II-II, 88

Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il voto


Secunda pars secundae partis
Quaestio 88
Prooemium

[42741] IIª-IIae q. 88 pr.
Deinde considerandum est de voto, per quod aliquid Deo promittitur. Et circa hoc quaeruntur duodecim.
Primo, quid sit votum.
Secundo, quid cadat sub voto.
Tertio, de obligatione voti.
Quarto, de utilitate vovendi.
Quinto, cuius virtutis sit actus.
Sexto, utrum magis meritorium sit facere aliquid ex voto quam sine voto.
Septimo, de solemnitate voti.
Octavo, utrum possint vovere qui sunt potestati alterius subiecti.
Nono, utrum pueri possint voto obligari ad religionis ingressum.
Decimo, utrum votum sit dispensabile vel commutabile.
Undecimo, utrum in solemni voto continentiae possit dispensari.
Duodecimo, utrum requiratur in dispensatione voti superioris auctoritas.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 88
Proemio

[42741] IIª-IIae q. 88 pr.
Rimane ora da parlare del voto, col quale si promette a Dio qualche cosa.
Su questo tema tratteremo dodici argomenti:

1. Che cosa sia il voto;
2. Che cosa possa essere materia di voto;
3. L'obbligazione dei voti;
4. La loro utilità;
5. A quale virtù appartengano;
6. Se sia più meritorio compiere una cosa per voto, o senza voto;
7. La solennità dei voti;
8. Se possano fare dei voti quelli che sono sottoposti all'autorità di altri;
9. Se i fanciulli si possano obbligare con voto a entrare nella vita religiosa;
10. Se un voto sia dispensabile, o commutabile;
11. Se si possa dispensare il voto solenne di castità;
12. Se per la dispensa dei voti si debba ricorrere all'autorità dei superiori.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il voto > Se il voto consista in un semplice proposito della volontà


Secunda pars secundae partis
Quaestio 88
Articulus 1

[42742] IIª-IIae q. 88 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod votum consistat in solo proposito voluntatis. Quia secundum quosdam, votum est conceptio boni propositi, animi deliberatione firmata, qua quis ad aliquid faciendum vel non faciendum se Deo obligat. Sed conceptio boni propositi, cum omnibus quae adduntur, potest in solo motu voluntatis consistere. Ergo votum in solo proposito voluntatis consistit.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 88
Articolo 1

[42742] IIª-IIae q. 88 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il voto consista in un semplice proposito della volontà. Infatti:
1. Secondo alcuni il voto è "il concepimento di un buon proposito, confermato dalla deliberazione dell'animo, col quale uno si obbliga di fronte a Dio a fare, o a non fare una cosa". Ma concepire un buon proposito, con gli atteggiamenti connessi, può ridursi a un semplice moto della volontà. Dunque il voto consiste nel semplice proposito della volontà.

[42743] IIª-IIae q. 88 a. 1 arg. 2
Praeterea, ipsum nomen voti videtur a voluntate assumptum, dicitur enim aliquis proprio voto facere quae voluntarie facit. Sed propositum est actus voluntatis, promissio autem rationis. Ergo votum in solo actu voluntatis consistit.

 

[42743] IIª-IIae q. 88 a. 1 arg. 2
2. La stessa parola voto pare che derivi da volontà: infatti le cose che uno fa volontariamente si dice che le compie secondo i suoi voti. Ma il proposito è un atto della volontà: mentre la promessa è un atto della ragione. Dunque il voto consiste in un semplice atto della volontà.

[42744] IIª-IIae q. 88 a. 1 arg. 3
Praeterea, dominus dicit, Luc. IX, nemo mittens manum ad aratrum et aspiciens retro aptus est regno Dei. Sed aliquis ex hoc ipso quod habet propositum bene faciendi mittit manum ad aratrum. Ergo, si aspiciat retro, desistens a bono proposito, non est aptus regno Dei. Ex solo igitur bono proposito aliquis obligatur apud Deum, etiam nulla promissione facta. Et ita videtur quod in solo proposito voluntatis votum consistat.

 

[42744] IIª-IIae q. 88 a. 1 arg. 3
3. Il Signore ha detto: "Chiunque mette mano all'aratro e poi si volta indietro, non è adatto per il regno di Dio". Ora, uno mette mano all'aratro per il fatto che ha il proposito di fare il bene. Dunque se guarda indietro, desistendo dal buon proposito, non è adatto per il regno di Dio. Perciò uno è obbligato dinanzi a Dio per il solo proposito, anche se non ha fatto nessuna promessa. E quindi il voto consiste nel solo proposito della volontà.

[42745] IIª-IIae q. 88 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur Eccle. V, si quid vovisti Deo, ne moreris reddere, displicet enim ei infidelis et stulta promissio. Ergo vovere est promittere, et votum est promissio.

 

[42745] IIª-IIae q. 88 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Se hai fatto un voto a Dio non indugiare a soddisfarlo; poiché a lui dispiace una promessa stolta e infedele". Dunque far voto è promettere, e il voto è una promessa.

[42746] IIª-IIae q. 88 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod votum quandam obligationem importat ad aliquid faciendum vel dimittendum. Obligat autem homo se homini ad aliquid per modum promissionis, quae est rationis actus, ad quam pertinet ordinare, sicut enim homo imperando vel deprecando ordinat quodammodo quid sibi ab aliis fiat, ita promittendo ordinat quid ipse pro alio facere debeat. Sed promissio quae ab homine fit homini, non potest fieri nisi per verba vel quaecumque exteriora signa. Deo autem potest fieri promissio per solam interiorem cogitationem, quia ut dicitur I Reg. XVI, homines vident ea quae parent, sed Deus intuetur cor. Exprimuntur tamen quandoque verba exteriora vel ad sui ipsius excitationem, sicut circa orationem dictum est, vel ad alios contestandum, ut non solum desistat a fractione voti propter timorem Dei, sed etiam propter reverentiam hominum. Promissio autem procedit ex proposito faciendi. Propositum autem aliquam deliberationem praeexigit, cum sit actus voluntatis deliberatae. Sic igitur ad votum tria ex necessitate requiruntur, primo quidem, deliberatio; secundo, propositum voluntatis; tertio, promissio, in qua perficitur ratio voti. Superadduntur vero quandoque et alia duo, ad quandam voti confirmationem, scilicet pronuntiatio oris, secundum illud Psalm., reddam tibi vota mea, quae distinxerunt labia mea; et iterum testimonium aliorum. Unde Magister dicit, XXXVIII dist. IV Lib. Sent., quod votum est testificatio quaedam promissionis spontaneae, quae Deo et de his quae sunt Dei fieri debet, quamvis testificatio possit ad interiorem testificationem proprie referri.

 

[42746] IIª-IIae q. 88 a. 1 co.
RISPONDO: Il voto implica l'obbligo di fare, o di omettere qualche cosa. Ora, ci si obbliga a qualche cosa verso un uomo mediante la promessa, che è un atto della ragione, la quale ha il compito di ordinare: infatti come col comando e con la preghiera uno ordina, per così dire, quello che gli altri devon fare a lui, così con la promessa ordina quello che lui deve fare per altri. La promessa, però, che si fa a un uomo non può farsi senza parole, o altri segni esterni. A Dio invece si può fare la promessa col solo pensiero interiore: poiché, come dice la Scrittura, "gli uomini guardano alle apparenze, ma Dio guarda il cuore". Tuttavia talora ci si esprime con parole esterne, o per eccitarci alla devozione, come abbiamo detto a proposito della preghiera, oppure per avere gli altri come testimoni, e per astenersi dal mancare al voto non solo per il timore di Dio, ma anche per rispetto verso gli uomini. La promessa però deriva dal proposito di fare una cosa. E il proposito preesige una deliberazione: essendo un atto di volontà deliberata. Perciò per il voto si richiedono necessariamente tre cose: primo, la deliberazione; secondo, il proposito della volontà; terzo, la promessa, che ne è il costitutivo. Talora però vi si aggiungono altre due cose come elementi corroboranti: la formulazione orale, di cui si parla in quel testo dei Salmi: "Renderò a te i miei voti, che han proferito le mie labbra"; e la testimonianza degli altri. Perciò il Maestro (delle Sentenze) afferma che il voto è "la dichiarazione di una promessa spontanea, da farsi a Dio e riguardante le cose di Dio"; sebbene la dichiarazione possa ridursi propriamente alla formulazione interiore.

[42747] IIª-IIae q. 88 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod conceptio boni propositi non firmatur ex animi deliberatione nisi promissione deliberationem consequente.

 

[42747] IIª-IIae q. 88 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il compimento di un buon proposito non viene confermato dalla deliberazione dell'animo, se non mediante la promessa che accompagna la deliberazione.

[42748] IIª-IIae q. 88 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod voluntas movet rationem ad promittendum aliquid circa ea quae eius voluntati subduntur. Et pro tanto votum a voluntate accepit nomen quasi a primo movente.

 

[42748] IIª-IIae q. 88 a. 1 ad 2
2. È la volontà che muove la ragione a promettere qualche cosa su quanto si estende il suo dominio. Ecco perché il voto prende nome dal volere, come dal suo primo movente.

[42749] IIª-IIae q. 88 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod ille qui mittit manum ad aratrum iam facit aliquid. Sed ille qui solum proponit nondum aliquid facit. Sed quando promittit, iam incipit se exhibere ad faciendum, licet nondum impleat quod promittit, sicut ille qui ponit manum ad aratrum nondum arat, iam tamen apponit manum ad arandum.

 

[42749] IIª-IIae q. 88 a. 1 ad 3
3. Chi mette mano all'aratro già fa qualche cosa. Invece chi propone soltanto ancora non fa nulla. Ma quando uno promette incomincia di già a disporsi ad agire, sebbene ancora non compia quello che promette: come colui il quale mettendo mano all'aratro, sebbene ancora non ari, tuttavia già mette mano all'opera.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il voto > Se il voto debba farsi sempre di un bene migliore


Secunda pars secundae partis
Quaestio 88
Articulus 2

[42750] IIª-IIae q. 88 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod votum non semper debeat fieri de meliori bono. Dicitur enim melius bonum quod ad supererogationem pertinet. Sed votum non solum fit de his quae sunt supererogationis, sed etiam de his quae pertinent ad salutem. Nam et in Baptismo vovent homines abrenuntiare Diabolo et pompis eius, et fidem servare, ut dicit Glossa, super illud Psalm., vovete et reddite domino Deo vestro. Iacob etiam vovit quod esset ei dominus in Deum, ut habetur Gen. XXVIII, hoc autem est maxime de necessitate salutis. Ergo votum non solum fit de meliori bono.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 88
Articolo 2

[42750] IIª-IIae q. 88 a. 2 arg. 1
1. Un bene migliore è un bene supererogatorio. Ma il voto non si fa soltanto di atti supererogatori, bensì anche di atti richiesti per la salvezza. Infatti, come nota la Glossa, "nel battesimo l'uomo fa voto di rinunziare al demonio con le sue pompe, e di custodire la fede". Inoltre Giacobbe fece voto "di avere il Signore come Dio": che è la cosa più indispensabile per la salvezza. Dunque i voti non si fanno soltanto di un bene migliore.

[42751] IIª-IIae q. 88 a. 2 arg. 2
Praeterea, Iephte in catalogo sanctorum ponitur, ut patet Heb. XI. Sed ipse filiam innocentem occidit propter votum, ut habetur Iudic. XI. Cum igitur occisio innocentis non sit melius bonum, sed sit secundum se illicitum, videtur quod votum fieri possit non solum de meliori bono, sed etiam de illicitis.

 

[42751] IIª-IIae q. 88 a. 2 arg. 2
2. Jefte è inserito nel catalogo dei Santi, secondo S. Paolo. Eppure egli per un voto uccise la figlia innocente. E poiché l'uccisione di un innocente non è un bene migliore, bensì cosa per se stessa illecita, è chiaro che si può far voto non soltanto di un bene migliore, ma anche di cose illecite.

[42752] IIª-IIae q. 88 a. 2 arg. 3
Praeterea, ea quae redundant in detrimentum personae, vel quae ad nihil sunt utilia, non habent rationem melioris boni. Sed quandoque fiunt aliqua vota de immoderatis vigiliis et ieiuniis, quae vergunt in periculum personae. Quandoque etiam fiunt aliqua vota de aliquibus indifferentibus et ad nihil valentibus. Ergo non semper votum est melioris boni.

 

[42752] IIª-IIae q. 88 a. 2 arg. 3
3. Ciò che ridonda a detrimento di una persona, o non ha utilità alcuna, non è certo un bene maggiore. Eppure talora si fa voto di veglie e di digiuni esagerati, che risultano pericolosi per la persona. E altre volte si fa voto di cose indifferenti che non servono a nulla. Perciò non sempre il voto è di un bene migliore.

[42753] IIª-IIae q. 88 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur Deut. XXIII, si nolueris polliceri, absque peccato eris.

 

[42753] IIª-IIae q. 88 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Se ti astieni dal far voti, non ci sarà peccato per te".

[42754] IIª-IIae q. 88 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, votum est promissio Deo facta. Promissio autem est alicuius quod quis pro aliquo voluntarie facit. Non enim esset promissio, sed comminatio, si quis diceret se contra aliquem facturum. Similiter vana esset promissio si aliquis alicui promitteret id quod ei non esset acceptum. Et ideo, cum omne peccatum sit contra Deum; nec aliquod opus sit Deo acceptum nisi sit virtuosum, consequens est quod de nullo illicito, nec de aliquo indifferenti debeat fieri votum, sed solum de aliquo actu virtutis. Sed quia votum promissionem voluntariam importat, necessitas autem voluntatem excludit, id quod est absolute necessarium esse vel non esse nullo modo cadit sub voto, stultum enim esset si quis voveret se esse moriturum, vel se non esse volaturum. Illud vero quod non habet absolutam necessitatem, sed necessitatem finis, puta quia sine eo non potest esse salus, cadit quidem sub voto inquantum voluntarie fit, non autem inquantum est necessitatis. Illud autem quod neque cadit sub necessitate absoluta neque sub necessitate finis, omnino est voluntarium. Et ideo hoc propriissime cadit sub voto. Hoc autem dicitur esse maius bonum in comparatione ad bonum quod communiter est de necessitate salutis. Et ideo, proprie loquendo, votum dicitur esse de bono meliori.

 

[42754] IIª-IIae q. 88 a. 2 co.
RISPONDO: Il voto, come abbiamo detto, è una promessa fatta a Dio. Ora, la promessa ha per oggetto quanto si fa a favore di qualcuno volontariamente. Infatti non sarebbe una promessa, ma una minaccia, se uno dichiarasse di voler agire contro qualcuno. Così pure sarebbe insensata la promessa, se uno promette una cosa che l'interessato non gradisce. Dal momento, quindi, che tutti i peccati sono contro Dio, e che Dio gradisce soltanto le azioni virtuose, è chiaro che non si deve far voto di nessun atto illecito, e indifferente, ma solo di atti virtuosi.
E poiché il voto implica una promessa volontaria, mentre la necessità esclude la volontarietà, ciò che è necessario in modo assoluto in nessun modo può essere materia di voto: infatti sarebbe stolto chi facesse voto di morire, o di non volare. - Quanto invece ha una necessità non assoluta, ma in ordine al fine, e cioè per il fatto che è indispensabile per la salvezza, è materia di voto in quanto viene compiuto volontariamente, non già in quanto è una cosa necessaria. Quanto finalmente è immune dalla necessità, sia assoluta, che in ordine al fine, è cosa del tutto volontaria. E questo a tutto rigore è materia di voto. Ora, tutto questo si dice che è un bene maggiore in rapporto al bene che è universalmente richiesto per la salvezza eterna. Perciò il voto, propriamente parlando, ha per oggetto un bene migliore.

[42755] IIª-IIae q. 88 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod hoc modo sub voto baptizatorum cadit abrenuntiare pompis Diaboli et fidem Christi servare, quia voluntarie fit, licet sit de necessitate salutis. Et similiter potest dici de voto Iacob. Quamvis etiam possit intelligi quod Iacob vovit se habere dominum in Deum per specialem cultum, ad quem non tenebatur, sicut per decimarum oblationem, et alia huiusmodi quae ibi subduntur.

 

[42755] IIª-IIae q. 88 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Rinunziare alle attrattive del demonio e custodire la fede di Cristo sono oggetto dei voti battesimali, perché son cose fatte volontariamente, sebbene siano indispensabili per la salvezza.
Lo stesso possiamo dire del voto di Giacobbe. Sebbene l'espressione si possa spiegare nel senso che Giacobbe fece voto di avere il Signore come Dio con un culto speciale, a cui non era tenuto: e cioè obbligandosi alle decime e alle altre cose alle quali si accenna subito dopo.

[42756] IIª-IIae q. 88 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod quaedam sunt quae in omnem eventum sunt bona, sicut opera virtutis et alia quae absolute possunt cadere sub voto. Quaedam vero in omnem eventum sunt mala, sicut ea quae secundum se sunt peccata. Et haec nullo modo possunt sub voto cadere. Quaedam vero sunt quidem in se considerata bona, et secundum hoc possunt cadere sub voto, possunt tamen habere malum eventum, in quo non sunt observanda. Et sic accidit in voto Iephte, qui ut dicitur Iudic. XI, votum vovit domino, dicens, si tradideris filios Ammon in manus meas, quicumque primus egressus fuerit de foribus domus meae mihique occurrerit revertenti in pace, eum offeram holocaustum domino. Hoc enim poterat malum eventum habere, si occurreret ei aliquod animal non immolativum, sicut asinus vel homo, quod et accidit. Unde, ut Hieronymus dicit, in vovendo fuit stultus, quia discretionem non adhibuit, et in reddendo impius. Praemittitur tamen ibidem quod factus est super eum spiritus domini, quia fides et devotio ipsius, ex qua motus est ad vovendum, fuit a spiritu sancto. Propter quod ponitur in catalogo sanctorum, et propter victoriam quam obtinuit; et quia probabile est eum poenituisse de facto iniquo, quod tamen aliquod bonum figurabat.

 

[42756] IIª-IIae q. 88 a. 2 ad 2
2. Ci sono delle cose che son buone in tutte le occorrenze: e queste sono gli atti virtuosi e tutte le altre cose che possono essere direttamente materia di voto. - Altre, al contrario, sono cattive in tutti i casi: tali sono le azioni per se stesse peccaminose. E queste non possono mai essere materia di voto. - Invece ce ne sono alcune che considerate in se stesse sono buone, e sotto quest'aspetto possono essere materia di voto; ma possono avere delle cattive conseguenze, e in tal caso non vanno osservate. Così capitò nel voto di Jefte, il quale, come narra la Scrittura, "fece voto al Signore, dicendo: Se mi darai nelle mani i figli di Ammon, il primo che uscirà e mi verrà incontro alle porte della mia casa quando ritornerò vincitore, l'offrirò in olocausto al Signore". Ora, questo poteva avere una cattiva conseguenza, qualora gli fosse venuto incontro un animale non sacrificabile, come un asino o un uomo: il che precisamente accadde. Ecco perché S. Girolamo afferma, che Jefte "nel fare il voto fu stolto", perché mancò di discernimento, "e nell'osservarlo fu empio". La Scrittura però fa precedere al fatto queste parole: "Fu investito dallo Spirito del Signore"; poiché la fede e la devozione che lo spinsero al voto venivano dallo Spirito Santo. Ed è posto nel catalogo dei Santi, sia per la vittoria ottenuta, sia perché è probabile che si sia pentito di quella iniquità, la quale però prefigurava un bene futuro.

[42757] IIª-IIae q. 88 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod maceratio proprii corporis, puta per vigilias et ieiunia, non est Deo accepta nisi inquantum est opus virtutis, quod quidem est inquantum cum debita discretione fit, ut scilicet concupiscentia refrenetur et natura non nimis gravetur. Et sub tali tenore possunt huiusmodi sub voto cadere. Propter quod et apostolus, Rom. XII, postquam dixerat, exhibeatis corpora vestra hostiam viventem, sanctam, Deo placentem, addidit, rationabile obsequium vestrum. Sed quia in his quae ad seipsum pertinent de facili fallitur homo in iudicando, talia vota congruentius secundum arbitrium superioris sunt vel servanda vel praetermittenda. Ita tamen quod si ex observatione talis voti magnum et manifestum gravamen sentiret, et non esset facultas ad superiorem recurrendi, non debet homo tale votum servare. Vota vero quae sunt de rebus vanis et inutilibus sunt magis deridenda quam servanda.

 

[42757] IIª-IIae q. 88 a. 2 ad 3
3. La macerazione del proprio corpo fatta, p. es., con veglie e digiuni, non è accetta a Dio se non in quanto è un'azione virtuosa: e questo esige che sia fatta con la debita discrezione, in modo da frenare la concupiscenza, senza gravare troppo la natura. Così concepite codeste penitenze possono essere materia di voto. Ecco perché l'Apostolo, dopo aver esortato, "a offrire i nostri corpi come ostia vivente, santa, gradevole a Dio", aggiunge: "il vostro culto ragionevole". - Ma siccome l'uomo sbaglia facilmente nel giudicare dei propri atti, codesti voti è meglio che siano osservati o tralasciati secondo l'arbitrio dei superiori. Se poi uno dall'osservanza di un voto del genere sente un incomodo grave ed evidente, senza poter ricorrere al superiore, non deve osservarlo. I voti invece che hanno per oggetto cose vane e inutili sono piuttosto da disprezzarsi che da osservarsi.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il voto > Se sia obbligatoria l'osservanza di qualsiasi voto


Secunda pars secundae partis
Quaestio 88
Articulus 3

[42758] IIª-IIae q. 88 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod non omne votum obliget ad sui observationem. Homo enim magis indiget his quae per alium hominem fiunt quam Deus, qui bonorum nostrorum non eget. Sed promissio simplex homini facta non obligat ad servandum, secundum institutionem legis humanae, quod videtur esse institutum propter mutabilitatem humanae voluntatis. Ergo multo minus simplex promissio Deo facta, quae dicitur votum, obligat ad observandum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 88
Articolo 3

[42758] IIª-IIae q. 88 a. 3 arg. 1
SEMBRA che non di tutti i voti sia obbligatoria l'osservanza. Infatti.
1. Dell'opera di un uomo ha più bisogno un altro uomo che Dio, il quale "non ha bisogno dei nostri beni". Ora, la semplice promessa fatta a un uomo non obbliga, stando alle disposizioni della legge umana: e ciò sembra che sia stato stabilito per la mutabilità dell'umano volere. Molto meno, dunque, obbliga la semplice promessa fatta a Dio, e che chiamiamo voto.

[42759] IIª-IIae q. 88 a. 3 arg. 2
Praeterea, nullus obligatur ad impossibile. Sed quandoque illud quod quis vovit fit ei impossibile, vel quia dependet ex alieno arbitrio, sicut cum quis vovet aliquod monasterium intrare cuius monachi eum nolunt recipere; vel propter emergentem defectum, sicut mulier quae vovit virginitatem servare et postea corrumpitur, vel vir qui vovet pecuniam dare et postea amittit pecuniam. Ergo non semper votum est obligatorium.

 

[42759] IIª-IIae q. 88 a. 3 arg. 2
2. Nessuno è tenuto all'impossibile. Ma talora quanto uno ha votato diventa per lui impossibile, o perché dipende dall'altrui arbitrio, come quando uno fa voto di entrare in un monastero i cui monaci non vogliono riceverlo; oppure perché si incorre un difetto, come la donna che avendo fatto voto di verginità si lascia poi corrompere, o come chi avendo fatto voto di dare del danaro, per disgrazia lo perde. Perciò il voto non sempre è obbligatorio.

[42760] IIª-IIae q. 88 a. 3 arg. 3
Praeterea, illud ad cuius solutionem est aliquis obligatus, statim solvere tenetur. Sed aliquis non statim solvere tenetur illud quod vovit, praecipue cum sub conditione futura vovet. Ergo votum non semper est obligatorium.

 

[42760] IIª-IIae q. 88 a. 3 arg. 3
3. Ciò che uno è tenuto a pagare, è tenuto a pagarlo subito. Invece nessuno è tenuto a soddisfare subito ai propri voti: specialmente quando uno s'impegna per il futuro. Dunque il voto non sempre è obbligatorio.

[42761] IIª-IIae q. 88 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur Eccle. V, quodcumque voveris, redde. Multoque melius est non vovere quam post votum promissa non reddere.

 

[42761] IIª-IIae q. 88 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Quando hai fatto voto a Dio, non tardare a compierlo. Molto meglio è non far voto, che farlo e poi non adempierlo".

[42762] IIª-IIae q. 88 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod ad fidelitatem hominis pertinet ut solvat id quod promisit, unde secundum Augustinum, fides dicitur ex hoc quod fiunt dicta. Maxime autem debet homo Deo fidelitatem, tum ratione dominii; tum etiam ratione beneficii suscepti. Et ideo maxime obligatur homo ad hoc quod impleat vota Deo facta, hoc enim pertinet ad fidelitatem quam homo debet Deo, fractio autem voti est quaedam infidelitatis species. Unde Salomon rationem assignat quare sint vota reddenda. Quia displicet Deo infidelis promissio.

 

[42762] IIª-IIae q. 88 a. 3 co.
RISPONDO: La fedeltà esige che l'uomo adempia le sue promesse; di qui le parole di S. Agostino: "La fedeltà deve il suo nome al fatto che si compie ciò che si è detto". Ora, l'uomo è tenuto alla fedeltà specialmente verso Dio, sia per la sua sovranità, che per i benefici ricevuti. Perciò l'uomo ha un obbligo strettissimo di adempiere i voti fatti a Dio: essendo ciò richiesto dalla fedeltà cui si è tenuti nei riguardi di Dio; poiché la violazione del voto è una specie d'infedeltà. Infatti Salomone assegna questo motivo all'obbligo di soddisfare il voto, poiché "dispiace a Dio la promessa infedele".

[42763] IIª-IIae q. 88 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod secundum honestatem ex qualibet promissione homo homini obligatur, et haec est obligatio iuris naturalis. Sed ad hoc quod aliquis obligetur ex aliqua promissione obligatione civili, quaedam alia requiruntur. Deus autem etsi bonis nostris non egeat, ei tamen maxime obligamur. Et ita votum ei factum est maxime obligatorium.

 

[42763] IIª-IIae q. 88 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Per l'onestà uno è tenuto verso un'altra persona a qualsiasi promessa: e questo è un obbligo di legge naturale. Ma per l'obbligo di fronte alla legge civile ci vogliono certi altri requisiti. Ora, sebbene Dio non abbia bisogno dei nostri beni, noi gli siamo obbligati nel modo più stretto. Ecco perché il voto a lui fatto è sommamente obbligatorio.

[42764] IIª-IIae q. 88 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod si illud quod quis vovit ex quacumque causa impossibile reddatur, debet homo facere quod in se est, ut saltem habeat promptam voluntatem faciendi quod potest. Unde ille qui vovit monasterium aliquod intrare debet dare operam quam potest ut ibi recipiatur. Et si quidem intentio sua fuit se obligare ad religionis ingressum principaliter, et ex consequenti elegit hanc religionem vel hunc locum quasi sibi magis congruentem, tenetur, si non potest ibi recipi, aliam religionem intrare. Si autem principaliter intendit se obligare ad hanc religionem vel ad hunc locum, propter specialem complacentiam huius religionis vel loci, non tenetur aliam religionem intrare si illi eum recipere nolunt. Si vero incidit in impossibilitatem implendi votum ex propria culpa, tenetur insuper de propria culpa praeterita poenitentiam agere. Sicut mulier quae vovit virginitatem, si postea corrumpatur, non solum debet servare quod potest, scilicet perpetuam continentiam, sed etiam de eo quod admisit peccando poenitere.

 

[42764] IIª-IIae q. 88 a. 3 ad 2
2. Se quanto uno ha promesso con voto diviene impossibile per una causa qualunque, egli deve fare quanto sta in lui: che abbia almeno la volontà disposta a fare quello che può. Quindi uno che ha fatto voto di entrare in un dato monastero, deve fare di tutto per esservi ricevuto. E se era sua intenzione principale di obbligarsi a entrare in religione, e secondariamente fece la scelta di quell'istituto o di quella casa determinata, come più adatti per lui, se non può essere ricevuto là, è tenuto a entrare in un altro istituto. Se invece principalmente ha inteso di obbligarsi a quel dato istituto, o a quella casa, per una stima particolare verso di essi, allora se non viene accettato, non è tenuto a entrare in un'altra religione.
Se poi uno viene a trovarsi nell'impossibilità di adempiere il voto per propria colpa, è tenuto anche a far penitenza di essa. Così una donna la quale, dopo aver fatto il voto di verginità, si lascia corrompere, non solo deve osservare quello che è in suo potere, cioè la continenza perpetua, ma deve anche far penitenza del suo peccato.

[42765] IIª-IIae q. 88 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod obligatio voti ex propria voluntate et intentione causatur, unde dicitur Deut. XXIII, quod semel egressum est de labiis tuis, observabis, et facies sicut promisisti domino Deo tuo, et propria voluntate et ore tuo locutus es. Et ideo si in intentione et voluntate voventis est obligare se ad statim solvendum, tenetur statim solvere. Si autem ad certum tempus, vel sub certa conditione, non tenetur statim solvere. Sed nec debet tardare ultra quam intendit se obligare, dicitur enim ibidem, cum votum voveris domino Deo tuo, non tardabis reddere, quia requiret illud dominus Deus tuus; et si moratus fueris, reputabitur tibi in peccatum.

 

[42765] IIª-IIae q. 88 a. 3 ad 3
3. L'obbligazione del voto è causata dall'intenzione e dalla volontà propria, come si legge del Deuteronomio: "Quello che una volta è uscito dalle tue labbra, lo devi mantenere, e fare come hai promesso al Signore Dio tuo, come di tua volontà e di tua bocca hai detto". Se quindi chi ha fatto il voto aveva intenzione e volontà di obbligarsi ad adempierlo subito, subito è tenuto a scioglierlo. Se invece intendeva rimandare a un dato tempo, e a certe condizioni, non è tenuto a scioglierlo subito. Però egli non deve tardare oltre il tempo fissato, poiché nello stesso testo sacro si legge: "Quando avrai fatto un voto al Signore Dio tuo, non indugiare ad adempierlo, perché il Signore Dio tuo te ne chiederà conto; e, se avrai indugiato, ti sarà ascritto a peccato".




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il voto > Se sia opportuno fare dei voti


Secunda pars secundae partis
Quaestio 88
Articulus 4

[42766] IIª-IIae q. 88 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod non expediat aliquid vovere. Non enim alicui expedit ut privet se bono quod ei Deus donavit. Sed libertas est unum de maximis bonis quae homini Deus dedit, qua videtur privari per necessitatem quam votum imponit. Ergo non videtur expediens homini quod aliquid voveat.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 88
Articolo 4

[42766] IIª-IIae q. 88 a. 4 arg. 1
SEMBRA che far voti non sia cosa opportuna. Infatti:
1. A nessuno può giovare privarsi di un bene che Iddio gli ha concesso. Ma uno dei massimi beni concessi all'uomo da Dio è la libertà, di cui ci si priva con la necessità imposta dal voto. Dunque non è opportuno per l'uomo far voto di qualche cosa.

[42767] IIª-IIae q. 88 a. 4 arg. 2
Praeterea, nullus debet se periculis iniicere. Sed quicumque vovet se periculo iniicit, quia quod ante votum sine periculo poterat praeteriri, si non servetur post votum, periculosum est. Unde Augustinus dicit, in epistola ad Armentarium et Paulinam, quia iam vovisti, iam te obstrinxisti, aliud tibi facere non licet. Non talis eris si non feceris quod vovisti, qualis mansisses si nihil tale vovisses. Minor enim tunc esses, non peior. Modo autem, tanto, quod absit, miserior si fidem Deo fregeris, quanto beatior si persolveris. Ergo non expedit aliquid vovere.

 

[42767] IIª-IIae q. 88 a. 4 arg. 2
2. Nessuno deve esporsi a pericoli. Ma chi fa un voto si espone a un pericolo: poiché quanto poteva trascurare prima del voto, senza pericolo, ora diviene pericoloso. Da qui le parole di S. Agostino ad Armentario e a Paolina: "Per il fatto che hai emesso il voto, ormai ti sei legato, e non ti è lecito fare diversamente. Se non farai quello che hai promesso, non sarai più nelle condizioni in cui saresti rimasto, se non avessi fatto quel voto. Allora saresti stato meno grande, non già meno buono. Ora invece saresti tanto più miserabile, Dio non voglia, mancando di fedeltà al Signore, quanto saresti più felice adempiendo la promessa". Dunque far voti non è opportuno.

[42768] IIª-IIae q. 88 a. 4 arg. 3
Praeterea, apostolus dicit, I ad Cor. IV, imitatores mei estote, sicut et ego Christi. Sed non legitur neque Christum aliquid vovisse, nec apostolos. Ergo videtur quod non expediat aliquid vovere.

 

[42768] IIª-IIae q. 88 a. 4 arg. 3
3. L'Apostolo ha scritto: "Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo". Ora, né di Cristo né degli Apostoli si legge che abbiano fatto dei voti. Perciò far voti non è una cosa raccomandabile.

[42769] IIª-IIae q. 88 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur in Psalm., vovete et reddite domino Deo vestro.

 

[42769] IIª-IIae q. 88 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Nei Salmi si legge: "Fate voti al Signore Dio nostro, e adempiteli".

[42770] IIª-IIae q. 88 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, votum est promissio Deo facta. Alia autem ratione promittitur aliquid homini, et alia ratione Deo. Homini quidem promittimus aliquid propter eius utilitatem, cui utile est et quod ei aliquid exhibeamus, et quod eum de futura exhibitione prius certificemus. Sed promissionem Deo facimus non propter eius utilitatem, sed propter nostram. Unde Augustinus dicit, in praedicta epistola, benignus exactor est, non egenus, et qui non crescat ex redditis, sed in se crescere faciat redditores. Et sicut id quod damus Deo non est ei utile, sed nobis, quia quod ei redditur reddenti additur, ut Augustinus ibidem dicit; ita etiam promissio qua Deo aliquid vovemus, non cedit in eius utilitatem, qui a nobis certificari non indiget; sed ad utilitatem nostram, inquantum vovendo voluntatem nostram immobiliter firmamus ad id quod expedit facere. Et ideo expediens est vovere.

 

[42770] IIª-IIae q. 88 a. 4 co.
RISPONDO: Il voto, come abbiamo visto, è una promessa fatta a Dio. Ora, il motivo per cui si promette una cosa a Dio è diverso da quello per cui si promette a un uomo. All'uomo infatti si promette qualche cosa a sua utilità, ed è per lui vantaggioso e il dono, e la certezza medesima che gli diamo di riceverlo in seguito. Ma la promessa che facciamo a Dio non ha di mira il vantaggio suo, bensì il nostro. Ecco perché S. Agostino nella lettera citata diceva: "Egli è un creditore benevolo non già bisognoso: il quale non arricchisce per il saldo dei suoi crediti, ma che fa arricchire in sé coloro che saldano". E come ciò che diamo a Dio non è vantaggioso per lui, bensì per noi, poiché "quanto gli si rende viene rifuso al debitore", secondo l'espressione di S. Agostino; così la promessa stessa con la quale a Dio facciamo un voto risulta utile non a lui, il quale non ha bisogno della nostra assicurazione, ma a noi; poiché con i voti determiniamo immutabilmente la nostra volontà a cose che è meritorio compiere. Dunque far voti è una cosa giovevole.

[42771] IIª-IIae q. 88 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod sicut non posse peccare non diminuit libertatem, ita etiam necessitas firmatae voluntatis in bonum non diminuit libertatem, ut patet in Deo et in beatis. Et talis est necessitas voti, similitudinem quandam habens cum confirmatione beatorum. Unde Augustinus in eadem epistola dicit quod felix necessitas est quae in meliora compellit.

 

[42771] IIª-IIae q. 88 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come non sminuisce la libertà il non poter peccare, così non la sminuisce la necessità di un volere determinato al bene: il che è evidente nel caso di Dio e dei beati. E tale appunto è la necessità creata dal voto, che ha una certa somiglianza con la confermazione nel bene propria dei beati. Ecco perché S. Agostino afferma che "è una felice necessità quella che costringe al meglio".

[42772] IIª-IIae q. 88 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod quando periculum nascitur ex ipso facto, tunc illud factum non est expediens, puta quod aliquis per pontem ruinosum transeat fluvium. Sed si periculum immineat ex hoc quod homo deficit ab illo facto, non desinit propter hoc esse expediens, sicut expediens est ascendere equum, quamvis periculum immineat cadenti de equo. Alioquin oporteret ab omnibus bonis cessare quae per accidens ex aliquo eventu possunt esse periculosa. Unde dicitur Eccle. XI, qui observat ventum non seminat, et qui considerat nubes nunquam metet. Periculum autem voventi non imminet ex ipso voto, sed ex culpa hominis, qui voluntatem mutat transgrediens votum. Unde Augustinus dicit in eadem epistola, non te vovisse poeniteat. Immo gaude iam tibi sic non licere quod cum tuo detrimento licuisset.

 

[42772] IIª-IIae q. 88 a. 4 ad 2
2. Quando il pericolo nasce direttamente dal fare una cosa, allora non è opportuno farla: p. es., passare un fiume per un ponte pericolante; ma se il pericolo nasce dal fatto che uno manca di compiere quella data cosa, questa non cessa perciò di essere vantaggiosa. Montare a cavallo, p. es., è vantaggioso, sebbene ci sia il pericolo di cadere da cavallo. Altrimenti bisognerebbe desistere da tutte le opere buone, che per un evento qualsiasi indirettamente possono presentare dei pericoli. Di qui le parole della Scrittura: "Chi bada al vento non semina, e chi osserva le nuvole non miete". Ora, per chi fa un voto il pericolo non viene dal voto stesso, ma dalla colpa dell'interessato, il quale muta il suo volere trasgredendolo. Perciò S. Agostino esorta: "Non ti pentire di aver fatto il voto. Anzi rallegrati perché ormai non ti è più lecito fare quello che ti sarebbe stato lecito a tuo danno".

[42773] IIª-IIae q. 88 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod Christo secundum se non competebat vovere. Tum quia Deus erat. Tum etiam quia, inquantum homo, habebat firmatam voluntatem in bono, quasi comprehensor existens. Quamvis per quandam similitudinem ex persona eius dicatur in Psalm., secundum Glossam, vota mea reddam in conspectu timentium eum, loquitur autem pro corpore suo, quod est Ecclesia. Apostoli autem intelliguntur vovisse pertinentia ad perfectionis statum quando Christum, relictis omnibus, sunt secuti.

 

[42773] IIª-IIae q. 88 a. 4 ad 3
3. Per Cristo di suo non era opportuno far voti. Sia perché era Dio, sia perché in quanto uomo aveva la volontà già determinata al bene, quale comprensore. Sebbene in maniera simbolica, stando a una Glossa, il salmista dica, parlando in suo nome: "Scioglierò i miei voti dinanzi a quei che lo temono"; però egli qui parla per il suo (mistico) corpo, che è la Chiesa. - Gli Apostoli invece bisogna pensare che abbiano fatto i voti relativi allo stato di perfezione, quando seguirono Cristo "dopo aver abbandonato ogni cosa".




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il voto > Se il voto sia un atto di latria, cioè di religione


Secunda pars secundae partis
Quaestio 88
Articulus 5

[42774] IIª-IIae q. 88 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod votum non sit actus latriae sive religionis. Omne enim opus virtutis cadit sub voto. Sed ad eandem virtutem pertinere videtur promittere aliquid et facere illud. Ergo votum pertinet ad quamlibet virtutem, et non specialiter ad religionem.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 88
Articolo 5

[42774] IIª-IIae q. 88 a. 5 arg. 1
SEMBRA che il voto non sia un atto di latria, cioè di religione. Infatti:
1. Qualsiasi atto virtuoso può essere materia di voto. Ma promettere una cosa e il farla sembrano appartenere a una medesima virtù. Dunque il voto può appartenere a qualsiasi virtù, e non precisamente alla virtù di religione.

[42775] IIª-IIae q. 88 a. 5 arg. 2
Praeterea, secundum Tullium, ad religionem pertinet cultum et caeremoniam Deo offerre. Sed ille qui vovet nondum aliquid Deo offert, sed solum promittit. Ergo votum non est actus religionis.

[42776] IIª-IIae q. 88 a. 5 arg. 3
Praeterea, cultus religionis non debet exhiberi nisi Deo. Sed votum non solum fit Deo, sed etiam sanctis et praelatis, quibus religiosi profitentes obedientiam vovent. Ergo votum non est religionis actus.

 

[42775] IIª-IIae q. 88 a. 5 arg. 2
2. Secondo Cicerone codesta virtù ha il compito di "offrire a Dio culto e cerimonie". Ora, chi fa un voto ancora non offre nulla a Dio, ma solo promette. Perciò il voto non è un atto di religione.

[42776] IIª-IIae q. 88 a. 5 arg. 3
Praeterea, cultus religionis non debet exhiberi nisi Deo. Sed votum non solum fit Deo, sed etiam sanctis et praelatis, quibus religiosi profitentes obedientiam vovent. Ergo votum non est religionis actus.

 

[42776] IIª-IIae q. 88 a. 5 arg. 3
3. Il culto della religione non può indirizzarsi che a Dio. Ma i voti non si fanno solo a Dio, bensì anche ai santi e ai prelati, cui i religiosi fanno voto di obbedienza con la loro professione. Quindi il voto non è un atto di religione.

[42777] IIª-IIae q. 88 a. 5 s. c.
Sed contra est quod dicitur Isaiae XIX, colent eum in hostiis et muneribus, et vota vovebunt domino et solvent. Sed colere Deum est proprie religionis sive latriae. Ergo votum est actus latriae sive religionis.

 

[42777] IIª-IIae q. 88 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Gli presteranno culto con sacrifici e offerte, e faranno voti al Signore e li adempiranno". Ma prestar culto a Dio è proprio della religione, o latria. Dunque il voto è un atto di religione.

[42778] IIª-IIae q. 88 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, omne opus virtutis ad religionem seu latriam pertinet per modum imperii, secundum quod ad divinam reverentiam ordinatur, quod est proprius finis latriae. Ordinare autem alios actus in manifestum est autem ex praedictis quod votum est quaedam imperatas. Et ideo ipsa ordinatio actuum cuiuscumque virtutis in servitium Dei est proprius actus latriae. Manifestum est autem ex praedictis quod votum est quaedam promissio Deo facta, et quod promissio nihil est aliud quam ordinatio quaedam eius quod promittitur in eum cui promittitur. Unde votum est ordinatio quaedam eorum quae quis vovet in divinum cultum seu obsequium. Et sic patet quod vovere proprie est actus latriae seu religionis.

 

[42778] IIª-IIae q. 88 a. 5 co.
RISPONDO: Come sopra abbiamo spiegato, qualsiasi azione virtuosa può appartenere alla religione, o latria, quale atto imperato, per il fatto che viene ordinata in ossequio a Dio, fine proprio di codesta virtù. Ora, ordinare certi atti al proprio fine appartiene alla virtù che comanda, non a quelle comandate. Perciò l'ordinazione degli atti di qualsiasi virtù a servizio di Dio è atto proprio della religione. Ma da quanto abbiamo detto è evidente che il voto è una promessa fatta a Dio: e la promessa non è altro che un indirizzare le cose promesse a colui al quale si promettono. Dunque il voto è un ordinare le cose di cui uno fa voto al culto, ovvero all'ossequio verso Dio. Perciò è evidente che far voto è un atto di latria, ossia di religione.

[42779] IIª-IIae q. 88 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod illud quod cadit sub voto quandoque quidem est actus alterius virtutis, sicut ieiunare, continentiam servare; quandoque vero est actus religionis, sicut sacrificium offerre vel orare. Utrorumque tamen promissio Deo facta ad religionem pertinet, ratione iam dicta. Unde patet quod votorum quoddam pertinet ad religionem ratione solius promissionis Deo factae, quae est essentia voti, quandoque etiam ratione rei promissae, quae est voti materia.

 

[42779] IIª-IIae q. 88 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le cose che sono materia di voto talora son atti di altre virtù, come digiunare e osservare la castità; talora invece sono atti di religione, come offrire sacrifici, o pregare. Tuttavia la promessa fatta a Dio, sia degli uni che degli altri, appartiene alla religione, per il motivo già detto. Perciò è evidente che ci son dei voti i quali appartengono alla religione solo a motivo della promessa fatta a Dio, il che è essenziale nel voto: e ci son voti che le appartengono anche per le cose promesse.

[42780] IIª-IIae q. 88 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod ille qui promittit, inquantum se obligat ad dandum, iam quodammodo dat, sicut dicitur fieri aliquid cum fit causa eius, quia effectus virtute continetur in causa. Et inde est quod non solum danti, sed etiam promittenti gratiae aguntur.

 

[42780] IIª-IIae q. 88 a. 5 ad 2
2. Chi promette, in quanto si obbliga a dare, già dà in qualche modo: come si usa dire che vien prodotta una cosa quando ne viene prodotta la causa; poiché l'effetto è già virtualmente nella sua causa. Ecco perché non si ringrazia soltanto chi dà, ma anche chi promette.

[42781] IIª-IIae q. 88 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod votum soli Deo fit, sed promissio potest etiam fieri homini, et ipsa promissio boni quae fit homini potest cadere sub voto, inquantum est quoddam opus virtuosum. Et per hunc modum intelligendum est votum quo quis vovet aliquid sanctis vel praelatis, ut ipsa promissio facta sanctis vel praelatis cadat sub voto materialiter, inquantum scilicet homo vovet Deo se impleturum quod sanctis vel praelatis promittit.

 

[42781] IIª-IIae q. 88 a. 5 ad 3
3. Il voto si fa soltanto a Dio, però la promessa si può fare anche a un uomo: ma la stessa promessa di un bene fatta a un uomo può essere materia di voto, in quanto si tratta di un'azione virtuosa. Così va inteso il voto che uno fa ai santi, o al suo prelato: cioè nel senso che la promessa fatta ai santi o ai prelati è materialmente oggetto di voto, poiché si fa voto a Dio di adempiere quanto si promette ai santi, o ai prelati.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il voto > Se sia più lodevole e meritorio fare una cosa, senza il voto, o col voto


Secunda pars secundae partis
Quaestio 88
Articulus 6

[42782] IIª-IIae q. 88 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod magis sit laudabile et meritorium facere aliquid sine voto quam cum voto. Dicit enim prosper, in II de vita Contempl., sic abstinere vel ieiunare debemus ut non nos necessitati ieiunandi subdamus, ne iam non devoti, sed inviti rem voluntariam faciamus. Sed ille qui vovet ieiunium subdit se necessitati ieiunandi. Ergo melius esset si ieiunaret sine voto.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 88
Articolo 6

[42782] IIª-IIae q. 88 a. 6 arg. 1
SEMBRA che sia più lodevole e meritorio fare una cosa senza il voto che col voto. Infatti:
1. S. Prospero afferma: "Dobbiamo fare astinenza e digiunare così da non sottoporci alla necessità di farlo: affinché non ci capiti di farlo non già con devozione, ma contro voglia". Ora, chi emette il voto di digiunare si sottopone alla necessità di farlo. Perciò sarebbe meglio che digiunasse, senza farne il voto.

[42783] IIª-IIae q. 88 a. 6 arg. 2
Praeterea, apostolus dicit, II Cor. IX, unusquisque prout destinavit in corde suo, non ex tristitia aut ex necessitate, hilarem enim datorem diligit Deus. Sed quidam ea quae vovent ex tristitia faciunt, et hoc videtur procedere ex necessitate quam votum imponit, quia necessitas contristans est, ut dicitur V Metaphys. Ergo melius est aliquid facere sine voto quam cum voto.

 

[42783] IIª-IIae q. 88 a. 6 arg. 2
2. L'Apostolo così scrive ai Corinzi: "Ciascuno (dia) secondo che destinò nel suo cuore, non con rincrescimento, né per forza; poiché ilare donatore ama il Signore". Ma ci son di quelli che fanno con rincrescimento o tristezza le cose che hanno promesso con voto: e ciò pare che sia dovuto alla necessità imposta dal voto, poiché "la necessità è rattristante", come si esprime Aristotele. Perciò è meglio fare una cosa senza il voto che col voto.

[42784] IIª-IIae q. 88 a. 6 arg. 3
Praeterea, votum necessarium est ad hoc quod firmetur voluntas hominis ad rem quam vovet, ut supra habitum est. Sed non magis potest firmari voluntas ad aliquid faciendum quam cum actu facit illud. Ergo non melius est facere aliquid cum voto quam sine voto.

 

[42784] IIª-IIae q. 88 a. 6 arg. 3
3. Il voto è necessario a ben determinare la volontà a quanto si promette, come sopra abbiamo detto. Ma la volontà non può essere meglio determinata a fare una cosa che facendola realmente. Perciò fare una cosa col voto non è meglio che farla senza voto.

[42785] IIª-IIae q. 88 a. 6 s. c.
Sed contra est quod super illud Psalm., vovete et reddite, dicit Glossa, vovere voluntati consulitur. Sed consilium non est nisi de meliori bono. Ergo melius est facere aliquod melius opus ex voto quam sine voto, quia qui facit sine voto, implet tantum unum consilium, scilicet de faciendo; qui autem facit cum voto, implet duo consilia, scilicet et vovendo et faciendo.

 

[42785] IIª-IIae q. 88 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Nel commentare l'esortazione del Salmista, "Fate voti e adempiteli", la Glossa afferma: "Far voti è consigliato alla volontà". Ma il consiglio si dà soltanto di un bene migliore. Perciò è cosa migliore compiere un'azione per un voto fatto, che farla senza il voto: poiché chi la fa senza il voto ottempera a un consiglio soltanto, cioè a quello di compierla; mentre chi la fa col voto osserva due consigli, e cioè quello di far voti e quello di adempierli.

[42786] IIª-IIae q. 88 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod triplici ratione facere idem opus cum voto est melius et magis meritorium quam facere sine voto. Primo quidem, quia vovere, sicut dictum est, est actus latriae, quae est praecipua inter virtutes morales. Nobilioris autem virtutis est opus melius et magis meritorium. Unde actus inferioris virtutis est melior et magis meritorius ex hoc quod imperatur a superiori virtute, cuius actus fit per imperium, sicut actus fidei vel spei melior est si imperetur a caritate. Et ideo actus aliarum virtutum moralium, puta ieiunare, quod est actus abstinentiae, et continere, quod est actus castitatis, sunt meliora et magis meritoria si fiant ex voto, quia sic iam pertinent ad divinum cultum, quasi quaedam Dei sacrificia. Unde Augustinus dicit, in libro de virginitate, quod neque ipsa virginitas quia virginitas est, sed quia Deo dicata est, honoratur; quam fovet et servat continentia pietatis. Secundo, quia ille qui vovet aliquid et facit, plus se Deo subiicit quam ille qui solum facit. Subiicit enim se Deo non solum quantum ad actum sed etiam quantum ad potestatem, quia de cetero, non potest aliud facere, sicut plus daret homini qui daret ei arborem cum fructibus quam qui daret ei fructus tantum, ut dicit Anselmus, in libro de Similitud. Et inde est quod etiam promittentibus gratiae aguntur, ut dictum est. Tertio, quia per votum immobiliter voluntas firmatur in bonum. Facere autem aliquid ex voluntate firmata in bonum pertinet ad perfectionem virtutis, ut patet per philosophum, in II Ethic., sicut etiam peccare mente obstinata aggravat peccatum, et dicitur peccatum in spiritum sanctum, ut supra dictum est.

 

[42786] IIª-IIae q. 88 a. 6 co.
RISPONDO: Compiere un'azione col voto è cosa migliore e più meritoria che compierla senza voto, per tre motivi. Primo, perché fare un voto è, come abbiamo visto, un atto di latria, che è la prima delle virtù morali. E l'atto di una virtù superiore è migliore e più meritorio. E quindi gli atti di una virtù inferiore sono migliori e più meritori per il fatto che vengono comandati da una virtù superiore, di cui diventano così altrettante operazioni: in tal modo gli atti di fede e di speranza diventano migliori, se vengono comandati dalla carità. Perciò gli atti delle altre virtù morali, come p. es., il digiunare, che è un atto dell'astinenza, e l'osservare la continenza, che è un atto della castità, sono migliori e più meritori se compiuti per voto; perché così appartengono al culto divino, come altrettanti sacrifici fatti a Dio. Ecco perché S. Agostino insegna, che "la verginità stessa è onorata non perché è la verginità, ma perché è consacrata a Dio, ed è alimentata e custodita dalla continenza dettata dalla pietà".
Secondo, chi fa voto di qualche cosa e poi la compie sottomette se stesso a Dio più di chi la compie soltanto. Egli infatti si sottomette a Dio non solo per l'atto, ma per la stessa facoltà, poiché in seguito non può fare diversamente: chi, p. es., desse a un uomo un albero assieme ai suoi frutti, darebbe di più di chi desse soltanto i frutti, come scrive S. Anselmo. Ed ecco perché si ringraziano, come abbiamo detto, anche coloro che promettono.
Terzo, perché col voto la volontà si determina al bene stabilmente. Ora, come il Filosofo insegna, fare una cosa con la volontà confermata nel bene è un elemento che rientra nella perfezione della virtù: come del resto l'ostinazione della volontà aggrava la colpa, e ne fa un peccato contro lo Spirito Santo, come sopra abbiamo visto.

[42787] IIª-IIae q. 88 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod auctoritas illa est intelligenda de necessitate coactionis, quae involuntarium causat et devotionem excludit. Unde signanter dicit, ne iam non devoti, sed inviti rem voluntariam faciamus. Necessitas autem voti est per immutabilitatem voluntatis, unde et voluntatem confirmat et devotionem auget. Et ideo ratio non sequitur.

 

[42787] IIª-IIae q. 88 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La frase di S. Prospero va riferita alla necessità di coazione, che causa un atto involontario ed elimina la devozione. A ragione perciò egli dice: "Affinché non ci capiti di farlo non già con devozione, ma contro voglia". Invece la necessità del voto dipende dall'immutabilità del volere: e quindi il voto rafforza la volontà e accresce la devozione. Perciò l'argomento non regge.

[42788] IIª-IIae q. 88 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod necessitas coactionis, inquantum est contraria voluntati, tristitiam causat, secundum philosophum. Necessitas autem voti in his qui sunt bene dispositi, inquantum voluntatem confirmat, non causat tristitiam, sed gaudium. Unde Augustinus dicit, in epistola ad Armentarium et Paulinam, non te vovisse poeniteat, immo gaude iam tibi sic non licere quod cum tuo detrimento licuisset. Si tamen ipsum opus, secundum se consideratum, triste et involuntarium redderetur post votum, dum tamen remaneat voluntas votum implendi, adhuc est magis meritorium quam si fieret sine voto, quia impletio voti est actus religionis, quae est potior virtus quam abstinentia, cuius actus est ieiunare.

 

[42788] IIª-IIae q. 88 a. 6 ad 2
2. La necessità dovuta alla costrizione, essendo contraria alla volontà, causa tristezza, come nota il Filosofo. Ma la necessità imposta dal voto non causa tristezza bensì gioia in coloro che sono ben disposti, poiché rafforza la volontà. Di qui le parole di S. Agostino ad Armentario e Paolina: "Non ti pentire di aver fatto il voto: anzi rallegrati perché ormai non ti è più lecito fare quello che sarebbe stato lecito a tuo danno".
Tuttavia se l'opera promessa in sé considerata dovesse risultare penosa e contraria alla volontà dopo il voto, pur restando fermo il volere di adempierlo, l'atto sarebbe ancora più meritorio che se fosse compiuto senza il voto: poiché l'adempimento di un voto è un atto di religione, la quale è una virtù superiore all'astinenza, cui appartiene l'atto del digiunare.

[42789] IIª-IIae q. 88 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod ille qui facit aliquid sine voto habet immobilem voluntatem respectu illius operis singularis quod facit, et tunc quando facit, non autem manet voluntas eius omnino firmata in futurum, sicut voventis, qui suam voluntatem obligavit ad aliquid faciendum et antequam faceret illud singulare opus, et fortasse ad pluries faciendum.

 

[42789] IIª-IIae q. 88 a. 6 ad 3
3. Chi compie una cosa, senza averne fatto voto, ha il volere determinato rispetto all'atto singolo che compie, e al momento di compierlo: ma il suo volere non rimane ben determinato per il futuro, come quello di chi ha fatto un voto, obbligando la propria volontà a compiere una data cosa, sia prima di fare quell'atto singolo, sia forse a ripeterlo più volte.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il voto > Se i voti diventino solenni con il conferimento degli ordini sacri, e la professione di una regola determinata


Secunda pars secundae partis
Quaestio 88
Articulus 7

[42790] IIª-IIae q. 88 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod votum non solemnizetur per susceptionem sacri ordinis, et per professionem ad certam regulam. Votum enim, ut dictum est, promissio Deo facta est. Ea vero quae exterius aguntur ad solemnitatem pertinentia non videntur ordinari ad Deum, sed ad homines. Ergo per accidens se habent ad votum. Non ergo solemnitas talis est propria conditio voti.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 88
Articolo 7

[42790] IIª-IIae q. 88 a. 7 arg. 1
SEMBRA che i voti non diventino solenni con il conferimento degli ordini sacri e la professione di una regola determinata. Infatti:
1. Come abbiamo già visto, il voto è una promessa fatta a Dio. Ora, le cose che si compiono esteriormente, e che danno solennità all'atto, non interessano Dio, ma gli uomini. Esse quindi sono elementi accidentali del voto. Perciò solennità di tal genere non possono essere condizioni proprie del voto.

[42791] IIª-IIae q. 88 a. 7 arg. 2
Praeterea, illud quod pertinet ad conditionem alicuius rei, videtur posse competere omnibus illis in quibus res illa invenitur. Sed multa possunt sub voto cadere quae non pertinent neque ad sacrum ordinem, neque pertinent ad aliquam certam regulam, sicut cum quis vovet peregrinationem, aut aliquid huiusmodi. Ergo solemnitas quae fit in susceptione sacri ordinis vel in promissione certae regulae, non pertinet ad conditionem voti.

 

[42791] IIª-IIae q. 88 a. 7 arg. 2
2. Un elemento che incide sulla struttura di un genere di cose deve potersi attribuire a tutta la serie di cui esso si compone. Ora, molte sono le opere che possono essere materia di voto e che tuttavia non riguardano né l'ordine sacro, né una regola determinata: p. es., il voto di fare un pellegrinaggio. Dunque la solennità relativa al conferimento degli ordini sacri e alla professione di una regola determinata non incide sulla natura del voto.

[42792] IIª-IIae q. 88 a. 7 arg. 3
Praeterea, votum solemne idem videtur esse quod votum publicum. Sed multa alia vota possunt fieri in publico quam votum quod emittitur in susceptione sacri ordinis vel professione certae regulae, et huiusmodi etiam vota possunt fieri in occulto. Ergo non solum huiusmodi vota sunt solemnia.

 

[42792] IIª-IIae q. 88 a. 7 arg. 3
3. Dire voto solenne è come dire voto pubblico. Ma in pubblico si possono fare molti altri voti, oltre quello che si emette nel ricevere gli ordini sacri e nel professare una data regola. Anzi questi ultimi possono farsi anche in forma privata. Perciò codesti voti non sono gli unici voti solenni.

[42793] IIª-IIae q. 88 a. 7 s. c.
Sed contra est quod solum huiusmodi vota impediunt matrimonium contrahendum et dirimunt iam contractum; quod est effectus voti solemnis, ut infra dicetur in tertia huius operis parte.

 

[42793] IIª-IIae q. 88 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: Questi voti soltanto impediscono il matrimonio e dirimono il matrimonio già contratto; e ciò è effetto dei voti solenni, come vedremo nella Terza Parte.

[42794] IIª-IIae q. 88 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod unicuique rei solemnitas adhibetur secundum illius rei conditionem, sicut alia est solemnitas novae militiae, scilicet in quodam apparatu equorum et armorum et concursu militum; et alia solemnitas nuptiarum, quae consistit in apparatu sponsi et sponsae et conventu propinquorum. Votum autem est promissio Deo facta. Unde solemnitas voti attenditur secundum aliquid spirituale, quod ad Deum pertineat, idest secundum aliquam spiritualem benedictionem vel consecrationem, quae ex institutione apostolorum adhibetur in professione certae regulae, secundo gradu post sacri ordinis susceptionem, ut Dionysius dicit, VI cap. Eccles. Hier. Et huius ratio est quia solemnitates non consueverunt adhiberi nisi quando aliquis totaliter mancipatur alicui rei, non enim solemnitas nuptialis adhibetur nisi in celebratione matrimonii, quando uterque coniugum sui corporis potestatem alteri tradit. Et similiter voti solemnitas adhibetur quando aliquis per susceptionem sacri ordinis divino ministerio applicatur; et in professione certae regulae, quando per abrenuntiationem saeculi et propriae voluntatis aliquis statum perfectionis assumit.

 

[42794] IIª-IIae q. 88 a. 7 co.
RISPONDO: Ciascuna cosa riceve la solennità che la sua natura richiede: altra infatti è la solennità riservata al giuramento delle nuove reclute della milizia, consistente in schieramenti e apparati di cavalli, di armi e di soldati; e altra è la solennità delle nozze, che consiste nell'apparato degli sposi e nel convegno dei loro familiari. Ora, il voto è una promessa fatta a Dio. Perciò la solennità dei voti va riscontrata in qualche cosa di spirituale riguardante Dio: e cioè in una spirituale benedizione, o consacrazione, che per istituzione apostolica viene impartita nella professione di una regola determinata, e che a detta di Dionigi viene immediatamente dopo il conferimento degli ordini sacri.
E la ragione di ciò sta nel fatto che le solennità non vengono accordate, se non quando uno si dedica totalmente a un dato compito: così non si hanno le solennità delle nozze se non nella celebrazione del matrimonio, quando ciascuno dei coniugi consegna all'altro il dominio sul proprio corpo. Parimente, si ha la solennità del voto quando uno col ricevere gli ordini sacri viene applicato al ministero sacro; oppure quando, con la professione di una regola determinata, entra nello stato di perfezione mediante la rinunzia al mondo e alla propria volontà.

[42795] IIª-IIae q. 88 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod huiusmodi solemnitas pertinet non solum ad homines, sed ad Deum, inquantum habet aliquam spiritualem consecrationem seu benedictionem, cuius Deus est auctor, etsi homo sit minister, secundum illud Num. VI, invocabunt nomen meum super filios Israel, et ego benedicam eis. Et ideo votum solemne habet fortiorem obligationem apud Deum quam votum simplex; et gravius peccat qui illud transgreditur. Quod autem dicitur quod votum simplex non minus obligat apud Deum quam solemne, intelligendum est quantum ad hoc quod utriusque transgressor peccat mortaliter.

 

[42795] IIª-IIae q. 88 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La solennità di cui parliamo non riguarda soltanto gli uomini, ma Dio, in quanto implica una consacrazione o una benedizione spirituale, di cui Dio è causa, anche se l'uomo funge da ministro; poiché sta scritto: "Invocheranno il mio nome sui figli d'Israele, ed io li benedirò". Per questo i voti solenni hanno presso Dio un'obbligatorietà più grave dei voti semplici; e pecca più gravemente chi li trasgredisce. - L'affermazione poi, che "il voto semplice non obbliga presso Dio meno di quello solenne", va intesa nel senso che i trasgressori sia dell'uno che dell'altro peccano mortalmente.

[42796] IIª-IIae q. 88 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod particularibus actibus non consuevit solemnitas adhiberi, sed assumptioni novi status, ut dictum est. Et ideo cum quis vovet aliqua particularia opera, sicut aliquam peregrinationem vel aliquod speciale ieiunium, tali voto non congruit solemnitas, sed solum voto quo aliquis totaliter se subiicit divino ministerio seu famulatui; in quo tamen voto, quasi universali, multa particularia opera comprehenduntur.

 

[42796] IIª-IIae q. 88 a. 7 ad 2
2. La solennità viene riservata per consuetudine non ad azioni singole, ma all'ingresso in un nuovo stato, come sopra abbiamo detto. Perciò quando oggetto del voto sono azioni particolari, come un pellegrinaggio o un digiuno, a codesto voto non va attribuita nessuna solennità: ma questa va riservata al voto col quale uno si dedica totalmente al ministero ovvero al servizio di Dio; il quale voto, nella sua universalità, abbraccia molte opere particolari.

[42797] IIª-IIae q. 88 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod vota ex hoc quod fiunt in publico possunt habere quandam solemnitatem humanam, non autem solemnitatem spiritualem et divinam, sicut habent vota praemissa, etiam si coram paucis fiant. Unde aliud est votum esse publicum, et aliud esse solemne.

 

[42797] IIª-IIae q. 88 a. 7 ad 3
3. Per il fatto che sono emessi in pubblico i voti possono avere una certa solennità umana; non già quella spirituale e divina, come i voti ricordati, anche se emessi dinanzi a poche persone. Perciò una cosa sono i voti pubblici e un'altra i voti solenni.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il voto > Se le persone sottoposte al potere di altri siano impedite dal far voti


Secunda pars secundae partis
Quaestio 88
Articulus 8

[42798] IIª-IIae q. 88 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod illi qui sunt alterius potestati subiecti non impediantur a vovendo. Minus enim vinculum superatur a maiori. Sed obligatio qua quis subiicitur homini est minus vinculum quam votum, per quod aliquis obligatur Deo. Ergo illi qui sunt alienae potestati subiecti non impediuntur a vovendo.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 88
Articolo 8

[42798] IIª-IIae q. 88 a. 8 arg. 1
SEMBRA che le persone sottoposte al potere di altri non siano impedite dal far voti. Infatti:
1. Un vincolo minore deve cedere a un vincolo superiore. Ora, l'obbligo per cui una persona è sottoposta a un uomo è un vincolo inferiore al voto, per cui essa si obbliga verso Dio. Perciò coloro che sono sottoposti all'altrui potere non sono impediti dal far voti.

[42799] IIª-IIae q. 88 a. 8 arg. 2
Praeterea, filii sunt in potestate patris. Sed filii possunt profiteri in aliqua religione etiam sine voluntate parentum. Ergo non impeditur aliquis a vovendo per hoc quod est subiectus potestati alterius.

 

[42799] IIª-IIae q. 88 a. 8 arg. 2
2. I figli sono soggetti al potere del padre. Eppure essi possono professare in una data religione anche contro la volontà dei genitori. Dunque uno non è impedito dal far voti per il fatto che è sottoposto all'altrui potere.

[42800] IIª-IIae q. 88 a. 8 arg. 3
Praeterea, maius est facere quam promittere. Sed religiosi qui sunt sub potestate praelatorum possunt aliqua facere sine licentia suorum praelatorum, puta dicere aliquos Psalmos, vel facere aliquas abstinentias. Ergo videtur quod multo magis possunt huiusmodi vovendo Deo promittere.

 

[42800] IIª-IIae q. 88 a. 8 arg. 3
3. Fare è più che promettere. Ma i religiosi sottoposti al potere dei loro prelati possono, senza permesso, fare determinate cose: e cioè dire dei Salmi, o fare delle astinenze. A maggior ragione, quindi, essi possono promettere a Dio codeste cose facendone voto.

[42801] IIª-IIae q. 88 a. 8 arg. 4
Praeterea, quicumque facit quod de iure facere non potest, peccat. Sed subditi non peccant vovendo, quia hoc nunquam invenitur prohibitum. Ergo videtur quod de iure possunt vovere.

 

[42801] IIª-IIae q. 88 a. 8 arg. 4
4. Chiunque faccia quello che non può fare, commette peccato. Ora, i sottoposti nel far voti non peccano: poiché non c'è mai stata una proibizione del genere. Dunque secondo il diritto essi possono fare dei voti.

[42802] IIª-IIae q. 88 a. 8 s. c.
Sed contra est quod Num. XXX mandatur quod, si mulier in domo patris sui, et adhuc in puellari aetate, aliquid voverit, non tenetur rea voti nisi pater eius consenserit. Et idem dicit de muliere habente virum. Ergo, pari ratione, nec aliae personae alterius potestati subiectae possunt se voto obligare.

 

[42802] IIª-IIae q. 88 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Nei Numeri viene comandato che, "se una donna ha fatto voto di qualche cosa, e vive tuttora in casa del padre in età di fanciulla", non è tenuta al voto, se suo padre non vi consente. E lo stesso si dice per la donna sposata. Quindi per gli stessi motivi neppure le altre persone soggette all'altrui potere possono obbligarsi con voto.

[42803] IIª-IIae q. 88 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, votum est promissio quaedam Deo facta. Nullus autem potest per promissionem se firmiter obligare ad id quod est in potestate alterius, sed solum ad id quod est omnino in sua potestate. Quicumque autem est subiectus alicui, quantum ad id in quo est subiectus, non est suae potestatis facere quod vult, sed dependet ex voluntate alterius. Et ideo non potest se per votum firmiter obligare, in his in quibus alteri subiicitur, sine consensu sui superioris.

 

[42803] IIª-IIae q. 88 a. 8 co.
RISPONDO: Il voto, come abbiamo detto, è una promessa fatta a Dio. Ora, nessuno può obbligarsi stabilmente a una cosa che è soggetta al potere di un altro, ma solo a quanto ricade in suo potere. Ma chi è sottoposto a un altro, rispetto alle cose in cui è sottoposto non ha facoltà di fare ciò che vuole, ma dipende dal volere altrui. Quindi non può obbligarsi stabilmente con un voto a cose in cui dipende da un altro, senza il consenso del proprio superiore.

[42804] IIª-IIae q. 88 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod sub promissione Deo facta non cadit nisi quod est virtuosum, ut supra dictum est. Est autem contra virtutem ut id quod est alterius homo offerat Deo, ut supra dictum est. Et ideo non potest omnino salvari ratio voti, cum quis in potestate constitutus vovet id quod est in potestate alterius, nisi sub conditione si ille ad cuius potestatem pertinet non contradicat.

 

[42804] IIª-IIae q. 88 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come sopra abbiamo visto, la promessa che si fa a Dio non può avere per oggetto che atti virtuosi. Ma che un uomo offra a Dio cose che appartengono a un altro è un atto contrario alla virtù, come sopra abbiamo notato. Perciò non può sussistere il voto, quando un sottoposto promette ciò che ricade sotto il dominio di un altro, a meno che non lo faccia condizionandolo al suo consenso.

[42805] IIª-IIae q. 88 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod ex quo homo venit ad annos pubertatis, si sit liberae conditionis, est suae potestatis quantum ad ea quae pertinent ad suam personam, puta quod obliget se religioni per votum, vel quod matrimonium contrahat. Non autem est suae potestatis quantum ad dispensationem domesticam. Unde circa hoc non potest aliquid vovere quod sit ratum, sine consensu patris. Servus autem, quia est in potestate domini etiam quantum ad personales operationes, non potest se voto obligare ad religionem, per quam ab obsequio domini sui abstraheretur.

 

[42805] IIª-IIae q. 88 a. 8 ad 2
2. Giunto agli anni della pubertà un uomo di libera condizione può disporre di se stesso nelle cose che riguardano la sua persona: e quindi con voto può obbligarsi alla vita religiosa, o a contrarre matrimonio. Ma egli non può disporre liberamente dell'economia domestica. E quindi in questo campo non può far voti, valevoli senza il consenso paterno. - Lo schiavo invece, essendo sotto il dominio del padrone anche per le azioni strettamente personali, non può obbligarsi con voto alla vita religiosa, con la quale verrebbe a sottrarsi al dominio del padrone.

[42806] IIª-IIae q. 88 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod religiosus subditus est praelato quantum ad suas operationes secundum professionem regulae. Et ideo etiam si aliquis ad horam aliquid facere possit quando ad alia non occupatur a praelato, quia tamen nullum tempus est exceptum in quo praelatus non possit eum circa aliquid occupare, nullum votum religiosi est firmum nisi sit de consensu praelati. Sicut nec votum puellae existentis in domo, nisi sit de consensu patris, nec uxoris, nisi de consensu viri.

 

[42806] IIª-IIae q. 88 a. 8 ad 3
3. Il religioso dipende nell'operare dal suo prelato, secondo le norme di una data regola. Perciò anche se momentaneamente egli può fare altre cose, quando non viene occupato dal suo superiore, non può avere nessuna stabilità un voto da lui fatto, senza il consenso del superiore: perché non c'è un momento in cui non possa essere dal superiore impiegato in qualche cosa. Così non è valevole il voto di una figliuola di famiglia senza l'approvazione del padre; né quello della moglie, senza l'assenso del marito.

[42807] IIª-IIae q. 88 a. 8 ad 4
Ad quartum dicendum quod licet votum eorum qui sunt alterius potestati subiecti non sit firmum sine consensu eorum quibus subiiciuntur, non tamen peccant vovendo, quia in eorum voto intelligitur debita conditio, scilicet si suis superioribus placuerit, vel non renitantur.

 

[42807] IIª-IIae q. 88 a. 8 ad 4
4. Sebbene il voto di coloro che sono sottoposti all'altrui potere non sia valevole, senza l'approvazione dei loro superiori, essi tuttavia non peccano facendo il voto: poiché in codesto atto è sottintesa la condizione richiesta, e cioè se sarà gradito ai superiori, o non vi faranno opposizione.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il voto > Se i fanciulli possano obbligarsi con voto a entrare in religione


Secunda pars secundae partis
Quaestio 88
Articulus 9

[42808] IIª-IIae q. 88 a. 9 arg. 1
Ad nonum sic proceditur. Videtur quod pueri non possint voto se obligare ad religionis ingressum. Cum enim ad votum requiratur animi deliberatio, non competit vovere nisi illis qui habent usum rationis. Sed hoc deficit in pueris, sicut et in amentibus vel furiosis. Sicut ergo amentes et furiosi non possunt se ad aliquid voto adstringere, ita etiam nec pueri, ut videtur, possunt se voto obligare religioni.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 88
Articolo 9

[42808] IIª-IIae q. 88 a. 9 arg. 1
SEMBRA che i fanciulli non possano obbligarsi con voto a entrare in religione. Infatti:
1. Richiedendosi per il voto la deliberazione dell'animo, far voti appartiene solo a coloro che hanno l'uso di ragione. Ma questo manca nei fanciulli, come nei dementi e nei pazzi furiosi. Perciò, come non possono obbligarsi a un voto dementi e pazzi furiosi, così è evidente che non possono obbligarsi con voto a entrare in religione i fanciulli.

[42809] IIª-IIae q. 88 a. 9 arg. 2
Praeterea, illud quod rite potest ab aliquo fieri, non potest ab alio irritari. Sed votum religionis a puero vel puella factum ante annos pubertatis potest a parentibus revocari, vel a tutore, ut habetur XX, qu. II, cap. puella. Ergo videtur quod puer vel puella, ante quatuordecim annos, non possit rite vovere.

 

[42809] IIª-IIae q. 88 a. 9 arg. 2
2. Ciò che viene fatto legittimamente da una persona non può essere invalidato da un'altra. Invece il voto di entrare in religione fatto da un fanciullo o da una bambina prima della pubertà può essere revocato dai genitori; o dal tutore, secondo i canoni. Dunque un fanciullo, o una fanciulla prima di quattordici anni non può fare dei voti validi.

[42810] IIª-IIae q. 88 a. 9 arg. 3
Praeterea, religionem intrantibus annus probationis conceditur, secundum regulam beati Benedicti et secundum statutum Innocentii IV, ad hoc quod probatio obligationem voti praecedat. Ergo illicitum videtur esse quod pueri voto obligentur ad religionem ante probationis annum.

 

[42810] IIª-IIae q. 88 a. 9 arg. 3
3. Secondo la Regola di S. Benedetto e le norme di Innocenzo IV, a coloro che entrano in religione si concede un anno di esperimento, affinché la prova preceda sempre l'obbligo del voto. Perciò non è lecito che i fanciulli si leghino alla religione prima dell'anno di prova.

[42811] IIª-IIae q. 88 a. 9 s. c.
Sed contra, illud quod non est rite factum non est validum, etiam si a nullo revocetur. Sed votum puellae, etiam ante annos pubertatis emissum, validum est si infra annum a parentibus non revocetur, ut habetur XX, qu. II, cap. puella. Ergo licite et rite possunt pueri voto obligari ad religionem, etiam ante annos pubertatis.

 

[42811] IIª-IIae q. 88 a. 9 s. c.
IN CONTRARIO: Ciò che è fatto abusivamente è invalido, anche se non è revocato da nessuno. Invece secondo i canoni il voto fatto da una bambina prima degli anni della pubertà è valido, se entro un anno non viene revocato dai genitori. Dunque i fanciulli possono lecitamente e validamente obbligarsi a entrare in religione anche prima della pubertà.

[42812] IIª-IIae q. 88 a. 9 co.
Respondeo dicendum quod, sicut ex praedictis patet, duplex est votum, scilicet simplex, et solemne. Et quia solemnitas voti in quadam spirituali benedictione et consecratione consistit, ut dictum est, quae fit per ministerium Ecclesiae; ideo solemnizatio voti sub dispensatione Ecclesiae cadit. Votum autem simplex efficaciam habet ex deliberatione animi, qua quis se obligare intendit. Quod autem talis obligatio robur non habeat, dupliciter potest contingere. Uno quidem modo, propter defectum rationis, sicut patet in furiosis et amentibus, qui se voto non possunt obligare ad aliquid, dum sunt in furia vel amentia. Alio modo, quia ille qui vovet est alterius potestati subiectus, ut supra dictum est. Et ista duo concurrunt in pueris ante annos pubertatis, quia et patiuntur rationis defectum, ut in pluribus; et sunt naturaliter sub cura parentum, vel tutorum, qui sunt eis loco parentum. Et ideo eorum vota ex duplici causa robur non habent. Contingit tamen, propter naturae dispositionem, quae legibus humanis non subditur, in aliquibus, licet paucis, accelerari rationis usum, qui ob hoc dicuntur doli capaces. Nec tamen propter hoc in aliquo eximuntur a cura parentum, quae subiacet legi humanae respicienti ad id quod frequentius accidit. Est ergo dicendum quod si puer vel puella, ante pubertatis annos, nondum habeat usum rationis, nullo modo potest se ad aliquid voto obligare. Si vero ante annos pubertatis attigerit usum rationis, potest quidem, quantum in ipso est, se obligare, sed votum eius potest irritari per parentes, quorum curae remanet adhuc subiectus. Quantumcumque tamen sit doli capax, ante annos pubertatis non potest obligari voto solemni religionis, propter Ecclesiae statutum, quod respicit id quod in pluribus accidit. Post annos autem pubertatis, possunt iam se voto religionis obligare, vel simplici vel solemni, absque voluntate parentum.

 

[42812] IIª-IIae q. 88 a. 9 co.
RISPONDO: Come abbiamo già notato, il voto è di due specie: cioè semplice e solenne. E poiché la solennità del voto consiste in una benedizione, e consacrazione spirituale amministrata dalla Chiesa, la solennità dei voti dipende dalle disposizioni di quest'ultima. Il voto semplice invece riceve la sua efficacia dalla deliberazione dell'animo, con la quale uno intende obbligarsi. Che poi tale obbligazione non abbia valore può capitare per due motivi. Primo, per una menomazione dell'uso di ragione, come avviene nei deficienti, i quali non possono obbligarsi a nulla nei loro eccessi di follia. Secondo, perché chi fa il voto è sottoposto al potere di altri, come sopra abbiamo visto. Ora, nei fanciulli che non hanno raggiunto gli anni della pubertà si trovano riunite queste due cose: poiché ordinariamente non hanno il pieno uso della ragione, e per natura sono soggetti alla cura dei genitori, o dei tutori che ne fanno le veci. Perciò i loro voti sono inefficaci per due motivi. - La natura però non è sottoposta alle leggi umane, e quindi capitano dei fanciulli, sebbene pochi, nei quali l'uso di ragione è anticipato, e per questo si dice che son capaci di malizia. Ma non per questo essi sono esenti dalla cura dei genitori, la quale segue la legge umana che si adatta ai casi più frequenti.
Perciò si deve concludere che se il ragazzo, o la bambina, prima della pubertà è privo dell'uso di ragione, in nessun modo può obbligarsi con voto a qualche cosa. Se invece ha raggiunto l'uso della ragione, per quanto dipende da lui, può obbligarsi; ma il suo voto può essere invalidato dai genitori, ai quali rimane soggetto. Ma per quanto sia capace di malizia, prima della pubertà non può obbligarsi con i voti solenni alla vita religiosa, per le leggi della Chiesa, le quali stanno ai casi più frequenti. - Invece dopo gli anni della pubertà i ragazzi possono legarsi alla vita religiosa, sia con i voti semplici che con i voti solenni, indipendentemente dalla volontà dei genitori.

[42813] IIª-IIae q. 88 a. 9 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit de pueris qui nondum attigerunt usum rationis, quorum vota sunt invalida, ut dictum est.

 

[42813] IIª-IIae q. 88 a. 9 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'argomento addotto vale per i fanciulli che non hanno ancora raggiunto l'uso di ragione: i loro voti infatti sono invalidi, come abbiamo spiegato.

[42814] IIª-IIae q. 88 a. 9 ad 2
Ad secundum dicendum quod vota eorum qui sunt in potestate aliorum habent conditionem implicitam, scilicet si non revocentur a superiori, ex qua licita redduntur, et valida si conditio extat, ut dictum est.

 

[42814] IIª-IIae q. 88 a. 9 ad 2
2. I voti di coloro che sono sotto il potere di altri, sono legati a una condizione e cioè valgono a patto che non siano invalidati dai superiori; e questa condizione li rende leciti, come abbiamo visto, e anche validi, se la condizione regge.

[42815] IIª-IIae q. 88 a. 9 ad 3
Ad tertium dicendum quod ratio illa procedit de voto solemni quod fit per professionem.

 

[42815] IIª-IIae q. 88 a. 9 ad 3
3. L'ultimo argomento vale per i voti solenni, che vengono fatti con la professione.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il voto > Se il voto possa essere dispensato


Secunda pars secundae partis
Quaestio 88
Articulus 10

[42816] IIª-IIae q. 88 a. 10 arg. 1
Ad decimum sic proceditur. Videtur quod in voto dispensari non possit. Minus enim est commutari votum quam in eo dispensari. Sed votum non potest commutari, dicitur enim Levit. XXVII, animal quod immolari potest domino, si quis voverit, sanctum erit, et mutari non poterit, nec melius malo nec peius bono. Ergo multo minus potest dispensari in voto.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 88
Articolo 10

[42816] IIª-IIae q. 88 a. 10 arg. 1
SEMBRA che il voto non si possa dispensare. Infatti:
1. Commutare un voto è meno che dispensarlo. Eppure il voto non si può commutare; poiché sta scritto: "Se uno avrà fatto voto di un animale che può essere immolato al Signore, ormai esso è cosa santa, e non può essere cambiato né in meglio né in peggio". Dunque meno che mai un voto si potrà dispensare.

[42817] IIª-IIae q. 88 a. 10 arg. 2
Praeterea, in his quae sunt de lege naturae et in praeceptis divinis non potest per hominem dispensari, et praecipue in praeceptis primae tabulae, quae ordinantur directe ad dilectionem Dei, quae est ultimus praeceptorum finis. Sed implere votum est de lege naturae; et est etiam praeceptum legis divinae, ut ex supra dictis patet; et pertinet ad praecepta primae tabulae, cum sit actus latriae. Ergo in voto dispensari non potest.

 

[42817] IIª-IIae q. 88 a. 10 arg. 2
2. Nelle norme di legge naturale e nei precetti di Dio non si può avere la dispensa da un uomo: specialmente poi nei precetti della prima tavola, che sono ordinati direttamente all'amore di Dio, fine ultimo dei precetti. Ma l'adempimento dei voti è una norma di legge naturale, nonché un precetto della legge divina, com'è evidente da quanto abbiamo spiegato; e appartiene ai precetti della prima tavola, essendo un atto di latria. Perciò i voti non si possono dispensare.

[42818] IIª-IIae q. 88 a. 10 arg. 3
Praeterea, obligatio voti fundatur super fidelitatem quam homo debet Deo, ut dictum est. Sed in hac nullus potest dispensare. Ergo nec in voto.

 

[42818] IIª-IIae q. 88 a. 10 arg. 3
3. L'obbligo del voto si fonda sul dovere di fedeltà che l'uomo ha verso Dio, come sopra abbiamo detto. Ma in questo nessuno può dispensare. Dunque neppure dal voto.

[42819] IIª-IIae q. 88 a. 10 s. c.
Sed contra, maioris firmitatis esse videtur quod procedit ex communi voluntate quam quod procedit ex singulari voluntate alicuius personae. Sed in lege, quae habet robur ex communi voluntate, potest per hominem dispensari. Ergo videtur quod etiam in voto per hominem dispensari possit.

 

[42819] IIª-IIae q. 88 a. 10 s. c.
IN CONTRARIO: Ciò che emana dalla volontà collettiva si presenta come più stabile di quanto emana dalla volontà di una persona singola. Ora, un uomo può dispensare le leggi, che devono la loro forza alla volontà collettiva. Perciò è evidente che egli può dispensare anche i voti.

[42820] IIª-IIae q. 88 a. 10 co.
Respondeo dicendum quod dispensatio voti intelligenda est ad modum dispensationis quae fit in observantia alicuius legis. Quia, ut supra dictum est, lex ponitur respiciendo ad id quod est ut in pluribus bonum, sed quia contingit huiusmodi in aliquo casu non esse bonum, oportuit per aliquem determinari in illo particulari casu legem non esse servandam. Et hoc proprie est dispensare in lege, nam dispensatio videtur importare commensuratam quandam distributionem vel applicationem communis alicuius ad ea quae sub ipso continentur, per quem modum dicitur aliquis dispensare cibum familiae. Similiter autem ille qui vovet quodammodo sibi statuit legem, obligans se ad aliquid quod est secundum se et in pluribus bonum. Potest tamen contingere quod in aliquo casu sit vel simpliciter malum, vel inutile, vel maioris boni impeditivum, quod est contra rationem eius quod cadit sub voto, ut ex praedictis patet. Et ideo necesse est quod determinetur in tali casu votum non esse servandum. Et si quidem absolute determinetur aliquod votum non esse servandum, dicitur esse dispensatio voti. Si autem pro hoc quod servandum erat aliquid aliud imponatur, dicitur commutatio voti. Unde minus est votum commutare quam in voto dispensare. Utrumque tamen in potestate Ecclesiae consistit.

 

[42820] IIª-IIae q. 88 a. 10 co.
RISPONDO: La dispensa di un voto va concepita come le dispense che si concedono nell'osservanza di una legge. Ora, la legge come sopra abbiamo visto, vien data in considerazione di quanto è bene nella maggior parte dei casi: ma siccome capitano dei casi in cui ciò non è bene, è necessario che qualcuno possa determinare, in quel caso particolare, che la legge non va osservata. E questo propriamente significa dispensare una legge: poiché la dispensa si presenta come una distribuzione fatta a misura, o come l'applicazione di un dato universale ai soggetti che abbraccia, e in tal senso si dice che uno dispensa il cibo ai membri di una famiglia.
Parimente, colui che fa un voto in qualche modo impone a se stesso una legge, obbligandosi a qualche cosa che nella maggior parte dei casi è un bene. Ma in certi casi può capitare che ciò si risolva in un male, e in qualche cosa d'inutile e d'incompatibile con un bene maggiore: il che distrugge le condizioni essenziali, da noi sopra indicate, perché una cosa sia materia di voto. Perciò in questi casi è necessario poter determinare che il voto non va osservato. E se viene determinato che un voto non va osservato assolutamente, si ha la dispensa del voto. Se invece viene imposta qualche altra cosa in sostituzione di quanto si doveva compiere, si ha la commutazione. Perciò la commutazione è meno della dispensa del voto. Tuttavia l'una e l'altra facoltà è rimessa all'autorità della Chiesa.

[42821] IIª-IIae q. 88 a. 10 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod animal quod immolari poterat, ex hoc ipso quod vovebatur, sanctum reputabatur, quasi divino cultui mancipatum, et haec erat ratio quare non poterat commutari; sicut nec modo posset aliquis rem quam vovit, iam consecratam, puta calicem vel domum, commutare in melius vel in peius. Animal autem quod non poterat sanctificari quia non erat immolatitium, redimi poterat et debebat, sicut ibidem lex dicit. Et ita etiam nunc commutari possunt vota si consecratio non interveniat.

 

[42821] IIª-IIae q. 88 a. 10 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'animale atto all'immolazione, dal momento che veniva votato a Dio, era considerato sacro, perché destinato al culto: e questo era il motivo per cui non si poteva commutare; come del resto anche ora non si può commutare in meglio o in peggio una cosa votata e già consacrata, p. es., un calice o un edificio. Invece un animale che non si poteva sacrificare, perché non atto all'immolazione, si poteva e si doveva redimere, secondo le prescrizioni della legge. E anche adesso si possono commutare i voti, se non c'è stata consacrazione.

[42822] IIª-IIae q. 88 a. 10 ad 2
Ad secundum dicendum quod sicut ex iure naturali et praecepto divino tenetur homo implere votum, ita etiam tenetur ex eisdem obedire superiorum legi vel mandato. Et tamen cum dispensatur in aliqua lege humana, non fit ut legi humanae non obediatur, quod est contra legem naturae et mandatum divinum, sed fit ut hoc quod erat lex, non sit lex in hoc casu. Ita etiam auctoritate superioris dispensantis fit ut hoc quod continebatur sub voto, non contineatur, inquantum determinatur in hoc casu hoc non esse congruam materiam voti. Et ideo cum praelatus Ecclesiae dispensat in voto, non dispensat in praecepto iuris naturalis vel divini, sed determinat id quod cadebat sub obligatione deliberationis humanae, quae non potuit omnia circumspicere.

 

[42822] IIª-IIae q. 88 a. 10 ad 2
2. Come per legge naturale e per legge divina un uomo è tenuto ad adempiere il voto, così per codeste leggi è tenuto ad ubbidire alla legge e ai comandi dei superiori. E anche quando uno vien dispensato da una legge umana, ciò non si fa per non ubbidire a codesta legge, il che sarebbe contro la legge di natura e i precetti di Dio; ma si fa perché quanto era legge, non sia più legge in questo caso particolare. Così quando per l'autorità di un superiore si dispensa un voto, avviene che quanto era oggetto di voto non ricada più sotto il voto; poiché vien determinato, nel caso, che quella non è materia adatta per il voto. Perciò quando un prelato della Chiesa dispensa un voto, non dispensa il precetto di diritto naturale o divino: ma solo determina meglio quanto cadeva sotto l'obbligazione di una deliberazione umana, la quale non era in grado di prevedere tutte le circostanze.

[42823] IIª-IIae q. 88 a. 10 ad 3
Ad tertium dicendum quod ad fidelitatem Deo debitam non pertinet quod homo faciat id quod ad vovendum est malum, vel inutile, vel maioris boni impeditivum, ad quod tendit voti dispensatio. Et ideo dispensatio voti non est contra fidelitatem Deo debitam.

 

[42823] IIª-IIae q. 88 a. 10 ad 3
3. La fedeltà verso Dio non esige che uno col suo voto faccia quello che è intrinsecamente male, o una cosa inutile, oppure incompatibile con un bene superiore: e a questo appunto provvede la dispensa. Perciò la dispensa del voto non è in contrasto con la fedeltà a Dio dovuta.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il voto > Se il voto solenne di castità possa essere dispensato


Secunda pars secundae partis
Quaestio 88
Articulus 11

[42824] IIª-IIae q. 88 a. 11 arg. 1
Ad undecimum sic proceditur. Videtur quod in voto solemni continentiae possit fieri dispensatio. Una enim ratio dispensandi in voto est si sit impeditivum melioris boni, sicut dictum est. Sed votum continentiae, etiam si sit solemne, potest esse impeditivum melioris boni, nam bonum commune est divinius quam bonum unius; potest autem per continentiam alicuius impediri bonum totius multitudinis, puta si quando per contractum matrimonii aliquarum personarum quae continentiam voverunt, posset pax patriae procurari. Ergo videtur quod in solemni voto continentiae possit dispensari.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 88
Articolo 11

[42824] IIª-IIae q. 88 a. 11 arg. 1
SEMBRA che il voto solenne di castità possa essere dispensato. Infatti:
1. Uno dei motivi per la dispensa di un voto si ha, come abbiamo detto, nell'ipotesi che sia di ostacolo a un bene superiore. Ora, il voto di castità, anche se solenne, può essere di ostacolo a un bene più grande. Infatti "il bene comune è più divino del bene di un individuo". Ma può capitare che la continenza di una persona impedisca il bene di tutta una collettività, quando col matrimonio di persone che han fatto voto di castità si potrebbe assicurare la pace alla patria. Dunque è evidente che il voto solenne di castità si può dispensare.

[42825] IIª-IIae q. 88 a. 11 arg. 2
Praeterea, latria est nobilior virtus quam castitas. Sed si quis voveat aliquem actum latriae, puta offerre Deo sacrificium, potest in illo voto dispensari. Ergo multo magis potest dispensari in voto continentiae, quod est de actu castitatis.

 

[42825] IIª-IIae q. 88 a. 11 arg. 2
2. La religione è una virtù più nobile della castità. Ma se uno fa voto di compiere qualche atto di latria, come offrire un sacrificio a Dio, può essere dispensato. A maggior ragione, quindi, si può essere dispensati dal voto di castità.

[42826] IIª-IIae q. 88 a. 11 arg. 3
Praeterea, sicut votum abstinentiae observatum potest vergere in periculum personae, ita etiam observatio voti continentiae. Sed in voto abstinentiae, si vergat in corporale periculum voventis, potest fieri dispensatio. Ergo etiam, pari ratione, in voto continentiae potest dispensari.

 

[42826] IIª-IIae q. 88 a. 11 arg. 3
3. L'osservanza del voto di castità può risolversi in un pericolo per la persona, come l'osservanza del voto di astinenza. Ma il voto di fare astinenza può essere dispensato, se costituisce un pericolo per la salute fisica di chi l'ha fatto. Dunque per lo stesso motivo uno può essere dispensato dal voto di castità.

[42827] IIª-IIae q. 88 a. 11 arg. 4
Praeterea, sicut sub professione religionis, ex qua votum solemnizatur, continetur votum continentiae, ita etiam et votum paupertatis et obedientiae. Sed in voto paupertatis et obedientiae potest dispensari, sicut patet in illis qui post professionem ad episcopatum assumuntur. Ergo videtur quod in solemni voto continentiae possit dispensari.

 

[42827] IIª-IIae q. 88 a. 11 arg. 4
4. La professione religiosa, da cui i voti ricevono la loro solennità, abbraccia sia il voto di castità, sia quelli di povertà e di obbedienza. Ora, nei voti di povertà e di obbedienza si può dispensare: com'è evidente nel caso di coloro che vengono assunti all'episcopato dopo la professione. È chiaro, quindi, che anche il voto solenne di castità può essere dispensato.

[42828] IIª-IIae q. 88 a. 11 s. c. 1
Sed contra est quod dicitur Eccli. XXVI, omnis ponderatio non est digna animae continentis.

 

[42828] IIª-IIae q. 88 a. 11 s. c. 1
IN CONTRARIO: 1. Sta scritto: "Non c'è peso che valga un'anima casta".

[42829] IIª-IIae q. 88 a. 11 s. c. 2
Praeterea, extra, de statu Monach., in fine illius decretalis, cum ad monasterium, dicitur, abdicatio proprietatis, sicut etiam custodia castitatis, adeo est annexa regulae monachali ut contra eam nec summus pontifex possit indulgere.

 

[42829] IIª-IIae q. 88 a. 11 s. c. 2
2. Nelle Decretali si legge: "La rinunzia alla proprietà, come la custodia della castità, è così connessa con la regola monastica, che contro di essa non può dispensare neppure il Sommo Pontefice".

[42830] IIª-IIae q. 88 a. 11 co.
Respondeo dicendum quod in solemni voto continentiae tria possunt considerari, primo quidem, materia voti, scilicet ipsa continentia; secundo, perpetuitas voti, cum scilicet aliquis voto se adstringit ad perpetuam observantiam continentiae; tertio, ipsa solemnitas voti. Dicunt ergo quidam quod votum solemne est indispensabile ratione ipsius continentiae, quae non recipit condignam recompensationem, ut patet ex auctoritate inducta. Cuius rationem quidam assignant quia per continentiam homo triumphat de domestico inimico, vel quia per continentiam homo perfecte conformatur Christo, secundum puritatem animae et corporis. Sed hoc non videtur efficaciter dici. Quia bona animae, utpote contemplatio et oratio, sunt multo meliora bonis corporis, et magis nos Deo conformant, et tamen potest dispensari in voto orationis vel contemplationis. Unde non videtur esse ratio quare non possit dispensari in voto continentiae, si respiciatur absolute ad ipsam continentiae dignitatem. Praesertim cum apostolus, I ad Cor. VII, ad continentiam inducat propter contemplationem, dicens quod mulier innupta cogitat quae Dei sunt, finis autem potior est his quae sunt ad finem. Et ideo alii rationem huius assignant ex perpetuitate et universalitate huius voti. Dicunt enim quod votum continentiae non potest praetermitti nisi per id quod est omnino contrarium, quod nunquam licet in aliquo voto. Sed hoc est manifeste falsum. Quia sicut uti carnali copula est continentiae contrarium, ita comedere carnes vel bibere vinum est contrarium abstinentiae a talibus, et tamen in huiusmodi votis potest dispensari. Et ideo aliis videtur quod in voto solemni continentiae possit dispensari propter aliquam communem utilitatem seu necessitatem, ut patet in exemplo praemisso de pacificatione terrarum ex aliquo matrimonio contrahendo. Sed quia decretalis inducta expresse dicit quod nec summus pontifex potest contra custodiam castitatis monacho licentiam dare, ideo aliter videtur dicendum, quod, sicut supra dictum est, et habetur Levit. ult., illud quod semel sanctificatum est domino, non potest in alios usus commutari. Non autem potest facere aliquis Ecclesiae praelatus ut id quod est sanctificatum sanctificationem amittat, etiam in rebus inanimatis, puta quod calix consecratus desinat esse consecratus, si maneat integer. Unde multo minus hoc potest facere aliquis praelatus, ut homo Deo consecratus, quandiu vivit, consecratus esse desistat. Solemnitas autem voti consistit in quadam consecratione seu benedictione voventis, ut dictum est. Et ideo non potest fieri per aliquem praelatum Ecclesiae quod ille qui votum solemne emisit desistat ab eo ad quod est consecratus, puta quod ille qui est sacerdos non sit sacerdos, licet possit praelatus ob aliquam causam executionem ordinis inhibere. Et simili ratione, Papa non potest facere quod ille qui est professus religionem non sit religiosus, licet quidam iuristae ignoranter contrarium dicant. Est ergo considerandum utrum continentia sit essentialiter annexa ei ad quod votum solemnizatur, quia si non est ei essentialiter annexa, potest manere solemnitas consecrationis sine debito continentiae; quod non potest contingere si sit essentialiter annexum ei ad quod votum solemnizatur. Non est autem essentialiter annexum debitum continentiae ordini sacro, sed ex statuto Ecclesiae. Unde videtur quod per Ecclesiam possit dispensari in voto continentiae solemnizato per susceptionem sacri ordinis. Est autem debitum continentiae essentiale statui religionis, per quem homo abrenuntiat saeculo, totaliter Dei servitio mancipatus; quod non potest simul stare cum matrimonio, in quo incumbit necessitas procurandae uxoris et prolis et familiae, et rerum quae ad hoc requiruntur. Unde apostolus dicit, I ad Cor. VII, quod qui est cum uxore sollicitus est quae sunt mundi, quomodo placeat uxori, et divisus est. Unde nomen monachi ab unitate sumitur, per oppositum ad divisionem praedictam. Et ideo in voto solemnizato per professionem religionis non potest per Ecclesiam dispensari, et rationem assignat decretalis, quia castitas est annexa regulae monachali.

 

[42830] IIª-IIae q. 88 a. 11 co.
RISPONDO: Nel voto solenne di castità si possono considerare tre cose: primo, la materia del voto, e cioè la continenza stessa; secondo, la perpetuità del voto, per cui uno si obbliga all'osservanza perpetua della castità; terzo, la solennità del voto. Ci sono, dunque, alcuni i quali dicono che il voto solenne è indispensabile a motivo della castità medesima, la quale non ammette comparazioni, come dice il testo citato dalla Scrittura. E la ragione di ciò alcuni la trovano nel fatto che mediante la castità l'uomo trionfa del suo nemico domestico: oppure nel fatto che mediante la castità l'uomo si modella perfettamente su Cristo nella purezza dell'anima e del corpo. - Ma questo non persuade. Poiché i beni dell'anima, come la contemplazione e la preghiera, sono molto superiori ai beni del corpo; e ci rendono più simili a Dio: e tuttavia si può essere dispensati dal voto di pregare e di contemplare. Perciò il motivo dell'impossibilità di dispensare il voto di castità non si può trovare nella considerazione della sola dignità della continenza. Specialmente se pensiamo che l'Apostolo esorta alla castità in vista della contemplazione, notando che "la donna non sposata pensa alle cose di Dio". Ora, il fine è sempre superiore ai mezzi.
Perciò altri danno come motivo dell'indispensabilità suddetta la perpetuità e l'universalità di questo voto. Essi dicono infatti che il voto di castità non si può tralasciare che con atti del tutto contrari: il che non è lecito in nessun voto. - Ma ciò è falso in maniera patente. Poiché come usare la copula carnale è contrario alla castità, così mangiare carne o bere vino è contrario all'astinenza da codesti cibi o bevande: eppure in codesti voti si dispensa.
Ecco perché alcuni pensano che il voto solenne di castità si possa dispensare per una utilità o necessità pubblica: com'è evidente nell'esempio adottato della paciflcazione dei popoli mediante un contratto di matrimonio.
Ma poiché la decretale sopra citata dice espressamente che il Sommo Pontefice non può concedere a un monaco la dispensa dalla castità, si deve rispondere diversamente: ricordando, come abbiamo fatto sopra, e come è detto nel Levitico, che le cose una volta consacrate al Signore, non possono essere adibite ad altri usi. Ora, un prelato della Chiesa non può fare che quanto è stato consacrato perda la sua consacrazione, anche se si tratta di cose inanimate: così un calice consacrato non cessa di essere consacrato, se rimane intero. Perciò meno che mai un prelato può far sì che un uomo consacrato a Dio per tutta la vita cessi di essere consacrato. Ebbene, la solennità dei voti consiste appunto in una consacrazione o benedizione di chi li emette, come sopra abbiamo detto. E quindi non è possibile che un prelato della Chiesa faccia sì che un professo solenne cessi dalla sua consacrazione, oppure che chi è sacerdote cessi dall'essere sacerdote: sebbene il prelato per certi motivi possa proibire l'esercizio dell'ordine. Per lo stesso motivo, il Papa non può fare che uno il quale abbia professato in una religione non sia religioso: sebbene alcuni giuristi per ignoranza dicano il contrario.
Perciò bisogna vedere se la castità sia connessa essenzialmente con la solennità del voto: perché se non è connessa essenzialmente, può rimanere la solennità della consacrazione, senza l'obbligo della continenza; il che è impossibile, se è connessa con quanto costituisce il voto solenne.
L'obbligo della continenza, invero, non è connesso con l'ordine sacro in maniera essenziale, ma per una disposizione della Chiesa. E quindi la Chiesa potrebbe dispensare dal voto di castità reso solenne dal conferimento dell'ordine sacro. - Ma l'obbligo della continenza è essenziale per lo stato religioso, col quale si rinunzia al secolo, per dedicarsi totalmente al servizio di Dio; e ciò è incompatibile col matrimonio, nel quale incombe la necessità di provvedere alla moglie, alla prole, alla famiglia e a tutte le cose che per questo si richiedono. Ecco perché l'Apostolo scriveva, che "chi è sposato pensa alle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e resta diviso". Infatti il termine monaco deriva (da µ???? uno, cioè) dall'unità, in opposizione alla divisione suddetta. Perciò nei voti resi solenni dalla professione religiosa la Chiesa non può dispensare; e la decretale ne dà la ragione, dicendo che "la castità è connessa con la regola monastica".

[42831] IIª-IIae q. 88 a. 11 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod periculis rerum humanarum est obviandum per res humanas, non autem per hoc quod res divinae convertantur in usum humanum. Professi autem religionem mortui sunt mundo et vivunt Deo. Unde non sunt revocandi ad vitam humanam occasione cuiuscumque eventus.

 

[42831] IIª-IIae q. 88 a. 11 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ai pericoli che incombono sulle cose umane si deve provvedere con le cose umane: non già degradando le cose divine ad usi umani. Ora, coloro che hanno professato una religione sono morti al mondo e vivono per Dio. Essi quindi per nessun motivo devono essere ricondotti alla vita umana.

[42832] IIª-IIae q. 88 a. 11 ad 2
Ad secundum dicendum quod in voto temporalis continentiae dispensari potest, sicut et in voto temporalis orationis vel temporalis abstinentiae. Sed quod in voto continentiae per professionem solemnizato non possit dispensari, hoc non est inquantum est actus castitatis, sed inquantum incipit ad latriam pertinere per professionem religionis.

 

[42832] IIª-IIae q. 88 a. 11 ad 2
2. Il voto temporaneo di castità può essere dispensato, come il voto temporaneo di dedicarsi alla preghiera e all'astinenza. Ma l'indispensabilità del voto di castità reso solenne dalla professione non dipende dalla natura degli atti relativi, bensì dal fatto che questi diventano atti di latria con la professione religiosa.

[42833] IIª-IIae q. 88 a. 11 ad 3
Ad tertium dicendum quod cibus directe ordinatur ad conservationem personae, et ideo abstinentia cibi directe potest vergere in periculum personae. Unde ex hac ratione recipit votum abstinentiae dispensationem. Sed coitus non ordinatur directe ad conservationem personae, sed ad conservationem speciei. Unde nec directe abstinentia coitus per continentiam vergit in periculum personae. Sed si per accidens ex ea aliquod periculum personale accidat, potest aliter subveniri, scilicet per abstinentiam, vel alia corporalia remedia.

 

[42833] IIª-IIae q. 88 a. 11 ad 3
3. Il vitto è ordinato direttamente alla conservazione della persona: e quindi l'astinenza può diventare direttamente un pericolo personale. Ecco perché il voto dell'astinenza può essere dispensato. Ma il coito non è ordinato direttamente alla conservazione della persona, bensì a quella della specie. Quindi l'astenersi da esso non costituisce un pericolo personale. E se lo fosse in maniera indiretta, si potrebbe provvedere diversamente: cioè con l'astinenza, o con altri rimedi corporali.

[42834] IIª-IIae q. 88 a. 11 ad 4
Ad quartum dicendum quod religiosus qui fit episcopus, sicut non absolvitur a voto continentiae, ita nec a voto paupertatis, quia nihil debet habere tanquam proprium, sed sicut dispensator communium bonorum Ecclesiae. Similiter etiam non absolvitur a voto obedientiae, sed per accidens obedire non tenetur, si superiorem non habeat, sicut et abbas monasterii, qui tamen non est a voto obedientiae absolutus.

 

[42834] IIª-IIae q. 88 a. 11 ad 4
4. Il religioso che è fatto vescovo, come non è dispensato dal voto di castità, così non lo è neppure da quello di povertà: poiché egli non deve amministrare i beni come cose proprie, ma come beni comuni della Chiesa. Parimente non è dispensato dal voto di obbedienza, ma solo per accidens non è tenuto a ubbidire, se non ha un superiore; lo stesso vale per l'abate di un monastero, che pure non è sciolto dal voto di obbedienza.

[42835] IIª-IIae q. 88 a. 11 ad 5
Auctoritas vero Ecclesiastici quae in contrarium obiicitur, intelligenda est quantum ad hoc quod nec fecunditas carnis, nec aliquod corporale bonum est comparandum continentiae, quae inter bona animae computatur, ut Augustinus dicit, in libro de sancta virginitate. Unde signanter dicitur, animae continentis, non, carnis continentis.

 

[42835] IIª-IIae q. 88 a. 11 ad 5
5. Il testo dell'Ecclesiastico, riportato nell'argomento in contrario, va spiegato nel senso che né la fecondità della carne, né altri beni materiali sono da paragonarsi alla continenza, la quale è posta tra i beni dell'anima, come insegna S. Agostino. Ecco perché si dice espressamente: "un'anima casta", e non "una carne casta".




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > Il voto > Se per commutare, o dispensare i voti si richieda l'autorità di un superiore ecclesiastico


Secunda pars secundae partis
Quaestio 88
Articulus 12

[42836] IIª-IIae q. 88 a. 12 arg. 1
Ad duodecimum sic proceditur. Videtur quod ad commutationem vel dispensationem voti non requiratur praelati auctoritas. Aliquis enim potest intrare religionem absque auctoritate alicuius superioris praelati. Sed per introitum religionis absolvitur homo a votis in saeculo factis, etiam a voto terrae sanctae. Ergo voti commutatio vel dispensatio potest esse absque auctoritate superioris praelati.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 88
Articolo 12

[42836] IIª-IIae q. 88 a. 12 arg. 1
SEMBRA che per commutare, o per dispensare i voti non si richieda l'autorità di un superiore ecclesiastico. Infatti:
1. Uno può entrare in religione senza ricorrere all'autorità del suo superiore ecclesiastico. Ora, con l'entrata in religione si viene dispensati da tutti i voti fatti nel secolo, compreso quello di andare in Terra Santa. Dunque la commutazione, o la dispensa dei voti si può avere senza l'autorità dei superiori ecclesiastici.

[42837] IIª-IIae q. 88 a. 12 arg. 2
Praeterea, dispensatio voti in hoc consistere videtur quod determinatur in quo casu votum non sit observandum. Sed si praelatus male determinet, non videtur esse vovens absolutus a voto, quia nullus praelatus potest dispensare contra praeceptum divinum de implendo voto, ut dictum est. Similiter etiam si aliquis propria auctoritate recte determinet in quo casu votum non sit implendum, non videtur voto teneri, quia votum non obligat in casu in quo habet peiorem eventum, ut dictum est. Ergo dispensatio voti non requirit auctoritatem alicuius praelati.

 

[42837] IIª-IIae q. 88 a. 12 arg. 2
2. La dispensa di un voto consiste nel determinare quando nei singoli casi il voto non dev'essere osservato. Ma se il prelato determina malamente, l'interessato non sembra per questo dispensato dal voto: poiché nessun prelato può dispensare dal precetto divino che impone l'adempimento dei voti, come sopra abbiamo notato. Parimente, se uno di propria autorità determina giustamente che un voto non va osservato, non pare che vi sia tenuto: poiché il voto, come abbiamo visto sopra, non obbliga nel caso in cui porta a delle cattive conseguenze. Perciò la dispensa dei voti non richiede l'autorità di un superiore ecclesiastico.

[42838] IIª-IIae q. 88 a. 12 arg. 3
Praeterea, si dispensare in voto pertinet ad potestatem praelatorum, pari ratione pertineret ad omnes. Sed non pertinet ad omnes dispensare in quolibet voto. Ergo non pertinet ad potestatem praelatorum dispensatio voti.

 

[42838] IIª-IIae q. 88 a. 12 arg. 3
3. Se la dispensa dei voti fosse una facoltà dei superiori ecclesiastici, tutti costoro potrebbero esercitarla ugualmente. Ma non tutti hanno la facoltà di dispensare da qualsiasi voto. Dunque la facoltà di dispensare i voti non appartiene ai superiori ecclesiastici.

[42839] IIª-IIae q. 88 a. 12 s. c.
Sed contra, sicut lex obligat ad aliquid faciendum, ita et votum. Sed ad dispensandum in praecepto legis requiritur superioris auctoritas, ut supra dictum est. Ergo, pari ratione, etiam in dispensatione voti.

 

[42839] IIª-IIae q. 88 a. 12 s. c.
IN CONTRARIO: Il voto, come la legge, obbliga a compiere determinate cose. Ora, per dispensare dai precetti della legge si richiede l'autorità dei superiori, come sopra abbiamo dimostrato. Dunque per lo stesso motivo essa si richiede anche per la dispensa dei voti.

[42840] IIª-IIae q. 88 a. 12 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, votum est promissio Deo facta de aliquo quod sit Deo acceptum. Quid sit autem in aliqua promissione acceptum ei cui promittitur, ex eius pendet arbitrio. Praelatus autem in Ecclesia gerit vicem Dei. Et ideo in commutatione vel dispensatione votorum requiritur praelati auctoritas, quae in persona Dei determinat quid sit Deo acceptum, secundum illud II ad Cor. II, nam et ego propter vos donavi in persona Christi. Et signanter dicit, propter vos, quia omnis dispensatio petita a praelato debet fieri ad honorem Christi, in cuius persona dispensat; vel ad utilitatem Ecclesiae, quae est eius corpus.

 

[42840] IIª-IIae q. 88 a. 12 co.
RISPONDO: Come sopra abbiamo detto, il voto è una promessa fatta a Dio di qualche cosa che egli gradisce. Ma il gradimento dipende dall'arbitrio di colui al quale è fatta la promessa. Ora, il superiore nella Chiesa fa le veci di Dio. Ecco perché nella commutazione e nella dispensa dei voti si richiede l'autorità dei superiori ecclesiastici, che in persona di Dio determinano che cosa gli è gradito, secondo le parole di S. Paolo: "Anch'io ho usato indulgenza a vostro favore in persona di Cristo". E intenzionalmente è detto "a vostro favore"; poiché ogni dispensa che si richiede all'autorità ecclesiastica dev'essere concessa per dare onore a Cristo, nel cui nome si dà la dispensa, oppure per utilità della Chiesa che è il corpo (mistico) di lui.

[42841] IIª-IIae q. 88 a. 12 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod omnia alia vota sunt quorundam particularium operum, sed per religionem homo totam vitam suam Dei obsequio deputat. Particulare autem in universali includitur. Et ideo decretalis dicit quod reus fracti voti non habetur qui temporale obsequium in perpetuam religionis observantiam commutat. Nec tamen in religionem ingrediens tenetur implere vota vel ieiuniorum vel orationum vel aliorum huiusmodi, quae existens in saeculo fecit, quia religionem ingrediens moritur priori vitae; et etiam singulares observantiae religioni non competunt; et religionis onus satis hominem onerat, ut alia superaddere non oporteat.

 

[42841] IIª-IIae q. 88 a. 12 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli altri voti riguardano tutti delle opere particolari: invece nella religione l'uomo consacra a Dio tutta la vita. Ora, le cose particolari sono incluse nell'universale. Ecco perché nelle Decretali si legge, che "non si considera reo di violazione di un voto colui che cambia un servizio temporaneo nella perpetua osservanza della vita religiosa". Costui poi, entrando in religione, non è tenuto ad adempiere i voti fatti nel secolo, relativi a digiuni, preghiere, o altre cose del genere: perché entrando in religione è morto alla vita precedente; e anche perché le osservanze particolari non quadrano con la vita regolare; inoltre il peso di quest'ultima è già abbastanza grave per un uomo, e quindi non è necessario aggiungere altro.

[42842] IIª-IIae q. 88 a. 12 ad 2
Ad secundum dicendum quod quidam dixerunt quod praelati possunt in votis pro libito dispensare, quia in quolibet voto includitur conditionaliter voluntas praelati superioris, sicut supra dictum est quod in votis subditorum, puta servi vel filii, intelligitur conditio, si placuerit patri vel domino, vel, si non renitantur. Et sic subditus absque omni remorsu conscientiae posset votum praetermittere, quandocumque sibi a praelato diceretur. Sed praedicta positio falso innititur. Quia cum potestas praelati spiritualis, qui non est dominus sed dispensator, sit in aedificationem data, et non in destructionem, ut patet II ad Cor. X; sicut praelatus non potest imperare ea quae secundum se Deo displicent, scilicet peccata, ita non potest prohibere ea quae secundum se Deo placent, scilicet virtutis opera. Et ideo absolute potest homo ea vovere. Ad praelatum tamen pertinet diiudicare quid sit magis virtuosum et Deo magis acceptum. Et ideo in manifestis dispensatio praelati non excusaret a culpa, puta si praelatus dispensaret cum aliquo super voto de ingressu religionis, nulla apparenti causa obstante. Si autem esset causa apparens, per quam saltem in dubium verteretur, posset stare iudicio praelati dispensantis vel commutantis. Non tamen iudicio proprio, quia ipse non gerit vicem Dei, nisi forte in casu in quo id quod vovit esset manifeste illicitum, et non posset opportune ad superiorem recurrere.

 

[42842] IIª-IIae q. 88 a. 12 ad 2
2. Alcuni hanno affermato che i prelati possono dispensare i voti a capriccio, poiché qualsiasi voto è implicitamente condizionato alla volontà del superiore ecclesiastico; cioè come nei voti dei dipendenti, ossia dei figli e degli schiavi, di cui abbiamo già parlato, e nei quali va sottintesa la condizione: "se è contento o non farà opposizione, il babbo, o il padrone". E in tal caso un suddito potrebbe trascurare il voto, senza rimorsi di coscienza, ogni qual volta il superiore lo volesse.
Ma codesta tesi si fonda sul falso. Poiché il potere spirituale del prelato, il quale non è padrone ma amministratore, essendo dato, a detta di S. Paolo, "per edificare e non per distruggere", come non dà al superiore ecclesiastico la facoltà di comandare ciò che dispiace a Dio, cioè i peccati, così non dà facoltà di proibire cose che per se stesse a Dio sono accette, cioè le opere virtuose. E quindi uno può farne voto incondizionatamente.
Tuttavia spetta al superiore ecclesiastico giudicare quello che è più virtuoso e più accetto a Dio. Ecco perché nei casi evidenti la dispensa (abusiva) del prelato non scuserebbe dalla colpa: p. es., se il prelato dispensasse uno dal voto di entrare in religione, senza una causa apparente che lo impedisca. Se invece ci fosse una causa apparente, che per lo meno può lasciare in dubbio la cosa, si può stare al giudizio del superiore ecclesiastico che dà la dispensa o la commutazione. Invece uno non può rimettersi al proprio giudizio, poiché egli non fa le veci di Dio: salvo il caso in cui la cosa promessa col voto risultasse manifestamente illecita, e non ci fosse il modo di ricorrere al superiore.

[42843] IIª-IIae q. 88 a. 12 ad 3
Ad tertium dicendum quod quia summus pontifex gerit plenarie vicem Christi in tota Ecclesia, ipse habet plenitudinem potestatis dispensandi in omnibus dispensabilibus votis. Aliis autem inferioribus praelatis committitur dispensatio in votis quae communiter fiunt et indigent frequenti dispensatione, ut habeant de facili homines ad quem recurrant, sicut sunt vota peregrinationum et ieiuniorum et aliorum huiusmodi. Vota vero maiora, puta continentiae et peregrinationis terrae sanctae, reservantur summo pontifici.

 

[42843] IIª-IIae q. 88 a. 12 ad 3
3. Il Sommo Pontefice, per il fatto che in tutto fa le veci di Cristo nella Chiesa intera, ha la pienezza dei poteri nel dispensare da tutti i voti dispensabili. Invece ai prelati inferiori la facoltà di dispensare è accordata per quei voti che si fanno ordinariamente e che di frequente han bisogno di dispense, in modo che gli uomini facilmente possano trovare a chi ricorrere: tali sono i voti di pellegrinaggi, di digiuni, e simili. Invece i voti più importanti, come il voto di (perpetua) castità e del pellegrinaggio in Terra Santa sono riservati al Sommo Pontefice.

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