III, 41

Terza parte > Cristo > La tentazione di Cristo


Tertia pars
Quaestio 41
Prooemium

[48659] IIIª q. 41 pr.
Deinde considerandum est de tentatione Christi. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum fuerit conveniens Christum tentari.
Secundo, de loco tentationis.
Tertio, de tempore.
Quarto, de modo et ordine tentationum.

 
Terza parte
Questione 41
Proemio

[48659] IIIª q. 41 pr.
Passiamo ora a considerare la tentazione di Cristo.
Sull'argomento vanno considerate quattro cose:

1. Se era conveniente che Cristo fosse tentato;
2. Il luogo della tentazione;
3. Il tempo;
4. Il modo e l'ordine delle tentazioni.




Terza Parte > Cristo > La tentazione di Cristo > Se era conveniente che Cristo fosse tentato


Tertia pars
Quaestio 41
Articulus 1

[48660] IIIª q. 41 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod Christo tentari non conveniebat. Tentare enim est experimentum sumere. Quod quidem non fit nisi de re ignota. Sed virtus Christi erat nota etiam Daemonibus, dicitur enim Luc. IV, quod non sinebat Daemonia loqui, quia sciebant eum esse Christum. Ergo videtur quod non decuerit Christum tentari.

 
Terza parte
Questione 41
Articolo 1

[48660] IIIª q. 41 a. 1 arg. 1
SEMBRA non fosse conveniente che Cristo venisse tentato. Infatti:
1. Tentare vuol dire "mettere alla prova". Il che si fa solo per quanto non si conosce. Ma il potere di Cristo era noto anche ai demoni; infatti dice S. Luca, che (Cristo) "non permetteva ai demoni di parlare, perché sapevano che egli era il Cristo". Perciò non sembra conveniente che Cristo fosse tentato.

[48661] IIIª q. 41 a. 1 arg. 2
Praeterea, Christus ad hoc venerat ut opera Diaboli dissolveret, secundum illud I Ioan. III, in hoc apparuit filius Dei, ut dissolvat opera Diaboli. Sed non est eiusdem dissolvere opera alicuius, et ea pati. Et ita videtur inconveniens fuisse quod Christus pateretur se tentari a Diabolo.

 

[48661] IIIª q. 41 a. 1 arg. 2
2. Cristo era venuto per distruggere l'operato del diavolo, come dice S. Giovanni: "Per questo il Figlio di Dio si è manifestato, per sciogliere le opere del diavolo". Ma chi subisce le opere di qualcuno non intende distruggerle. Quindi sembra un'incongruenza che Cristo permettesse di essere tentato dal diavolo.

[48662] IIIª q. 41 a. 1 arg. 3
Praeterea, triplex est tentatio, scilicet a carne, a mundo, a Diabolo. Sed Christus non fuit tentatus nec a carne nec a mundo. Ergo nec etiam debuit tentari a Diabolo.

 

[48662] IIIª q. 41 a. 1 arg. 3
3. La tentazione può derivare da tre fonti: "dalla carne, dal mondo e dal demonio". Ma Cristo non fu tentato né dalla carne né dal mondo. Quindi non doveva esserlo neppure dal demonio.

[48663] IIIª q. 41 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur Matth. IV, ductus est Iesus a spiritu in desertum, ut tentaretur a Diabolo.

 

[48663] IIIª q. 41 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Nel Vangelo si legge: "Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo".

[48664] IIIª q. 41 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod Christus tentari voluit, primo quidem, ut nobis contra tentationes auxilium ferret. Unde Gregorius dicit, in homilia, non erat indignum redemptori nostro quod tentari voluit, qui venerat et occidi, ut sic tentationes nostras suis tentationibus vinceret, sicut mortem nostram sua morte superavit. Secundo, propter nostram cautelam, ut nullus, quantumcumque sanctus, se existimet securum et immunem a tentatione. Unde etiam post Baptismum tentari voluit, quia, sicut Hilarius dicit, super Matth., in sanctificatis maxime Diaboli tentamenta grassantur, quia victoria magis est ei exoptanda de sanctis. Unde et Eccli. II dicitur, fili, accedens ad servitutem Dei, sta in iustitia et timore, et praepara animam tuam ad tentationem. Tertio, propter exemplum, ut scilicet nos instrueret qualiter Diaboli tentationes vincamus. Unde Augustinus dicit, in IV de Trin. quod Christus Diabolo se tentandum praebuit, ut ad superandas tentationes eius mediator esset, non solum per adiutorium, verum etiam per exemplum. Quarto, ut nobis fiduciam de sua misericordia largiretur. Unde dicitur Heb. IV, non habemus pontificem qui non possit compati infirmitatibus nostris, tentatum autem per omnia, pro similitudine, absque peccato.

 

[48664] IIIª q. 41 a. 1 co.
RISPONDO: Cristo volle essere tentato, primo, per aiutare noi contro le tentazioni. Ecco perché S. Gregorio dice: "Non era indegno del nostro Redentore sottoporsi alla tentazione, dal momento che era venuto per lasciarsi uccidere; vincendo così le nostre tentazioni mediante le sue, come con la sua morte vinse la nostra morte".
Secondo, per nostro ammonimento: perché nessuno, per santo che sia, si creda sicuro e immune dalla tentazione. Per questo motivo volle essere tentato proprio dopo il battesimo; perché, come dice S. Ilario, "il demonio sferra i suoi attacchi più che mai sui santi, in quanto una vittoria riportata su di loro è più agognata". E nell'Ecclesiastico si legge: "Figlio, se intraprendi a servire il Signore, sii retto, abbi timore e prepara l'anima tua alla prova".
Terzo, per darci l'esempio: cioè per insegnarci a vincere le tentazioni del demonio. Ecco perché S. Agostino afferma, che Cristo "si prestò ad essere tentato dal diavolo, per essere nostro mediatore nel vincere le tentazioni, non soltanto con l'aiuto, ma anche con l'esempio".
Quarto, per stimolarci ad avere fiducia nella sua misericordia. Perciò si legge nell'Epistola agli Ebrei: "Noi non abbiamo un pontefice che non sia in grado d'aver compassione delle nostre infermità; ma, al contrario, è stato messo alla prova in tutto come noi, escluso il peccato".

[48665] IIIª q. 41 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in IX de Civ. Dei, Christus tantum innotuit Daemonibus quantum voluit, non per id quod est vita aeterna, sed per quaedam temporalia suae virtutis effecta, ex quibus quandam coniecturam habebant Christum esse filium Dei. Sed quia rursus in eo quaedam signa humanae infirmitatis videbant, non pro certo cognoscebant eum esse filium Dei. Et ideo eum tentare voluit. Et hoc significatur Matth. IV, ubi dicitur quod postquam esuriit, accessit tentator ad eum, quia, ut Hilarius dicit, tentare Christum Diabolus non fuisset ausus, nisi in eo, per esuritionis infirmitatem, quae sunt hominis recognosceret. Et hoc etiam patet ex ipso modo tentandi, cum dixit, si filius Dei es. Quod exponens Gregorius dicit, quid sibi vult talis sermonis exorsus, nisi quia cognoverat Dei filium esse venturum, sed venisse per infirmitatem corporis non putabat?

 

[48665] IIIª q. 41 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come spiega S. Agostino, "Cristo si diede a conoscere ai demoni quel tanto che egli volle, cioè non in quanto è vita eterna, ma per certi effetti temporali del suo potere", dai quali essi potevano congetturare che Cristo era il Figlio di Dio. Siccome però vedevano in lui anche alcuni segni dell'umana debolezza, non ne erano sicuri. Per questo il demonio volle tentarlo. Il che risulta dalle parole evangeliche: "Dopo ebbe fame, e gli si avvicinò il tentatore"; poiché, come dice S. Ilario, "il demonio non avrebbe osato tentare Cristo, se in lui non avesse riconosciuto, mediante la fame, la sua condizione umana". Ciò risulta anche dal modo di presentare la tentazione: "Se sei il Figlio di Dio". "Che significa questo esordio", scrive S. Gregorio, "se non che satana sapeva che il Figlio di Dio doveva venire, ma non pensava che sarebbe venuto in un debole corpo?".

[48666] IIIª q. 41 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod Christus venerat dissolvere opera Diaboli, non potestative agendo, sed magis ab eo et eius membris patiendo, ut sic Diabolum vinceret iustitia, non potestate, sicut Augustinus dicit, XIII de Trin., quod Diabolus non potentia Dei, sed iustitia superandus fuit. Et ideo circa tentationem Christi considerandum est quod propria voluntate fecit, et quod a Diabolo passus fuit. Quod enim tentatori se offerret, fuit propriae voluntatis. Unde dicitur Matth. IV, ductus est Iesus in desertum a spiritu, ut tentaretur a Diabolo, quod Gregorius intelligendum dicit de spiritu sancto, ut scilicet illuc eum spiritus suus duceret, ubi eum ad tentandum spiritus malignus inveniret. Sed a Diabolo passus est quod assumeretur vel supra pinnaculum templi, vel etiam in montem excelsum valde. Nec est mirum, ut Gregorius dicit, si se ab illo permisit in montem duci, qui se permisit a membris ipsius crucifigi. Intelligitur autem a Diabolo assumptus, non quasi ex necessitate, sed quia, ut Origenes dicit, super Luc., sequebatur eum ad tentationem quasi athleta sponte procedens.

 

[48666] IIIª q. 41 a. 1 ad 2
2. Cristo era venuto per distruggere le opere del demonio, non con la forza della sua potenza, ma piuttosto sopportando le pene provenienti dal demonio e dai suoi accoliti, per vincerlo non con la forza, ma con la giustizia: "Il diavolo", scrive infatti S. Agostino, "doveva essere vinto non con la potenza di Dio, ma con la giustizia". Perciò, nella tentazione di Cristo, bisogna distinguere l'accettazione dovuta alla sua volontà e l'attuazione dovuta al demonio. L'offrirsi alla tentazione fu un atto della sua volontà, come risulta dalle parole evangeliche: "Gesù fu condotto nel deserto, per essere tentato dal diavolo". E S. Gregorio spiega che questa fu opera dello Spirito Santo, "che cioè il suo Spirito lo condusse là, dove l'avrebbe trovato uno spirito maligno per tentarlo". Che poi "fosse preso, fosse posto sopra il pinnacolo del tempio, e infine su un'altissima montagna", egli lo subì da parte del diavolo. "Non c'è da meravigliarsi", continua il Santo, "che Cristo abbia permesso di essere trasportato su una montagna dal diavolo, avendo poi permesso alle membra di lui di crocifiggerlo". Che Cristo poi fosse portato dal demonio, va inteso non nel senso di una costrizione; ma, come scrive Origene, "seguiva il demonio spontaneamente, come un atleta al luogo della tentazione".

[48667] IIIª q. 41 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut apostolus dicit, Christus in omnibus tentari voluit, absque peccato. Tentatio autem quae est ab hoste, potest esse sine peccato, quia fit per solam exteriorem suggestionem. Tentatio autem quae est a carne, non potest esse sine peccato, quia haec tentatio fit per delectationem et concupiscentiam; et, sicut Augustinus dicit, nonnullum peccatum est cum caro concupiscit adversus spiritum. Et ideo Christus tentari voluit ab hoste, sed non a carne.

 

[48667] IIIª q. 41 a. 1 ad 3
3. S. Paolo dice che "Cristo è stato messo alla prova in tutto come noi, escluso il peccato". Ora, la tentazione che proviene dal nemico può essere senza peccato, perché di suo consiste in una pura suggestione esteriore. Invece la tentazione della carne non può essere senza peccato, perché essa deriva dal piacere e dalla concupiscenza; e a detta di S. Agostino, "c'è sempre qualcosa di peccaminoso quando la carne ha voglie contrarie a quelle dello spirito". Ecco perché Cristo volle essere tentato dal nemico, ma non dalla carne.




Terza Parte > Cristo > La tentazione di Cristo > Se Cristo dovesse esser tentato nel deserto


Tertia pars
Quaestio 41
Articulus 2

[48668] IIIª q. 41 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Christus non debuit tentari in deserto. Christus enim tentari voluit propter exemplum nostrum, ut dictum est. Sed exemplum debet manifeste proponi illis qui sunt per exemplum informandi. Non ergo debuit in deserto tentari.

 
Terza parte
Questione 41
Articolo 2

[48668] IIIª q. 41 a. 2 arg. 1
SEMBRA che Cristo non dovesse esser tentato nel deserto. Infatti:
1. Cristo volle essere tentato per essere di esempio a noi. Ma l'esempio va proposto in maniera palese. Quindi egli non doveva essere tentato nel deserto.

[48669] IIIª q. 41 a. 2 arg. 2
Praeterea, Chrysostomus dicit, super Matth., quod tunc maxime instat Diabolus ad tentandum, cum viderit solitarios. Unde et in principio mulierem tentavit sine viro eam inveniens. Et sic videtur, per hoc quod in desertum ivit ut tentaretur, quod tentationi se exposuit. Cum ergo eius tentatio sit nostrum exemplum, videtur quod etiam alii debeant se ingerere ad tentationes suscipiendas. Quod tamen videtur esse periculosum, cum magis tentationum occasiones vitare debeamus.

 

[48669] IIIª q. 41 a. 2 arg. 2
2. Il Crisostomo dice che "il diavolo tenta in modo particolare coloro che sono soli. Per questo fin dal principio tentò la donna, avendola trovata senza il marito". Quindi andando nel deserto per essere tentato, sembra che Cristo si sia esposto alla tentazione. E poiché la sua tentazione serve a nostro esempio, sembra che anche gli altri debbano mettersi nella tentazione. Questo invece è pericoloso; perché siamo piuttosto tenuti a evitare le occasioni della tentazione.

[48670] IIIª q. 41 a. 2 arg. 3
Praeterea, Matth. IV ponitur secunda Christi tentatio qua Diabolus Christum assumpsit in sanctam civitatem, et statuit eum super pinnaculum templi, quod quidem non erat in deserto. Non ergo tentatus est solum in deserto.

 

[48670] IIIª q. 41 a. 2 arg. 3
3. S. Matteo mette come seconda tentazione, quella in cui "il diavolo condusse Cristo nella città santa, e lo pose sul pinnacolo del tempio", il quale non era nel deserto. Quindi non fu tentato solo nel deserto.

[48671] IIIª q. 41 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur Marc. I, quod erat Iesus in deserto quadraginta diebus et quadraginta noctibus, et tentabatur a Satana.

 

[48671] IIIª q. 41 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Nel Vangelo si legge, che: "Gesù rimase nel deserto quaranta giorni, ed era tentato da Satana".

[48672] IIIª q. 41 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, Christus propria voluntate se Diabolo exhibuit ad tentandum, sicut etiam propria voluntate se membris eius exhibuit ad occidendum, alioquin Diabolus eum advenire non auderet. Diabolus autem magis attentat aliquem cum est solitarius, quia, ut dicitur Eccle. IV, si quispiam praevaluerit contra unum, duo resistunt ei. Et inde est quod Christus in desertum exivit, quasi ad campum certaminis, ut ibi a Diabolo tentaretur. Unde Ambrosius dicit, super Luc., quod Christus agebatur in desertum consilio, ut Diabolum provocaret. Nam nisi ille certasset, scilicet Diabolus, non iste vicisset, idest Christus. Addit autem et alias rationes, dicens hoc Christum fecisse mysterio, ut Adam de exilio liberaret, qui scilicet de Paradiso in desertum eiectus est; exemplo, ut ostenderet nobis Diabolum ad meliora tendentibus invidere.

 

[48672] IIIª q. 41 a. 2 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, Cristo si offrì da sé per essere tentato dal diavolo, come da sé si offrì ai di lui satelliti per essere ucciso: altrimenti il diavolo non avrebbe osato accostarglisi. Il diavolo affronta di preferenza chi è solo, perché, come dice la Scrittura, "se si può sopraffare uno, due oppongono resistenza". Ecco perché Cristo uscì nel deserto, come in un campo di battaglia, per esservi tentato dal diavolo. Di qui le parole di S. Ambrogio: "Cristo fu condotto nel deserto, proprio per provocare il demonio. Perché, se questi, cioè il diavolo, non l'avesse aggredito, quegli, cioè Cristo, non avrebbe vinto". - Lo stesso Santo aggiunge altre ragioni, dicendo che Cristo fece questo, per indicare "un mistero, cioè per liberare dall'esilio Adamo", il quale era stato espulso dal paradiso e mandato nel deserto; e per darci "l'esempio, cioè per mostrarci che il diavolo nutre invidia per coloro che aspirano a una vita migliore".

[48673] IIIª q. 41 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Christus proponitur omnibus in exemplum per fidem, secundum illud Heb. XII, aspicientes in auctorem fidei et consummatorem, Iesum. Fides autem, ut dicitur Rom. X, est ex auditu, non autem ex visu, quinimmo dicitur, Ioan. XX, beati qui non viderunt et crediderunt. Et ideo, ad hoc quod tentatio Christi esset nobis in exemplum, non oportet quod ab hominibus videretur, sed sufficiens fuit quod hominibus narraretur.

 

[48673] IIIª q. 41 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Cristo è proposto quale modello per tutti mediante la fede, come dice S. Paolo: "Tenendo lo sguardo fisso all'autore e perfezionatore della fede, Gesù". Ora, la fede, come dice l'Apostolo, "dipende dall'ascoltare", non dal vedere. Anzi in S. Giovanni si legge: "Beati coloro che hanno creduto, senza aver visto". Quindi perché la tentazione di Cristo potesse servire di modello a noi, non era necessario che la vedessimo, ma era sufficiente che ci venisse narrata.

[48674] IIIª q. 41 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod duplex est tentationis occasio. Una quidem ex parte hominis, puta cum aliquis se peccato propinquum facit, occasiones peccandi non evitans. Et talis occasio tentationis est vitanda, sicut dictum est Lot, Gen. XIX, ne steteris in omni regione circa Sodomam. Alia vero tentationis occasio est ex parte Diaboli, qui semper invidet ad meliora tendentibus, ut Ambrosius dicit. Et talis tentationis occasio non est vitanda. Unde dicit Chrysostomus, super Matth., quod non solum Christus ductus est in desertum a spiritu, sed omnes filii Dei habentes spiritum sanctum. Non enim sunt contenti sedere otiosi, sed spiritus sanctus urget eos aliquod magnum apprehendere opus, quod est esse in deserto quantum ad Diabolum, quia non est ibi iniustitia, in qua Diabolus delectatur. Omne etiam bonum opus est desertum quantum ad carnem et mundum, quia non est secundum voluntatem carnis et mundi. Talem autem occasionem tentationis dare Diabolo non est periculosum, quia maius est auxilium spiritus sancti, qui est perfecti operis auctor, quam impugnatio Diaboli invidentis.

 

[48674] IIIª q. 41 a. 2 ad 2
2. Le occasioni di tentazione sono di due specie. La prima dipende dall'uomo: p. es., quando ci si espone al peccato non evitando l'occasione. Tale specie di occasione va evitata, conforme a quanto fu detto a Lot: "Non fermarti in nessun luogo della pianura di Sodoma".
La seconda dipende dal diavolo, il quale "sempre insidia coloro che aspirano a essere migliori", come dice S. Ambrogio. E tale tentazione non si deve evitare. Ecco perché il Crisostomo dice che "fu condotto nel deserto dallo Spirito non soltanto Cristo, ma tutti i figli di Dio che hanno lo Spirito Santo. Questi infatti non sono contenti di starsene oziosi, e lo Spirito Santo li stimola a intraprendere opere grandi: questo per il diavolo è come essere nel deserto, poiché non vi è l'ingiustizia nella quale egli si compiace. Ogni opera buona è deserto anche per la carne e per il mondo, perché non è conforme alla volontà della carne e del mondo". Dare poi al diavolo simile occasione di tentare non è pericoloso, poiché l'aiuto dello Spirito Santo, autore di ogni opera perfetta, è superiore all'impugnazione del diavolo insidioso.

[48675] IIIª q. 41 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod quidam dicunt omnes tentationes factas fuisse in deserto. Quorum quidam dicunt quod Christus ductus est in sanctam civitatem, non realiter, sed secundum imaginariam visionem. Quidam autem dicunt quod etiam ipsa civitas sancta, idest Ierusalem, desertum dicitur, quia erat derelicta a Deo. Sed hoc non erat necessarium. Quia Marcus dicit quod in deserto tentabatur a Diabolo, non autem dicit quod solum in deserto.

 

[48675] IIIª q. 41 a. 2 ad 3
3. Alcuni sostengono che tutte le tentazioni ebbero luogo nel deserto. Qualcuno dice che Cristo fu condotto nella città santa solo in visione, non realmente. Altri affermano che la stessa santa città, cioè Gerusalemme, è chiamata "deserto", perché era stata abbandonata da Dio. - Ma non è necessario ricorrere a queste spiegazioni, perché S. Marco dice che Cristo nel deserto era tentato dal diavolo: non che era tentato solo nel deserto.




Terza Parte > Cristo > La tentazione di Cristo > Se Cristo doveva essere tentato dopo il digiuno


Tertia pars
Quaestio 41
Articulus 3

[48676] IIIª q. 41 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod tentatio Christi non debuit esse post ieiunium. Dictum est enim supra quod Christum non decebat conversationis austeritas. Sed maximae austeritatis fuisse videtur quod quadraginta diebus et quadraginta noctibus nihil comederit, sic enim intelligitur quadraginta diebus et quadraginta noctibus ieiunasse, quia scilicet in illis diebus nullum omnino cibum sumpsit, ut Gregorius dicit. Ergo non videtur quod debuerit huiusmodi ieiunium tentationi praemittere.

 
Terza parte
Questione 41
Articolo 3

[48676] IIIª q. 41 a. 3 arg. 1
SEMBRA che Cristo non dovesse essere tentato dopo il digiuno. Infatti:
1. Abbiamo detto che a Cristo non si addiceva una vita di austerità. Ora, è un atto di massima austerità non mangiar nulla per quaranta giorni e quaranta notti. È così che S. Gregorio intende le parole, "digiunò quaranta giorni e quaranta notti", cioè nel senso che, "in quei giorni non prese assolutamente nessun cibo". Quindi non era giusto far precedere la tentazione da quel digiuno.

[48677] IIIª q. 41 a. 3 arg. 2
Praeterea, Marci I dicitur quod erat in deserto quadraginta diebus et quadraginta noctibus, et tentabatur a Satana. Sed quadraginta diebus et quadraginta noctibus ieiunavit. Ergo videtur quod non post ieiunium, sed simul dum ieiunaret, sit tentatus a Diabolo.

 

[48677] IIIª q. 41 a. 3 arg. 2
2. S. Marco dice che "(Cristo) rimase nel deserto quaranta giorni e quaranta notti, tentato da Satana". Ma per quaranta giorni e quaranta notti digiunò. Quindi non fu tentato dopo il digiuno, ma mentre digiunava.

[48678] IIIª q. 41 a. 3 arg. 3
Praeterea, Christus non legitur nisi semel ieiunasse. Sed non solum semel fuit tentatus a Diabolo, dicitur enim Luc. IV, quod, consummata omni tentatione, Diabolus recessit ab illo usque ad tempus. Sicut igitur secundae tentationi non praemisit ieiunium, ita nec primae praemittere debuit.

 

[48678] IIIª q. 41 a. 3 arg. 3
3. Solo una volta si legge che Cristo ha digiunato. Ma fu tentato dal diavolo più di una volta. Dice infatti S. Luca: "Terminata ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui, fino a un certo tempo". Come dunque non digiunò prima della seconda tentazione, non doveva digiunare neppure avanti la prima.

[48679] IIIª q. 41 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur Matth. IV, cum ieiunasset quadraginta diebus et quadraginta noctibus, postea esuriit, et tunc accessit ad eum tentator.

 

[48679] IIIª q. 41 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Matteo dice: "Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, infine ebbe fame": e allora "gli si accostò il tentatore".

[48680] IIIª q. 41 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod convenienter Christus post ieiunium tentari voluit. Primo quidem, propter exemplum. Quia, cum omnibus, sicut dictum est, immineat se contra tentationes tueri; per hoc quod ipse ante tentationem futuram ieiunavit, docuit quod per ieiunium nos oportet contra tentationes armari. Unde inter arma iustitiae apostolus ieiunia connumerat, II Cor. VI. Secundo, ut ostenderet quod etiam ieiunantes Diabolus aggreditur ad tentandum, sicut alios qui bonis operibus vacant. Et ideo, sicut post Baptismum, ita post ieiunium Christus tentatur. Unde Chrysostomus dicit, super Matth., ut discas quam magnum bonum est ieiunium, et qualiter scutum est adversus Diabolum; et quoniam post Baptismum non lasciviae, sed ieiunio intendere oportet; Christus ieiunavit, non ieiunio indigens, sed nos instruens. Tertio, quia post ieiunium secuta est esuries, quae dedit Diabolo audaciam eum aggrediendi, sicut dictum est. Cum autem esuriit dominus, ut Hilarius dicit, super Matth., non fuit ex subreptione inediae, sed naturae suae hominem dereliquit. Non enim erat a Deo Diabolus, sed a carne vincendus. Unde etiam, ut Chrysostomus dicit, non ultra processit in ieiunando quam Moyses et Elias, ne incredibilis videretur carnis assumptio.

 

[48680] IIIª q. 41 a. 3 co.
RISPONDO: Giustamente Cristo volle essere tentato dopo il digiuno. Primo, per dare l'esempio. Come abbiamo detto, tutti devono premunirsi contro le tentazioni. Cristo quindi, digiunando prima di affrontare la tentazione, c'insegna ad armarci contro le tentazioni mediante il digiuno. Ecco perché l'Apostolo pone il digiuno tra "le armi della giustizia".
Secondo, per far vedere che il diavolo assale per tentarli anche coloro che digiunano, come tutti quelli che fanno il bene. Perciò Cristo viene tentato sia dopo il digiuno che dopo il battesimo. Ecco perché il Crisostomo scrive: "Cristo ha digiunato, non perché ne avesse bisogno, ma per nostro insegnamento, affinché imparassimo quale bene e difesa contro il demonio sia il digiuno; e che dopo il battesimo è necessario darsi, non all'intemperanza, ma al digiuno".
Terzo, perché al digiuno seguì la fame, la quale diede al diavolo l'audacia di assalirlo, come abbiamo già visto. "Quando il Signore ebbe fame", dice S. Ilario, "non fu per un'improvvisa necessità, ma perché lasciò seguire le sue leggi alla propria natura umana. Il diavolo infatti doveva essere sconfitto non da Dio, ma dall'uomo". Per questo anche il Crisostomo afferma che "nel digiunare non andò più in là di Mosè e di Elia, affinché l'assunzione del corpo umano non sembrasse irreale".

[48681] IIIª q. 41 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Christum non decuit conversatio austerioris vitae, ut se communem exhiberet illis quibus praedicavit. Nullus autem debet assumere praedicationis officium, nisi prius fuerit purgatus et in virtute perfectus, sicut et de Christo dicitur, Act. I, quod coepit Iesus facere et docere. Et ideo Christus statim post Baptismum austeritatem vitae assumpsit, ut doceret post carnem edomitam oportere alios ad praedicationis officium transire, secundum illud apostoli, castigo corpus meum et in servitutem redigo, ne forte, aliis praedicans, ipse reprobus efficiar.

 

[48681] IIIª q. 41 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non si addiceva a Cristo una vita molto austera, per uniformarsi a coloro ai quali predicava. Nessuno però deve assumere l'ufficio della predicazione, prima di essersi purificato e perfezionato nella virtù, come si legge di Cristo che "cominciò a fare e a insegnare". Per questo subito dopo il battesimo egli cominciò a vivere in maniera austera, per insegnare agli altri che bisogna darsi alla predicazione soltanto dopo avere soggiogato la propria carne, conforme alle parole di S. Paolo: "Tratto duramente il mio corpo e lo tengo sottomesso, affinché, predicando agli altri, io non rimanga riprovato".

[48682] IIIª q. 41 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod verbum illud Marci potest sic intelligi quod erat in deserto quadraginta diebus et quadraginta noctibus, quibus scilicet ieiunavit, quod autem dicitur, et tentabatur a Satana, intelligendum est, non in illis quadraginta diebus et quadraginta noctibus, sed post illos; eo quod Matthaeus dicit quod, cum ieiunasset quadraginta diebus et quadraginta noctibus, postea esuriit, ex quo sumpsit tentator occasionem accedendi ad ipsum. Unde et quod subditur, et Angeli ministrabant ei, consecutive intelligendum esse ostenditur ex hoc quod Matth. IV dicitur, tunc reliquit eum Diabolus, scilicet post tentationem, et ecce, Angeli accesserunt et ministrabant ei. Quod vero interponit Marcus, eratque cum bestiis, inducitur, secundum Chrysostomum, ad ostendendum quale erat desertum, quia scilicet erat invium hominibus et bestiis plenum. Tamen secundum expositionem Bedae, dominus tentatur quadraginta diebus et quadraginta noctibus. Sed hoc intelligendum est, non de illis tentationibus visibilibus quas narrant Matthaeus et Lucas, quae factae sunt post ieiunium, sed de quibusdam aliis impugnationibus quas forte illo ieiunii tempore Christus est a Diabolo passus.

 

[48682] IIIª q. 41 a. 3 ad 2
2. Le parole di S. Marco si possono intendere nel senso, che egli "rimase nel deserto quaranta giorni e quaranta notti" digiuno. Le seguenti poi, "era tentato da Satana", vanno riferite non a quei quaranta giorni, ma a quelli successivi. S. Matteo infatti dice che, "avendo digiunato per quaranta giorni e quaranta notti, dopo ebbe fame", da cui il tentatore colse l'occasione per accostarglisi. Anche ciò che segue, "e gli angeli lo servivano", va inteso come avvenuto in seguito, come appare evidente dalle parole di S. Matteo: "Allora il diavolo lo lasciò", cioè dopo la tentazione, "ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano". Ciò che S. Marco aggiunge, ossia, che "se ne stava tra gli animali selvatici", secondo il Crisostomo, sta a indicare "quale fosse questo deserto", inaccessibile agli uomini e popolato di bestie.
Tuttavia secondo S. Beda il Signore sarebbe stato tentato per quaranta giorni e quaranta notti. Tale tentazione però non va confusa con quelle visibili di cui parlano S. Matteo e S. Luca, le quali avvennero dopo il digiuno; ma si tratta di altri assalti del diavolo subiti forse da Cristo durante quel periodo di digiuno.

[48683] IIIª q. 41 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut Ambrosius dicit, super Luc., recessit Diabolus a Christo usque ad tempus, quia postea, non tentaturus, sed aperte pugnaturus advenit, tempore scilicet passionis. Et tamen per illam impugnationem videbatur Christum tentare de tristitia et odio proximorum, sicut in deserto de delectatione gulae et contemptu Dei per idololatriam.

 

[48683] IIIª q. 41 a. 3 ad 3
3. Stando alle spiegazioni di S. Ambrogio, il diavolo si allontanò da Cristo "fino a un certo tempo", perché dopo, cioè al tempo della passione, "ritornò, non per tentare, ma per combattere apertamente". - Tuttavia in quest'ultima circostanza sembra che egli abbia tentato Gesù di tristezza e di odio contro il prossimo; come nel deserto l'aveva tentato di gola e di disprezzo verso Dio per mezzo dell'idolatria.




Terza Parte > Cristo > La tentazione di Cristo > Se la tentazione si sia svolta nel modo e nell'ordine convenienti


Tertia pars
Quaestio 41
Articulus 4

[48684] IIIª q. 41 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod non fuerit conveniens tentationis modus et ordo. Tentatio enim Diaboli ad peccandum inducit. Sed si Christus subvenisset corporali fami convertendo lapides in panes, non peccasset, sicut non peccavit cum panes multiplicavit, quod non fuit minus miraculum, ut turbae esurienti subveniret. Ergo videtur quod nulla fuerit illa tentatio.

 
Terza parte
Questione 41
Articolo 4

[48684] IIIª q. 41 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la tentazione non si sia svolta nel modo e nell'ordine convenienti. Infatti:
1. La tentazione diabolica induce a peccare. Ma se Cristo avesse saziato la sua fame mutando le pietre in pane, non avrebbe peccato: come non peccò moltiplicando i pani, con un miracolo non meno grande, per sfamare le turbe. Perciò quella non fu una vera tentazione.

[48685] IIIª q. 41 a. 4 arg. 2
Praeterea, nullus persuasor convenienter persuadet contrarium eius quod intendit. Sed Diabolus, statuens Christum supra pinnaculum templi, intendebat eum de superbia seu vana gloria tentare. Ergo inconvenienter persuadet ei ut se mittat deorsum, quod est contrarium superbiae vel vanae gloriae, quae semper quaerit ascendere.

 

[48685] IIIª q. 41 a. 4 arg. 2
2. Nessuno cerca di convincere di una cosa, suggerendo il contrario di essa. Ora, il demonio, collocando Cristo sul pinnacolo del Tempio, voleva tentarlo di superbia, o di vana gloria, che tende invece a salire.

[48686] IIIª q. 41 a. 4 arg. 3
Praeterea, una tentatio conveniens est ut sit de uno peccato. Sed in tentatione quae fuit in monte, duo peccata persuasit, scilicet cupiditatem et idololatriam. Non ergo conveniens videtur fuisse tentationis modus.

 

[48686] IIIª q. 41 a. 4 arg. 3
3. Una tentazione mira a un solo peccato. Invece nella tentazione fatta sul monte vi fu l'incitamento a due peccati, alla cupidigia e all'idolatria. Dunque nella tentazione il modo non fu rispettato.

[48687] IIIª q. 41 a. 4 arg. 4
Praeterea, tentationes ad peccata ordinantur. Sed septem sunt vitia capitalia, ut in secunda parte habitum est. Non autem tentat nisi de tribus, scilicet gula et vana gloria et cupiditate. Non ergo videtur sufficiens tentatio.

 

[48687] IIIª q. 41 a. 4 arg. 4
4. Le tentazioni spingono al peccato. Ma i vizi capitali sono sette, come abbiamo visto nella Seconda Parte. Qui invece il diavolo tenta soltanto a tre di essi, tenta cioè di gola, di vana gloria e di cupidigia. La tentazione dunque sembra insufficiente.

[48688] IIIª q. 41 a. 4 arg. 5
Praeterea, post victoriam omnium vitiorum, remanet homini tentatio superbiae vel vanae gloriae, quia superbia etiam bonis operibus insidiatur, ut pereant, sicut dicit Augustinus. Inconvenienter ergo Matthaeus ultimam ponit tentationem cupiditatis in monte, mediam autem inanis gloriae in templo, praesertim cum Lucas ordinet e converso.

 

[48688] IIIª q. 41 a. 4 arg. 5
5. L'uomo deve affrontare la tentazione della superbia, o vana gloria, dopo la vittoria su tutti gli altri vizi; perché, come dice S. Agostino, "la superbia tende insidie anche alle opere buone, per distruggerle". Dunque l'ordine descritto da S. Matteo, che pone come ultima la tentazione della cupidigia avvenuta sul monte, e intermedia quella della vana gloria sul (pinnacolo del) tempio, non è ammissibile: anche perché S. Luca segue l'ordine inverso.

[48689] IIIª q. 41 a. 4 arg. 6
Praeterea, Hieronymus dicit, super Matth., quod propositum Christi fuit Diabolum humilitate vincere, non potestate. Ergo non imperiose obiurgando eum repellere debuit, vade retro, Satana.

 

[48689] IIIª q. 41 a. 4 arg. 6
6. S. Girolamo dice che "Cristo si era proposto di vincere il demonio con l'umiltà e non con la potenza". Quindi non avrebbe dovuto scacciarlo comandandogli: "Va via, Satana".

[48690] IIIª q. 41 a. 4 arg. 7
Praeterea, narratio Evangelii videtur falsum continere. Non enim videtur possibile quod Christus supra pinnaculum templi statui potuerit quin ab aliis videretur. Neque aliquis mons tam altus invenitur ut inde totus mundus inspici possit, ut sic ex eo potuerint Christo omnia regna mundi ostendi. Inconvenienter igitur videtur descripta Christi tentatio.

 

[48690] IIIª q. 41 a. 4 arg. 7
7. La narrazione evangelica è evidentemente falsa. È infatti impossibile che Cristo potesse stare sul pinnacolo del Tempio, senza esser visto dagli altri. Né esiste un monte così alto dal quale si possa vedere tutto il mondo, in modo che di là potessero essere mostrati a Cristo tutti i regni della terra. Dunque il racconto della tentazione di Cristo non è a proposito.

[48691] IIIª q. 41 a. 4 s. c.
Sed contra est Scripturae auctoritas.

 

[48691] IIIª q. 41 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Basta l'autorità della Sacra Scrittura.

[48692] IIIª q. 41 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod tentatio quae est ab hoste, fit per modum suggestionis, ut Gregorius dicit. Non autem eodem modo potest aliquid omnibus suggeri, sed unicuique suggeritur aliquid ex his circa quae est affectus. Et ideo Diabolus hominem spiritualem non statim tentat de gravibus peccatis, sed paulatim a levioribus incipit, ut postmodum ad graviora perducat. Unde Gregorius, XXXI Moral., exponens illud Iob XXXIX, procul odoratur bellum, exhortationem ducum et ululatum exercitus, dicit, bene duces exhortari dicti sunt, exercitus ululare. Quia prima vitia deceptae menti quasi sub quadam ratione se ingerunt, sed innumera quae sequuntur, dum hanc ad omnem insaniam pertrahunt, quasi bestiali clamore confundunt. Et hoc idem Diabolus observavit in tentatione primi hominis. Nam primo sollicitavit mentem primi hominis de ligni vetiti esu, dicens, Gen. III, cur praecepit vobis Deus ut non comederetis de omni ligno Paradisi? Secundo, de inani gloria, cum dixit, aperientur oculi vestri. Tertio, perduxit tentationem ad extremam superbiam, cum dixit, eritis sicut dii, scientes bonum et malum. Et hunc etiam tentandi ordinem servavit in Christo. Nam primo tentavit ipsum de eo quod appetunt quantumcumque spirituales viri, scilicet de sustentatione corporalis naturae per cibum. Secundo, processit ad id in quo spirituales viri quandoque deficiunt, ut scilicet aliqua ad ostentationem operentur, quod pertinet ad inanem gloriam. Tertio, perduxit tentationem ad id quod iam non est spiritualium virorum, sed carnalium, scilicet ut divitias et gloriam mundi concupiscant usque ad contemptum Dei. Et ideo in primis duabus tentationibus dixit, si filius Dei es non autem in tertia, quae non potest spiritualibus convenire viris, qui sunt per adoptionem filii Dei, sicut et duae primae. His autem tentationibus Christus restitit testimoniis legis, non potestate virtutis, ut hoc ipso et hominem plus honoraret, et adversarium plus puniret, cum hostis generis humani non quasi a Deo, sed quasi ab homine vinceretur, sicut dicit Leo Papa.

 

[48692] IIIª q. 41 a. 4 co.
RISPONDO: La tentazione che viene dal nemico, come dice S. Gregorio, consiste in un suggerimento. Ora, un suggerimento non viene dato a tutti alla stessa maniera, ma a ciascuno secondo le sue tendenze o disposizioni. Ecco perché il demonio non tenta l'uomo spirituale subito a peccati gravi; ma comincia dai più leggeri, per arrivare gradatamente a quelli più gravi. Cosicché S. Gregorio, spiegando quel passo di Giobbe, "Da lontano fiuta la battaglia, le esortazioni dei capi e gli urli dell'esercito", scrive: "Giustamente è detto che i capi esortano, e l'esercito urla. Perché i primi vizi penetrano nell'anima ingannata sotto forma di ragionamenti; ma quei tanti che ne seguono, trascinando l'anima ad ogni follia, la confondono con un clamore quasi bestiale".
Tale metodo fu usato già dal demonio nella tentazione del primo uomo. Prima infatti ne richiamò la mente sull'obbligo di non mangiare il frutto proibito: "Perché Dio vi ha proibito di mangiare di tutti i frutti del paradiso?". Poi lo tentò di vana gloria: "I vostri occhi si apriranno". E infine, portò la tentazione all'estremo limite della superbia: "Diventerete come Dio, conoscendo il bene e il male".
Lo stesso ordine seguì nel tentare Cristo. Prima infatti lo tentò su quelle cose che gli stessi uomini più spirituali sono costretti a desiderare: cioè sul sostentamento del corpo mediante il cibo. In secondo luogo passò a suggerire cose in cui talvolta anche gli spirituali mancano, cioè a fare qualcosa per ostentazione: cioè lo tentò di vana gloria. Terzo lo tentò su cose che appartengono non agli uomini spirituali, bensì a quelli carnali: suggerì cioè la brama delle ricchezze e della gloria mondana "fino al disprezzo di Dio". Ecco perché nelle prime due tentazioni disse: "Se sei il Figlio di Dio"; ma non lo disse nella terza, perché questa, a differenza delle prime due, non si addice agli uomini spirituali, che sono figli di Dio per adozione.
Cristo ha resistito a queste tentazioni, non con la forza del suo potere, ma con testi della legge: "per onorare così maggiormente l'uomo" come dice il Papa S. Leone "e punire maggiormente l'avversario, in quanto il nemico del genere umano veniva vinto da Cristo non come Dio, ma come uomo".

[48693] IIIª q. 41 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod uti necessariis ad sustentationem non est peccatum gulae, sed quod ex desiderio huius sustentationis homo aliquid inordinatum faciat, ad vitium gulae pertinere potest. Est autem inordinatum quod aliquis, ubi potest haberi recursus ad humana subsidia, pro solo corpore sustentando miraculose sibi cibum quaerere velit. Unde et dominus filiis Israel miraculose manna praebuit in deserto, ubi aliunde cibus haberi non potuit. Et similiter Christus in deserto turbas pavit miraculose, ubi aliter cibi haberi non poterant. Sed Christus ad subveniendum fami poterat aliter sibi providere quam miracula faciendo, sicut et Ioannes Baptista fecit, ut legitur Matth. III; vel etiam ad loca proxima properando. Et ideo reputabat Diabolus quod Christus peccaret, si ad subveniendum fami miracula facere attentaret, si esset purus homo.

 

[48693] IIIª q. 41 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Servirsi delle cose necessarie alla vita non è peccato di gola; ma può esserlo, se l'uomo commette qualche disordine per il desiderio di soddisfare a questa necessità. Ora, è un disordine cercare il cibo corporale col miracolo quando si può procurarlo con i mezzi umani. Il Signore infatti mandò ai figli d'Israele la manna del deserto, perché essi non potevano là procurarsi il cibo in altra maniera. E così Cristo nutrì miracolosamente le turbe nel deserto, dove non si poteva avere cibo in altro modo. Ma Cristo, per estinguere la propria fame, poteva provvedere in altra maniera, senza ricorrere al miracolo; cioè come fece Giovanni Battista, oppure recandosi nelle località più vicine. Perciò il diavolo pensava che, se Cristo fosse stato un semplice uomo, avrebbe potuto peccare tentando di operare miracoli per saziare la propria fame.

[48694] IIIª q. 41 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod per humiliationem exteriorem frequenter quaerit aliquis gloriam qua exaltetur circa spiritualia bona. Unde Augustinus dicit, in libro de sermone domini in monte, animadvertendum est non in solo rerum corporearum nitore atque pompa, sed etiam in ipsis sordibus lutosis esse posse iactantiam. Et ad hoc significandum, Diabolus Christo suasit ut, ad quaerendum gloriam spiritualem, corporaliter mitteret se deorsum.

 

[48694] IIIª q. 41 a. 4 ad 2
2. Spesso si cerca la gloria nei beni spirituali, mediante l'umiliazione esterna. Ecco perché S. Agostino dice: "La iattanza si può riscontrare, non solo nello splendore e nello sfarzo delle cose materiali, ma anche nel sudiciume e nel fango". Per indicare questo, il diavolo cercò di persuadere Cristo a gettarsi materialmente giù, per acquistare la gloria spirituale.

[48695] IIIª q. 41 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod divitias et honores mundi appetere peccatum est, quando huiusmodi inordinate appetuntur. Hoc autem praecipue manifestatur ex hoc quod pro huiusmodi adipiscendis homo aliquid inhonestum facit. Et ideo non fuit contentus Diabolus persuadere cupiditatem divitiarum et honorum, sed induxit ad hoc quod propter huiusmodi adipiscenda Christus eum adoraret, quod est maximum scelus, et contra Deum. Nec solum dixit, si adoraveris me, sed addidit, si cadens, quia, ut dicit Ambrosius, habet ambitio domesticum periculum, ut enim dominetur aliis, prius servit; et curvatur obsequio ut honore donetur; et, dum vult esse sublimior, fit remissior. Et similiter etiam in praecedentibus tentationibus ex appetitu unius peccati in aliud peccatum inducere est conatus, sicut ex desiderio cibi conatus est inducere in vanitatem sine causa miracula faciendi; et ex cupiditate gloriae conatus est ducere ad tentandum Deum per praecipitium.

 

[48695] IIIª q. 41 a. 4 ad 3
3. È peccato desiderare le ricchezze e gli onori mondani, quando si desiderano in modo disordinato. Questo avviene quando per ottenere tali cose, si agisce in modo disonesto. E quindi il diavolo non si limitò a insinuare la brama di ricchezze e di onori, ma suggerì a Cristo che, per ottenere quei beni, lo adorasse: crimine sommo, e contrario a Dio. - E non disse soltanto, "se mi adorerai", ma "se prostrato mi adorerai"; perché, dice S. Ambrogio "l'ambizione è sotto la minaccia di se stessa per dominare gli altri, prima si fa serva, per essere onorata, si profonde in ossequi; e, volendo essere superiore, si avvilisce".
Anche nelle altre due tentazioni il demonio tentò di provocare col desiderio di un peccato a un altro peccato: p. es., dal desiderio del cibo alla vanità di operare miracoli senza ragione; dalla sete di gloria a tentare Dio gettandosi giù dall'alto.

[48696] IIIª q. 41 a. 4 ad 4
Ad quartum dicendum quod, sicut dicit Ambrosius, super Luc., non dixisset Scriptura quod, consummata omni tentatione, Diabolus recessit ab illo, nisi in tribus praemissis esset omnium materia delictorum. Quia causae tentationum causae sunt cupiditatum, scilicet carnis oblectatio, spes gloriae, et aviditas potentiae.

 

[48696] IIIª q. 41 a. 4 ad 4
4. Come nota S. Ambrogio, "la Scrittura non avrebbe detto che il diavolo si allontanò da lui, terminata ogni tentazione, se nelle tre tentazioni non fosse contenuta la materia di tutti i peccati. Le cause infatti delle (altre) tentazioni sono le stesse delle tre brame suddette, cioè: l'attrattiva della carne, la speranza della gloria, e l'ambizione del potere".

[48697] IIIª q. 41 a. 4 ad 5
Ad quintum dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in libro de consensu Evang., incertum est quid prius factum sit, utrum regna terrae prius demonstrata sint ei, et postea in pinnaculum templi locatus sit; aut hoc prius, et illud postea. Nihil tamen ad rem, dum omnia facta esse manifestum sit. Videntur autem Evangelistae diversum ordinem tenuisse, quia quandoque ex inani gloria venitur ad cupiditatem, quandoque e converso.

 

[48697] IIIª q. 41 a. 4 ad 5
5. Come osserva S. Agostino, "non si sa con certezza che cosa sia avvenuto prima: se cioè prima gli siano stati mostrati i regni della terra, e poi sia stato collocato sul pinnacolo del tempio; oppure il contrario. Comunque questo poco importa, essendo chiaro che sono accadute ambedue le cose". Sembra che gli evangelisti abbiano seguito ordini diversi, perché talora si passa dalla vana gloria alla cupidigia, e talora avviene il contrario.

[48698] IIIª q. 41 a. 4 ad 6
Ad sextum dicendum quod Christus, cum passus fuisset tentationis iniuriam, dicente sibi Diabolo, si filius Dei es, mitte te deorsum, non est turbatus, nec Diabolum increpavit. Quando vero Diabolus Dei usurpavit sibi honorem, dicens, haec omnia tibi dabo si cadens adoraveris me, exasperatus est et repulit eum, dicens, vade, Satanas, ut nos illius discamus exemplo nostras quidem iniurias magnanimiter sustinere, Dei autem iniurias nec usque ad auditum sufferre.

 

[48698] IIIª q. 41 a. 4 ad 6
6. Cristo non si sdegnò né rimproverò il demonio quando subì l'ingiuria della tentazione con le parole: "Se sei il Figlio di Dio, gettati giù". Quando però il demonio usurpò l'onore di Dio dicendo: "Ti darò tutte queste cose, se prostrato mi adorerai", allora lo scacciò indignato con le parole: "Va via, Satana". Questo perché imparassimo dal suo esempio a sopportare con animo forte le ingiurie rivolte a noi, ma a non tollerare le ingiurie contro Dio.

[48699] IIIª q. 41 a. 4 ad 7
Ad septimum dicendum quod, sicut Chrysostomus dicit, Diabolus sic Christum assumebat (in pinnaculum templi) ut ab omnibus videretur, ipse autem, nesciente Diabolo, sic agebat ut a nemine videretur. Quod autem dicit, ostendit ei omnia regna mundi et gloriam eorum, non est intelligendum quod videret ipsa regna vel civitates vel populos, vel aurum vel argentum, sed partes in quibus unumquodque regnum vel civitas posita est, Diabolus Christo digito demonstrabat, et uniuscuiusque regni honores et statum verbis exponebat. Vel, secundum Origenem, ostendit ei quomodo ipse per diversa vitia regnabat in mundo.

 

[48699] IIIª q. 41 a. 4 ad 7
7. Secondo il Crisostomo, "il demonio trasportò Cristo (sul pinnacolo del Tempio) perché fosse visto da tutti; questi però all'insaputa di lui, fece sì che nessuno lo vedesse". Le parole poi, "Gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro magnificenza", "non vanno intese nel senso che egli vedesse proprio i regni o le città o i popoli, oppure l'oro o l'argento; ma piuttosto che il demonio additò a Cristo la regione dove si trovava ogni regno o città, gli espose a parole gli onori e lo stato di ciascun regno". - Oppure, secondo Origene, "gli mostrò come egli, mediante i vari peccati, regnasse nel mondo".

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