II-II, 106

Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La riconoscenza o gratitudine


Secunda pars secundae partis
Quaestio 106
Prooemium

[43481] IIª-IIae q. 106 pr.
Deinde considerandum est de gratia sive gratitudine, et ingratitudine. Circa gratiam autem quaeruntur sex.
Primo, utrum gratia sit virtus specialis ab aliis distincta.
Secundo, quis tenetur ad maiores gratiarum actiones Deo, utrum innocens vel poenitens.
Tertio, utrum semper teneatur homo ad gratias humanis beneficiis reddendas.
Quarto, utrum retributio gratiarum sit differenda.
Quinto, utrum sit mensuranda secundum acceptum beneficium, vel secundum dantis affectum.
Sexto, utrum oporteat aliquid maius rependere.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 106
Proemio

[43481] IIª-IIae q. 106 pr.
Ora passiamo a trattare della riconoscenza, o gratitudine, e dell'ingratitudine.
A proposito della riconoscenza si pongono sei quesiti:

1. Se la riconoscenza sia una virtù specificamente distinta dalle altre;
2. Chi sia tenuto di più a ringraziare Dio, se l'innocente o chi ha ottenuto il perdono;
3. Se uno sia sempre tenuto a ringraziare per i benefici ricevuti dagli uomini;
4. Se si possa rimandare l'obbligo della riconoscenza;
5. Se la gratitudine debba essere proporzionata al beneficio, o all'affetto del benefattore;
6. Se sia necessario ricompensare con un dono più grande.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La riconoscenza o gratitudine > Se la gratitudine sia una virtù specificamente distinta dalle altre


Secunda pars secundae partis
Quaestio 106
Articulus 1

[43482] IIª-IIae q. 106 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod gratia non sit virtus specialis ab aliis distincta. Maxima enim beneficia a Deo et a parentibus accepimus. Sed honor quem Deo retribuimus, pertinet ad virtutem religionis, honor autem quem retribuimus parentibus, pertinet ad virtutem pietatis. Ergo gratia sive gratitudo non est virtus ab aliis distincta.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 106
Articolo 1

[43482] IIª-IIae q. 106 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la gratitudine non sia una virtù specificamente distinta dalle altre. Infatti:
1. I benefici più grandi li abbiamo ricevuti da Dio e dai genitori. Ma l'amore che rendiamo a Dio appartiene alla virtù di religione: e l'onore che rendiamo ai genitori appartiene alla pietà. Dunque la gratitudine non è una virtù distinta dalle altre.

[43483] IIª-IIae q. 106 a. 1 arg. 2
Praeterea, retributio proportionalis pertinet ad iustitiam commutativam, ut patet per philosophum, in V Ethic. Sed gratiae redduntur ut retributio sit, ut ibidem dicitur. Ergo redditio gratiarum, quod pertinet ad gratitudinem, est actus iustitiae. Non ergo gratitudo est specialis virtus ab aliis distincta.

 

[43483] IIª-IIae q. 106 a. 1 arg. 2
2. Il compenso di uguaglianza appartiene, come insegna il Filosofo, alla giustizia commutativa. Ma egli dice pure che "il rendimento di grazie si fa perché ci sia il compenso". Perciò i ringraziamenti, che appartengono alla gratitudine, sono atti di giustizia. Quindi la gratitudine non è una virtù specificamente distinta dalle altre.

[43484] IIª-IIae q. 106 a. 1 arg. 3
Praeterea, recompensatio requiritur ad amicitiam conservandam, ut patet per philosophum, in VIII et IX Ethic. Sed amicitia se habet ad omnes virtutes, propter quas homo amatur. Ergo gratia sive gratitudo, ad quam pertinet recompensare beneficia, non est specialis virtus.

 

[43484] IIª-IIae q. 106 a. 1 arg. 3
3. Il contraccambio è una cosa richiesta per la conservazione dell'amicizia, come il Filosofo afferma. Ora, l'amicizia dice relazione a ogni genere di virtù, le quali tutte rendono amabile un uomo. Dunque la riconoscenza, o gratitudine, che ha il compito di contraccambiare i benefici, non è una speciale virtù.

[43485] IIª-IIae q. 106 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Tullius ponit gratiam specialem iustitiae partem.

 

[43485] IIª-IIae q. 106 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Cicerone enumera la gratitudine tra le parti speciali della giustizia.

[43486] IIª-IIae q. 106 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, secundum diversas causas ex quibus aliquid debetur, necesse est diversificari debiti reddendi rationem, ita tamen quod semper in maiori illud quod minus est continetur. In Deo autem primo et principaliter invenitur causa debiti, eo quod ipse est primum principium omnium bonorum nostrorum. Secundario autem, in patre, quod est proximum nostrae generationis et disciplinae principium. Tertio autem, in persona quae dignitate praecellit, ex qua communia beneficia procedunt. Quarto autem, in aliquo benefactore a quo aliqua particularia et privata beneficia percepimus, pro quibus particulariter ei obligamur. Quia ergo non quidquid debemus Deo vel patri vel personae dignitate praecellenti, debemus alicui benefactorum a quo aliquod particulare beneficium recepimus; inde est quod post religionem, qua debitum cultum Deo impendimus; et pietatem, qua colimus parentes; et observantiam, qua colimus personas dignitate praecellentes; est gratia sive gratitudo, quae benefactoribus gratiam recompensat. Et distinguitur a praemissis virtutibus, sicut quaelibet posteriorum distinguitur a priori, quasi ab eo deficiens.

 

[43486] IIª-IIae q. 106 a. 1 co.
RISPONDO: Come sopra abbiamo già spiegato, è necessario distinguere la natura dei vari obblighi, secondo la diversità dei titoli per cui si deve qualche cosa: però in maniera che l'obbligo più grande includa sempre quello più piccolo. Ora, in Dio abbiamo la causa prima e principale di ogni nostra obbligazione: essendo egli il primo principio di tutti i nostri beni. In secondo luogo siamo obbligati verso il padre, principio prossimo della nostra generazione ed educazione. In terzo luogo troviamo un motivo di obbligazione nella persona dei superiori, da cui dipende il bene pubblico, ossia i benefici comuni. In quarto luogo esso si trova nei benefattori dai quali abbiamo ricevuto dei benefici particolari, e privati, per cui siamo loro particolarmente obbligati. E siccome verso questi ultimi, da cui abbiamo ricevuto benefici particolari, non siamo tenuti a tutto quello che dobbiamo a Dio, al nostro padre, o alle autorità costituite, ne deriva che dopo la religione, che fa rendere a Dio il culto dovuto; dopo la pietà, che ci fa onorare i genitori; e dopo l'osservanza che ci fa rispettare le autorità, vi è pure la riconoscenza, o gratitudine, che ci spinge a ringraziare i benefattori. E si distingue dalle virtù sopra ricordate, come una realtà di ordine inferiore si distingue da quelle superiori di cui non raggiunge la perfezione.

[43487] IIª-IIae q. 106 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod sicut religio est quaedam superexcellens pietas, ita est etiam quaedam excellens gratia seu gratitudo. Unde et gratiarum actio ad Deum supra posita est inter ea quae ad religionem pertinent.

 

[43487] IIª-IIae q. 106 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La religione come è una pietà di ordine superiore, così è anche gratitudine in maniera sovraeminente. Infatti il ringraziamento a Dio, di cui sopra abbiamo parlato, è tra gli atti della virtù di religione.

[43488] IIª-IIae q. 106 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod retributio proportionalis pertinet ad iustitiam commutativam quando attenditur secundum debitum legale, puta si pacto firmetur ut tantum pro tanto retribuatur. Sed ad virtutem gratiae sive gratitudinis pertinet retributio quae fit ex solo debito honestatis, quam scilicet aliquis sponte facit. Unde gratitudo est minus grata si sit coacta, ut Seneca dicit, in libro de beneficiis.

 

[43488] IIª-IIae q. 106 a. 1 ad 2
2. Il compenso di uguaglianza appartiene alla giustizia commutativa, quando viene determinato in base alle leggi: p. es., quando è stato stabilito che per quel tanto si dia tanto. Invece alla virtù della riconoscenza, o gratitudine, appartiene il compenso basato su un obbligo morale, che uno offre spontaneamente. Infatti la gratitudine è meno riconoscente, se c'è costrizione, come fa notare anche Seneca.

[43489] IIª-IIae q. 106 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod cum vera amicitia supra virtutem fundetur, quidquid est virtuti contrarium in amico est amicitiae impeditivum, et quidquid est virtuosum est amicitiae provocativum. Et secundum hoc, per recompensationem beneficiorum amicitia conservatur; quamvis recompensatio beneficiorum specialiter ad virtutem gratitudinis pertineat.

 

[43489] IIª-IIae q. 106 a. 1 ad 3
3. Essendo l'amicizia fondata sulla, virtù, quanto nell'amico è incompatibile con la virtù è un ostacolo all'amicizia; mentre quanto c'è di virtuoso in lui è un incentivo per essa. Ecco perché il contraccambio dei benefici serve a conservare l'amicizia; sebbene codesto contraccambio spetti propriamente alla virtù della riconoscenza.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La riconoscenza o gratitudine > Se sia più tenuto a ringraziare Dio l'innocente o il peccatore pentito


Secunda pars secundae partis
Quaestio 106
Articulus 2

[43490] IIª-IIae q. 106 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod magis teneatur ad gratias reddendas Deo innocens quam poenitens. Quanto enim aliquis maius donum percepit a Deo, tanto magis ad gratiarum actiones tenetur. Sed maius est donum innocentiae quam iustitiae restitutae. Ergo videtur quod magis teneatur ad gratiarum actionem innocens quam poenitens.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 106
Articolo 2

[43490] IIª-IIae q. 106 a. 2 arg. 1
SEMBRA che sia tenuto di più a ringraziare Dio l'innocente che il peccatore pentito. Infatti:
1. Più grande è il dono che uno ha ricevuto da Dio, più è tenuto a ringraziarlo. Ora, conservare l'innocenza è un dono più grande che ricuperare la grazia. Dunque l'innocente è tenuto a ringraziare più di chi ha ottenuto il perdono.

[43491] IIª-IIae q. 106 a. 2 arg. 2
Praeterea, sicut benefactori debetur gratiarum actio, ita et dilectio. Sed Augustinus dicit, in II Confess., quis hominum, suam cogitans infirmitatem, audet viribus suis tribuere castitatem atque innocentiam suam, ut minus amet te, quasi minus fuerit ei necessaria misericordia tua donans peccata conversis ad te? Et postea subdit, et ideo tantundem, immo amplius te diligat, quia per quem me videt tantis peccatorum meorum languoribus exui, per eum se videt tantis peccatorum languoribus non implicari. Ergo etiam magis tenetur ad gratiam reddendam innocens quam poenitens.

 

[43491] IIª-IIae q. 106 a. 2 arg. 2
2. Al benefattore si deve gratitudine come si deve amore. Ora, S. Agostino scrive: "Chi tra gli uomini, pensando alla propria debolezza, oserà attribuire alle proprie forze la sua castità e innocenza, e amerà meno te (o Signore), quasi abbia avuto meno bisogno della tua misericordia, con la quale perdoni i peccati a quelli che si convertono a te?". E poco dopo aggiunge: "Per questo egli ti amerà ugualmente, anzi più di me: perché, se egli non languisce nei miei peccati, lo deve, com'egli vede, a colui che liberò anche me". Perciò l'innocente è tenuto a ringraziare più del peccatore penitente.

[43492] IIª-IIae q. 106 a. 2 arg. 3
Praeterea, quanto gratuitum beneficium est magis continuatum, tanto maior pro eo debetur gratiarum actio. Sed in innocente magis continuatur divinae gratiae beneficium quam in poenitente. Dicit enim Augustinus, ibidem, gratiae tuae deputo, et misericordiae tuae, quod peccata mea tanquam glaciem solvisti. Gratiae tuae deputo et quaecumque non feci mala, quid enim non facere potui? Et omnia mihi dimissa esse fateor, et quae mea sponte feci mala, et quae te duce non feci. Ergo magis tenetur ad gratiarum actionem innocens quam poenitens.

 

[43492] IIª-IIae q. 106 a. 2 arg. 3
3. Più un beneficio gratuito è continuo, più grave è l'obbligo della riconoscenza. Ma il beneficio della grazia divina è più continuo nell'innocente che nel peccatore penitente. Così infatti scrive S. Agostino: "Fu opera della tua grazia e della tua misericordia, se facesti sciogliere come ghiaccio i miei peccati. Fu opera della tua grazia, se io non commisi altri mali di ogni specie; c'è forse un peccato che io non fossi in grado di commettere? E confesso che tutti mi furono rimessi, e le colpe che per mia volontà commisi, e quelle che non commisi perché guidato da te". A ringraziare, quindi, è più tenuto l'innocente che il peccatore pentito.

[43493] IIª-IIae q. 106 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur Luc. VII, cui plus dimittitur, plus diligit. Ergo, eadem ratione, plus tenetur ad gratiarum actiones.

 

[43493] IIª-IIae q. 106 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Colui al quale fu più perdonato ama di più". Dunque per lo stesso motivo è tenuto di più alla riconoscenza.

[43494] IIª-IIae q. 106 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod actio gratiarum in accipiente respicit gratiam dantis. Unde ubi est maior gratia ex parte dantis, ibi requiritur maior gratiarum actio ex parte recipientis. Gratia autem est quod gratis datur. Unde dupliciter potest esse ex parte dantis maior gratia. Uno modo, ex quantitate dati. Et hoc modo, innocens tenetur ad maiores gratiarum actiones, quia maius donum ei datur a Deo et magis continuatum, ceteris paribus, absolute loquendo. Alio modo potest dici maior gratia quia magis datur gratis. Et secundum hoc, magis tenetur ad gratiarum actiones poenitens quam innocens, quia magis gratis datur illud quod ei datur a Deo; cum enim esset dignus poena, datur ei gratia. Et sic, licet illud donum quod datur innocenti sit, absolute consideratum, maius; tamen donum quod datur poenitenti est maius in comparatione ad ipsum, sicut etiam parvum donum pauperi datum ei est maius quam diviti magnum. Et quia actus circa singularia sunt, in his quae agenda sunt magis consideratur quod est hic vel nunc tale, quam quod est simpliciter tale, sicut philosophus dicit, in III Ethic., de voluntario et involuntario.

 

[43494] IIª-IIae q. 106 a. 2 co.
RISPONDO: La gratitudine in chi riceve dice rapporto al dono gratuito. Ecco perché se il dono è più grande, si richiede in lui una gratitudine maggiore. Ora, un dono gratuito può essere maggiore da parte di chi l'offre in due maniere. Primo, per la grandezza del dono. E da questo lato l'innocente è tenuto a una maggiore gratitudine: poiché a lui, a parità di condizioni e in senso assoluto, viene offerto da Dio un dono più grande e continuo.
Secondo, un dono gratuito può essere più grande per il fatto che è dato con una gratuità maggiore. E da questo lato il peccatore pentito è tenuto a ringraziare più dell'innocente: poiché la grazia a lui data da Dio è offerta con maggiore gratuità; infatti gli venne data la grazia quando era degno di pena. Perciò, sebbene il dono offerto all'innocente considerato in se stesso sia più grande; tuttavia il dono fatto al peccatore penitente è maggiore in rapporto a lui: come un piccolo dono fatto a un povero può essere maggiore di un gran dono fatto a un ricco. E poiché le azioni riguardano il concreto, per la loro qualifica si deve badare di più alle circostanze concrete che alle considerazioni astratte; come fa notare il Filosofo parlando del volontario e dell'involontario.

[43495] IIª-IIae q. 106 a. 2 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[43495] IIª-IIae q. 106 a. 2 ad arg.
Sono così risolte anche le difficoltà.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La riconoscenza o gratitudine > Se si sia tenuti a ringraziare tutti i benefattori


Secunda pars secundae partis
Quaestio 106
Articulus 3

[43496] IIª-IIae q. 106 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod homo non teneatur ad gratiarum actiones omni homini benefacienti. Potest enim aliquis sibi ipsi benefacere, sicut et sibi ipsi nocere, secundum illud Eccli. XIV, qui sibi nequam est, cui alii bonus erit? Sed homo sibi ipsi non potest gratias agere, quia gratiarum actio videtur transire ab uno in alterum. Ergo non omni benefactori debetur gratiarum actio.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 106
Articolo 3

[43496] IIª-IIae q. 106 a. 3 arg. 1
SEMBRA che non si sia tenuti a ringraziare tutti i benefattori. Infatti:
1. Uno può fare del bene come può far del male anche a se stesso, secondo le parole della Scrittura: "Chi è cattivo con se stesso, con chi sarà egli buono?". Ma nessuno può ringraziare se stesso: poiché il ringraziamento deve passare da una persona all'altra. Dunque non si è tenuti a ringraziare tutti i benefattori.

[43497] IIª-IIae q. 106 a. 3 arg. 2
Praeterea, gratiarum actio est quaedam gratiae recompensatio. Sed aliqua beneficia non cum gratia dantur, sed magis cum contumelia, et tarditate vel tristitia. Ergo non semper benefactori sunt gratiae reddendae.

 

[43497] IIª-IIae q. 106 a. 3 arg. 2
2. Il ringraziamento è un rendimento di grazie. Ma certi benefici son dati senza grazia, bensì accompagnati da offese, da ritardi e da dispiaceri. Perciò non sempre siamo tenuti a ringraziare i benefattori.

[43498] IIª-IIae q. 106 a. 3 arg. 3
Praeterea, nulli debetur gratiarum actio ex eo quod suam utilitatem procurat. Sed quandoque aliqui aliqua beneficia dant propter suam utilitatem. Ergo eis non debetur gratiarum actio.

 

[43498] IIª-IIae q. 106 a. 3 arg. 3
3. Nessuno merita ringraziamenti per il fatto che provvede alla propria utilità. Ma qualche volta certuni fanno del bene cercando la propria utilità. Dunque essi non meritano ringraziamenti.

[43499] IIª-IIae q. 106 a. 3 arg. 4
Praeterea, servo non debetur gratiarum actio, quia hoc ipsum quod est, domini est. Sed quandoque contingit servum in dominum beneficum esse. Ergo non omni benefactori debetur gratiarum actio.

 

[43499] IIª-IIae q. 106 a. 3 arg. 4
4. Verso lo schiavo non c'è obbligo di riconoscenza: poiché per tutto ciò che è, egli è del padrone. Ora, talora capita che uno schiavo sia il benefattore del suo padrone. Quindi non a tutti i benefattori si deve riconoscenza.

[43500] IIª-IIae q. 106 a. 3 arg. 5
Praeterea, nullus tenetur ad id quod facere non potest honeste et utiliter. Sed quandoque contingit quod ille qui beneficium tribuit est in statu magnae felicitatis, cui inutiliter aliquid recompensaretur pro suscepto beneficio. Quandoque etiam contingit quod benefactor mutatur de virtute in vitium, et sic videtur quod ei honeste recompensari non potest. Quandoque etiam ille qui accipit beneficium pauper est, et omnino recompensare non potest. Ergo videtur quod non semper teneatur homo ad gratiarum recompensationem.

 

[43500] IIª-IIae q. 106 a. 3 arg. 5
5. Nessuno è tenuto a compiere ciò che non può fare con onestà e utilità. Ebbene, spesso capita che il benefattore si trovi in uno stato di grande felicità, per cui è inutile ricompensarlo del beneficio che ne abbiamo ricevuto. E può anche capitare che il benefattore diventi un vizioso; e allora non sembra che sia onesto ricompensarlo. E altre volte il beneficato è così povero da non poter dare nessun compenso. Perciò è evidente che non sempre si è tenuti alla riconoscenza.

[43501] IIª-IIae q. 106 a. 3 arg. 6
Praeterea, nullus debet pro alio facere quod ei non expedit, sed est ei nocivum. Sed quandoque contingit quod recompensatio beneficii est nociva vel inutilis ei cui recompensatur. Ergo non semper est beneficium recompensandum per gratiarum actionem.

 

[43501] IIª-IIae q. 106 a. 3 arg. 6
6. Nessuno deve fare ad altri cose che non giovano, o che sono invece loro nocive. Ma può capitare che la ricompensa di un beneficio sia nociva o inutile alla persona interessata. Dunque non sempre i benefici vanno ricompensati col ringraziamento.

[43502] IIª-IIae q. 106 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur I ad Thess. ult., in omnibus gratias agite.

 

[43502] IIª-IIae q. 106 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Paolo ammonisce: "In ogni cosa rendete grazie".

[43503] IIª-IIae q. 106 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod omnis effectus naturaliter ad suam causam convertitur. Unde Dionysius dicit, I cap. de Div. Nom., quod Deus omnia in se convertit, tanquam omnium causa, semper enim oportet quod effectus ordinetur ad finem agentis. Manifestum est autem quod benefactor, inquantum huiusmodi, est causa beneficiati. Et ideo naturalis ordo requirit ut ille qui suscipit beneficium, per gratiarum recompensationem convertatur ad benefactorem, secundum modum utriusque. Et sicut de patre supra dictum est, benefactori quidem, inquantum huiusmodi, debetur honor et reverentia, eo quod habet rationem principii, sed per accidens debetur ei subventio vel sustentatio, si indigeat.

 

[43503] IIª-IIae q. 106 a. 3 co.
RISPONDO: Qualsiasi effetto ha un moto naturale di ritorno alla propria causa. Ecco perché Dionigi afferma che Dio fa convergere verso di sé tutte le cose, perché causa di esse: infatti è indispensabile che l'effetto sia ordinato al fine inteso dalla causa agente. Ora, è ben chiaro che come tale il benefattore è causa rispetto al beneficato. Perciò l'ordine naturale esige che il beneficato si volga con la sua riconoscenza verso il benefattore, secondo le condizioni rispettive. Infatti al benefattore come tale si deve, come sopra abbiamo visto per i genitori, onore e rispetto, avendo egli natura di principio: ma per accidens, cioè in caso di necessità, a lui si deve pure aiuto e sostentamento.

[43504] IIª-IIae q. 106 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut Seneca dicit, in V de Benefic., sicut non est liberalis qui sibi donat, nec clemens qui sibi ignoscit, nec misericors qui malis suis tangitur, sed qui aliis, ita etiam nemo sibi ipsi beneficium dat, sed naturae suae paret, quae movet ad refutanda nociva et ad appetenda proficua. Unde in his quae sunt ad seipsum non habet locum gratitudo et ingratitudo, non enim potest homo sibi aliquid denegare nisi sibi retinendo. Metaphorice tamen illa quae ad alterum proprie dicuntur, accipiuntur in his quae sunt ad seipsum, sicut de iustitia philosophus dicit, in V Ethic., inquantum scilicet accipiuntur diversae partes hominis sicut diversae personae.

 

[43504] IIª-IIae q. 106 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. A dire di Seneca, "come chi dona a se stesso non è liberale, non è clemente chi perdona se stesso, e neppure è misericordioso chi compatisce se stesso, ma chi ha compassione degli altri: così nessuno offre veramente a se medesimo un beneficio, ma accondiscende alla propria natura, la quale spinge a fuggire le cose nocive e a desiderare quelle vantaggiose". Perciò rispetto alle azioni compiute per se stessi non ci può essere gratitudine o ingratitudine: infatti uno non può negare a se stesso una cosa che trattenendola per sé. - Tuttavia nel parlare di ciò che facciamo per noi stessi noi usiamo metaforicamente espressioni che propriamente si riferiscono a quanto compiamo per altri, come nota il Filosofo a proposito della giustizia: poiché consideriamo le varie parti dell'uomo come persone diverse.

[43505] IIª-IIae q. 106 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod boni animi est ut magis attendat ad bonum quam ad malum. Et ideo si aliquis beneficium dedit non eo modo quo debuit, non omnino debet recipiens a gratiarum actione cessare. Minus tamen quam si modo debito praestitisset, quia etiam beneficium minus est, quia, ut Seneca dicit, in II de Benefic., multum celeritas fecit, multum abstulit mora.

 

[43505] IIª-IIae q. 106 a. 3 ad 2
2. Un'anima virtuosa fa attenzione più al bene che al male. Perciò se uno ha fatto un beneficio in una maniera indelicata, chi l'ha ricevuto non deve dispensarsi del tutto dall'obbligo di ringraziare. Però l'obbligo è minore, perché anche il beneficio è minore: infatti, a detta di Seneca, "la prontezza aggiunge molto, mentre gli indugi molto rimpiccioliscono".

[43506] IIª-IIae q. 106 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut Seneca dicit, in VI de Benefic., multum interest utrum aliquis beneficium nobis det sua causa, an sua et nostra. Ille qui totus ad se spectat, et nobis prodest quia aliter sibi prodesse non potest, eo mihi loco habendus videtur quo qui pecori suo pabulum prospicit. Si me in consortium admisit, si duos cogitavit, ingratus sum et iniustus nisi gaudeo hoc illi profuisse quod proderat mihi. Summae malignitatis est non vocare beneficium nisi quod dantem aliquo incommodo afficit.

 

[43506] IIª-IIae q. 106 a. 3 ad 3
3. "È molto importante a sapersi", dice Seneca, "se uno ci fa del bene per suo vantaggio, o a vantaggio nostro e suo. Chi pensa solo a se stesso e giova anche a noi, perché non può fare altrimenti, io lo considero come chi offre il pascolo al suo bestiame. Se invece mi associa a sé, se pensa a tutti e due, sarei ingrato e ingiusto a non godere perché a lui giova quanto giova anche a me. È somma cattiveria infatti non considerare un beneficio, se non quanto riesce d'incomodo a chi l'offre".

[43507] IIª-IIae q. 106 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod, sicut Seneca dicit, in III de Benefic., quandiu servus praestat quod a servo exigi solet, ministerium est, ubi plus quam a servo necesse, beneficium est. Ubi enim in affectum amici transit, incipit vocari beneficium. Et ideo etiam servis ultra debitum facientibus gratiae sunt habendae.

 

[43507] IIª-IIae q. 106 a. 3 ad 4
4. Come Seneca insegna, "finché uno schiavo dà quello che si è soliti esigere da uno schiavo, è suo ufficio: ma quando dà più di quanto si richiede da uno schiavo, allora il suo è un beneficio. Infatti quando egli raggiunge l'affetto di un amico, si comincia a parlare di beneficio". Perciò si deve gratitudine anche agli schiavi, quando fanno più del dovuto.

[43508] IIª-IIae q. 106 a. 3 ad 5
Ad quintum dicendum quod etiam pauper ingratus non est si faciat quod possit, sicut enim beneficium magis in affectu consistit quam in effectu, ita etiam et recompensatio magis in affectu consistit. Unde Seneca dicit, in II de Benefic., qui grate beneficium accipit, primam eius pensionem solvit. Quam grate autem ad nos beneficia pervenerint, indicemus effusis affectibus, quod non ipso tantum audiente, sed ubique testemur. Et ex hoc patet quod quantumcumque in felicitate existenti potest recompensatio beneficii fieri per exhibitionem reverentiae et honoris. Unde philosophus dicit, in VIII Ethic., quod superexcellenti quidem debet fieri honoris retributio, indigenti autem retributio lucri. Et Seneca dicit, in VI de Benefic., multa sunt per quae quidquid debemus reddere et felicibus possumus, fidele consilium, assidua conversatio, sermo communis et sine adulatione iucundus. Et ideo non oportet ut homo optet indigentiam eius seu miseriam qui beneficium dedit, ad hoc quod beneficium recompensetur. Quia, ut Seneca dicit, in VI de Benefic., si hoc ei optares cuius nullum beneficium haberes, inhumanum erat votum. Quanto inhumanius ei optas cui beneficium debes. Si autem ille qui beneficium dedit in peius mutatus est, debet tamen sibi fieri recompensatio secundum statum ipsius, ut scilicet ad virtutem reducatur, si sit possibile. Si autem sit insanabilis propter malitiam, tunc alter est effectus quam prius erat, et ideo non debetur ei recompensatio beneficii sicut prius. Et tamen, quantum fieri potest salva honestate, memoria debet haberi praestiti beneficii. Ut patet per philosophum, in IX Ethic.

 

[43508] IIª-IIae q. 106 a. 3 ad 5
5. Il povero non è ingrato, se fa quello che può: infatti come il beneficio consiste più nell'affetto che nel fatto medesimo, così anche il compenso è specialmente nell'affetto. Di qui le parole di Seneca: "Chi riceve un beneficio con animo grato, ne ha già pagato il primo compenso. E questa gratitudine manifestiamola con l'effusione degli affetti: non soltanto dinanzi all'interessato, ma dovunque".
Da ciò è evidente che per quanto un benefattore possa essere felice, si può sempre offrire un compenso per i benefici ricevuti mediante il rispetto e l'onore. Di qui le parole del Filosofo, il quale afferma che "alla persona superiore si deve il compenso dell'onore; e a quella indigente la rimunerazione". E Seneca scrive: "Molte sono le cose con le quali possiamo compensare le persone facoltose: consigli sinceri, visite frequenti, e conversazioni affabili e gioconde, senza adulazione". - Perciò non è necessario che uno si auguri la necessità o la miseria del suo benefattore, per poterlo ricompensare del beneficio. Poiché, a detta di Seneca, "se è già disumano desiderare una cosa simile per chi non ti ha fatto nessun beneficio; quanto più disumano sarebbe desiderarla per un tuo benefattore!".
Nel caso poi che il benefattore sia diventato cattivo, si deve tuttavia usargli riconoscenza secondo lo stato in cui si trova: e cioè si deve cercare di ricondurlo alla virtù. Se poi "è insanabile nella sua malizia", allora è diventato un altro rispetto a quello che era prima: e quindi non merita più riconoscenza per il beneficio. Tuttavia, per quanto è possibile e le circostanze lo permettono, si deve sempre ricordare il beneficio ricevuto, come nota il Filosofo.

[43509] IIª-IIae q. 106 a. 3 ad 6
Ad sextum dicendum quod, sicut dictum est, recompensatio beneficii praecipue pendet ex affectu. Et ideo eo modo debet recompensatio fieri quo magis sit utilis, si tamen postea, per eius incuriam, in damnum ipsius vertatur, non imputatur recompensanti. Unde Seneca dicit, in VII de Benefic., reddendum mihi est, non servandum, cum reddidero, ac tuendum.

 

[43509] IIª-IIae q. 106 a. 3 ad 6
6. Il compenso, come si è già visto sopra, dipende specialmente dal sentimento di chi intende ringraziare. Perciò esso va fatto nel modo che possa essere più vantaggioso: ma se in seguito per colpa dell'interessato si risolve in un danno, non si può imputare a chi intendeva ricompensare. Di qui l'affermazione di Seneca: "Io sono tenuto a rendere un compenso, non già a conservarlo e a difenderlo".




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La riconoscenza o gratitudine > Se si debba ricompensare subito appena ricevuto il beneficio


Secunda pars secundae partis
Quaestio 106
Articulus 4

[43510] IIª-IIae q. 106 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod homo debeat statim beneficium recompensare. Illa enim quae debemus sine certo termino, tenemur restituere ad statim. Sed non est aliquis terminus praescriptus recompensationi beneficiorum, quae tamen cadit sub debito, ut dictum est. Ergo tenetur homo statim beneficium recompensare.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 106
Articolo 4

[43510] IIª-IIae q. 106 a. 4 arg. 1
SEMBRA che il beneficio si debba ricompensare subito, appena ricevuto. Infatti:
1. Ciò cui siamo tenuti senza scadenza determinata, siamo tenuti subito. Ora, non c'è un termine determinato per ricompensare i benefici. Dunque si è tenuti a ricompensarli subito.

[43511] IIª-IIae q. 106 a. 4 arg. 2
Praeterea, quanto aliquod bonum fit ex maiori animi fervore, tanto videtur esse laudabilius. Sed ex fervore animi videtur procedere quod homo nullas moras adhibeat in faciendo quod debet. Ergo videtur esse laudabilius quod homo statim beneficium reddat.

 

[43511] IIª-IIae q. 106 a. 4 arg. 2
2. Più un'opera buona si fa con zelo e più è lodevole. Ma il fatto che uno non tollera indugi, nel fare ciò che deve, sembra derivare da zelo. Perciò è cosa più lodevole che uno subito ripaghi il beneficio ricevuto.

[43512] IIª-IIae q. 106 a. 4 arg. 3
Praeterea, Seneca dicit, in II de Benefic., quod proprium benefactoris est libenter et cito facere. Sed recompensatio debet beneficium adaequare. Ergo debet statim recompensare.

 

[43512] IIª-IIae q. 106 a. 4 arg. 3
3. Seneca ha scritto che "è proprio del benefattore intervenire volentieri e subito". Ma il compenso deve essere uguale al beneficio. Dunque si deve subito ricompensare.

[43513] IIª-IIae q. 106 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Seneca dicit, in IV de Benefic., qui festinat reddere, non animum habet grati hominis, sed debitoris.

 

[43513] IIª-IIae q. 106 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Seneca insegna: "Chi si affretta a ricompensare non ha l'atteggiamento di una persona riconoscente, ma di un debitore".

[43514] IIª-IIae q. 106 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod sicut in beneficio dando duo considerantur, scilicet affectus et donum; ita etiam haec duo considerantur in recompensatione beneficii. Et quantum quidem ad affectum, statim recompensatio fieri debet. Unde Seneca dicit, in II de Benefic., vis reddere beneficium? Benigne accipe. Quantum autem ad donum, debet expectari tempus quo recompensatio sit benefactori opportuna. Si autem, non convenienti tempore, statim velit aliquis munus pro munere reddere, non videtur esse virtuosa recompensatio. Ut enim Seneca dicit, IV de Benefic., qui nimis cito cupit solvere, invitus debet, et qui invitus debet, ingratus est.

 

[43514] IIª-IIae q. 106 a. 4 co.
RISPONDO: Nella riconoscenza, come nel beneficio, si devono distinguere due cose: i sentimenti e le prestazioni. Ebbene, per i sentimenti il ringraziamento deve essere immediato. Di qui le parole di Seneca: "Vuoi ricompensare un beneficio? Accettalo volentieri".
Al contrario per le prestazioni si deve aspettare che la ricompensa giunga al momento opportuno. Se invece uno non vuole aspettare il tempo opportuno, ma vuole ricompensare subito il beneficio ricevuto, il compenso non è virtuoso. Infatti, come Seneca rileva, "chi vuol subito sdebitarsi mostra di non gradire il suo debito; e chi non lo gradisce è un ingrato".

[43515] IIª-IIae q. 106 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod debitum legale est statim solvendum, alioquin non esset conservata iustitiae aequalitas, si unus retineret rem alterius absque eius voluntate. Sed debitum morale dependet ex honestate debentis. Et ideo debet reddi debito tempore, secundum quod exigit rectitudo virtutis.

 

[43515] IIª-IIae q. 106 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ciò che si deve per giustizia si è tenuti a restituirlo subito; altrimenti sarebbe menomata l'uguaglianza richiesta dalla giustizia, qualora uno trattenesse la roba di un altro contro la di lui volontà. Ma il debito morale dipende dalla virtù di chi si sente obbligato. Perciò esso va pagato al momento opportuno, come esige la rettitudine della virtù.

[43516] IIª-IIae q. 106 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod fervor voluntatis non est virtuosus nisi sit ratione ordinatus. Et ideo si aliquis ex fervore animi praeoccupet debitum tempus, non erit laudandum.

 

[43516] IIª-IIae q. 106 a. 4 ad 2
2. Lo zelo della volontà non è virtuoso, se non segue l'ordine della ragione. Perciò se uno per troppo zelo previene il tempo opportuno, non merita di essere lodato.

[43517] IIª-IIae q. 106 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod beneficia etiam sunt opportuno tempore danda. Et tunc non est amplius tardandum cum opportunum tempus advenerit. Et idem etiam observari oportet in beneficiorum recompensatione.

 

[43517] IIª-IIae q. 106 a. 4 ad 3
3. Anche i benefici bisogna farli al momento opportuno. E non bisogna differirli quando il momento li richiede. Lo stesso vale per la ricompensa dei benefici.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La riconoscenza o gratitudine > Se la riconoscenza debba adeguarsi ai sentimenti del benefattore, o al beneficio


Secunda pars secundae partis
Quaestio 106
Articulus 5

[43518] IIª-IIae q. 106 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod beneficiorum recompensatio non sit attendenda secundum affectum beneficiantis, sed secundum effectum. Recompensatio enim beneficiis debetur. Sed beneficium in effectu consistit, ut ipsum nomen sonat. Ergo recompensatio debet attendi secundum effectum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 106
Articolo 5

[43518] IIª-IIae q. 106 a. 5 arg. 1
SEMBRA che la riconoscenza non debba adeguarsi ai sentimenti del benefattore, ma al beneficio. Infatti:
1. Il compenso è dovuto ai benefici. Ma il beneficio, come indica lo stesso nome, consiste nel compimento di un'opera. Dunque il compenso della riconoscenza deve adeguarsi all'opera compiuta.

[43519] IIª-IIae q. 106 a. 5 arg. 2
Praeterea, gratia, quae beneficia recompensat, est pars iustitiae. Sed iustitia respicit aequalitatem dati et accepti. Ergo et in gratiarum recompensatione attendendus est magis effectus quam affectus beneficiantis.

 

[43519] IIª-IIae q. 106 a. 5 arg. 2
2. La gratitudine, che ricompensa i benefici, è una parte (potenziale) della giustizia. Ora, la giustizia mira all'adeguazione di ciò che si dà con quello che si è ricevuto. Perciò nel ricompensare si deve badare di più al beneficio che ai sentimenti del benefattore.

[43520] IIª-IIae q. 106 a. 5 arg. 3
Praeterea, nullus potest attendere ad id quod ignorat. Sed solus Deus recognoscit interiorem affectum. Ergo non potest fieri gratiae recompensatio secundum affectum.

 

[43520] IIª-IIae q. 106 a. 5 arg. 3
3. Nessuno può aver di mira ciò che ignora. Ora, Dio soltanto può conoscere i sentimenti interni. Dunque il compenso della gratitudine non si può fare secondo le disposizioni interiori.

[43521] IIª-IIae q. 106 a. 5 s. c.
Sed contra est quod Seneca dicit, in I de beneficiis, nonnunquam magis nos obligat qui dedit parva magnifice; qui exiguum tribuit, sed libenter.

 

[43521] IIª-IIae q. 106 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Seneca afferma: "Spesso noi siamo più obbligati verso chi ci ha dato poco, ma con grande affetto".

[43522] IIª-IIae q. 106 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod recompensatio beneficii potest ad tres virtutes pertinere, scilicet ad iustitiam, ad gratiam, et ad amicitiam. Ad iustitiam quidem pertinet quando recompensatio habet rationem debiti legalis, sicut in mutuo et in aliis huiusmodi. Et in tali recompensatio debet attendi secundum quantitatem dati. Ad amicitiam autem pertinet recompensatio beneficii, et similiter ad virtutem gratiae, secundum quod habet rationem debiti moralis, aliter tamen et aliter. Nam in recompensatione amicitiae oportet respectum haberi ad amicitiae causam. Unde in amicitia utilis debet recompensatio fieri secundum utilitatem quam quis est ex beneficio consecutus. In amicitia autem honesti debet in recompensatione haberi respectus ad electionem, sive ad affectum dantis, quia hoc praecipue requiritur ad virtutem, ut dicitur in VIII Ethic. Et similiter, quia gratia respicit beneficium secundum quod est gratis impensum, quod quidem pertinet ad affectum; ideo etiam gratiae recompensatio attendit magis affectum dantis quam effectum.

 

[43522] IIª-IIae q. 106 a. 5 co.
RISPONDO: La ricompensa dei benefici può appartenere a tre differenti virtù: alla giustizia, alla gratitudine e all'amicizia. Spetta alla giustizia quando il compenso si presenta come legalmente dovuto; p. es., nel prestito, e in altri rapporti del genere. E in questi casi il compenso deve essere adeguato alla grandezza del beneficio.
Invece la ricompensa interessa l'amicizia e la virtù della gratitudine sotto l'aspetto di debito morale: però in maniera diversa. Infatti nel compenso proprio dell'amicizia si deve badare al movente dell'amicizia medesima. E quindi nell'amicizia basata sull'utilità il compenso va fatto in proporzione dell'utilità che il beneficio ha arrecato. Mentre nell'amicizia fondata sulla virtù il compenso va fatto in base al volere, ovvero al sentimento del benefattore; poiché come dice Aristotele, questo è l'elemento primario della virtù. - Parimenti, siccome la riconoscenza ha per oggetto il beneficio in quanto offerto gratuitamente, e questo appartiene al sentimento, anche il compenso della riconoscenza bada più ai sentimenti che al beneficio ottenuto.

[43523] IIª-IIae q. 106 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod omnis actus moralis ex voluntate dependet. Unde beneficium, secundum quod est laudabile, prout ei gratiae recompensatio debetur, materialiter quidem consistit in effectu, sed formaliter et principaliter in voluntate. Unde Seneca dicit, in I de Benefic., beneficium non in eo quod fit aut datur consistit, sed in ipso dantis aut facientis animo.

 

[43523] IIª-IIae q. 106 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli atti morali dipendono tutti dalla volontà. Perciò in quanto atto lodevole e meritevole di ricompensa, il beneficio consiste solo materialmente in un'opera esterna, ma formalmente e principalmente è un atto di volontà. Di qui le parole di Seneca: "Un beneficio non consiste nella cosa che viene compiuta, o data, ma nel sentimento stesso di chi la dà, o la compie".

[43524] IIª-IIae q. 106 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod gratia est pars iustitiae, non quidem sicut species generis, sed per quandam reductionem ad genus iustitiae, ut supra dictum est. Unde non oportet quod eadem ratio debiti attendatur in utraque virtute.

 

[43524] IIª-IIae q. 106 a. 5 ad 2
2. Secondo le spiegazioni date, la riconoscenza è tra le parti della giustizia non come una specie nel proprio genere (cioè come parte soggettiva), ma per una certa riduzione alla formalità caratteristica della giustizia. Perciò non è detto che la nozione di debito debba essere identica.

[43525] IIª-IIae q. 106 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod affectum hominis per se quidem solus Deus videt, sed secundum quod per aliqua signa manifestatur, potest etiam ipsum homo cognoscere. Et hoc modo affectus beneficiantis cognoscitur ex ipso modo quo beneficium tribuitur, puta quia gaudenter et prompte aliquis beneficium impendit.

 

[43525] IIª-IIae q. 106 a. 5 ad 3
3. Direttamente Dio soltanto può vedere i sentimenti di un uomo: ma questi possono essere conosciuti da noi in quanto si rivelano da qualche segno. Perciò i sentimenti di chi benefica si possono conoscere dalla sua maniera di beneficare: p. es., dal fatto che uno offre il beneficio con gioia e prontezza.




Seconda parte > Le azioni umane > La giustizia > La riconoscenza o gratitudine > Se nel ricompensare si debba dare più di quanto si è ricevuto


Secunda pars secundae partis
Quaestio 106
Articulus 6

[43526] IIª-IIae q. 106 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod non oporteat aliquem plus exhibere in recompensatione quam susceperit in beneficio. Quibusdam enim, sicut parentibus, nec etiam aequalis recompensatio fieri potest, sicut philosophus dicit, in VIII Ethic. Sed virtus non conatur ad impossibile. Non ergo gratiae recompensatio tendit ad aliquid maius.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 106
Articolo 6

[43526] IIª-IIae q. 106 a. 6 arg. 1
SEMBRA che nel ricompensare non si debba dare più di quanto si è ricevuto. Infatti:
1. Verso alcuni benefattori, verso i genitori, p. es., il compenso non può essere neppure alla pari, come nota il Filosofo. Ora, la virtù non mira mai a cose impossibili. Dunque il compenso della gratitudine non può tendere a dare qualche cosa di più.

[43527] IIª-IIae q. 106 a. 6 arg. 2
Praeterea, si aliquis plus recompensat quam in beneficio acceperit, ex hoc ipso quasi aliquid de novo dat. Sed ad beneficium de novo datum tenetur homo gratiam recompensare. Ergo ille qui primo beneficium dederat tenebitur aliquid maius recompensare, et sic procederet in infinitum. Sed virtus non conatur ad infinitum, quia infinitum aufert naturam boni, ut dicitur in II Metaphys. Ergo gratiae recompensatio non debet excedere acceptum beneficium.

 

[43527] IIª-IIae q. 106 a. 6 arg. 2
2. Se uno dà un compenso superiore al beneficio ricevuto, dà per ciò stesso qualche cosa di nuovo. Ma per un nuovo beneficio l'altro è tenuto a ricompensare. E quindi il primo nel beneficare sarà poi tenuto a dare di più: e in tal modo si va all'indefinito. Ma la virtù non tende all'infinito: perché, come dice Aristotele, "l'infinito esula dalla natura del bene". Perciò il compenso della gratitudine non deve sorpassare il beneficio ricevuto.

[43528] IIª-IIae q. 106 a. 6 arg. 3
Praeterea, iustitia in aequalitate consistit. Sed maius est quidam aequalitatis excessus. Cum ergo in qualibet virtute excessus sit vitiosus, videtur quod recompensare aliquid maius accepto beneficio sit vitiosum, et iustitiae oppositum.

 

[43528] IIª-IIae q. 106 a. 6 arg. 3
3. La giustizia sta nell'uguaglianza. Ora, il più è un eccesso rispetto all'uguaglianza. E siccome in ogni virtù gli eccessi sono peccaminosi, è chiaro che dare un compenso superiore al beneficio è peccaminoso, e contrario alla giustizia.

[43529] IIª-IIae q. 106 a. 6 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in V Ethic., refamulari oportet ei qui gratiam fecit, et rursum ipsum incipere. Quod quidem fit dum aliquid maius retribuitur. Ergo recompensatio debet tendere ad hoc quod aliquid maius faciat.

 

[43529] IIª-IIae q. 106 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo ha scritto: "Si deve ricompensare chi ci ha fatto del bene, e iniziarne dell'altro". Ora, questo si fa quando si dà più di quanto si è ricevuto. Dunque il compenso deve tendere sempre a dare qualche cosa di più.

[43530] IIª-IIae q. 106 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, recompensatio gratiae respicit beneficium secundum voluntatem beneficiantis. In quo quidem praecipue hoc commendabile videtur quod gratis beneficium contulit ad quod non tenebatur. Et ideo qui beneficium accepit ad hoc obligatur, ex debito honestatis, ut similiter gratis aliquid impendat. Non autem videtur gratis aliquid impendere nisi excedat quantitatem accepti beneficii, quia quandiu recompensat minus vel aequale, non videtur facere gratis, sed reddere quod accepit. Et ideo gratiae recompensatio semper tendit ut, pro suo posse, aliquid maius retribuat.

 

[43530] IIª-IIae q. 106 a. 6 co.
RISPONDO: Come abbiamo già notato, il compenso della gratitudine soddisfa al beneficio, considerandolo dal lato dei sentimenti di chi l'offre. E in essi c'è questo soprattutto di encomiabile, che il beneficio è stato dato senza esservi tenuti. Perciò chi lo riceve è moralmente obbligato a rendere qualche cosa con la stessa gratuità. Ora, uno non può dire di dare gratuitamente nulla, se non sorpassa la misura del beneficio ricevuto. Poiché fino a quando il compenso è minore, o uguale, non dà niente di gratuito, ma rende quello che ha ricevuto. Ecco perché il compenso della gratitudine tende, nei limiti del possibile, a dare qualche cosa in più.

[43531] IIª-IIae q. 106 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut dictum est, in recompensatione beneficii magis est considerandus affectus benefici quam effectus. Si ergo consideremus effectum beneficii quod filius a parentibus accepit, scilicet esse et vivere, nihil aequale filius recompensare potest, ut philosophus dicit. Si autem attendamus ad ipsam voluntatem dantis et retribuentis, sic potest filius aliquid maius patri retribuere, ut Seneca dicit, in III de Benefic. Si tamen non posset, sufficeret ad gratitudinem recompensandi voluntas.

 

[43531] IIª-IIae q. 106 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nella riconoscenza si deve badare, come abbiamo detto, più all'intenzione del benefattore che al beneficio ricevuto. Perciò se consideriamo il beneficio che i figli ricevono dai genitori, vale a dire l'esistenza e la vita, un figlio non potrà mai compensarlo adeguatamente, come nota il Filosofo. Ma se prendiamo a esaminare la volontà di chi dà e di chi ricompensa, allora un figlio può anche ripagare i genitori con qualche cosa di più grande, come fa notare Seneca. Ma se uno non è in grado di farlo, per la gratitudine basta la volontà di ricompensare.

[43532] IIª-IIae q. 106 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod debitum gratitudinis ex caritate derivatur, quae, quanto plus solvitur, tanto magis debetur, secundum illud Rom. XIII, nemini quidquam debeatis, nisi ut invicem diligatis. Et ideo non est inconveniens si obligatio gratitudinis interminabilis sit.

 

[43532] IIª-IIae q. 106 a. 6 ad 2
2. Il debito della gratitudine deriva da quello della carità, il quale quanto più vien pagato tanto più aumenta, secondo le parole di S. Paolo: "Non abbiate altro debito tra voi che quello di amarvi reciprocamente". Perciò non c'è niente di strano, se l'obbligo della riconoscenza è indefinito.

[43533] IIª-IIae q. 106 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod sicut in iustitia quae est virtus cardinalis, attenditur aequalitas rerum, ita in gratitudine attenditur aequalitas voluntatum, ut scilicet sicut ex promptitudine voluntatis beneficus aliquid exhibuit ad quod non tenebatur, ita etiam ille qui suscepit beneficium aliquid supra debitum recompenset.

 

[43533] IIª-IIae q. 106 a. 6 ad 3
3. Come nella virtù cardinale della giustizia misura dell'uguaglianza sono le cose, così nella gratitudine l'uguaglianza va raggiunta negli atti di volontà: in modo che la prontezza di volontà, la quale ha spinto il benefattore a dare ciò cui non era tenuto, sia ricompensata dal beneficato oltre lo stretto obbligo.

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