtutum opera aliter inclinantur imperfecti, qui nondum habent virtutis habitum; et aliter illi qui sunt per habitum virtutis perfecti. Illi enim qui nondum habent habitum virtutis, inclinantur ad agendum virtutis opera ex aliqua causa extrinseca, puta ex comminatione poenarum, vel ex promissione aliquarum extrinsecarum remunerationum, puta honoris vel divitiarum vel alicuius huiusmodi. Et ideo lex vetus, quae dabatur imperfectis, idest nondum consecutis gratiam spiritualem, dicebatur lex timoris, inquantum inducebat ad observantiam praeceptorum per comminationem quarundam poenarum. Et dicitur habere temporalia quaedam promissa. Illi autem qui habent virtutem, inclinantur ad virtutis opera agenda propter amorem virtutis, non propter aliquam poenam aut remunerationem extrinsecam. Et ideo lex nova, cuius principalitas consistit in ipsa spirituali gratia indita cordibus, dicitur lex amoris. Et dicitur habere promissa spiritualia et aeterna, quae sunt obiecta virtutis, praecipue caritatis. Et ita per se in ea inclinantur, non quasi in extranea, sed quasi in propria. Et propter hoc etiam lex vetus dicitur cohibere manum, non animum, quia qui timore poenae ab aliquo peccato abstinet, non simpliciter eius voluntas a peccato recedit, sicut recedit voluntas eius qui amore iustitiae abstinet a peccato. Et propter hoc lex nova, quae est lex amoris, dicitur animum cohibere. Fuerunt tamen aliqui in statu veteris testamenti habentes caritatem et gratiam spiritus sancti, qui principaliter expectabant promissiones spirituales et aeternas. Et secundum hoc pertinebant ad legem novam. Similiter etiam in novo testamento sunt aliqui carnales nondum pertingentes ad perfectionem novae legis, quos oportuit etiam in novo testamento induci ad virtutis opera per timorem poenarum, et per aliqua temporalia promissa. Lex autem vetus etsi praecepta caritatis daret, non tamen per eam dabatur spiritus sanctus, per quem diffunditur caritas in cordibus nostris, ut dicitur Rom. V.

 

[38290] Iª-IIae q. 107 a. 1 ad 2
2. Tutte le difterenze. che si è soliti stabilire tra l'antica e la nuova legge, sono concepite in base ai rapporti tra una cosa imperfetta e la sua perfezione. Infatti i precetti di qualsiasi legge riguardano sempre atti di virtù. Ma a compiere codesti atti non sono spinti allo stesso modo gli uomini imperfetti, che non hanno ancora l'abito della virtù, e quelli già perfetti per i loro abiti virtuosi. Poiché chi è privo dell'abito virtuoso è spinto ad agire virtuosamente da una causa estrinseca: cioè dalla minaccia del castigo, o dalla promessa di un premio, dagli onori, p. es., dalle ricchezze, o da altre cose del genere. Ecco perché l'antica legge, che fu data ad uomini imperfetti, cioè privi della grazia spirituale, è stata chiamata "legge del timore", poiché induceva all'osservanza dei precetti con la minaccia di determinati castighi. E si afferma che essa aveva delle promesse di beni temporali. - Invece gli uomini provvisti di virtù sono spinti all'esercizio delle azioni virtuose dall'amore delle virtù, e non dal castigo, o dal premio estrinseco ad esse. Ecco perché la nuova legge, la quale principalmente consiste nella grazia divina infusa nei cuori, viene chiamata "legge dell'amore". E si dice che ha promesse di beni spirituali ed eterni, che sono l'oggetto stesso della virtù, specialmente della carità. Perciò ad essi le persone virtuose sono portate per se stesse, non come verso cose estranee, ma come verso il proprio oggetto. - Per questo stesso motivo si dice che l'antica legge "tratteneva la mano e non l'animo": poiché quando uno si astiene dal peccato per paura del castigo, la sua volontà non desiste dalla colpa in senso assoluto, come la volontà di colui che se ne allontana per amore dell'onestà. Ed ecco perché si dice che la nuova legge, legge dell'amore, "trattiene l'animo".
Tuttavia nell'antico Testamento ci furono anime ripiene di carità e della grazia dello Spirito Santo, le quali guardavano principalmente alle promesse spirituali ed eterne. E sotto tale aspetto costoro appartenevano alla nuova legge. - Così nel nuovo Testamento ci sono degli uomini carnali che ancora non hanno raggiunto la perfezione della nuova legge, e che bisogna indurre alle azioni virtuose con la paura del castigo, o con la promessa di beni temporali. Però l'antica legge, anche se dava i precetti della carità, non era in grado di offrire la grazia dello Spirito Santo, in virtù del quale, come dice S. Paolo, "la carità di Dio si è riversata nei nostri cuori".

[38291] Iª-IIae q. 107 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut supra dictum est, lex nova dicitur lex fidei, inquantum eius principalitas consistit in ipsa gratia quae interius datur credentibus, unde dicitur gratia fidei. Habet autem secundario aliqua facta et moralia et sacramentalia, sed in his non consistit principalitas legis novae, sicut principalitas veteris legis in eis consistebat. Illi autem qui in veteri testamento Deo fuerunt accepti per fidem, secundum hoc ad novum testamentum pertinebant, non enim iustificabantur nisi per fidem Christi, qui est auctor novi testamenti. Unde et de Moyse dicit apostolus, ad Heb. XI, quod maiores divitias aestimabat thesauro Aegyptiorum, improperium Christi.

 

[38291] Iª-IIae q. 107 a. 1 ad 3
3. Come sopra abbiamo detto, la nuova legge viene denominata "legge della fede", in quanto il suo elemento principale consiste nella grazia interiore concessa ai credenti: tanto che è denominata anche "grazia della fede". Invece come elemento secondario troviamo in essa delle azioni sia morali che sacramentali: ma esse non costituiscono l'aspetto principale della nuova legge, come invece lo costituiscono per quella antica. Quelli però che nell'antico Testamento furono accetti a Dio per la fede, sotto questo aspetto appartenevano al nuovo Testamento: infatti essi non venivano giustificati che dalla fede in Cristo, artefice del nuovo Testamento. Ecco perché a proposito di Mosè così si esprime l'Apostolo: "Stimò maggior ricchezza dei tesori egiziani l'obbrobrio di Cristo".




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La legge > Confronto tra la nuova e l'antica legge > Se la nuova legge dia compimento a quella antica


Prima pars secundae partis
Quaestio 107
Articulus 2

[38292] Iª-IIae q. 107 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod lex nova legem veterem non impleat. Impletio enim contrariatur evacuationi. Sed lex nova evacuat, vel excludit observantias legis veteris, dicit enim apostolus, ad Gal. V, si circumcidimini, Christus nihil vobis proderit. Ergo lex nova non est impletiva veteris legis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 107
Articolo 2

[38292] Iª-IIae q. 107 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la nuova legge non dia compimento a quella antica. Infatti:
1. L'impletio è il contrario dell'evacuatio. Ora, la nuova legge evacua, ovvero abolisce le osservanze dell'antica. Infatti l'Apostolo scrive: "Se vi circoncidete, Cristo non vi giova a nulla". Dunque la nuova legge non dà compimento alla legge antica.

[38293] Iª-IIae q. 107 a. 2 arg. 2
Praeterea, contrarium non est impletivum sui contrarii. Sed dominus in lege nova proposuit quaedam praecepta contraria praeceptis veteris legis. Dicitur enim Matth. V, audistis quia dictum est antiquis, quicumque dimiserit uxorem suam, det ei libellum repudii. Ego autem dico vobis, quicumque dimiserit uxorem suam, facit eam moechari. Et idem consequenter patet in prohibitione iuramenti, et etiam in prohibitione talionis, et in odio inimicorum. Similiter etiam videtur dominus exclusisse praecepta veteris legis de discretione ciborum, Matth. XV, non quod intrat in os, coinquinat hominem. Ergo lex nova non est impletiva veteris.

 

[38293] Iª-IIae q. 107 a. 2 arg. 2
2. Il contrario di una cosa non può esserne il compimento. Ma il Signore nella nuova legge ha dato dei precetti contrari ai precetti della legge antica: "Voi avete udito che fu detto agli antichi: Chiunque rimanda la propria moglie, le dia il libello del ripudio. Io invece vi dico: Chiunque manda via la propria moglie la rende adultera". E così fece col proibire il giuramento, la legge del contrappasso, e l'odio dei nemici. Inoltre il Signore mostra di abrogare i precetti dell'antica legge sulla distinzione dei cibi: "Quello che entra dalla bocca non contamina l'uomo". Perciò la nuova legge non è il compimento dell'antica.

[38294] Iª-IIae q. 107 a. 2 arg. 3
Praeterea, quicumque contra legem agit, non implet legem. Sed Christus in aliquibus contra legem fecit. Tetigit enim leprosum, ut dicitur Matth. VIII, quod erat contra legem. Similiter etiam videtur sabbatum pluries violasse, unde de eo dicebant Iudaei, Ioan. IX, non est hic homo a Deo, qui sabbatum non custodit. Ergo Christus non implevit legem. Et ita lex nova data a Christo, non est veteris impletiva.

 

[38294] Iª-IIae q. 107 a. 2 arg. 3
3. Chi agisce contro una legge non le dà compimento. Ora, Cristo in certi casi ha agito contro la legge. Infatti egli toccò un lebbroso come narra S. Matteo: il che era proibito dalla legge. Così sembra che abbia violato più volte il sabato; tanto che gli ebrei dicevano: "Non può venire da Dio quest'uomo che non osserva il sabato". Dunque Cristo non ha adempiuto la legge. E quindi la nuova legge data da lui non è il compimento di quella antica.

[38295] Iª-IIae q. 107 a. 2 arg. 4
Praeterea, in veteri lege continebantur praecepta moralia, caeremonialia et iudicialia, ut supra dictum est. Sed dominus, Matth. V, ubi quantum ad aliqua legem implevit, nullam mentionem videtur facere de iudicialibus et caeremonialibus. Ergo videtur quod lex nova non sit totaliter veteris impletiva.

 

[38295] Iª-IIae q. 107 a. 2 arg. 4
4. La legge antica abbracciava precetti morali, cerimoniali e giudiziali, come sopra abbiamo visto. Ma il Signore nell'enunziare il compimento di certi precetti della legge, nel capitolo 5 di S. Matteo, non accenna affatto ai precetti giudiziali e cerimoniali. Quindi la legge nuova non sembra essere il compimento di tutta l'antica legge.

[38296] Iª-IIae q. 107 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dominus dicit, Matth. V, non veni solvere legem, sed adimplere. Et postea, subdit, iota unum, aut unus apex, non praeteribit a lege, donec omnia fiant.

 

[38296] Iª-IIae q. 107 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Il Signore afferma: "Non sono venuto per abolire la legge, ma per completarla". E aggiunge: "Non passerà dalla legge neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto".

[38297] Iª-IIae q. 107 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, lex nova comparatur ad veterem sicut perfectum ad imperfectum. Omne autem perfectum adimplet id quod imperfecto deest. Et secundum hoc lex nova adimplet veterem legem, inquantum supplet illud quod veteri legi deerat. In veteri autem lege duo possunt considerari, scilicet finis; et praecepta contenta in lege. Finis vero cuiuslibet legis est ut homines efficiantur iusti et virtuosi, ut supra dictum est. Unde et finis veteris legis erat iustificatio hominum. Quam quidem lex efficere non poterat, sed figurabat quibusdam caeremonialibus factis, et promittebat verbis. Et quantum ad hoc, lex nova implet veterem legem iustificando virtute passionis Christi. Et hoc est quod apostolus dicit, ad Rom. VIII, quod impossibile erat legi, Deus, filium suum mittens in similitudinem carnis peccati, damnavit peccatum in carne, ut iustificatio legis impleretur in nobis. Et quantum ad hoc, lex nova exhibet quod lex vetus promittebat; secundum illud II ad Cor. I, quotquot promissiones Dei sunt, in illo est, idest in Christo. Et iterum quantum ad hoc etiam complet quod vetus lex figurabat. Unde ad Colos. II dicitur de caeremonialibus quod erant umbra futurorum, corpus autem Christi, idest, veritas pertinet ad Christum. Unde lex nova dicitur lex veritatis, lex autem vetus umbrae vel figurae. Praecepta vero veteris legis adimplevit Christus et opere, et doctrina. Opere quidem, quia circumcidi voluit, et alia legalia observare, quae erant illo tempore observanda; secundum illud Gal. IV, factum sub lege. Sua autem doctrina adimplevit praecepta legis tripliciter. Primo quidem, verum intellectum legis exprimendo. Sicut patet in homicidio et adulterio, in quorum prohibitione Scribae et Pharisaei non intelligebant nisi exteriorem actum prohibitum, unde dominus legem adimplevit, ostendendo etiam interiores actus peccatorum cadere sub prohibitione. Secundo, adimplevit dominus praecepta legis, ordinando quomodo tutius observaretur quod lex vetus statuerat. Sicut lex vetus statuerat ut homo non peiuraret, et hoc tutius observatur si omnino a iuramento abstineat, nisi in casu necessitatis. Tertio, adimplevit dominus praecepta legis, superaddendo quaedam perfectionis consilia, ut patet Matth. XIX, ubi dominus dicenti se observasse praecepta veteris legis, dicit, unum tibi deest. Si vis perfectus esse, vade et vende omnia quae habes, et cetera.

 

[38297] Iª-IIae q. 107 a. 2 co.
RISPONDO: La nuova legge, come abbiamo detto, sta alla legge antica, come una cosa perfetta sta alla sua imperfezione. Ora, tutto ciò che è perfetto dà compimento a quanto manca nella cosa imperfetta. E dunque in tal senso la nuova legge compie la legge antica, colmandone le deficienze.
Ora, nell'antica legge si possono considerare due cose: il fine e i precetti della legge. Ebbene, come abbiamo già spiegato, il fine di ogni legge è rendere gli uomini giusti e virtuosi. Quindi il fine della legge antica era la giustificazione degli uomini, la quale ultima superava la capacità di essa, ma veniva soltanto prefigurata da certe sue cerimonie, e promessa dalle sue parole. E da questo lato la nuova legge dà compimento alla legge antica, giustificando in virtù della passione di Cristo. Così infatti si esprime l'Apostolo: "Quello che era impossibile alla legge, Dio, mandando suo Figlio in carne simile a quella del peccato, condannò il peccato nella carne, affinché la giustificazione della legge si adempisse in noi". - E da questo lato la legge nuova dà quello che l'antica aveva promesso, secondo le parole di S. Paolo: "Quante sono le promesse di Dio, si avverano in lui", cioè in Cristo. - Inoltre da questo lato essa dà compimento a quanto l'antica legge prefigurava. S. Paolo infatti afferma, a proposito dei precetti cerimoniali, che erano "ombra delle cose future, ma il corpo", cioè la verità, "è Cristo". Ecco perché la legge nuova si denomina "legge della verità"; mentre quella antica si dice "dell'ombra" o "delle figure".
Quanto poi ai precetti dell'antica legge Cristo ha dato loro compimento con l'opera e con la dottrina. Con l'opera, perché volle essere circonciso, ed osservare tutte le altre pratiche legali che erano allora in vigore, secondo l'espressione paolina: "Fatto sotto la legge". - Col suo insegnamento, poi, diede compimento alla legge in tre modi. Primo, spiegandone il vero significato. Ciò è evidente nel caso dell'omicidio e dell'adulterio, la cui proibizione gli Scribi e i Farisei riducevano al solo atto esterno: e quindi il Signore diede compimento alla legge, mostrando che anche gli atti interni ricadono sotto quella proibizione. - Secondo, indicando la maniera più sicura per osservare le norme date dall'antica legge. Quest'ultima, p. es., ordinava di non fare spergiuri: ma questo si osserva con maggior sicurezza, se ci si astiene del tutto dal giurare, eccetto casi di necessità. - Terzo, aggiungendovi certi consigli di perfezione; il che è evidente là dove il Signore, in risposta a chi gli diceva di aver osservato i precetti della legge antica, replicava: "Una sola cosa ti manca. Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto ciò che hai, ecc.".

[38298] Iª-IIae q. 107 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod lex nova non evacuat observantiam veteris legis nisi quantum ad caeremonialia, ut supra habitum est. Haec autem erant in figuram futuri. Unde ex hoc ipso quod caeremonialia praecepta sunt impleta, perfectis his quae figurabantur, non sunt ulterius observanda, quia si observarentur, adhuc significaretur aliquid ut futurum et non impletum. Sicut etiam promissio futuri doni locum iam non habet, promissione iam impleta per doni exhibitionem et per hunc modum, caeremoniae legis tolluntur cum implentur.

 

[38298] Iª-IIae q. 107 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La nuova legge abolisce l'osservanza della legge antica solo per i precetti cerimoniali, come sopra abbiamo dimostrato. Ma questi servirono soltanto a prefigurare le cose future. Quindi per il fatto stesso che i precetti cerimoniali hanno avuto compimento con l'attuazione di quanto prefiguravano, non sono più da osservarsi: poiché se venissero osservati, indicherebbero che qualche cosa deve avvenire e non è ancora compiuta. La promessa di un dono, p. es., non ha più ragion d'essere, una volta che la promessa è adempiuta con l'offerta del dono. Ecco perché le cerimonie figurali dell'antica legge sono abrogate dal loro compimento.

[38299] Iª-IIae q. 107 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut Augustinus dicit, contra Faustum, praecepta illa domini non sunt contraria praeceptis veteris legis quod enim dominus praecepit de uxore non dimittenda, non est contrarium ei quod lex praecepit. Neque enim ait lex, qui voluerit, dimittat uxorem; cui esset contrarium non dimittere. Sed utique nolebat dimitti uxorem a viro, qui hanc interposuit moram, ut in dissidium animus praeceps libelli conscriptione refractus absisteret. Unde dominus, ad hoc confirmandum ut non facile uxor dimittatur, solam causam fornicationis excepit. Et idem etiam dicendum est in prohibitione iuramenti, sicut dictum est. Et idem etiam patet in prohibitione talionis. Taxavit enim modum vindictae lex, ut non procederetur ad immoderatam vindictam, a qua dominus perfectius removit eum quem monuit omnino a vindicta abstinere. Circa odium vero inimicorum, removit falsum Pharisaeorum intellectum, nos monens ut persona odio non haberetur, sed culpa. Circa discretionem vero ciborum, quae caeremonialis erat, dominus non mandavit ut tunc non observaretur, sed ostendit quod nulli cibi secundum suam naturam erant immundi, sed solum secundum figuram, ut supra dictum est.

 

[38299] Iª-IIae q. 107 a. 2 ad 2
2. Come spiega S. Agostino, codesti precetti del Signore non sono contrari ai precetti dell'antica legge. "Infatti quando il Signore comanda di non rimandare la moglie, non è contrario a ciò che comanda la legge. Poiché la legge non dice: Chi vuole, rimandi la moglie; che sarebbe contro il comando di non rimandarla. Ché anzi non voleva certo si rimandasse la moglie chi imponeva un ritardo, perché l'animo infiammato dal dissidio avesse modo di calmarsi, riflettendo nello scrivere il libello del ripudio". "Ecco perché il Signore, a conferma di questa prescrizione di non rimandare facilmente la moglie, eccettuò il solo caso di fornicazione". - Lo stesso si dica per la proibizione del giuramento, come abbiamo già spiegato. Così pure per la proibizione del contrappasso. Infatti la legge impose delle norme alla vendetta, perché non ci si abbandonasse ad una vendetta esagerata: e il Signore distoglie perfettamente da codesto pericolo, esortando ad astenersi da qualsiasi vendetta. Rispetto all'odio verso i nemici egli corregge la falsa interpretazione dei Farisei, esortandoci a odiare non la persona, ma la sua colpa. - E a proposito dei cibi, trattandosi di leggi cerimoniali, il Signore non comandava che allora non si osservassero: ma voleva dimostrare che quei cibi non erano affatto immondi per la loro natura, bensì per quello che significavano, secondo le spiegazioni da noi date in precedenza.

[38300] Iª-IIae q. 107 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod tactus leprosi erat prohibitus in lege, quia ex hoc incurrebat homo quandam irregularitatis immunditiam, sicut et ex tactu mortui, ut supra dictum est. Sed dominus, qui erat mundator leprosi, immunditiam incurrere non poterat. Per ea autem quae fecit in sabbato, sabbatum non solvit secundum rei veritatem, sicut ipse magister in Evangelio ostendit, tum quia operabatur miracula virtute divina, quae semper operatur in rebus; tum quia salutis humanae opera faciebat, cum Pharisaei etiam saluti animalium in die sabbati providerent; tum quia etiam ratione necessitatis discipulos excusavit in sabbato spicas colligentes. Sed videbatur solvere secundum superstitiosum intellectum Pharisaeorum, qui credebant etiam a salubribus operibus esse in die sabbati abstinendum, quod erat contra intentionem legis.

 

[38300] Iª-IIae q. 107 a. 2 ad 3
3. Il contatto dei lebbrosi era proibito dalla legge, perché l'uomo contraeva in esso una specie di irregolarità, come nel contatto con un morto, secondo le spiegazioni date. Ma il Signore che era il guaritore dei lebbrosi non poteva contrarre la lebbra. - Inoltre non si può dire che realmente egli abbia violato il sabato con le opere da lui compiute in esso, come dimostra il Maestro medesimo nel Vangelo: sia perché compiva i miracoli con la potenza divina, la quale opera continuamente nel mondo; sia perché compiva opere necessarie alla salvezza degli uomini, mentre gli stessi Farisei in giorno di sabato provvedevano a salvare gli animali; sia anche per ragione di necessità, come quando ebbe a scusare gli apostoli, che raccoglievano le spighe in giorno di sabato. Ma sembrava che egli lo violasse secondo la superstiziosa interpretazione dei Farisei, i quali credevano che in giorno di sabato bisognava astenersi anche dalle opere richieste per la salute: il che era contrario alle intenzioni della legge.

[38301] Iª-IIae q. 107 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod caeremonialia praecepta legis non commemorantur Matth. V, quia eorum observantia totaliter excluditur per impletionem, ut dictum est. De iudicialibus vero praeceptis commemoravit praeceptum talionis, ut quod de hoc diceretur, de omnibus aliis esset intelligendum. In quo quidem praecepto docuit legis intentionem non esse ad hoc quod poena talionis quaereretur propter livorem vindictae, quem ipse excludit, monens quod homo debet esse paratus etiam maiores iniurias sufferre, sed solum propter amorem iustitiae. Quod adhuc in nova lege remanet.

 

[38301] Iª-IIae q. 107 a. 2 ad 4
4. I precetti cerimoniali non sono ricordati nel capitolo 5 di S. Matteo, perché la loro osservanza è del tutto abolita dal loro adempimento, come si è detto. - Invece tra i precetti giudiziali viene ricordata la legge del contrappasso: perché quanto si dice di essa si possa intendere di tutte le altre. Ora a proposito di codesto precetto egli insegna che non era intenzione della legge esigere la pena del taglione, per sfogare il livore della vendetta che egli proibisce, ma solo per amore della giustizia; ricordando che si deve essere disposti a soffrire ingiurie anche più gravi. E ciò rimane anche nella nuova legge.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La legge > Confronto tra la nuova e l'antica legge > Se la nuova legge sia contenuta nella legge antica


Prima pars secundae partis
Quaestio 107
Articulus 3

[38302] Iª-IIae q. 107 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod lex nova in lege veteri non contineatur. Lex enim nova praecipue in fide consistit, unde dicitur lex fidei, ut patet Rom. III. Sed multa credenda traduntur in nova lege quae in veteri non continentur. Ergo lex nova non continetur in veteri.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 107
Articolo 3

[38302] Iª-IIae q. 107 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la nuova legge non sia contenuta nella legge antica. Infatti:
1. La nuova legge consiste principalmente nella fede: tanto è vero che S. Paolo la chiama "legge della fede". Ma nella nuova legge vengono insegnati molti dogmi di fede che non sono contenuti in quella antica. Dunque la nuova legge non è contenuta in essa.

[38303] Iª-IIae q. 107 a. 3 arg. 2
Praeterea, quaedam Glossa dicit, Matth. V, super illud, qui solverit unum de mandatis istis minimis, quod mandata legis sunt minora, in Evangelio vero sunt mandata maiora. Maius autem non potest contineri in minori. Ergo lex nova non continetur in veteri.

 

[38303] Iª-IIae q. 107 a. 3 arg. 2
2. Un autore, nel commentare quel passo evangelico: "Chi violerà uno di questi minimi precetti", afferma che i precetti della legge sono minori, mentre quelli del Vangelo sono più grandi. Ora, una cosa più grande non può essere contenuta in una più piccola. Quindi la legge nuova non è contenuta in quella antica.

[38304] Iª-IIae q. 107 a. 3 arg. 3
Praeterea, quod continetur in altero, simul habetur habito illo. Si igitur lex nova contineretur in veteri, sequeretur quod, habita veteri lege, habeatur et nova. Superfluum igitur fuit, habita veteri lege, iterum dari novam. Non ergo nova lex continetur in veteri.

 

[38304] Iª-IIae q. 107 a. 3 arg. 3
3. Una cosa che è contenuta in un'altra è simultanea a quella che la contiene. Perciò, se la legge nuova fosse contenuta nell'antica, posta l'antica legge, ne seguirebbe la presenza anche della legge nuova. E quindi era inutile dare la nuova legge essendovi già quella antica. Dunque la legge nuova non è contenuta nell'antica.

[38305] Iª-IIae q. 107 a. 3 s. c.
Sed contra est quod, sicut dicitur Ezech. I, rota erat in rota, idest novum testamentum in veteri, ut Gregorius exponit.

 

[38305] Iª-IIae q. 107 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: In Ezechiele si legge, che "una ruota era dentro l'altra ruota"; e San Gregorio spiega: "Il nuovo Testamento era dentro quello vecchio".

[38306] Iª-IIae q. 107 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod aliquid continetur in alio dupliciter. Uno modo, in actu, sicut locatum in loco. Alio modo, virtute, sicut effectus in causa, vel complementum in incompleto, sicut genus continet species potestate, et sicut tota arbor continetur in semine. Et per hunc modum nova lex continetur in veteri, dictum est enim quod nova lex comparatur ad veterem sicut perfectum ad imperfectum. Unde Chrysostomus exponens illud quod habetur Marc. IV, ultro terra fructificat primum herbam, deinde spicam, deinde plenum frumentum in spica, sic dicit, primo herbam fructificat in lege naturae; postmodum spicas in lege Moysi; postea plenum frumentum, in Evangelio. Sic igitur est lex nova in veteri sicut fructus in spica.

 

[38306] Iª-IIae q. 107 a. 3 co.
RISPONDO: Una cosa può essere contenuta in un'altra in due maniere. Primo, in maniera attuale: cioè come un corpo in un luogo. Secondo, in maniera virtuale, come un effetto nella sua causa, o come il completamento in una cosa incompleta: cioè come il genere contiene virtualmente le specie, e come il seme contiene l'albero intero. E in questa seconda maniera la legge nuova è contenuta nell'antica: infatti abbiamo già visto che la legge nuova sta a quella antica, come una cosa perfetta alla sua imperfezione. Ecco perché il Crisostomo, nel commentare quel passo evangelico: "La terra produce da se stessa il frutto; prima l'erba, poi la spiga, poi il grano nella spiga", fa questa applicazione: "Prima produce l'erba con la legge naturale; poi le spighe, con la legge di Mosè; quindi il grano perfetto col Vangelo". Perciò la legge nuova è contenuta nell'antica legge come il frutto nella spiga.

[38307] Iª-IIae q. 107 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod omnia quae credenda traduntur in novo testamento explicite et aperte, traduntur credenda in veteri testamento, sed implicite sub figura. Et secundum hoc etiam quantum ad credenda lex nova continetur in veteri.

 

[38307] Iª-IIae q. 107 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tutti i dogmi che il nuovo Testamento propone a credere in modo chiaro ed esplicito sono insegnati anche dall'antico Testamento, però in maniera implicita e figurale. Perciò anche da questo lato dei dogmi la legge nuova è contenuta nell'antica.

[38308] Iª-IIae q. 107 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod praecepta novae legis dicuntur esse maiora quam praecepta veteris legis, quantum ad explicitam manifestationem. Sed quantum ad ipsam substantiam praeceptorum novi testamenti, omnia continentur in veteri testamento. Unde Augustinus dicit, contra Faustum, quod pene omnia quae monuit vel praecepit dominus, ubi adiungebat, ego autem dico vobis, inveniuntur etiam in illis veteribus libris. Sed quia non intelligebant homicidium nisi peremptionem corporis humani, aperuit dominus omnem iniquum motum ad nocendum fratri, in homicidii genere deputari. Et quantum ad huiusmodi manifestationes, praecepta novae legis dicuntur maiora praeceptis veteris legis. Nihil tamen prohibet maius in minori virtute contineri, sicut arbor continetur in semine.

 

[38308] Iª-IIae q. 107 a. 3 ad 2
2. I precetti della legge nuova sono maggiori di quelli contenuti nell'antica per una più esplicita chiarezza. Ma quanto alla sostanza sono già tutti contenuti nel vecchio Testamento. Infatti S. Agostino nota, che "quasi tutti gli ammonimenti e i precetti dati dal Signore là dove ripete: "Io invece vi dico", si trovano anche in quegli antichi libri. Ma poiché per omicidio ci si limitava a intendere l'uccisione del corpo umano, il Signore spiegò che ogni moto cattivo, il quale tende a danneggiare un fratello, rientra nel genere dell'omicidio". Ebbene, i precetti della legge nuova si dicono maggiori dei precetti dell'antica legge per codeste chiariflcazioni. Tuttavia niente impedisce che una cosa più grande sia contenuta virtualmente in una più piccola: come l'albero, p. es., è contenuto nel seme.

[38309] Iª-IIae q. 107 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod illud quod implicite datum est, oportet explicari. Et ideo post veterem legem latam, oportuit etiam novam legem dari.

 

[38309] Iª-IIae q. 107 a. 3 ad 3
3. Ciò che è implicito ha bisogno di essere dichiarato. Ecco perché dopo la legge antica era necessaria la promulgazione della nuova legge.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La legge > Confronto tra la nuova e l'antica legge > Se la nuova legge sia più gravosa di quella antica


Prima pars secundae partis
Quaestio 107
Articulus 4

[38310] Iª-IIae q. 107 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod lex nova sit gravior quam lex vetus. Matth. enim V, super illud, qui solverit unum de mandatis his minimis, dicit Chrysostomus, mandata Moysi in actu facilia sunt, non occides, non adulterabis. Mandata autem Christi, idest, non irascaris, non concupiscas, in actu difficilia sunt. Ergo lex nova est gravior quam vetus.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 107
Articolo 4

[38310] Iª-IIae q. 107 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la nuova legge sia più gravosa di quella antica. Infatti:
1. Il Crisostomo così commenta quel passo di S. Matteo: "Chi violerà uno di questi minimi precetti": "I precetti di Mosè, "Non uccidere", "Non commettere adulterio", nella pratica sono facili. Mentre i precetti di Cristo, "Non ti adirare", "Non desiderare", in pratica sono difficili". Dunque la legge nuova è più gravosa dell'antica.

[38311] Iª-IIae q. 107 a. 4 arg. 2
Praeterea, facilius est terrena prosperitate uti quam tribulationes perpeti. Sed in veteri testamento observationem veteris legis consequebatur prosperitas temporalis, ut patet Deut. XXVIII. Observatores autem novae legis consequitur multiplex adversitas, prout dicitur II ad Cor. VI, exhibeamus nosmetipsos sicut Dei ministros in multa patientia, in tribulationibus, in necessitatibus, in angustiis, et cetera. Ergo lex nova est gravior quam lex vetus.

 

[38311] Iª-IIae q. 107 a. 4 arg. 2
2. È più facile godere la prosperità, che sopportare le tribolazioni. Ora, nell'antico Testamento l'osservanza della legge era accompagnata dalla prosperità terrena, come appare dal Deuteronomio. Invece quelli che osservano la nuova legge sono perseguitati da molteplici avversità, come appare dall'esortazione di S. Paolo: "Mostriamoci quali ministri di Dio pronti alla costanza, in mezzo alle afflizioni, alle necessità, alle angustie, ecc.". Quindi la legge nuova è più gravosa dell'antica.

[38312] Iª-IIae q. 107 a. 4 arg. 3
Praeterea, quod se habet ex additione ad alterum, videtur esse difficilius. Sed lex nova se habet ex additione ad veterem. Nam lex vetus prohibuit periurium, lex nova etiam iuramentum, lex vetus prohibuit discidium uxoris sine libello repudii, lex autem nova omnino discidium prohibuit, ut patet Matth. V, secundum expositionem Augustini. Ergo lex nova est gravior quam vetus.

 

[38312] Iª-IIae q. 107 a. 4 arg. 3
3. Ciò che perfeziona e completa una norma è più difficile di essa. Ora, la nuova legge completa così quella antica. Infatti l'antica legge proibiva lo spergiuro, la legge nuova proibisce anche il giuramento; l'antica legge proibiva il divorzio, fatto senza il libello del ripudio, la legge nuova lo proibisce del tutto; come appare dal testo di S. Matteo, secondo le spiegazioni di S. Agostino. Dunque la legge nuova è più gravosa dell'antica.

[38313] Iª-IIae q. 107 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Matth. XI, venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis. Quod exponens Hilarius dicit, legis difficultatibus laborantes, et peccatis saeculi oneratos, ad se advocat. Et postmodum de iugo Evangelii subdit, iugum enim meum suave est, et onus meum leve. Ergo lex nova est levior quam vetus.

 

[38313] Iª-IIae q. 107 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Nel Vangelo si legge: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi". E S. Ilario spiega: "Egli chiama a sé coloro che sono affaticati per la difficoltà della legge, e oppressi dai peccati del mondo". E applica al giogo della legge evangelica le parole che seguono: "Il mio giogo è dolce, e il mio peso è leggero". Perciò la nuova legge è più leggera dell'antica.

[38314] Iª-IIae q. 107 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod circa opera virtutis, de quibus praecepta legis dantur, duplex difficultas attendi potest. Una quidem ex parte exteriorum operum, quae ex seipsis quandam difficultatem habent et gravitatem. Et quantum ad hoc, lex vetus est multo gravior quam nova, quia ad plures actus exteriores obligabat lex vetus in multiplicibus caeremoniis, quam lex nova, quae praeter praecepta legis naturae, paucissima superaddidit in doctrina Christi et apostolorum; licet aliqua sint postmodum superaddita ex institutione sanctorum patrum. In quibus etiam Augustinus dicit esse moderationem attendendam, ne conversatio fidelium onerosa reddatur. Dicit enim, ad inquisitiones Ianuarii, de quibusdam, quod ipsam religionem nostram, quam in manifestissimis et paucissimis celebrationum sacramentis Dei misericordia voluit esse liberam, servilibus premunt oneribus, adeo ut tolerabilior sit conditio Iudaeorum, qui legalibus sacramentis, non humanis praesumptionibus subiiciuntur. Alia autem difficultas est circa opera virtutum in interioribus actibus, puta quod aliquis opus virtutis exerceat prompte et delectabiliter. Et circa hoc difficile est virtus, hoc enim non habenti virtutem est valde difficile; sed per virtutem redditur facile. Et quantum ad hoc, praecepta novae legis sunt graviora praeceptis veteris legis, quia in nova lege prohibentur interiores motus animi, qui expresse in veteri lege non prohibebantur in omnibus, etsi in aliquibus prohiberentur; in quibus tamen prohibendis poena non apponebatur. Hoc autem est difficillimum non habenti virtutem, sicut etiam philosophus dicit, in V Ethic., quod operari ea quae iustus operatur, facile est; sed operari ea eo modo quo iustus operatur, scilicet delectabiliter et prompte, est difficile non habenti iustitiam. Et sic etiam dicitur I Ioan. V, quod mandata eius gravia non sunt, quod exponens Augustinus dicit quod non sunt gravia amanti, sed non amanti sunt gravia.

 

[38314] Iª-IIae q. 107 a. 4 co.
RISPONDO: Nelle azioni virtuose, oggetto delle norme di legge, si possono considerare due tipi di difficoltà. Il primo deriva dalle opere esterne, che in se stesse presentano una certa difficoltà e gravezza. E quanto a questo la legge antica è molto più gravosa della nuova: poiché l'antica legge obbligava a un maggior numero di atti esterni per la complessità delle cerimonie, a differenza della legge nuova, la quale, nell'insegnamento di Cristo e degli Apostoli, aggiunge ben poche cose ai precetti della legge naturale; sebbene in seguito siano state aggiunte alcune prescrizioni per iniziativa dei Santi Padri. Ma in queste ultime norme S. Agostino stesso dice che si deve usare moderazione, affinché la vita dei fedeli non risulti gravosa. Infatti egli critica certuni, i quali "aggravano di pesi servili anche la nostra religione, che la misericordia di Dio ha voluto rendere libera nella pratica di pochi ed evidentissimi sacramenti, così da rendere più tollerabile la condizione dei Giudei, i quali nell'osservanza dei sacramenti legali non sono soggetti a presuntuose invenzioni umane".
Il secondo tipo di difficoltà deriva nelle opere virtuose dalle disposizioni interiori: è difficile, p. es., compiere un atto di virtù prontamente e con piacere. È questa la difficoltà delle virtù: infatti per chi non ha la virtù ciò è molto difficile; mentre la virtù lo rende facile. E quanto a questo i precetti della nuova legge sono più gravosi dei precetti della legge antica: poiché nella nuova legge vengono proibiti i moti interiori dell'animo, che invece non erano espressamente proibiti dalla legge antica, sebbene lo fossero in materie particolari; però senza un castigo che rafforzasse codesta proibizione. Ora, questa è una cosa difficilissima per chi non ha la virtù: e il Filosofo stesso afferma che compiere le opere del giusto è cosa facile; ma compierle nel modo che il giusto le compie, cioè con piacere e prontezza, è cosa difficile per chi non possiede l'abito della giustizia. Ecco perché S. Giovanni poteva affermare che "i suoi comandamenti non sono gravosi": "Non sono gravosi per chi ama", spiega S. Agostino, "ma sono tali per chi non ama".

[38315] Iª-IIae q. 107 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod auctoritas illa expresse loquitur de difficultate novae legis quantum ad expressam cohibitionem interiorum motuum.

 

[38315] Iª-IIae q. 107 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In quel passo si parla espressamente della difficoltà della nuova legge, relativa alla repressione diretta dei moti interiori.

[38316] Iª-IIae q. 107 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod adversitates quas patiuntur observatores novae legis, non sunt ab ipsa lege impositae. Sed tamen propter amorem, in quo ipsa lex consistit, faciliter tollerantur, quia sicut Augustinus dicit, in libro de verbis domini, omnia saeva et immania facilia et prope nulla efficit amor.

 

[38316] Iª-IIae q. 107 a. 4 ad 2
2. Le tribolazioni che soffrono coloro i quali osservano la nuova legge non sono imposte dalla legge stessa. E tuttavia mediante l'amore, in cui codesta legge consiste, sono facilmente sopportate: poiché, come dice S. Agostino, "l'amore riduce quasi a nulla ogni crudeltà e ogni barbarie".

[38317] Iª-IIae q. 107 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod illae additiones ad praecepta veteris legis, ad hoc ordinantur ut facilius impleatur quod vetus lex mandabat, sicut Augustinus dicit. Et ideo per hoc non ostenditur quod lex nova sit gravior, sed magis quod sit facilior.

 

[38317] Iª-IIae q. 107 a. 4 ad 3
3. Le aggiunte fatte ai precetti dell'antica legge sono ordinate a renderne più facile l'adempimento, come nota S. Agostino. Perciò questo non dimostra che la nuova legge è più gravosa, ma che è più facile.

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