III, 10

Terza parte > Cristo > La scienza beatifica dell'anima di Cristo


Tertia pars
Quaestio 10
Prooemium

[47287] IIIª q. 10 pr.
Deinde considerandum est de qualibet praedictarum scientiarum. Sed quia de scientia divina dictum est in prima parte, restat nunc videre de aliis, primo, de scientia beata; secundo, de scientia indita; tertio, de scientia acquisita. Sed quia de scientia beata, quae in Dei visione consistit, plura dicta sunt in prima parte, ideo hic sola illa videntur dicenda quae pertinent ad animam Christi. Circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum anima Christi comprehenderit verbum, sive divinam essentiam.
Secundo, utrum cognoverit omnia in verbo.
Tertio, utrum anima Christi in verbo cognoverit infinita.
Quarto, utrum videat verbum, vel divinam essentiam, clarius qualibet alia creatura.

 
Terza parte
Questione 10
Proemio

[47287] IIIª q. 10 pr.
Passiamo ora a esaminare ciascuna delle suddette scienze. Ma poiché della scienza divina si è parlato nella Prima Parte, ora restano da vedere le altre: primo, la scienza beatifica; secondo, la scienza infusa; terzo, la scienza acquisita. Però della scienza beatifica, che consiste nella visione di Dio, molto è stato detto nella Prima Parte; perciò la trattazione si limita qui ai suoi rapporti con l'anima di Cristo.
Su questo argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se l'anima di Cristo avesse la comprensione del Verbo, ossia dell'essenza divina;
2. Se nel Verbo avesse la conoscenza di ogni cosa;
3. Se nel Verbo conoscesse infinite cose;
4. Se vedesse il Verbo, o l'essenza divina, più chiaramente di qualsiasi altra creatura.




Terza Parte > Cristo > La scienza beatifica dell'anima di Cristo > Se l'anima di Cristo avesse la comprensione totale del Verbo, o dell'essenza divina


Tertia pars
Quaestio 10
Articulus 1

[47288] IIIª q. 10 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod anima Christi comprehenderit et comprehendat verbum, sive divinam essentiam. Dicit enim Isidorus quod Trinitas sibi soli nota est, et homini assumpto. Igitur homo assumptus communicat cum sancta Trinitate in illa notitia sui quae est sanctae Trinitatis propria. Huiusmodi autem est notitia comprehensionis. Ergo anima Christi comprehendit divinam essentiam.

 
Terza parte
Questione 10
Articolo 1

[47288] IIIª q. 10 a. 1 arg. 1
SEMBRA che l'anima di Cristo avesse la comprensione del Verbo, o dell'essenza divina. Infatti:
1. S. Isidoro dice che "la Trinità è nota a sé soltanto e all'uomo assunto". Dunque l'uomo assunto ha in comune con la santa Trinità la conoscenza che questa ha di se stessa. Ma tale conoscenza è comprensione. Quindi l'anima di Cristo comprende l'essenza divina.

[47289] IIIª q. 10 a. 1 arg. 2
Praeterea, magis est uniri Deo secundum esse personale quam secundum visionem. Sed, sicut Damascenus dicit, in III libro, tota divinitas, in una personarum, est unita humanae naturae in Christo. Multo igitur magis tota natura divina videtur ab anima Christi. Et ita videtur quod anima Christi comprehendat divinam essentiam.

 

[47289] IIIª q. 10 a. 1 arg. 2
2. Unirsi a Dio nell'unione ipostatica è più che unirsi a lui nella visione. Ma secondo S. Giovanni Damasceno, "tutta la divinità in una delle persone si è unita alla natura umana in Cristo". Tanto più dunque l'anima di Cristo vede tutta la natura divina. Perciò l'anima di Cristo comprende l'essenza divina.

[47290] IIIª q. 10 a. 1 arg. 3
Praeterea, illud quod convenit filio Dei per naturam, convenit filio hominis per gratiam, ut Augustinus dicit, in libro de Trinitate. Sed comprehendere divinam essentiam competit filio Dei per naturam. Ergo filio hominis competit per gratiam. Et ita videtur quod anima Christi per gratiam verbum comprehendat.

 

[47290] IIIª q. 10 a. 1 arg. 3
3. "Ciò che compete al Figlio di Dio per natura, compete al Figlio dell'Uomo per grazia", come dice S. Agostino. Ma comprendere l'essenza divina spetta al Figlio di Dio per natura. Dunque spetta per grazia al Figlio dell'Uomo. E così l'anima di Cristo per grazia ha la comprensione del Verbo.

[47291] IIIª q. 10 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro octogintatrium quaest., quod se comprehendit, finitum est sibi. Sed essentia divina non est finita in comparatione ad animam Christi, cum in infinitum eam excedat. Ergo anima Christi non comprehendit verbum.

 

[47291] IIIª q. 10 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino dice che "comprendere è limitare". Ma l'essenza divina non ha i limiti dell'anima umana e la supera all'infinito. Dunque l'anima di Cristo non ha la comprensione del Verbo.

[47292] IIIª q. 10 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut ex supra dictis patet, sic facta est unio naturarum in persona Christi quod tamen proprietas utriusque naturae inconfusa permansit, ita scilicet quod increatum mansit increatum, et creatum mansit infra limites creaturae, sicut Damascenus dicit, in III libro. Est autem impossibile quod aliqua creatura comprehendat divinam essentiam, sicut in prima parte dictum est, eo quod infinitum non comprehenditur a finito. Et ideo dicendum quod anima Christi nullo modo comprehendit divinam essentiam.

 

[47292] IIIª q. 10 a. 1 co.
RISPONDO: Come risulta da sopra, le due nature si sono unite nella persona di Cristo lasciando distinte le proprietà di ciascuna, cosicché a detta del Damasceno "l'increato rimase increato e il creato si tenne dentro i limiti della creatura". Ma è impossibile che una creatura abbia la comprensione totale dell'essenza divina, come abbiamo spiegato nella Prima Parte, perché l'infinito non può essere contenuto dal finito. Dunque l'anima di Cristo in nessun modo ha la comprensione totale dell'essenza divina.

[47293] IIIª q. 10 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod homo assumptus connumeratur divinae Trinitati in sui cognitione, non ratione comprehensionis, sed ratione cuiusdam excellentissimae cognitionis prae ceteris creaturis.

 

[47293] IIIª q. 10 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'uomo assunto viene a partecipare della conoscenza che la Trinità divina ha di se stessa, non per la comprensione, ma per una conoscenza molto superiore a quella delle altre creature.

[47294] IIIª q. 10 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod nec etiam in unione quae est secundum esse personale, natura humana comprehendit verbum Dei, sive naturam divinam, quae quamvis tota unita fuerit humanae naturae in una persona filii, non tamen fuit tota virtus divinitatis ab humana natura quasi circumscripta. Unde Augustinus dicit, in epistola ad Volusianum, scire te volo non hoc Christianam habere doctrinam, quod ita Deus infusus sit carni ut curam gubernandae universitatis vel deseruerit vel amiserit, vel ad illud corpusculum quasi contractam collectamque transtulerit. Et similiter anima Christi totam essentiam Dei videt, non tamen eam comprehendit, quia non totaliter eam videt, idest, non ita perfecte sicut visibilis est, ut in prima parte expositum est.

 

[47294] IIIª q. 10 a. 1 ad 2
2. Neppure nell'unione personale la natura umana comprende il Verbo di Dio o l'essenza divina, perché sebbene questa nella sola persona del Figlio si sia unita tutta alla natura umana, la divinità però non rimase per così dire tutta circoscritta dalla natura umana. È quanto esprime S. Agostino scrivendo a Volusiano: "Voglio che tu lo sappia: la dottrina cristiana non insegna che Dio calandosi nella carne abbia o perduto il governo dell'universo o l'abbia come concentrato in quel minuscolo corpo". Parimente anche l'anima di Cristo vede tutta l'essenza di Dio, ma non la comprende perché non la vede totalmente, cioè così perfettamente come è visibile, secondo quello che abbiamo spiegato nella Prima Parte.

[47295] IIIª q. 10 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod verbum illud Augustini est intelligendum de gratia unionis, secundum quam omnia quae dicuntur de filio Dei secundum naturam divinam, dicuntur de filio hominis, propter identitatem suppositi. Et secundum hoc, vere potest dici quod filius hominis est comprehensor divinae essentiae, non quidem secundum animam, sed secundum divinam naturam. Per quem etiam modum potest dici quod filius hominis est creator.

 

[47295] IIIª q. 10 a. 1 ad 3
3. La frase di S. Agostino va intesa della grazia dell'unione, per la quale tutti gli attributi del Figlio di Dio secondo la sua natura divina si danno al Figlio dell'Uomo per l'identità del supposito. Allora possiamo dire veramente che il Figlio dell'Uomo comprende l'essenza divina, non con la sua anima, ma con la sua natura divina. Sotto questo aspetto si può anche dire che il Figlio dell'Uomo è Creatore.




Terza Parte > Cristo > La scienza beatifica dell'anima di Cristo > Se l'anima di Cristo conosca nel Verbo tutte le cose


Tertia pars
Quaestio 10
Articulus 2

[47296] IIIª q. 10 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod anima Christi in verbo non cognoscat omnia. Dicitur enim Marci XIII, de die autem illa nemo scit, neque Angeli in caelo neque filius, nisi pater. Non igitur omnia scit in verbo.

 
Terza parte
Questione 10
Articolo 2

[47296] IIIª q. 10 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l'anima di Cristo non conosca nel Verbo tutte le cose. Infatti:
1. Nel Vangelo Cristo dichiara: "Di quel giorno nessuno sa: né gli angeli in cielo, né il Figlio; nessuno, eccetto il Padre". Egli quindi non conosce tutte le cose nel Verbo.

[47297] IIIª q. 10 a. 2 arg. 2
Praeterea, quanto aliquis perfectius cognoscit aliquod principium, tanto plura in illo principio cognoscit. Sed Deus perfectius videt essentiam suam quam anima Christi. Ergo plura cognoscit in verbo quam anima Christi. Non ergo anima Christi in verbo cognoscit omnia.

 

[47297] IIIª q. 10 a. 2 arg. 2
2. Quanto meglio si conosce un principio, tante più cose si conoscono in esso. Ma Dio conosce la propria essenza meglio dell'anima di Cristo. Dunque conosce nel Verbo più cose che l'anima di Cristo. Quindi l'anima di Cristo non conosce nel Verbo tutte le cose.

[47298] IIIª q. 10 a. 2 arg. 3
Praeterea, quantitas scientiae attenditur secundum quantitatem scibilium. Si ergo anima Christi sciret in verbo omnia quae scit verbum, sequeretur quod scientia animae Christi aequaretur scientiae divinae, creatum videlicet increato. Quod est impossibile.

 

[47298] IIIª q. 10 a. 2 arg. 3
3. La misura di una scienza è data dal numero dei suoi oggetti. Se dunque l'anima di Cristo conoscesse nel Verbo tutte le cose che conosce il Verbo, la scienza dell'anima di Cristo uguaglierebbe la scienza divina, il creato cioè uguaglierebbe l'increato. Il che è assurdo.

[47299] IIIª q. 10 a. 2 s. c.
Sed contra est quod, super illud Apoc. V, dignus est agnus qui occisus est accipere divinitatem et scientiam, Glossa dicit, idest, omnium cognitionem.

 

[47299] IIIª q. 10 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: La Scrittura dichiara: "Degno è l'Agnello che è stato ucciso di ricevere la divinità e la scienza" e la Glossa spiega: "cioè la conoscenza di tutte le cose".

[47300] IIIª q. 10 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, cum quaeritur an Christus cognoscat omnia in verbo, dicendum est quod ly omnia potest dupliciter accipi. Uno modo, proprie, ut distribuat pro omnibus quae quocumque modo sunt vel erunt vel fuerunt, vel facta vel dicta vel cogitata a quocumque, secundum quodcumque tempus. Et sic dicendum est quod anima Christi in verbo cognoscit omnia. Unusquisque enim intellectus creatus in verbo cognoscit, non quidem omnia simpliciter, sed tanto plura quanto perfectius videt verbum, nulli tamen intellectui beato deest quin cognoscat in verbo omnia quae ad ipsum spectant. Ad Christum autem, et ad eius dignitatem, spectant quodammodo omnia, inquantum ei subiecta sunt omnia. Ipse est etiam omnium iudex constitutus a Deo, quia filius hominis est, ut dicitur Ioan. V. Et ideo anima Christi in verbo cognoscit omnia existentia secundum quodcumque tempus, et etiam hominum cogitatus, quorum est iudex, ita quod de eo dicitur, Ioan. II, ipse enim sciebat quid esset in homine; quod potest intelligi non solum quantum ad scientiam divinam, sed etiam quantum ad scientiam animae eius quam habet in verbo. Alio modo ly omnia potest accipi magis large, ut extendatur non solum ad omnia quae sunt actu secundum quodcumque tempus, sed etiam ad omnia quaecumque sunt in potentia nunquam reducta ad actum. Horum autem quaedam sunt solum in potentia divina. Et huiusmodi non omnia cognoscit in verbo anima Christi. Hoc enim esset comprehendere omnia quae Deus potest facere, quod esset comprehendere divinam virtutem, et per consequens divinam essentiam; virtus enim quaelibet cognoscitur per cognitionem eorum in quae potest. Quaedam vero sunt non solum in potentia divina, sed etiam in potentia creaturae. Et huiusmodi omnia cognoscit anima Christi in verbo. Comprehendit enim in verbo omnis creaturae essentiam, et per consequens potentiam et virtutem, et omnia quae sunt in potentia creaturae.

 

[47300] IIIª q. 10 a. 2 co.
RISPONDO: Nel chiederci se Cristo conosca nel Verbo tutte le cose dobbiamo precisare due modi d'intendere l'espressione "tutte le cose". Primo, in senso proprio abbracciando tutte le cose che in qualunque maniera sono, saranno, furono; le cose fatte, dette, pensate da chiunque in qualsiasi tempo. Dentro questi limiti l'anima di Cristo conosce nel Verbo tutte le cose. Infatti ogni intelletto creato può conoscere nel Verbo, non tutto in senso assoluto, ma tante più cose quanto più perfettamente vede il Verbo; a nessuno però dei beati manca la conoscenza nel Verbo delle cose che lo riguardano. Ora a Cristo e alla sua dignità si riferiscono in qualche modo tutte le cose, perché "tutto è stato assoggettato a lui". Inoltre egli, per usare le parole del Vangelo, "è stato costituito da Dio giudice di tutti, perché è il Figlio dell'Uomo". Perciò l'anima di Cristo conosce nel Verbo tutte le cose esistenti di qualunque tempo e anche i pensieri degli uomini di cui è giudice, secondo l'espressione evangelica: "Sapeva da sé quello che c'era negli uomini", la quale può riferirsi non solo alla scienza divina, ma anche alla scienza che la sua anima ha nel Verbo.
Secondo, l'espressione "tutte le cose" può intendersi in senso più largo, così da abbracciare non solo tutte le cose che sono in atto a qualunque epoca, ma anche tutte quelle che sono in potenza e mai verranno attuate. Di esse poi alcune sono soltanto in potere di Dio. E queste l'anima di Cristo non le conosce tutte nel Verbo. Perché ciò equivarrebbe a comprendere tutto quello che Dio può fare, vale a dire ad avere la piena comprensione della virtù divina e quindi dell'essenza divina. Ogni virtù infatti si conosce da ciò che può fare. - Altre invece non sono soltanto in potere di Dio, ma anche delle creature. E queste l'anima di Cristo le conosce tutte nel Verbo. Comprende infatti nel Verbo l'essenza di ogni creatura e quindi la potenza, la virtù e quanto è in potere delle creature.

[47301] IIIª q. 10 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod illud verbum intellexerunt Arius et Eunomius, non quantum ad scientiam animae, quam in Christo non ponebant, ut supra dictum est, sed quantum ad divinam cognitionem filii, quem ponebant esse minorem patre quantum ad scientiam. Sed istud stare non potest. Quia per verbum Dei facta sunt omnia, ut dicitur Ioan. I, et, inter alia, facta sunt etiam per ipsum omnia tempora. Nihil autem per ipsum factum est quod ab eo ignoretur. Dicitur ergo nescire diem et horam iudicii, quia non facit scire, interrogatus enim ab apostolis super hoc, Act. I, hoc eis noluit revelare. Sicut e contrario legitur Gen. XXII, nunc cognovi quod timeas Deum, idest, nunc cognoscere feci. Dicitur autem pater scire, eo quod huiusmodi cognitionem tradidit filio. Unde in hoc ipso quod dicitur, nisi pater, datur intelligi quod filius cognoscat, non solum quantum ad divinam naturam, sed etiam quantum ad humanam. Quia, ut Chrysostomus argumentatur, si Christo homini datum est ut sciat qualiter oporteat iudicare, quod est maius; multo magis datum est ei scire quod est minus, scilicet tempus iudicii. Origenes tamen hoc exponit de Christo secundum corpus eius, quod est Ecclesia, quae hoc ipsum tempus ignorat. Quidam autem dicunt hoc esse intelligendum de filio Dei adoptivo, non de naturali.

 

[47301] IIIª q. 10 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ario ed Eunomio riferivano quelle parole non alla scienza dell'anima che non ammettevano in Cristo, come si è detto sopra, ma alla scienza divina del Figlio, che dicevano minore al Padre nella scienza. Il che è inammissibile. Perché "per mezzo del Verbo di Dio sono state fatte tutte le cose", afferma il Vangelo, e tra le altre anche i tempi sono stati fatti tutti per mezzo di lui. Ora, nulla egli può aver fatto senza conoscenza.
Dice dunque di non sapere il giorno e l'ora del giudizio, nel senso che non voleva farlo sapere: interrogato infatti dagli Apostoli su questo, si rifiutò di rivelarlo. Come in senso contrario si legge nella Bibbia: "Ora conosco che tu temi Dio", cioè "ora l'ho fatto conoscere". Dice anzi che il Padre lo sa, perché ha comunicato al Figlio tale conoscenza. Così la stessa precisazione "eccetto il Padre" fa capire che il Figlio sa, non solo con la natura divina, ma anche con quella umana. Perché, come argomenta il Crisostomo, "se a Cristo uomo fu dato di sapere il più, come cioè debba giudicare, a più forte ragione gli fu dato di conoscere il meno, il tempo cioè del giudizio".
Origene però attribuisce quelle parole al Cristo (mistico), cioè al "suo corpo, che è la Chiesa", la quale ignora il tempo in questione. - Altri poi dicono che deve riferirsi al figlio di Dio adottivo, non a quello naturale.

[47302] IIIª q. 10 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod Deus perfectius cognoscit suam essentiam quam anima Christi, quia eam comprehendit. Et ideo cognoscit omnia non solum quae sunt in actu secundum quodcumque tempus, quae dicitur cognoscere scientia visionis; sed etiam omnia quaecumque ipse potest facere, quae dicitur cognoscere per simplicem intelligentiam, ut in primo habitum est. Scit ergo anima Christi omnia quae Deus in seipso cognoscit per scientiam visionis, non tamen omnia quae Deus in seipso cognoscit per scientiam simplicis intelligentiae. Et ita plura scit Deus in seipso quam anima Christi.

 

[47302] IIIª q. 10 a. 2 ad 2
2. Dio conosce la propria essenza meglio dell'anima di Cristo, perché la comprende. Perciò conosce non solo tutte le cose che sono in atto in qualunque momento, e ciò costituisce la sua scienza di visione; ma anche tutte le cose che egli può fare, e ciò costituisce la sua scienza di semplice intelligenza, come si è spiegato nella Prima Parte. Conosce dunque l'anima di Cristo tutte le cose che Dio conosce in se stesso per scienza di visione, non conosce invece tutte le cose che Dio conosce in se stesso per scienza di semplice intelligenza. E così Dio conosce in se stesso molte più cose dell'anima di Cristo.

[47303] IIIª q. 10 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod quantitas scientiae non solum attenditur secundum numerum scibilium, sed etiam secundum claritatem cognitionis. Quamvis igitur scientia animae Christi quam habet in verbo, parificetur scientiae visionis quam Deus habet in seipso quantum ad numerum scibilium; scientia tamen Dei excedit in infinitum, quantum ad claritatem cognitionis, scientiam animae Christi. Quia lumen increatum divini intellectus in infinitum excedit lumen creatum quodcumque receptum in anima Christi, non solum quantum ad modum cognoscendi, sed etiam quantum ad numerum scibilium, ut dictum est.

 

[47303] IIIª q. 10 a. 2 ad 3
3. La grandezza di una scienza non dipende solo dal numero delle cose conosciute, ma anche dalla chiarezza della conoscenza. Dunque, anche se la scienza che l'anima di Cristo ha nel Verbo uguagliasse per numero di oggetti la scienza di visione che Dio ha in se stesso, tuttavia quest'ultima la supererebbe all'infinito per chiarezza di conoscenza. Perché il lume increato dell'intelletto divino supera infinitamente qualunque lume creato infuso nell'anima di Cristo, non solo per il modo di conoscere, ma anche per il numero delle cose conosciute, come si è detto.




Terza Parte > Cristo > La scienza beatifica dell'anima di Cristo > Se l'anima di Cristo possa conoscere nel Verbo infinite cose


Tertia pars
Quaestio 10
Articulus 3

[47304] IIIª q. 10 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod anima Christi non possit cognoscere infinita in verbo. Quod enim infinitum cognoscatur, repugnat definitioni infiniti, prout dicitur in III Physic. quod infinitum est cuius quantitatem accipientibus semper est aliquid extra accipere. Impossibile autem est definitionem a definito separari, quia hoc esset contradictoria esse simul. Ergo impossibile est quod anima Christi sciat infinita.

 
Terza parte
Questione 10
Articolo 3

[47304] IIIª q. 10 a. 3 arg. 1
SEMBRA che l'anima di Cristo non possa conoscere nel Verbo infinite cose. Infatti:
1. Che l'infinito sia conosciuto ripugna alla sua definizione data da Aristotele: "L'infinito è tale grandezza che, per quanto grande si pensi, ne resta sempre fuori qualcosa". Ora, è impossibile separare la cosa dalla sua definizione, perché sarebbe come ammettere la possibilità simultanea di cose contraddittorie. Dunque è impossibile che l'anima di Cristo conosca infinite cose.

[47305] IIIª q. 10 a. 3 arg. 2
Praeterea, infinitorum scientia est infinita. Sed scientia animae Christi non potest esse infinita, est enim capacitas eius finita, cum sit creatura. Non ergo anima Christi potest cognoscere infinita.

 

[47305] IIIª q. 10 a. 3 arg. 2
2. La scienza di cose infinite è infinita. Ma la scienza dell'anima di Cristo non può essere infinita, essendo limitata la sua capacità di creatura. Dunque l'anima di Cristo non può conoscere cose infinite.

[47306] IIIª q. 10 a. 3 arg. 3
Praeterea, infinito non potest esse aliquid maius. Sed plura continentur in scientia divina, absolute loquendo, quam in scientia animae Christi, ut dictum est. Ergo anima Christi non cognoscit infinita.

 

[47306] IIIª q. 10 a. 3 arg. 3
3. Dell'infinito non ci può essere nulla di più grande. Ma nella scienza divina, assolutamente parlando, ci sono molte più cose che nella scienza dell'anima di Cristo, come si è detto. Dunque l'anima di Cristo non conosce infinite cose.

[47307] IIIª q. 10 a. 3 s. c.
Sed contra, anima Christi cognoscit totam suam potentiam, et omnia in quae potest. Potest autem in emundationem infinitorum peccatorum, secundum illud I Ioan. II, ipse est propitiatio pro peccatis nostris, non autem pro nostris tantum, sed etiam totius mundi. Ergo anima Christi cognoscit infinita.

 

[47307] IIIª q. 10 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: L'anima di Cristo conosce tutta la propria potenza e tutte le cose che sono in suo potere. Ma essa può mondare un'infinità di peccati, secondo l'affermazione evangelica: "Egli è vittima espiatrice dei nostri peccati e non dei nostri soltanto, ma dei peccati di tutto il mondo". Dunque l'anima di Cristo conosce infinite cose.

[47308] IIIª q. 10 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod scientia non est nisi entis, eo quod ens et verum convertuntur. Dupliciter autem dicitur aliquid ens, uno modo, simpliciter, quod scilicet est ens actu; alio modo, secundum quid, quod scilicet est ens in potentia. Et quia, ut dicitur in IX Metaphys., unumquodque cognoscitur secundum quod est actu, non autem secundum quod est in potentia, scientia primo et principaliter respicit ens actu. Secundario autem respicit ens in potentia, quod quidem non secundum seipsum cognoscibile est, sed secundum quod cognoscitur illud in cuius potentia existit. Quantum igitur ad primum modum scientiae, anima Christi non scit infinita. Quia non sunt infinita in actu, etiam si accipiantur omnia quaecumque sunt in actu secundum quodcumque tempus, eo quod status generationis et corruptionis non durat in infinitum; unde est certus numerus non solum eorum quae sunt absque generatione et corruptione, sed etiam generabilium et corruptibilium. Quantum vero ad alium modum sciendi, anima Christi in verbo scit infinita. Scit enim, ut dictum est, omnia quae sunt in potentia creaturae. Unde, cum in potentia creaturae sint infinita, per hunc modum scit infinita, quasi quadam scientia simplicis intelligentiae, non autem scientia visionis.

 

[47308] IIIª q. 10 a. 3 co.
RISPONDO: La scienza ha per oggetto soltanto l'ente, perché ente e vero sono convertibili. Ma una cosa può dirsi ente in due maniere: in modo assoluto (simpliciter), cioè ente in atto; e in modo relativo (secundum quid), cioè ente in potenza. E poiché, come dice Aristotele, ogni cosa si conosce in quanto è in atto e non in quanto è in potenza, la scienza ha prima e principalmente come oggetto l'ente in atto. Secondariamente poi ha per oggetto l'ente in potenza, che è conoscibile non in se stesso, ma tramite l'ente in cui si trova in potenza.
Quanto dunque al primo tipo di scienza, l'anima di Cristo non conosce infinite cose. Perché non esistono in atto infinite cose, neppure mettendo insieme tutti gli esseri d'ogni specie e tempo, non dovendo durare all'infinito le cose generabili e corruttibili; cosicché esistono in numero determinato non solo quelle che non si generano e non si corrompono, ma anche le altre che si generano e si corrompono. - Quanto invece al secondo tipo di scienza, l'anima di Cristo conosce nel Verbo infinite cose. Conosce infatti, come si è detto, tutte le cose che sono in potere delle creature. Essendo dunque in potere delle creature infinite cose, egli le conosce tutte per una specie di scienza di semplice intelligenza e non per scienza di visione.

[47309] IIIª q. 10 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod infinitum, sicut in prima parte dictum est, dupliciter dicitur. Uno modo, secundum rationem formae. Et sic dicitur infinitum negative, scilicet id quod est forma vel actus non limitatus per materiam vel subiectum in quo recipiatur. Et huiusmodi infinitum, quantum est de se, est maxime cognoscibile, propter perfectionem actus, licet non sit comprehensibile a potentia finita creaturae, sic enim dicitur Deus infinitus. Et tale infinitum anima Christi cognoscit, licet non comprehendat. Alio modo dicitur infinitum secundum potentiam materiae. Quod quidem dicitur privative, ex hoc scilicet quod non habet formam quam natum est habere. Et per hunc modum dicitur infinitum in quantitate. Tale autem infinitum ex sui ratione est ignotum, quia scilicet est quasi materia cum privatione formae, ut dicitur in III Physic.; omnis autem cognitio est per formam vel actum. Sic igitur, si huiusmodi infinitum cognosci debeat secundum modum ipsius cogniti, impossibile est quod cognoscatur, est enim modus ipsius ut accipiatur pars eius post partem, ut dicitur in III Physic. Et hoc modo verum est quod eius quantitatem accipientibus, scilicet parte accepta post partem, semper est aliquid extra accipere. Sed sicut materialia possunt accipi ab intellectu immaterialiter, et multa unite, ita infinita possunt accipi ab intellectu non per modum infiniti, sed quasi finite, ut sic ea quae sunt in seipsis infinita, sint intellectui cognoscentis finita. Et hoc modo anima Christi scit infinita, inquantum scilicet scit ea, non discurrendo per singula, sed in aliquo uno; puta in aliqua creatura in cuius potentia praeexistunt infinita; et principaliter in ipso verbo.

 

[47309] IIIª q. 10 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come si è detto nella Prima Parte, ci sono due specie d'infinità. La prima di ordine formale. È l'infinito negativo, cioè la forma o atto non limitato dalla materia o dal soggetto ricevente. Tale infinito è per se stesso sommamente conoscibile per la perfezione dell'atto, sebbene non sia comprensibile alla capacità limitata della creatura: così infatti si dice infinito Dio. L'anima di Cristo conosce, ma non comprende questo infinito.
L'altra specie è l'infinito di ordine materiale. È l'infinito privativo, non avendo il soggetto la forma che gli compete. Tale infinito si riscontra nella quantità. Esso non è per se stesso oggetto di conoscenza, perché è come materia priva di forma, come dice Aristotele, mentre ogni conoscenza deriva dalla forma o dall'atto. Se dunque tale infinito si dovesse conoscere come si presenta, ne sarebbe impossibile la conoscenza, perché si presenta per parti, una dietro l'altra, come nota Aristotele. E allora è vero che, "per quanto grande si pensi", una serie cioè di parti, "ne resta sempre fuori qualcosa". Ma come le cose materiali possono essere apprese dall'intelletto in modo immateriale e le molteplici come se fossero una, così le cose infinite possono essere apprese dall'intelletto non come infinite, ma per riduzione al finito, cosicché, pur essendo infinite in se stesse, per l'intelletto che le conosce sono finite. In questo modo l'anima di Cristo conosce infinite cose, non passandole una a una, ma raccogliendole in una superiore unità, p. es., in una creatura la cui potenza abbraccia infinite cose, e principalmente nel Verbo stesso.

[47310] IIIª q. 10 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod nihil prohibet aliquid esse infinitum uno modo quod est alio modo finitum, sicut si imaginemur in quantitatibus superficiem quae sit secundum longitudinem infinita secundum latitudinem autem finita. Sic igitur, si essent infiniti homines numero, haberent quidem infinita esse secundum aliquid, scilicet secundum multitudinem, secundum tamen rationem essentiae non haberent infinitatem, eo quod omnis essentia esset limitata sub ratione unius speciei. Sed illud quod est simpliciter infinitum secundum essentiae rationem, est Deus, ut in prima parte dictum est, proprium autem obiectum intellectus est quod quid est, ut dicitur in III de anima, ad quod pertinet ratio speciei. Sic igitur anima Christi, propter hoc quod habet capacitatem finitam, id quod est simpliciter infinitum secundum essentiam, scilicet Deum, attingit quidem, sed non comprehendit, ut dictum est. Id autem infinitum quod in creaturis est in potentia, potest comprehendi ab anima Christi, quia comparatur ad ipsam secundum essentiae rationem, ex qua parte infinitatem non habet. Nam etiam intellectus noster intelligit universale, puta naturam generis vel speciei, quod quodammodo habet infinitatem, inquantum potest de infinitis praedicari.

 

[47310] IIIª q. 10 a. 3 ad 2
2. Nulla impedisce che una cosa sia infinita sotto un aspetto e finita sotto un altro: nell'ordine della quantità, p. es., una superficie infinita per lunghezza e finita per larghezza. E anche gli uomini, se fossero infiniti di numero, costituirebbero un'infinità relativa, cioè relativa al numero non all'essenza, perché ogni essenza rimane sempre limitata dentro i confini della propria specie. Ciò che invece è assolutamente infinito per la sua essenza, è Dio, come si è detto nella Prima Parte. Ora, oggetto proprio dell'intelligenza, come dice Aristotele, è l'essenza, cui compete la specificazione.
Perciò l'anima di Cristo, essendo dotata di capacità finita, conosce l'infinito per essenza, cioè Dio, ma non ne ha la comprensione. L'infinito potenziale invece, che si riscontra nelle creature, può essere compreso dall'anima di Cristo, perché si presenta a essa dal lato dell'essenza, che non è infinita. Del resto anche la nostra intelligenza coglie l'universale, p. es., l'essenza del genere e della specie, che ha una certa infinità in quanto può predicarsi d'infiniti individui.

[47311] IIIª q. 10 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod id quod est infinitum omnibus modis, non potest esse nisi unum, unde et philosophus dicit, in I de caelo et mundo, quod quia corpus est ad omnem partem dimensionatum, impossibile est plura esse corpora infinita. Si tamen aliquid esset infinitum uno modo tantum, nihil prohiberet esse plura talia infinita, sicut si intelligeremus plures lineas infinitas secundum longitudinem protractas in aliqua superficie finita secundum latitudinem. Quia igitur infinitum non est substantia quaedam, sed accidit rebus quae dicuntur infinitae, ut dicitur in III Physic.; sicut infinitum multiplicatur secundum diversa subiecta, ita necesse est quod proprietas infiniti multiplicetur, ita quod conveniat unicuique eorum secundum illud subiectum. Est autem quaedam proprietas infiniti quod infinito non sit aliquid maius. Sic igitur, si accipiamus unam lineam infinitam, in illa non est aliquid maius infinito. Et similiter, si accipiamus quamcumque aliarum linearum infinitarum, manifestum est quod uniuscuiusque earum partes sunt infinitae. Oportet igitur quod omnibus illis infinitis non sit aliquid maius in illa linea, tamen in alia linea et in tertia erunt plures partes, etiam infinitae, praeter istas. Et hoc etiam videmus in numeris accidere, nam species numerorum parium sunt infinitae, et similiter species numerorum imparium; et tamen numeri et pares et impares sunt plures quam pares. Sic igitur dicendum quod infinito simpliciter quoad omnia, nihil est maius, infinito autem secundum aliquid determinatum, non est aliquid maius in illo ordine, potest tamen accipi aliquid maius extra illum ordinem. Per hunc igitur modum infinita sunt in potentia creaturae, et tamen plura sunt in potentia Dei quam in potentia creaturae. Et similiter anima Christi scit infinita scientia simplicis intelligentiae, plura tamen scit Deus secundum hunc intelligentiae modum.

 

[47311] IIIª q. 10 a. 3 ad 3
3. Ciò che è infinito sotto tutti gli aspetti non può essere che uno solo; per cui il Filosofo dice che non ci possono essere più corpi infiniti, dato che ognuno di essi si estenderebbe in tutte le direzioni. Se invece si tratta di cose infinite sotto un aspetto soltanto, potrebbero essere molti gli infiniti di tal genere: molte, p. es., possono essere le linee di lunghezza infinita tracciate su di una superficie di larghezza limitata. Poiché dunque l'infinito non è nelle cose una sostanza ma un accidente, come dice Aristotele, moltiplicandosi i soggetti di un infinito, si moltiplicano necessariamente le sue proprietà, così da ritrovarsi in tutti i soggetti. Ora, una proprietà dell'infinito è di non aver nulla più grande di sé. Perciò se prendiamo una linea infinita, in essa non c'è nulla di più grande della propria infinità. E parimente in ciascuna delle altre linee infinite le parti sono infinite. Perciò in ciascuna di esse non c'è nulla di più grande di tutte le sue parti infinite. Tuttavia in una seconda e in una terza linea ci sono molte altre parti, pure infinite. E ciò si riscontra anche nei numeri: i numeri pari sono infiniti e altrettanto i numeri dispari; nondimeno pari e dispari insieme sono più dei pari.
Concludendo: dell'infinito in senso assoluto non c'è nulla di più grande; di un infinito invece che è tale sotto un aspetto determinato non c'è nulla di più grande sotto quell'aspetto, ma ci può essere qualcosa di più grande al di fuori di esso. In questo senso quindi infinite cose sono in potenza delle creature e tuttavia in potere di Dio ce ne sono più che in potere delle creature. Similmente l'anima di Cristo conosce per scienza di semplice intelligenza infinite cose e tuttavia Dio nel medesimo modo ne conosce di più.




Terza Parte > Cristo > La scienza beatifica dell'anima di Cristo > Se l'anima di Cristo veda il Verbo meglio di ogni altra creatura


Tertia pars
Quaestio 10
Articulus 4

[47312] IIIª q. 10 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod anima Christi non perfectius videat verbum quam quaelibet alia creatura. Perfectio enim cognitionis est secundum medium cognoscendi, sicut perfectior est cognitio quae habetur per medium syllogismi demonstrativi, quam quae habetur per medium syllogismi dialectici. Sed omnes beati vident verbum immediate per ipsam divinam essentiam, ut in prima parte dictum est. Ergo anima Christi non perfectius videt verbum quam quaelibet alia creatura.

 
Terza parte
Questione 10
Articolo 4

[47312] IIIª q. 10 a. 4 arg. 1
SEMBRA che l'anima di Cristo non veda il Verbo meglio di ogni altra creatura. Infatti:
1. La perfezione della conoscenza dipende dal mezzo conoscitivo: così è più perfetta la conoscenza che si acquista con il sillogismo dimostrativo di quella che si acquista con il sillogismo dialettico. Ma i beati vedono tutti il Verbo con immediatezza nella stessa essenza divina, come si è detto nella Prima Parte. Dunque l'anima di Cristo non vede il Verbo meglio di ogni altra creatura.

[47313] IIIª q. 10 a. 4 arg. 2
Praeterea, perfectio visionis non excedit potentiam visivam. Sed potentia rationalis animae, qualis est anima Christi, est infra potentiam intellectivam Angeli, ut patet per Dionysium, IV cap. Cael. Hier. Ergo anima Christi non perfectius videt verbum quam Angeli.

 

[47313] IIIª q. 10 a. 4 arg. 2
2. La visione non supera in perfezione la potenza visiva. Ma la potenza dell'anima razionale, e quindi dell'anima di Cristo, è inferiore alla potenza intellettiva dell'angelo, come spiega Dionigi. Dunque l'anima di Cristo non vede il Verbo meglio degli angeli.

[47314] IIIª q. 10 a. 4 arg. 3
Praeterea, Deus in infinitum perfectius videt verbum suum quam anima. Sunt ergo infiniti gradus medii inter modum quo Deus videt verbum suum, et inter modum quo anima Christi videt ipsum. Ergo non est asserendum quod anima Christi perfectius videat verbum, vel essentiam divinam, quam quaelibet alia creatura.

 

[47314] IIIª q. 10 a. 4 arg. 3
3. Dio vede il suo Verbo infinitamente meglio dell'anima. Ci sono dunque infiniti gradi intermedi tra il modo in cui Dio vede il suo Verbo e il modo in cui lo vede l'anima di Cristo. Non si può dire perciò che l'anima di Cristo veda il Verbo o l'essenza divina meglio di ogni altra creatura.

[47315] IIIª q. 10 a. 4 s. c.
Sed contra est quod apostolus dicit, Ephes. I, quod Deus constituit Christum in caelestibus super omnem principatum et potestatem et virtutem et dominationem, et omne nomen quod nominatur, non solum in hoc saeculo, sed etiam in futuro. Sed in caelesti gloria tanto aliquis est superior quanto perfectius cognoscit Deum. Ergo anima Christi perfectius videt Deum quam quaevis alia creatura.

 

[47315] IIIª q. 10 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: L'Apostolo afferma che "Dio ha costituito Cristo nei cieli al di sopra di ogni principato, potestà, virtù, dominazione e di ogni altra cosa che abbia nome non solo nel secolo presente, ma anche nel futuro". Ora, nella gloria celeste si è tanto più grandi, quanto meglio si conosce Dio. Dunque l'anima di Cristo vede Dio meglio di ogni altra creatura.

[47316] IIIª q. 10 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod divinae essentiae visio convenit omnibus beatis secundum participationem luminis derivati ad eos a fonte verbi Dei, secundum illud Eccli. I, fons sapientiae verbum Dei in excelsis. Huic autem verbo Dei propinquius coniungitur anima Christi, quae est unita verbo in persona, quam quaevis alia creatura. Et ideo plenius recipit influentiam luminis in quo Deus videtur ab ipso verbo, quam quaecumque alia creatura. Et ideo prae ceteris creaturis perfectius videt ipsam primam veritatem, quae est Dei essentia. Et ideo dicitur Ioan. I, vidimus gloriam eius, quasi unigeniti a patre, plenum non solum gratiae, sed etiam veritatis.

 

[47316] IIIª q. 10 a. 4 co.
RISPONDO: La visione dell'essenza divina è resa possibile a tutti i beati dalla partecipazione del lume di cui è fonte il Verbo di Dio, poiché sta scritto: "Sorgente di sapienza è il Verbo di Dio in cielo". Ma l'anima di Cristo, unita ipostaticamente al Verbo, è a lui più vicina d'ogni altra creatura. Perciò essa riceve la luce del Verbo che comunica la visione di Dio più di qualsiasi creatura e quindi vede la prima verità che è l'essenza di Dio meglio delle altre creature. Ecco perché si legge nel Vangelo: "Abbiamo visto la sua gloria d'Unigenito del Padre, pieno" non solo "di grazia", ma anche "di verità".

[47317] IIIª q. 10 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod perfectio cognitionis, quantum est ex parte cogniti, attenditur secundum medium, sed quantum est ex parte cognoscentis, attenditur secundum potentiam vel habitum. Et inde est quod etiam inter homines per unum medium unus perfectius cognoscit aliquam conclusionem quam alius. Et per hunc modum anima Christi, quae abundantiori impletur lumine, perfectius cognoscit divinam essentiam quam alii beati, licet omnes Dei essentiam videant per seipsam.

 

[47317] IIIª q. 10 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La perfezione della conoscenza dipende dal mezzo, per quanto riguarda l'oggetto conosciuto; ma dipende dalla potenza o dall'abito, per quanto riguarda il soggetto conoscente. Così avviene che anche tra gli uomini usando un medesimo mezzo conoscitivo uno coglie meglio d'un altro una determinata conclusione. Per tale motivo l'anima di Cristo, essendo inondata di luce più abbondante, conosce l'essenza divina meglio degli altri beati, sebbene tutti la vedano in se stessa.

[47318] IIIª q. 10 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod visio divinae essentiae excedit naturalem potentiam cuiuslibet creaturae, ut in prima parte dictum est. Et ideo gradus in ipso attenduntur magis secundum ordinem gratiae, in quo Christus est excellentissimus, quam secundum ordinem naturae, secundum quem natura angelica praefertur humanae.

 

[47318] IIIª q. 10 a. 4 ad 2
2. La visione dell'essenza divina sorpassa la capacità naturale di qualsiasi creatura, come si è detto nella Prima Parte. Perciò il grado in essa dipende più dalla grazia, nella quale Cristo eccelle, che dalla natura per la quale l'angelo è superiore all'uomo.

[47319] IIIª q. 10 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut supra dictum est de gratia quod non potest esse maior gratia quam gratia Christi per respectum ad unionem verbi, idem etiam dicendum est de perfectione divinae visionis, licet, absolute considerando, possit aliquis gradus esse sublimior secundum infinitatem divinae potentiae.

 

[47319] IIIª q. 10 a. 4 ad 3
3. Come non ci può essere una grazia superiore a quella di Cristo a motivo dell'unione ipostatica, come sopra si è detto, così non può esserci una visione di Dio più perfetta della sua, sebbene assolutamente parlando, e cioè in rapporto all'infinita potenza di Dio, possa darsi una visione superiore.

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