III, 86

Terza parte > I Sacramenti > La penitenza > Gli effetti della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali


Tertia pars
Quaestio 86
Prooemium

[51350] IIIª q. 86 pr.
Deinde considerandum est de effectu poenitentiae. Et primo, quantum ad remissionem peccatorum mortalium; secundo, quantum ad remissionem peccatorum venialium; tertio, quantum ad reditum peccatorum dimissorum; quarto, quantum ad restitutionem virtutum. Circa primum quaeruntur sex.
Primo, utrum peccata mortalia per poenitentiam auferantur.
Secundo, utrum possint sine poenitentia tolli.
Tertio, utrum possit remitti unum sine alio.
Quarto, utrum poenitentia auferat culpam remanente reatu.
Quinto, utrum remaneant reliquiae peccatorum.
Sexto, utrum auferre peccatum sit effectus poenitentiae inquantum est virtus, vel inquantum est sacramentum.

 
Terza parte
Questione 86
Proemio

[51350] IIIª q. 86 pr.
Passiamo ora a considerare gli effetti della penitenza. Primo quanto alla remissione dei peccati mortali; secondo, quanto alla remissione dei peccati veniali; terzo, quanto alla possibile reviviscenza dei peccati perdonati; quarto, quanto al ricupero delle virtù.
Sul primo argomento si pongono sei quesiti:

1. Se i peccati mortali vengano cancellati dalla penitenza;
2. Se sia possibile cancellarli senza la penitenza;
3. Se possa essere rimesso un peccato, senza la remissione degli altri;
4. Se la penitenza possa togliere la colpa, lasciando l'obbligazione alla pena;
5. Se possano così rimanere le scorie del peccato;
6. Se togliere il peccato sia effetto della penitenza virtù o della penitenza sacramento.




Terza Parte > I Sacramenti > La penitenza > Gli effetti della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali > Se dalla penitenza vengano cancellati tutti i peccati


Tertia pars
Quaestio 86
Articulus 1

[51351] IIIª q. 86 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod per poenitentiam non removeantur omnia peccata. Dicit enim apostolus, Heb. XII, quod Esau non invenit locum poenitentiae, quamvis cum lacrimis inquisisset eam, Glossa, idest, non invenit locum veniae et benedictionis per poenitentiam. Et II Machab. IX dicitur de Antiocho, orabat scelestus ille dominum, a quo non erat misericordiam consecuturus. Non ergo videtur quod per poenitentiam omnia peccata tollantur.

 
Terza parte
Questione 86
Articolo 1

[51351] IIIª q. 86 a. 1 arg. 1
SEMBRA che non tutti i peccati vengano cancellati dalla penitenza. Infatti: 1. L'Apostolo afferma che Esaù "non ottenne il perdono, sebbene lo chiedesse con le lacrime". E la Glossa spiega: "Cioè non ottenne il perdono e la benedizione mediante il pentimento". E di Antioco si legge: "Quello scellerato pregava il Signore dal quale non avrebbe ottenuto misericordia". Dunque non tutti i peccati vengono eliminati dalla penitenza.

[51352] IIIª q. 86 a. 1 arg. 2
Praeterea, dicit Augustinus, in libro de sermone Dom. in monte, quod tanta est labes illius peccati (scilicet, cum post agnitionem Dei per gratiam Christi, oppugnat aliquis fraternitatem, et adversus ipsam gratiam invidiae facibus agitatur), ut deprecandi humilitatem subire non possit, etiam si peccatum suum mala conscientia agnoscere et annuntiare cogatur. Non ergo omne peccatum potest per poenitentiam tolli.

 

[51352] IIIª q. 86 a. 1 arg. 2
2. S. Agostino ha scritto, che "è tanta la sozzura di codesto peccato (cioè che uno dopo aver conosciuto Dio per la grazia di Cristo, arrivi a minacciare la concordia fraterna muovendosi col fuoco dell'invidia contro la grazia medesima), da non poter soffrire l'umiltà della preghiera, anche se è costretto dalla cattiva coscienza a riconoscere il proprio peccato". Perciò non tutti i peccati possono essere cancellati dalla penitenza.

[51353] IIIª q. 86 a. 1 arg. 3
Praeterea, dominus dicit, Matth. XII, qui dixerit contra spiritum sanctum verbum, non remittetur ei neque in hoc saeculo neque in futuro. Non ergo omne peccatum remitti potest per poenitentiam.

 

[51353] IIIª q. 86 a. 1 arg. 3
3. Il Signore ha affermato: "A chi avrà parlato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in questo secolo né in quello futuro". Quindi non tutti i peccati possono essere rimessi con la penitenza.

[51354] IIIª q. 86 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur Ezech. XVIII, omnium iniquitatum eius quas operatus est, non recordabor amplius.

 

[51354] IIIª q. 86 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: In Ezechiele si legge: "Di tutte le iniquità che ha commesso io non ne ricorderò nessuna".

[51355] IIIª q. 86 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod hoc quod aliquod peccatum per poenitentiam tolli non possit, posset contingere dupliciter, uno modo, quia aliquis de peccato poenitere non posset; alio modo, quia poenitentia non posset delere peccatum. Et primo quidem modo, non possunt deleri peccata Daemonum, et etiam hominum damnatorum, quia affectus eorum sunt in malo confirmati, ita quod non potest eis displicere peccatum inquantum est culpa, sed solum displicet eis inquantum est poena quam patiuntur; ratione cuius aliquam poenitentiam, sed infructuosam habent, secundum illud Sap. V, poenitentiam agentes, et prae angustia spiritus gementes. Unde talis poenitentia non est cum spe veniae, sed cum desperatione. Tale autem non potest esse peccatum aliquod hominis viatoris, cuius liberum arbitrium flexibile est ad bonum et ad malum. Unde dicere quod aliquod peccatum sit in hac vita de quo aliquis poenitere non possit, est erroneum. Primo quidem, quia per hoc tolleretur libertas arbitrii. Secundo, quia derogaretur virtuti gratiae, per quam moveri potest cor cuiuscumque peccatoris ad poenitendum, secundum illud Proverb. XXI cor regis in manu Dei, et quocumque voluerit vertet illud. Quod autem secundo modo non possit per veram poenitentiam aliquod peccatum remitti, est etiam erroneum. Primo quidem, quia repugnat divinae misericordiae, de qua dicitur, Ioel II, quod benignus et misericors est, et multae misericordiae, et praestabilis super malitia. Vinceretur quodammodo enim Deus ab homine, si homo peccatum vellet deleri, quod Deus delere non vellet. Secundo, quia hoc derogaret virtuti passionis Christi, per quam poenitentia operatur, sicut et cetera sacramenta, cum scriptum sit, I Ioan. II, ipse est propitiatio pro peccatis nostris, non solum nostris, sed etiam totius mundi. Unde simpliciter dicendum est quod omne peccatum in hac vita per poenitentiam deleri potest.

 

[51355] IIIª q. 86 a. 1 co.
RISPONDO: L'incapacità della penitenza a cancellare un peccato potrebbe dipendere da due cose: primo, dal fatto che uno non è in grado di pentirsene; secondo, dal fatto che la penitenza non è in grado di cancellare il peccato. Per il primo motivo sono incancellabili i peccati dei demoni e dei dannati; poiché il loro affetto è confermato nel male, e quindi ad essi il peccato non può dispiacere in quanto colpa, ma dispiace solo in quanto si traduce nel castigo di cui soffrono. Cosicché essi hanno un certo pentimento, però infruttuoso, secondo le parole della Sapienza: "Presi dal pentimento, gemeranno per l'angoscia dell'animo". Perciò tale penitenza non è accompagnata dalla speranza del perdono, ma dalla disperazione.
Ora, non può essere di tal genere il peccato di un uomo viatore, il cui libero arbitrio è flessibile al bene e al male. Affermare quindi che esiste nella vita presente un peccato, di cui sia impossibile pentirsi, è un errore. Primo perché in tal modo si negherebbe il libero arbitrio. - Secondo, perché si farebbe oltraggio alla grazia, la quale è in grado di muovere a penitenza il cuore di qualsiasi peccatore; poiché sta scritto: "Il cuore del re è nelle mani di Dio, che lo volge dovunque egli vuole".
È erroneo inoltre per il secondo motivo, pensare che un peccato non possa essere rimesso dalla vera penitenza. Primo, perché ciò è incompatibile con la misericordia di Dio, di cui sta scritto che "è benigno e misericordioso, molto compassionevole e disposto a perdonare l'iniquità". Infatti Dio in qualche modo verrebbe superato dall'uomo, se l'uomo desiderasse la cancellazione del peccato e Dio non volesse. - Secondo, perché questo verrebbe a menomare la virtù della passione di Cristo, che dà efficacia alla penitenza come agli altri sacramenti; poiché sta scritto: "Egli è propiziazione per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo". Si deve dunque affermare in senso assoluto che in questa vita tutti i peccati possono essere cancellati dalla penitenza.

[51356] IIIª q. 86 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Esau non vere poenituit. Quod patet ex hoc quod dixit, venient dies luctus patris mei, et occidam Iacob fratrem meum. Similiter etiam nec Antiochus vere poenituit. Dolebat enim de culpa praeterita non propter offensam Dei, sed propter infirmitatem corporalem quam patiebatur.

 

[51356] IIIª q. 86 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Esaù non si pentì sinceramente. Ciò risulta da quelle sue parole: "Verranno i giorni del funerale di mio padre, e allora ucciderò mio fratello Giacobbe".
Così non fu vera neppure la penitenza di Antioco. Si pentì infatti della sua colpa passata non per l'offesa di Dio, ma per la malattia del corpo di cui soffriva.

[51357] IIIª q. 86 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod illud verbum Augustini sic est intelligendum, tanta est labes illius peccati ut deprecandi humilitatem subire non possit, scilicet, de facili, secundum quod dicitur ille non posse sanari qui non potest de facili sanari. Potest tamen hoc fieri per virtutem divinae gratiae, quae etiam interdum in profundum maris convertit, ut dicitur in Psalmo.

 

[51357] IIIª q. 86 a. 1 ad 2
2. Le parole di S. Agostino, "È tanta la sozzura di codesto peccato, da non poter soffrire l'umiltà della preghiera", vanno intese nel senso che ciò non è facile: cioè come quando si dice che non può guarire colui che non può guarire facilmente. Tuttavia ciò è sempre possibile per la virtù della divina grazia, che talora, a detta del salmista, "richiama dal profondo del mare".

[51358] IIIª q. 86 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod illud verbum vel blasphemia contra spiritum sanctum est finalis impoenitentia, ut Augustinus dicit, in libro de verbis domini, quae penitus irremissibilis est, quia post finem huius vitae non est remissio peccatorum. Vel, si intelligatur per blasphemiam spiritus sancti peccatum quod fit ex certa malitia, vel etiam ipsa blasphemia spiritus sancti, dicitur non remitti, scilicet de facili, quia tale non habet in se causam excusationis; vel quia pro tali peccato punitur aliquis et in hoc saeculo et in futuro; ut in secunda parte expositum est.

 

[51358] IIIª q. 86 a. 1 ad 3
3. In quel testo "parlare" o "bestemmiare" contro lo Spirito Santo equivale, secondo S. Agostino, all'impenitenza finale: e questa è assolutamente imperdonabile, poiché finita la vita presente non c'è remissione di peccati.
Se invece per bestemmia contro lo Spirito Santo s'intende un peccato di vera malizia, oppure la bestemmia diretta dello Spirito Santo, si dice che tale colpa non viene rimessa, ossia che non lo è facilmente, perché in se stessa non ha attenuanti; oppure perché per codesto peccato si è puniti e in questa vita e in quella futura, come abbiamo già spiegato nella Seconda Parte.




Terza Parte > I Sacramenti > La penitenza > Gli effetti della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali > Se il peccato possa essere rimesso senza penitenza


Tertia pars
Quaestio 86
Articulus 2

[51359] IIIª q. 86 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod sine poenitentia peccatum remitti possit. Non enim est minor virtus Dei circa adultos quam circa pueros. Sed pueris peccata dimittit sine poenitentia. Ergo etiam et adultis.

 
Terza parte
Questione 86
Articolo 2

[51359] IIIª q. 86 a. 2 arg. 1
SEMBRA che il peccato possa essere rimesso senza penitenza. Infatti:
1. Sugli adulti Dio non ha un potere meno grande che sui bambini. Ora, egli rimette i peccati ai bambini senza penitenza. Dunque può rimetterli così anche agli adulti.

[51360] IIIª q. 86 a. 2 arg. 2
Praeterea, Deus virtutem suam sacramentis non alligavit. Sed poenitentia est quoddam sacramentum. Ergo virtute divina possunt peccata sine poenitentia dimitti.

 

[51360] IIIª q. 86 a. 2 arg. 2
2. Dio non ha legato la sua virtù esclusivamente ai sacramenti. Ma la penitenza è un sacramento. Quindi per la virtù di Dio i peccati possono essere rimessi senza penitenza.

[51361] IIIª q. 86 a. 2 arg. 3
Praeterea, maior est misericordia Dei quam misericordia hominis. Sed homo interdum remittit offensam suam homini etiam non poenitenti, unde et ipse dominus mandat, Matth. V, diligite inimicos vestros, benefacite his qui oderunt vos. Ergo multo magis Deus dimittit offensam suam hominibus non poenitentibus.

 

[51361] IIIª q. 86 a. 2 arg. 3
3. La misericordia di Dio è superiore a quella degli uomini. Ma l'uomo talora perdona le offese anche a chi non ne è pentito, secondo il comando del Signore medesimo: "Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano". Perciò molto più Dio perdona l'offesa agli uomini, senza che ne facciano penitenza.

[51362] IIIª q. 86 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dominus dicit, Ierem. XVIII, si poenitentiam egerit gens illa a malo quod fecit, agam et ego poenitentiam a malo quod cogitavi ut facerem ei. Et sic e converso videtur quod, si homo poenitentiam non agat, quod Deus ei non remittat offensam.

 

[51362] IIIª q. 86 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Il Signore afferma per bocca di Geremia: "Se quella nazione si sarà pentita delle sue malefatte, anch'io mi ripentirò del male che avevo divisato di farle". E quindi per la ragione dei contrari è evidente che se l'uomo non fa penitenza, Dio non perdona l'offesa.

[51363] IIIª q. 86 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod impossibile est peccatum actuale mortale sine poenitentia remitti, loquendo de poenitentia quae est virtus. Cum enim peccatum sit Dei offensa, eo modo Deus peccatum remittit quo remittit offensam in se commissam. Offensa autem directe opponitur gratiae, ex hoc enim dicitur aliquis alteri esse offensus, quod repellit eum a gratia sua. Sicut autem habitum est in secunda parte, hoc interest inter gratiam Dei et gratiam hominis, quod gratia hominis non causat, sed praesupponit bonitatem, veram vel apparentem, in homine grato, sed gratia Dei causat bonitatem in homine grato, eo quod bona voluntas Dei, quae in nomine gratiae intelligitur, est causa boni creati. Unde potest contingere quod homo remittat offensam qua offensus est alicui, absque aliqua immutatione voluntatis eius, non autem potest contingere quod Deus remittat offensam alicui absque immutatione voluntatis eius. Offensa autem peccati mortalis procedit ex hoc quod voluntas hominis est aversa a Deo per conversionem ad aliquod bonum commutabile. Unde requiritur ad remissionem divinae offensae quod voluntas hominis sic immutetur quod convertatur ad Deum, cum detestatione praedictae conversionis et proposito emendae. Quod pertinet ad rationem poenitentiae secundum quod est virtus. Et ideo impossibile est quod peccatum alicui remittatur sine poenitentia secundum quod est virtus. Sacramentum autem poenitentiae, sicut supra dictum est, perficitur per officium sacerdotis ligantis et solventis. Sine quo potest Deus peccatum remittere, sicut remisit Christus mulieri adulterae, ut legitur Ioan. VIII, et peccatrici, ut legitur Luc. VII. Quibus tamen non remisit peccata sine virtute poenitentiae; nam, sicut Gregorius dicit, in homilia, per gratiam traxit intus, scilicet ad poenitentiam, quam per misericordiam suscepit foris.

 

[51363] IIIª q. 86 a. 2 co.
RISPONDO: È impossibile che un peccato attuale mortale venga rimesso senza penitenza, se parliamo della penitenza virtù. Infatti essendo il peccato un'offesa di Dio, Dio rimette il peccato nel modo in cui perdona l'offesa commessa contro di lui. Ebbene, l'offesa si contrappone direttamente alla grazia: si dice appunto che si resta offesi da un altro per il fatto che si respinge dalla propria grazia. Ora, come abbiamo spiegato nella Seconda Parte, tra la grazia di Dio e la grazia dell'uomo c'è questa differenza, che la grazia dell'uomo non causa, ma presuppone la bontà, vera o apparente, in chi ne è l'oggetto: la grazia di Dio invece causa la bontà in quest'ultimo, perché il buon volere di Dio, implicito nel termine grazia, è causa del bene della creatura. Perciò può capitare che un uomo perdoni l'offesa subita, senza che l'offensore cambi il suo malvolere verso di lui: ma non può capitare che Dio perdoni l'offesa a qualcuno senza mutarne la volontà. Ora, l'offesa del peccato mortale deriva dal fatto che la volontà dell'uomo si è alienata da Dio volgendosi a un bene (temporale) commutabile. Quindi per la remissione dell'offesa di Dio si richiede che la volontà dell'uomo venga mutata così da convertirsi a Dio, detestando la perversione predetta e facendo il proposito di emendarsi. E ciò rientra nella natura della penitenza in quanto virtù. Dunque è impossibile che a uno venga rimesso il peccato senza la penitenza virtù.
Invece il sacramento della penitenza, come abbiamo spiegato sopra, viene compiuto per il ministero del sacerdote che lega ed assolve. Ebbene, Dio può rimettere il peccato senza di esso: e fu così che Cristo perdonò all'adultera, come narra S. Giovanni, e alla peccatrice, come narra S. Luca. Ma ad esse Dio non rimise i peccati senza la virtù della penitenza: poiché, come scrive S. Gregorio, "egli attirò interiormente con la grazia", alla penitenza, "colei che esternamente accolse con la misericordia".

[51364] IIIª q. 86 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in pueris non est nisi peccatum originale, quod non consistit in actuali deordinatione voluntatis, sed in quadam habituali deordinatione naturae, ut in secunda parte habitum est. Et ideo remittitur eis peccatum cum habituali immutatione per infusionem gratiae et virtutum, non autem cum actuali. Sed adulto in quo sunt actualia peccata, quae consistunt in deordinatione actuali voluntatis, non remittuntur peccata, etiam in Baptismo, sine actuali immutatione voluntatis, quod fit per poenitentiam.

 

[51364] IIIª q. 86 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nei bambini non c'è che il peccato originale, che non implica un disordine attuale della volontà, ma un disordine abituale della natura, come abbiamo spiegato nella Seconda Parte. Ecco perché viene loro rimesso il peccato mediante un mutamento non già di atti ma solo di abiti, mediante l'infusione della grazia e delle virtù. Invece all'adulto, in cui si riscontrano peccati attuali, che consistono nel disordine attuale della volontà, nel battesimo stesso non vengono rimessi i peccati, senza un mutamento della volontà: il che avviene con la penitenza.

[51365] IIIª q. 86 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod ratio illa procedit de poenitentia secundum quod est sacramentum.

 

[51365] IIIª q. 86 a. 2 ad 2
2. La seconda difficoltà vale per la penitenza in quanto sacramento.

[51366] IIIª q. 86 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod misericordia Dei est maioris virtutis quam misericordia hominis in hoc, quod immutat voluntatem hominis ad poenitendum, quod misericordia hominis facere non potest.

 

[51366] IIIª q. 86 a. 2 ad 3
3. La misericordia di Dio è superiore in virtù alla misericordia dell'uomo, per il fatto che muove la volontà dell'uomo al pentimento: mentre la misericordia dell'uomo non può farlo.




Terza Parte > I Sacramenti > La penitenza > Gli effetti della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali > Se la penitenza possa rimettere un peccato, senza rimettere gli altri


Tertia pars
Quaestio 86
Articulus 3

[51367] IIIª q. 86 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod possit per poenitentiam unum peccatum sine alio remitti. Dicitur enim Amos IV, plui super unam civitatem, et super alteram non plui, pars una compluta est, et pars super quam non plui, aruit. Quod exponens Gregorius, super Ezech., dicit, cum ille qui proximum odit ab aliis vitiis se corrigit, una et eadem civitas ex parte compluitur, et ex parte arida manet, quia sunt qui, cum quaedam vitia resecant, in aliis graviter perdurant. Ergo potest unum peccatum per poenitentiam remitti sine alio.

 
Terza parte
Questione 86
Articolo 3

[51367] IIIª q. 86 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la penitenza possa rimettere un peccato, senza rimettere gli altri. Infatti:
1. In Amos Dio si esprime in questi termini: "Sopra una città ho fatto piovere e sopra un'altra no, in una parte ha piovuto e nella parte dove non ha piovuto vi fu la siccità". E S. Gregorio, spiegando la frase, afferma: "Quando chi odia il prossimo si corregge dagli altri vizi, è come un'identica città che in una parte riceve la pioggia, e nell'altra rimane all'asciutto: poiché ci sono alcuni che la troncano con certi vizi, mentre si ostinano in altri". Dunque è possibile che la penitenza rimetta un peccato, senza rimettere gli altri.

[51368] IIIª q. 86 a. 3 arg. 2
Praeterea, Ambrosius dicit, super beati immaculati, prima consolatio est, quia non obliviscitur misereri Deus, secunda per punitionem, ubi, et si fides desit, poena satisfacit et relevat. Potest ergo aliquis relevari ab aliquo peccato manente peccato infidelitatis.

 

[51368] IIIª q. 86 a. 3 arg. 2
2. S. Ambrogio scrive nel suo commento al salmo, Beati immaculati in via: "La prima consolazione sta nel fatto che Dio non tralascia di usare misericordia; la seconda sta nella punizione, nella quale, anche se manca la fede, la pena serve a soddisfare e a risollevare". Dunque uno può essere liberato da un peccato, pur restando nel peccato d'incredulità.

[51369] IIIª q. 86 a. 3 arg. 3
Praeterea, eorum quae non necesse est esse simul, unum potest auferri sine alio. Sed peccata, ut in secunda parte habitum est, non sunt connexa, et ita unum eorum potest esse sine alio. Ergo unum eorum potest remitti sine alio per poenitentiam.

 

[51369] IIIª q. 86 a. 3 arg. 3
3. Quando più cose non hanno la necessità di stare insieme, si può togliere l'una senza togliere l'altra. Ora, i peccati, come abbiamo spiegato nella Seconda Parte, non sono connessi così da non poter l'uno fare a meno dell'altro. Perciò la penitenza può rimetterne uno senza rimettere gli altri.

[51370] IIIª q. 86 a. 3 arg. 4
Praeterea, peccata sunt debita quae nobis relaxari petimus cum dicimus in oratione dominica, dimitte nobis debita nostra. Sed homo quandoque dimittit debitum unum sine alio. Ergo etiam Deus per poenitentiam dimittit unum peccatum sine alio.

 

[51370] IIIª q. 86 a. 3 arg. 4
4. I peccati sono dei debiti, di cui nel Pater noster chiediamo il condono: "Rimetti a noi i nostri debiti". Ma l'uomo talora rimette un debito senza rimettere gli altri. Quindi anche Dio può rimettere per la penitenza un peccato senza rimettere gli altri.

[51371] IIIª q. 86 a. 3 arg. 5
Praeterea, per dilectionem Dei relaxantur hominibus peccata, secundum illud Ierem. XXXI, in caritate perpetua dilexi te, ideo attraxi te miserans. Sed nihil prohibet quin Deus diligat hominem quantum ad unum, et sit ei offensus quantum ad aliud, sicut peccatorem diligit quantum ad naturam, odit autem quantum ad culpam. Ergo videtur possibile quod Deus per poenitentiam remittat unum peccatum sine alio.

 

[51371] IIIª q. 86 a. 3 arg. 5
5. I peccati vengono perdonati agli uomini per l'amore che Dio ha verso di loro, secondo le parole di Geremia: "Ti ho amato con un amore eterno, ed è per questo che ti ho attirato con misericordia". Ora, niente impedisce che Dio ami un uomo per una data cosa restando adirato con lui per un'altra: nel peccatore p. es., egli ama la natura e odia la colpa. Perciò è possibile che per la penitenza Dio rimetta un peccato, senza rimettere gli altri.

[51372] IIIª q. 86 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro de poenitentia, sunt plures quos poenitet peccasse, sed non omnino, reservantes sibi quaedam in quibus delectentur, non animadvertentes dominum simul mutum et surdum a Daemonio liberasse, per hoc docens nos nunquam nisi de omnibus sanari.

 

[51372] IIIª q. 86 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino ha scritto: "Ci sono alcuni che si pentono di aver peccato, però non completamente, perché si riservano delle colpe di cui godono, senza notare che il Signore liberò dal demonio uno che era insieme sordo e muto, per insegnarci che noi non saremo affatto guariti se non lo saremo da tutti i peccati".

[51373] IIIª q. 86 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod impossibile est per poenitentiam unum peccatum sine alio remitti. Primo quidem, quia peccatum remittitur inquantum tollitur Dei offensa per gratiam, unde in secunda parte habitum est quod nullum peccatum potest remitti sine gratia. Omne autem peccatum mortale contrariatur gratiae, et excludit eam. Unde impossibile est quod unum peccatum sine alio remittatur. Secundo quia, sicut ostensum est, peccatum mortale non potest sine vera poenitentia remitti, ad quam pertinet deserere peccatum inquantum est contra Deum. Quod quidem est commune omnibus peccatis mortalibus. Ubi autem eadem ratio est et idem effectus. Unde non potest esse vere poenitens qui de uno peccato poenitet et non de alio. Si enim displiceret ei illud peccatum quia est contra Deum super omnia dilectum, quod requiritur ad rationem verae poenitentiae, sequeretur quod de omnibus peccatis poeniteret. Unde sequitur quod impossibile sit unum peccatum remitti sine alio. Tertio, quia hoc esset contra perfectionem misericordiae Dei, cuius perfecta sunt opera, ut dicitur Deut. XXXII. Unde cuius miseretur, totaliter miseretur. Et hoc est quod Augustinus dicit, in libro de poenitentia, quaedam impietas infidelitatis est ab illo qui iustus et iustitia est, dimidiam sperare veniam.

 

[51373] IIIª q. 86 a. 3 co.
RISPONDO: È impossibile che con la penitenza venga rimesso un peccato, senza che vengano rimessi anche gli altri. Primo, perché un peccato viene rimesso in quanto l'offesa di Dio viene eliminata dalla grazia: infatti nella Seconda Parte abbiamo spiegato che nessun peccato può essere rimesso senza la grazia. Ma ogni peccato mortale è contrario alla grazia e incompatibile con essa. Quindi è impossibile che un peccato venga rimesso, senza che lo siano anche gli altri.
Secondo, perché il peccato mortale, come abbiamo notato sopra, non può essere rimesso che mediante una vera penitenza, la quale implica l'abbandono del peccato quale offesa di Dio. E questo è un aspetto comune a tutti i peccati mortali. Ma l'identica causa produce il medesimo effetto. Quindi uno non può pentirsi veramente di un peccato, senza pentirsi degli altri. Perché se egli si pente di un peccato in quanto è contro Dio amato sopra ogni cosa, il che è richiesto dalla nozione di vera penitenza, ne segue che egli si pentirà di tutti i peccati. Perciò è impossibile che venga rimesso un peccato, senza la remissione degli altri.
Terzo, perché ciò sarebbe incompatibile con la perfezione della misericordia di Dio, "le cui opere sono perfette", come dice il Deuteronomio. Se dunque egli perdona, perdona totalmente. Di qui le parole di S. Agostino: "Sperare un perdono dimezzato da quel giusto che è la stessa giustizia, è un peccato d'incredulità".

[51374] IIIª q. 86 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod verbum illud Gregorii non est intelligendum quantum ad remissionem culpae, sed quantum ad cessationem ab actu, quia interdum ille qui plura peccata consuevit committere, deserit unum, non tamen aliud. Quod quidem fit auxilio divino, quod tamen non pertingit usque ad remissionem culpae.

 

[51374] IIIª q. 86 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quelle parole di S. Gregorio non si riferiscono alla remissione della colpa, ma alla cessazione dal peccato: poiché capita che uno, il quale è abituato a commettere molti peccati, ne abbandoni uno, senza omettere gli altri. E anche questo si fa con l'aiuto di Dio, aiuto che però non arriva fino alla remissione della colpa.

[51375] IIIª q. 86 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod in verbo illo Ambrosii fides non potest accipi qua creditur in Christum, quia, ut Augustinus dicit, super illud Ioan. XV, si non venissem et locutus eis non fuissem, peccatum non haberent, scilicet infidelitatis, hoc enim est peccatum quo tenentur cuncta peccata. Sed accipitur fides pro conscientia, quia interdum per poenas quas quis patienter sustinet, consequitur remissionem peccati cuius conscientiam non habet.

 

[51375] IIIª q. 86 a. 3 ad 2
2. In quel testo di S. Ambrogio "la fede" non è la virtù per cui crediamo in Cristo: poiché, come insegna S. Agostino spiegando le parole di Cristo, "Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero contratto il peccato", cioè il peccato d'incredulità: "Questo infatti è il peccato che regge tutti i peccati". Ma "fede" sta qui al posto di coscienza: poiché capita che uno consegua la remissione dei peccati, di cui non ha coscienza, mediante le pene che pazientemente sopporta.

[51376] IIIª q. 86 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod peccata, quamvis non sint connexa quantum ad conversionem ad bonum commutabile, sunt tamen connexa quantum ad aversionem a bono incommutabili, in qua conveniunt omnia peccata mortalia. Et ex hac parte habent rationem offensae, quam oportet per poenitentiam tolli.

 

[51376] IIIª q. 86 a. 3 ad 3
3. Sebbene i peccati non siano commessi in quanto si volgono al bene commutabile, sono però commessi in quanto distolgono dal bene incommutabile. Aspetto questo che è comune a tutti i peccati mortali. Ma è sotto tale aspetto che essi sono un'offesa, la quale va eliminata dalla penitenza.

[51377] IIIª q. 86 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod debitum exterioris rei, puta pecuniae, non contrariatur amicitiae, ex qua debitum remittitur. Et ideo potest unum dimitti sine alio. Sed debitum culpae contrariatur amicitiae. Et ideo una culpa vel offensa non remittitur sine altera. Ridiculum etiam videretur quod aliquis ab homine veniam peteret de una offensa et non de alia.

 

[51377] IIIª q. 86 a. 3 ad 4
4. Il debito di beni esterni, p. es., di danaro, non è incompatibile con l'amicizia, la quale spinge a condonarlo. Ecco perché è possibile condonare un debito senza condonarne un altro. Ma il debito di colpa è incompatibile con l'amicizia. Perciò una colpa, o un'offesa non si può rimettere senza rimettere le altre. Sarebbe addirittura ridicolo che uno anche a un uomo chiedesse il perdono di un'offesa senza chiederlo per le altre.

[51378] IIIª q. 86 a. 3 ad 5
Ad quintum dicendum quod dilectio qua Deus diligit hominis naturam, non ordinatur ad bonum gloriae, a qua impeditur homo per quodlibet mortale peccatum. Sed dilectio gratiae, per quam fit remissio peccati mortalis, ordinat hominem ad vitam aeternam, secundum illud Rom. VI, gratia Dei vita aeterna. Unde non est similis ratio.

 

[51378] IIIª q. 86 a. 3 ad 5
5. L'amore, col quale Dio ama la natura di un uomo, non è ordinato al bene della gloria, da cui l'uomo viene distolto con qualsiasi peccato mortale. Invece l'amore (soprannaturale) della grazia, da cui deriva la remissione del peccato mortale, ordina l'uomo alla vita eterna, secondo l'espressione paolina: "Grazia di Dio è la vita eterna". Dunque il paragone non regge.




Terza Parte > I Sacramenti > La penitenza > Gli effetti della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali > Se, rimessa la colpa con la penitenza, rimanga un reato, o debito di pena


Tertia pars
Quaestio 86
Articulus 4

[51379] IIIª q. 86 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod, remissa culpa per poenitentiam, non remaneat reatus poenae. Remota enim causa, removetur effectus. Sed culpa est causa reatus poenae, ideo enim est aliquis dignus poena quia culpam commisit. Ergo, remissa culpa, non potest remanere reatus poenae.

 
Terza parte
Questione 86
Articolo 4

[51379] IIIª q. 86 a. 4 arg. 1
SEMBRA che rimessa la colpa con la penitenza, non rimanga un reato, o debito di pena. Infatti:
1. Eliminata la causa, si elimina anche l'effetto. Ma la colpa è causa del debito di pena: poiché uno è degno di pena proprio perché ha commesso una colpa. Perciò, eliminata la colpa non può rimanere un debito di pena.

[51380] IIIª q. 86 a. 4 arg. 2
Praeterea, sicut apostolus dicit, Rom. V, donum Christi est efficacius quam peccatum. Sed peccando homo simul incurrit culpam et poenae reatum. Ergo multo magis per donum gratiae simul remittitur culpa et tollitur poenae reatus.

 

[51380] IIIª q. 86 a. 4 arg. 2
2. Come dice l'Apostolo, il dono di Cristo ha più efficacia del peccato. Ora, l'uomo col peccato incorre simultaneamente la colpa e il debito di pena. Quindi a maggior ragione col dono della grazia vengono rimessi simultaneamente la colpa e il debito di pena.

[51381] IIIª q. 86 a. 4 arg. 3
Praeterea, remissio peccatorum fit in poenitentia per virtutem passionis Christi, secundum illud Rom. III, quem proposuit Deus propitiatorem per fidem in sanguine ipsius, propter remissionem praecedentium delictorum. Sed passio Christi sufficienter est satisfactoria pro omnibus peccatis, ut supra habitum est. Non ergo post remissionem culpae remanet aliquis reatus poenae.

 

[51381] IIIª q. 86 a. 4 arg. 3
3. La remissione dei peccati si ottiene nella penitenza per virtù della passione di Cristo, secondo l'affermazione paolina: "Dio lo ha prestabilito quale propiziatore per la fede che noi abbiamo nel suo sangue, per la remissione dei peccati passati". Ma la passione di Cristo basta per soddisfare tutti i peccati, come sopra abbiamo spiegato. Dunque dopo la remissione della colpa non rimane nessun debito di pena.

[51382] IIIª q. 86 a. 4 s. c.
Sed contra est quod, II Reg. XII, dicitur quod, cum David poenitens dixisset ad Nathan, peccavi domino, dixit Nathan ad illum, dominus quoque transtulit peccatum tuum, non morieris. Veruntamen filius qui natus est tibi, morte morietur, quod fuit in poenam praecedentis peccati, ut ibidem dicitur. Ergo, remissa culpa, remanet reatus alicuius poenae.

 

[51382] IIIª q. 86 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Nella Scrittura si legge che avendo Davide penitente detto a Natan, "Ho peccato contro il Signore", Natan gli rispose: "Anche il Signore ha rimesso il tuo peccato: tu non morirai. Tuttavia il figlio che ti è nato morirà"; e questo in pena del peccato precedente, come nota la Scrittura. Perciò, rimessa la colpa, rimane il debito di pena.

[51383] IIIª q. 86 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut in secunda parte habitum est, in peccato mortali sunt duo, scilicet aversio ab incommutabili bono, et conversio ad commutabile bonum inordinata. Ex parte igitur aversionis ab incommutabili bono, consequitur peccatum mortale reatus poenae aeternae, ut qui contra aeternum bonum peccavit, in aeternum puniatur. Ex parte etiam conversionis ad bonum commutabile, inquantum est inordinata, consequitur peccatum mortale reatus alicuius poenae, quia inordinatio culpae non reducitur ad ordinem iustitiae nisi per poenam; iustum est enim ut qui voluntati suae plus indulsit quam debuit, contra voluntatem suam aliquid patiatur, sic enim erit aequalitas; unde et Apoc. XVIII dicitur, quantum glorificavit se et in deliciis fuit, tantum date illi tormentum et luctum. Quia tamen conversio ad bonum commutabile finita est, non habet ex hac parte peccatum mortale quod debeatur ei poena aeterna. Unde, si sit inordinata conversio ad bonum commutabile sine aversione a Deo, sicut est in peccatis venialibus, non debetur peccato poena aeterna, sed temporalis. Quando igitur per gratiam remittitur culpa, tollitur aversio animae a Deo, inquantum per gratiam anima Deo coniungitur. Unde et per consequens simul tollitur reatus poenae aeternae. Potest tamen remanere reatus alicuius poenae temporalis.

 

[51383] IIIª q. 86 a. 4 co.
RISPONDO: Come abbiamo visto nella Seconda Parte, nel peccato mortale vanno considerate due cose: l'aversione dal bene (eterno) incommutabile, e la conversione (o adesione) disordinata al bene commutabile (o temporale). Per l'aversione quindi dal bene incommutabile il peccato mortale è accompagnato dal debito della pena eterna; perché chi ha peccato contro il bene eterno venga punito per l'eternità. Invece per la disordinata conversione al bene commutabile il peccato mortale è accompagnato dal debito di un'altra pena: poiché il disordine della colpa non viene riassorbito nell'ordine della giustizia che mediante una pena. Infatti è giusto che chi ha concesso alla propria volontà più del dovuto, soffra qualche cosa di contrario alla sua volontà. E così si ottiene l'uguaglianza. Ecco perché si legge nell'Apocalisse: "Quanto si è gloriata e ha sguazzato nei piaceri, tanto datele di tormento e di lutto". Tuttavia, poiché l'adesione al bene commutabile non è infinita, da questo lato il peccato non merita una pena eterna. Cosicché quando capita una conversione disordinata a un bene temporale, senza aversione da Dio, come avviene nei peccati veniali, il peccato non merita una pena eterna, bensì temporale.
Perciò quando mediante la grazia viene rimessa la colpa, finisce l'aversione dell'anima da Dio, poiché con la grazia l'anima si unisce a lui. E quindi viene per ciò stesso eliminato il debito della pena eterna. Può restare però il debito di una pena temporale.

[51384] IIIª q. 86 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod culpa mortalis utrumque habet, et aversionem a Deo et conversionem ad bonum creatum, sed, sicut in secunda parte habitum est, aversio a Deo est ibi sicut formale, conversio autem ad bonum creatum est ibi sicut materiale. Remoto autem formali cuiuscumque rei, tollitur species, sicut, remoto rationali, tollitur species humana. Et ideo ex hoc ipso dicitur culpa mortalis remitti, quod per gratiam tollitur aversio mentis a Deo, simul cum reatu poenae aeternae. Remanet tamen id quod est materiale, scilicet inordinata conversio ad bonum creatum. Pro qua debetur reatus poenae temporalis.

 

[51384] IIIª q. 86 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La colpa mortale presenta tutti e due questi aspetti: l'aversione da Dio e l'adesione o conversione al bene creato; però, come abbiamo spiegato nella Seconda Parte, l'aversione da Dio è l'elemento formale del peccato, mentre la conversione al bene creato è l'elemento materiale. Eliminato però l'elemento formale di una cosa, questa perde la sua natura specifica: eliminando, p. es., la razionalità si elimina la specie umana. Ecco perché si dice che la colpa mortale viene rimessa, per il fatto che con la grazia viene tolta l'aversione dell'anima da Dio e insieme il reato, o debito della pena eterna. Rimane però l'elemento materiale, cioè l'adesione disordinata al bene creato. E per questo si ha un debito di pena temporale.

[51385] IIIª q. 86 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut in secunda parte habitum est, ad gratiam pertinet operari in homine iustificando a peccato, et cooperari homini ad recte operandum. Remissio igitur culpae et reatus poenae aeternae pertinet ad gratiam operantem, sed remissio reatus poenae temporalis pertinet ad gratiam cooperantem, inquantum scilicet homo, cum auxilio divinae gratiae, patienter poenas tolerando, absolvitur etiam a reatu poenae temporalis. Sicut igitur prius est effectus gratiae operantis quam cooperantis, ita etiam prius est remissio culpae et poenae aeternae quam plena absolutio a poena temporali, utrumque enim est a gratia, sed primum a gratia sola, secundum ex gratia et ex libero arbitrio.

 

[51385] IIIª q. 86 a. 4 ad 2
2. Come abbiamo visto nella Seconda Parte, è compito della grazia operare nell'uomo giustificando dal peccato, e cooperare con l'uomo nel ben operare. Perciò la remissione della colpa e del debito di pena eterna appartiene alla grazia operante: invece la remissione del debito della pena temporale spetta alla grazia cooperante; cosicché l'uomo sopportando con pazienza le sue pene, mediante l'aiuto della grazia, viene sciolto dal debito della pena temporale. Quindi, come l'effetto della grazia operante precede quello della grazia cooperante, così la remissione della colpa e della pena eterna precede la piena remissione della pena temporale. Entrambi gli effetti derivano perciò dalla grazia: ma il primo dalla sola grazia, mentre il secondo deriva insieme dalla grazia e dal libero arbitrio.

[51386] IIIª q. 86 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum est quod passio Christi de se sufficiens est ad tollendum omnem reatum poenae non solum aeternae, sed etiam temporalis, et secundum modum quo homo participat virtutem passionis Christi, percipit etiam absolutionem a reatu poenae. In Baptismo autem homo participat totaliter virtutem passionis Christi, utpote per aquam et spiritum Christo commortuus peccato et in eo regeneratus ad novam vitam. Et ideo in Baptismo homo consequitur remissionem reatus totius poenae. In poenitentia vero consequitur virtutem passionis Christi secundum modum propriorum actuum, qui sunt materia poenitentiae, sicut aqua Baptismi, ut supra dictum est. Et ideo non statim per primum actum poenitentiae, quo remittitur culpa, solvitur reatus totius poenae, sed completis omnibus poenitentiae actibus.

 

[51386] IIIª q. 86 a. 4 ad 3
3. La passione di Cristo di suo è sufficiente a eliminare qualsiasi debito di pena non solo eterna, ma anche temporale: e nella misura in cui l'uomo partecipa la virtù della passione di Cristo, partecipa l'affrancamento dal debito di pena. Ebbene, nel battesimo l'uomo partecipa pienamente la virtù della passione di Cristo, in quanto, mediante l'acqua e lo Spirito Santo, viene a morire al peccato insieme con Cristo, e viene rigenerato in lui a una nuova vita. Perciò nel battesimo l'uomo ottiene la remissione di qualsiasi pena. Nella penitenza invece partecipa la virtù della passione di Cristo secondo la misura dei propri atti, i quali, e l'abbiamo già visto sopra, sono materia della penitenza, come l'acqua lo è del battesimo. Ecco perché il debito di tutta la pena non viene subito rimesso col primo atto della penitenza col quale viene rimessa la colpa, ma solo dopo aver compiuto tutti gli atti della penitenza.




Terza Parte > I Sacramenti > La penitenza > Gli effetti della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali > Se col perdono della colpa mortale vengano eliminate tutte le scorie del peccato


Tertia pars
Quaestio 86
Articulus 5

[51387] IIIª q. 86 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod, remissa culpa mortali, tollantur omnes reliquiae peccati. Dicit enim Augustinus, in libro de poenitentia, nunquam dominus aliquem sanavit quem omnino non liberavit, totum enim hominem sanavit in sabbato, quia corpus ab omni infirmitate, et animam ab omni contagione. Sed reliquiae peccati pertinent ad infirmitatem peccati. Ergo non videtur possibile quod, remissa culpa, remaneant reliquiae peccati.

 
Terza parte
Questione 86
Articolo 5

[51387] IIIª q. 86 a. 5 arg. 1
SEMBRA che col perdono del peccato mortale vengano eliminate tutte le scorie di esso. Infatti:
1. S. Agostino afferma: "Il Signore non ha mai guarito nessuno senza liberarlo completamente; guarì quindi per intero quell'uomo in giorno di sabato, perché ne liberò il corpo da ogni infermità e l'anima da ogni infezione". Ma le scorie del peccato rientrano nelle infermità del peccato. Quindi è impossibile che, perdonata la colpa, rimangano le scorie del peccato.

[51388] IIIª q. 86 a. 5 arg. 2
Praeterea, secundum Dionysium, IV cap. de Div. Nom., bonum est efficacius quam malum, quia malum non agit nisi in virtute boni. Sed homo peccando simul totam infectionem peccati contrahit. Ergo multo magis poenitendo liberatur etiam ab omnibus peccati reliquiis.

 

[51388] IIIª q. 86 a. 5 arg. 2
2. Secondo Dionigi, il bene è più efficace del male: perché il male non agisce che in virtù del bene. Ora, col peccato l'uomo contrae simultaneamente tutta l'infezione della colpa. Dunque a maggior ragione con la penitenza egli viene liberato da tutte le scorie del peccato.

[51389] IIIª q. 86 a. 5 arg. 3
Praeterea, opus Dei est efficacius quam opus hominis. Sed per exercitium humanorum operum ad bonum tolluntur reliquiae peccati contrarii. Ergo multo magis tolluntur per remissionem culpae, quae est opus Dei.

 

[51389] IIIª q. 86 a. 5 arg. 3
3. L'opera di Dio è più efficace dell'opera dell'uomo. Ma con l'esercizio delle (buone) opere dell'uomo le scorie dei peccati opposti vengono eliminate. Molto più dunque esse vengono eliminate con la remissione della colpa che è opera di Dio.

[51390] IIIª q. 86 a. 5 s. c.
Sed contra est quod Marci VIII legitur quod caecus illuminatus a domino, primo restitutus est ad imperfectum visum, unde ait, video homines velut arbores ambulare; deinde restitutus est perfecte, ita ut videret clare omnia. Illuminatio autem caeci significat liberationem peccatoris. Post primam ergo remissionem culpae, qua peccator restituitur ad visum spiritualem, adhuc remanent in eo reliquiae aliquae peccati praeteriti.

 

[51390] IIIª q. 86 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Nel Vangelo di S. Marco si legge che il cieco illuminato dal Signore prima ebbe la restituzione di una vista imperfetta, così da dire: "Vedo gli uomini come alberi che camminano"; e in seguito fu guarito perfettamente, "così da vedere con chiarezza ogni cosa". Ora, la guarigione del cieco vuol significare il proscioglimento del peccatore. Perciò dopo la prima remissione della colpa, con cui al peccatore viene restituita la vista spirituale, rimangono in lui alcune scorie del peccato commesso.

[51391] IIIª q. 86 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod peccatum mortale ex parte conversionis inordinatae ad bonum commutabile quandam dispositionem causat in anima; vel etiam habitum, si actus frequenter iteretur. Sicut autem dictum est, culpa mortalis peccati remittitur inquantum tollitur per gratiam aversio mentis a Deo. Sublato autem eo quod est ex parte aversionis, nihilominus remanere potest id quod est ex parte conversionis inordinatae, cum hanc contingat esse sine illa, sicut prius dictum est. Et ideo nihil prohibet quin remissa culpa, remaneant dispositiones ex praecedentibus actibus causatae, quae dicuntur peccati reliquiae. Remanent tamen debilitatae et diminutae, ita quod homini non dominentur. Et hoc magis per modum dispositionum quam per modum habituum, sicut etiam remanet fomes post Baptismum.

 

[51391] IIIª q. 86 a. 5 co.
RISPONDO: Il peccato mortale con la sua adesione disordinata al bene creato produce nell'anima una certa disposizione; oppure un'abitudine, se l'atto è ripetuto più volte. Ora, la colpa del peccato mortale, come sopra abbiamo detto, viene rimessa in quanto la grazia toglie l'aversione dell'anima da Dio. Ma eliminato quanto si riferisce all'aversione, può rimanere ancora quanto si riferisce alla conversione disordinata: poiché quest'ultima può sussistere anche senza la prima, come abbiamo notato. Perciò niente impedisce che, eliminata la colpa, rimangano le disposizioni causate dagli atti precedenti, le quali sono denominate scorie del peccato. Tuttavia esse rimangono debilitate e affievolite, così da non dominare sull'uomo. Esse non agiscono più come abiti, ma piuttosto come disposizioni: cioè come avviene per il fomite dopo il battesimo.

[51392] IIIª q. 86 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Deus totum hominem perfecte curat, sed quandoque subito, sicut socrum Petri statim restituit perfectae sanitati, ita ut surgens ministraret ei, ut legitur Luc. IV; quandoque autem successive, sicut dictum est de caeco illuminato, Marci VIII. Et ita etiam spiritualiter quandoque tanta commotione convertit cor hominis ut subito perfecte consequatur sanitatem spiritualem, non solum remissa culpa, sed sublatis omnibus peccati reliquiis, ut patet de Magdalena, Luc. VII. Quandoque autem prius remittit culpam per gratiam operantem, et postea per gratiam cooperantem successive tollit peccati reliquias.

 

[51392] IIIª q. 86 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio guarisce tutto l'uomo perfettamente: ma talora lo fa subito, come restituì perfetta sanità alla suocera di Pietro, cosicché, come narra S. Luca, "alzatasi si mise a servirlo"; talora invece lo fa gradualmente, cioè come fece col cieco cui rese la vista. Ebbene, anche spiritualmente talora egli cambia con tanta commozione il cuore di un uomo da fargli conseguire all'istante una perfetta guarigione spirituale, non solo con la remissione della colpa, ma con l'eliminazione di tutte le scorie del peccato: come avvenne nel caso della Maddalena. Altre volte invece prima rimette la colpa con la grazia operante, e poi gradualmente elimina le scorie del peccato con la grazia cooperante.

[51393] IIIª q. 86 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod peccatum etiam quandoque statim inducit debilem dispositionem, utpote per unum actum causatam, quandoque autem fortiorem, causatam per multos actus.

 

[51393] IIIª q. 86 a. 5 ad 2
2. Il peccato stesso talora non produce da principio che una debole disposizione, causata appunto da un unico atto; talora invece ne produce una più forte, causata da una molteplicità di atti.

[51394] IIIª q. 86 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod uno actu humano non tolluntur omnes reliquiae peccati, quia, ut dicitur in praedicamentis, pravus, ad meliores exercitationes deductus, ad modicum aliquid proficiet, ut melior sit, multiplicato autem exercitio, ad hoc pervenit ut sit bonus virtute acquisita. Hoc autem multo efficacius facit divina gratia, sive uno sive pluribus actibus.

 

[51394] IIIª q. 86 a. 5 ad 3
3. Con un solo atto umano non si possono eliminare tutte le scorie del peccato: poiché, come dice Aristotele, "il perverso, ricondotto a pratiche più oneste, ne profitterà di poco per migliorarsi"; però insistendo nell'esercizio arriverà ad esser buono mediante la virtù acquisita. Questo però può farlo con molta maggiore efficacia la grazia di Dio, sia con uno, che con molti atti.




Terza Parte > I Sacramenti > La penitenza > Gli effetti della penitenza quanto alla remissione dei peccati mortali > Se la remissione della colpa sia un effetto della penitenza virtù


Tertia pars
Quaestio 86
Articulus 6

[51395] IIIª q. 86 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod remissio culpae non sit effectus poenitentiae secundum quod est virtus. Dicitur enim poenitentia virtus secundum quod est principium humani actus. Sed humani actus non operantur ad remissionem culpae, quae est effectus gratiae operantis. Ergo remissio culpae non est effectus poenitentiae secundum quod est virtus.

 
Terza parte
Questione 86
Articolo 6

[51395] IIIª q. 86 a. 6 arg. 1
SEMBRA che la remissione della colpa non sia effetto della penitenza virtù. Infatti:
1. La penitenza era considerata una virtù in quanto è principio di atti umani. Ma gli atti umani non influiscono sulla remissione della colpa, che è effetto della grazia operante. Dunque la remissione della colpa non è effetto della penitenza virtù.

[51396] IIIª q. 86 a. 6 arg. 2
Praeterea, quaedam aliae virtutes sunt excellentiores poenitentia. Sed remissio culpae non dicitur effectus alicuius alterius virtutis. Ergo etiam non est effectus poenitentiae secundum quod est virtus.

 

[51396] IIIª q. 86 a. 6 arg. 2
2. Altre virtù sono più eccellenti della penitenza. Eppure la remissione della colpa non si dice effetto di nessuna di esse. Dunque non può dirsi neppure effetto della penitenza in quanto questa è una virtù.

[51397] IIIª q. 86 a. 6 arg. 3
Praeterea, remissio culpae non est nisi ex virtute passionis Christi, secundum illud Heb. IX, sine sanguinis effusione non fit remissio. Sed poenitentia inquantum est sacramentum, operatur in virtute passionis Christi, sicut et cetera sacramenta, ut ex supra dictis patet. Ergo remissio culpae non est effectus poenitentiae inquantum est virtus, sed inquantum est sacramentum.

 

[51397] IIIª q. 86 a. 6 arg. 3
3. La remissione della colpa non deriva che dalla virtù della passione di Cristo; poiché, come dice S. Paolo, "senza spargimento di sangue non c'è perdono". Ora, la penitenza opera in virtù della passione di Cristo in quanto sacramento, ossia come operano tutti gli altri sacramenti, secondo le spiegazioni date. Perciò la remissione della colpa è effetto della penitenza non in quanto virtù, bensì in quanto sacramento.

[51398] IIIª q. 86 a. 6 s. c.
Sed contra, illud est proprie causa alicuius sine quo esse non potest, omnis enim effectus dependet a sua causa. Sed remissio culpae potest esse a Deo sine poenitentiae sacramento, non autem sine poenitentia secundum quod est virtus, ut supra dictum est. Unde et ante sacramenta novae legis poenitentibus Deus peccata remittebat. Ergo remissio culpae est effectus poenitentiae secundum quod est virtus.

 

[51398] IIIª q. 86 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Propriamente è causa di una data cosa quanto è indispensabile perché essa possa esistere: ogni effetto infatti dipende dalla propria causa. Ma la remissione dei peccati, come abbiamo già notato, può derivare da Dio senza il sacramento della penitenza, non già senza la penitenza virtù. E in realtà, anche prima dei sacramenti della nuova legge Dio rimetteva i peccati a chi faceva penitenza. Dunque la remissione della colpa è effetto della penitenza virtù.

[51399] IIIª q. 86 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod poenitentia est virtus secundum quod est principium quorundam actuum humanorum. Actus autem humani qui sunt ex parte peccatoris, materialiter se habent in sacramento poenitentiae. Omne autem sacramentum producit effectum suum non solum virtute formae, sed etiam virtute materiae, ex utroque enim est unum sacramentum, ut supra habitum est. Unde, sicut remissio culpae fit in Baptismo non solum virtute formae, ex qua et ipsa aqua virtutem recipit; ita etiam remissio culpae est effectus poenitentiae, principalius quidem ex virtute clavium, quam habent ministri, ex quorum parte accipitur id quod est formale in hoc sacramento, ut supra dictum est; secundario autem ex vi actuum poenitentis pertinentium ad virtutem poenitentiae, tamen prout hi actus aliqualiter ordinantur ad claves Ecclesiae. Et sic patet quod remissio culpae est effectus poenitentiae secundum quod est virtus, principalius tamen secundum quod est sacramentum.

 

[51399] IIIª q. 86 a. 6 co.
RISPONDO: La penitenza è virtù in quanto è principio di certi atti umani. Ora, gli atti umani del penitente costituiscono come la materia nel sacramento della penitenza. Ma ogni sacramento produce il suo effetto non solo in virtù della forma, bensì anche in virtù della materia: poiché entrambe le cose costituiscono un unico sacramento, come sopra abbiamo spiegato. Perciò, come nel battesimo la remissione della colpa non dipende solo dalla virtù della forma, dalla quale l'acqua stessa ottiene la sua virtù; così anche la remissione della colpa è effetto della penitenza, principalmente per il potere delle chiavi esercitato dai ministri, dai quali, secondo le spiegazioni date, deriva ciò che è formale in questo sacramento; secondariamente però deriva anche dall'efficacia degli atti del penitente che rientrano nella virtù della penitenza, sia pure in quanto tali atti sono ordinati in qualche modo alle chiavi della Chiesa. Perciò è evidente che la remissione della colpa è effetto (anche) della penitenza virtù: principalmente però è effetto della penitenza sacramento.

[51400] IIIª q. 86 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod effectus gratiae operantis est iustificatio impii, ut in secunda parte dictum est. In qua, ut ibidem dictum est, non solum est gratiae infusio et remissio culpae, sed etiam motus liberi arbitrii in Deum, qui est actus fidei formatae, et motus liberi arbitrii in peccatum, qui est actus poenitentiae. Hi tamen actus humani sunt ibi ut effectus gratiae operantis simul producti cum remissione culpae. Unde remissio culpae non fit sine actu poenitentiae virtutis, licet sit effectus gratiae operantis.

 

[51400] IIIª q. 86 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come abbiamo spiegato nella Seconda Parte, la giustificazione dell'empio è effetto della grazia operante. Ma in tale opera, come si disse, non rientra solo l'infusione della grazia e la remissione della colpa, bensì anche il moto del libero arbitrio, sia quello verso Dio che è un atto della fede formata, sia quello contro il peccato, che è un atto della virtù di penitenza. Tuttavia questi atti umani sono effetto della grazia operante, prodotti insieme con la remissione della colpa. Quindi la remissione della colpa non si ha senza gli atti della virtù di penitenza, sebbene questi siano effetti della grazia operante.

[51401] IIIª q. 86 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod in iustificatione impii non solum est actus poenitentiae, sed etiam actus fidei, ut dictum est. Et ideo remissio culpae non ponitur effectus solum poenitentiae virtutis, sed principalius fidei et caritatis.

 

[51401] IIIª q. 86 a. 6 ad 2
2. Nella giustificazione dell'empio abbiamo non solo atti di penitenza, ma anche atti di fede, come abbiamo notato sopra. Perciò la remissione della colpa non è solo effetto della virtù della penitenza; ma principalmente della fede e della carità.

[51402] IIIª q. 86 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod ad passionem Christi ordinatur actus poenitentiae virtutis et per fidem et per ordinem ad claves Ecclesiae. Et ideo utroque modo causat remissionem culpae virtute passionis Christi.

 

[51402] IIIª q. 86 a. 6 ad 3
3. Gli atti della penitenza virtù sono legati alla passione di Cristo mediante la fede e il potere delle chiavi esistente nella Chiesa. Quindi essi per entrambi i motivi causano la remissione della colpa in virtù della passione di Cristo.

[51403] IIIª q. 86 a. 6 ad 4
Ad id autem quod in contrarium obiicitur, dicendum est quod actus poenitentiae virtutis habet quod sine eo non possit fieri remissio culpae, inquantum est inseparabilis effectus gratiae, per quam principaliter culpa remittitur, quae etiam operatur in omnibus sacramentis. Et ideo per hoc non potest concludi nisi quod gratia est principalior causa remissionis culpae quam poenitentiae sacramentum. Sciendum tamen quod etiam in veteri lege et in lege naturae erat aliqualiter sacramentum poenitentiae, ut supra dictum est.

 

[51403] IIIª q. 86 a. 6 ad 4
4. In risposta all'argomento in contrario va detto che l'atto della virtù di penitenza deve la sua indispensabilità per la remissione della colpa al fatto che è un effetto inseparabile della grazia, da cui principalmente deriva la remissione della colpa, e che opera in tutti i sacramenti. Perciò da questo non si può concludere, se non che la grazia è causa principale della remissione della colpa più ancora del sacramento della penitenza.
Si noti però che anche nell'antica legge e nella legge di natura esisteva in qualche modo il sacramento della penitenza, come sopra abbiamo accennato.

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