Sup, 96

Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole


Supplemento
Questione 96
Proemio

Ed eccoci a trattare delle aureole.
Sull'argomento si pongono tredici quesiti:

1. Se le aureole differiscano dal premio sostanziale;
2. Se differiscano dai frutti;
3. Se i frutti siano dovuti solo alla continenza;
4. Se sia giusto assegnare tre frutti alle tre parti della continenza;
5. Se l'aureola spetti ai vergini;
6. Se sia dovuta ai martiri;
7. Se sia dovuta ai dottori;
8. Se sia dovuta anche a Cristo;
9. Se sia dovuta agli angeli;
10. Se sia dovuta al corpo umano;
11. Se sia giusto distinguere tre aureole;
12. Se l'aureola principale sia quella dei vergini;
13. Se la medesima aureola l'uno l'abbia più intensamente dell'altro.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole > Se l'aureola sia distinta dal premio essenziale, che ha il nome di aurea corona


Supplemento
Questione 96
Articolo 1

SEMBRA che l'aureola non sia altro che il premio essenziale, denominato aurea corona. Infatti:
1. Il premio essenziale altro non è che la beatitudine. Ma, a detta di Boezio, la beatitudine è "lo stato perfetto ottenuto mediante il cumulo di tutti i beni". Dunque il premio essenziale include ogni bene della patria beata. Dunque l'aureola è inclusa nella corona d'oro.
2. "Il più e il meno non mutano la specie". Ora, coloro che osservano i consigli e i precetti vengono premiati più di quelli che osservano solo i precetti; d'altra parte il loro premio non sembra differire se non per il fatto che l'uno è maggiore dell'altro. Ebbene siccome l'aureola indica il premio dovuto alle opere di perfezione, è chiaro che non indica niente che si distingua dall'aurea corona.
3. Il premio corrisponde al merito. Ma radice di tutto il merito è la carità. Perciò corrispondendo l'aureola stessa alla carità, sembra che nella patria non debba esserci un premio distinto dalla corona.
4. "Gli uomini beati", scrive S. Gregorio, "vengono assunti agli ordini degli angeli". Ma negli angeli, "sebbene ad alcuni certi doni siano dati in modo più eccellente, tuttavia niente là viene posseduto in modo esclusivo: infatti tutti i doni sono in tutti, sia pure non nella stessa misura, perché alcuni possiedono in modo più eccelso di altri quello che tutti possiedono". Perciò neppure nei beati ci sarà un premio diverso da quello comune per tutti. Dunque l'aureola non è un premio distinto dalla corona.
5. A un merito più eccelso si deve un premio più eccellente. Se quindi l'aurea corona è dovuta alle opere di precetto, e l'aureola a quelle di consiglio, l'aureola sarà superiore alla corona. Ma allora non dovrebbe essere indicata col diminutivo. Perciò sembra che l'aureola non sia un premio distinto dall'aurea corona.

IN CONTRARIO: 1. A proposito di quelle parole dell'Esodo, "Farai un'altra corona d'oro più piccola [aureolam]" la Glossa afferma: "In questa corona rientra il cantico nuovo che i vergini soltanto canteranno al cospetto dell'Agnello": da ciò risulta che l'aureola è non una corona comune a tutti, ma offerta ad alcuni in particolare. Ora, l'aurea corona è data a tutti i beati, Dunque l'aureola è una cosa diversa.
2. Alla battaglia seguita dalla vittoria è dovuta una corona, secondo le parole di S. Paolo: "Non sarà coronato, se non chi avrà combattuto con successo". Laddove, quindi, si riscontra un aspetto particolare di lotta devo esserci una speciale corona. Ora, in certe opere buone si riscontra un aspetto particolare di lotta. Ad esse quindi si deve una corona distinta dalle altre. Ebbene, è proprio questa che chiamiamo aureola.
3. La Chiesa militante deriva da quella trionfante, secondo le parole dell'Apocalisse: "E vidi la città santa, ecc.". Ma nella Chiesa militante a coloro che vantano opere speciali vengono attribuiti speciali premi: ai vincitori, p. es., la corona, ai corridori il trofeo. Quindi anche nella Chiesa trionfante dev'esserci qualche cosa di simile.

RISPONDO: Il premio essenziale dell'uomo, che è la sua beatitudine, consiste nell'unione perfetta dell'anima con Dio, in quanto è ammessa a fruirne perfettamente con la visione e l'amore. Ebbene, questo premio metaforicamente è denominato corona, ovvero corona d'oro; sia a motivo del merito che viene acquistato con un combattimento, poiché "la vita umana sulla terra è un combattimento"; sia a motivo del premio, mediante il quale l'uomo è reso partecipe in qualche maniera della divinità, e quindi del potere regale, secondo le parole dell'Apocalisse: "Ci hai fatti per il nostro Dio popolo regale e sacerdotale"; e la corona è appunto il simbolo del potere regale. Ecco perché anche il premio che viene ad aggiungersi a quello essenziale ha l'aspetto di corona. Inoltre la corona implica una certa perfezione, a motivo della sua forma circolare; e quindi si addice alla perfezione dei beati. Ma poiché non è possibile che quanto viene ad aggiungersi non sia minore della perfezione che lo riceve, il premio aggiuntivo viene denominato aureola.
Al premio essenziale però, che è denominato aurea corona, si possono fare due tipi di aggiunte. Primo, in base alla condizione di natura esistente in colui che viene premiato: ed è così che alla beatitudine dell'anima viene ad aggiungersi la gloria del corpo. Ecco perché anche la gloria del corpo talora viene denominata aureola: infatti spiegando quel testo dell’Esodo: "Farai un'altra corona d'oro più piccola [aureolam]", la Glossa afferma, che "alla fine sopravverrà un'aureola, poiché nella Scrittura si legge che ad essi è riservata una gloria più sublime nella riassunzione dei loro corpi". Ma adesso noi non parliamo di questo tipo di aureola.
Secondo, l'aggiunta può avvenire in base al valore delle opere meritorie. Queste ultime infatti possono avere l'aspetto meritorio in rapporto a due cose, dalle quali deriva anche la loro bontà: cioè dalla radice della carità, che si riferisce al fine ultimo, e in base alla quale è loro dovuto il premio essenziale, ossia il raggiungimento del fine, e cioè l’aurea corona; e dalla natura stessa dell'atto, il quale può esser degno di lode e per le debite circostanze, e per la virtù da cui promana, e per il suo fine immediato. E sotto quest'aspetto si deve alle opere meritorie un premio accidentale che è denominato aureola. Ed è in tal senso che adesso parliamo dell'aureola. E dobbiamo concludere che l'aureola esprime qualche cosa che si aggiunge alla corona: cioè una certa gioia per le opere compiute, che hanno l'aspetto di eccellente vittoria; gioia che è distinta da quella che ci fa godere l'unione con Dio, la quale invece è l'aurea corona.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La beatitudine include tutti i beni che sono necessari alla vita perfetta di un uomo, la quale consiste nell'atto umano più perfetto. Ma a codesti beni si possono aggiungere altri beni, non come necessari all'atto perfetto, così da non potersi concepire senza di essi; bensì perché la loro aggiunta rende la beatitudine più splendida. Essi quindi costituiscono il coronamento e l'ornamento della beatitudine. Allo stesso modo che la felicità politica, come nota Aristotele, viene decorata dalla nobiltà, dalla bellezza fisica e da altri beni consimili, pur potendo sussistere senza di essi. Tale è appunto il rapporto tra l'aureola e la beatitudine della patria.
2. Colui che osserva i consigli e i precetti merita sempre maggiormente di colui che osserva solo i precetti, considerando il merito dalla natura stessa delle opere: non sempre però ciò è vero, se si considera il merito dalla radice della carità; poiché talora uno osserva i precetti con maggiore carità di colui che osserva i precetti e i consigli. Ma per lo più capita il rovescio: perché come dice S. Gregorio, "la prova dell'amore è la pratica delle opere". Perciò il termine aureola non si usa per il premio essenziale più intenso, ma per quello che è aggiunto al premio essenziale: sia che il premio essenziale di chi ha l'aureola sia maggiore, o minore o uguale a quello di chi non ha l'aureola.
3. La carità è principio del merito, ma i nostri atti sono come gli strumenti con i quali si merita. Ora, per conseguire l'effetto non si richiede solo la debita disposizione nel primo motore, ma anche la buona disposizione degli strumenti. Perciò negli effetti si riscontra qualche cosa derivante dal primo principio, che è la causa principale, e qualche cosa derivante dagli strumenti, che sono le cause secondarie. Quindi anche nel premio c'è qualche cosa che deriva dalla carità, e cioè la corona d'oro; e qualche cosa che deriva dalle opere, cioè l'aureola.
4. Gli angeli hanno meritato la loro beatitudine tutti col medesimo genere di atto, cioè mediante la loro conversione a Dio: perciò nessuno di essi ha un premio singolare per una cosa che in qualche modo non appartenga agli altri. Invece gli uomini meritano la beatitudine con atti di generi diversi. Perciò il paragone non regge. Tuttavia ciò che tra gli uomini uno sembra avere singolarmente appartiene in qualche modo a tutti, in quanto per la perfetta carità ognuno reputa proprio il bene altrui. Però questa gioia, con la quale uno partecipa alla gioia altrui, non si può denominare aureola; poiché questa viene data non in premio della vittoria propria, ma di quella altrui; mentre qualsiasi corona viene concessa ai vincitori, non già a coloro che con essi si rallegrano.
5. L'eccellenza del merito derivante dalla carità è superiore a quello che deriva dalla natura dell'atto: come "il fine", cui ordina la carità, "è superiore ai mezzi ordinati al fine", e che sono appunto oggetto dei nostri atti. Perciò il premio che corrisponde al merito dovuto alla carità, per quanto piccolo, è sempre superiore al premio dovuto all'atto in forza della sua natura. Ecco perché l'aureola si presenta quale diminutivo di aurea [corona].



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole > Se le aureole differiscano dai frutti


Supplemento
Questione 96
Articolo 2

SEMBRA che le aureole non differiscano dai frutti. Infatti:
1. All'identico merito non sono dovuti premi diversi. Ora, all'identico premio corrispondono un'aureola e il frutto del centuplo, che è quello della verginità, come risulta dalla Glossa. Dunque l'aureola s'identifica col frutto.
2. S. Agostino scrive che "il frutto del centuplo è dovuto ai martiri, e così pure ai vergini". Perciò il frutto è un premio comune ai vergini e ai martiri. Ma a costoro è dovuta pure l'aureola. Quindi le aureole s'identificano coi frutti.
3. Nella beatitudine non si riscontrano che due tipi di premio, cioè quello essenziale e quello accidentale che lo completa. Ma il premio che completa quello essenziale si dice aureola, il che è evidente dal testo dell'esodo in cui si afferma che l'aureola si sovrappone all'aurea corona. D'altra parte il frutto non è il premio essenziale. Esso dunque s'identifica con l'aureola.

IN CONTRARIO: 1. Le cose che non rientrano nell'identica suddivisione non appartengono al medesimo genere. Ora, i frutti e le aureole non rientrano nell'identica suddivisione, perché l'aureola si divide in aureola dei vergini, dei martiri e dei dottori; il frutto invece ai divide in frutto dei coniugati, dei vedovi e dei vergini. Perciò frutti e aureole non s'identificano.
2. Se frutto e aureola fossero la stessa cosa, a chi è dovuto un frutto sarebbe dovuta anche un'aureola. Ciò invece è falso, poiché alla vedovanza è dovuto un frutto, ma non è dovuta nessuna aureola. Dunque, ecc.

RISPONDO: I termini che sono usati in senso metaforico possono avere varie accezioni secondo le varie proprietà di quanto viene predicato metaforicamente. Ebbene, poiché in senso proprio il frutto sta a indicare negli esseri corporei quel che nasce dalla terra, in base alle diverse condizioni che si possono riscontrare nei frutti, in senso spirituale il termine frutto può assumere vari significati. Infatti il frutto materiale presenta la dolcezza, con la quale ristora l'uomo che se ne serve; inoltre è il termine ultimo o finale, cui giunge l'operazione della natura; e finalmente è il prodotto che si attende dalla coltivazione, sia mediante la semina, che mediante altri lavori campestri.
Perciò in senso spirituale frutto si può prendere per ciò che ristora quale ultimo fine. E in tal senso si dice che noi abbiamo la fruizione di Dio, perfetta nella patria e imperfetta nella vita presente. E in tal senso la fruizione coincide con la dote. Ma qui noi non parliamo del frutto in questo senso. Talora invece per frutto in senso spirituale intendiamo quanto semplicemente ristora, sebbene non sia l'ultimo fine. E in tal senso denominiamo frutti le stesse virtù, in quanto, come dice S, Ambrogio, "ristorano l'anima con una sincera dolcezza". È così che dei frutti parla S. Paolo nella lettera ai Galati: "Frutti dello spirito sono la carità, la gioia, ecc.". Ma adesso noi non parliamo dei frutti neppure in questo senso.
Inoltre per frutto spirituale, a somiglianza con quello materiale, si può intendere il provento che si attende dalla coltivazione; cosicché per frutto s'intende il premio che l'uomo consegue con la fatica sofferta nella vita presente. E in tal senso qualsiasi premio che avremo in futuro per le nostre fatiche può dirsi frutto. Di qui le parole di S. Paolo ai Romani; "Possedete il vostro frutto nella santificazione, e il vostro fine nella vita eterna". Qui però non parliamo di frutti neppure in questo senso.
Ma parliamo dei frutti in quanto derivano dalla seminagione; è in tal senso che ne parla il Signore nel Vangelo, là dove distingue i frutti del trenta, del sessanta e del cento per uno. Ebbene, un frutto di questo genere ha la capacità di derivare dal seme per il fatto che la virtù della semente è efficace nel trasformare gli umori della terra nella propria natura; e quanto questa virtù è più efficace, e la terra è a ciò più preparata, tanto è maggiore il frutto che ne deriva. Ora, il seme spirituale seminato in noi è la parola di Dio. Perciò quanto più uno si trasforma nello spirito allontanandosi dalla carne, tanto è maggiore in lui il frutto della parola.
Il frutto della parola, quindi, differisce sia dall'aurea corona che dall'aureola, per il fatto che la corona consiste nel godimento di Dio, l'aureola nel godimento che si ha delle opere di perfezione: mentre il frutto consiste nella gioia che si ha per la disposizione dell'operante secondo il grado di spiritualità raggiunto rispetto alla seminagione della parola di Dio.
Alcuni invece distinguono le aureole dai frutti, affermando che l'aureola è dovuta al combattente, secondo l'espressione paolina: "Non sarà coronato se non chi avrà combattuto a dovere"; mentre il frutto è dovuto al lavoratore, secondo l'espressione della Sapienza: "Glorioso è il frutto delle oneste fatiche". — Altri poi ritengono che l'aurea corona riguardi la conversione a Dio; mentre l'aureola e il frutto riguarderebbero i mezzi ordinati al fine; in modo però che il frutto principalmente riguarderebbe la volontà, e l'aureola il corpo.
Ma poiché la fatica e il combattimento hanno il medesimo oggetto, e dal medesimo punto di vista, mentre poi il premio del corpo dipende dal premio dell'anima, stando a codeste opinioni, tra frutto, corona e aureola non ci sarebbe altro che una differenza di ragione. Ma questo non può essere, poiché i frutti vengono attribuiti ad alcuni, cui non viene attribuita nessuna aureola.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Niente impedisce che all'identico merito, secondo i vari aspetti che implica, corrispondano diversi meriti. Alla verginità infatti corrisponde l'aurea corona, in quanto viene custodita per amor di Dio; corrisponde l'aureola in quanto è opera di perfezione che riveste l'aspetto di un'eccellente vittoria; e corrisponde il frutto in quanto con la verginità l'uomo acquista un alto grado di spiritualità allontanandosi dalla carnalità.
2. Il frutto, nel senso rigoroso secondo il quale ora parliamo, non indica il premio comune al martirio e alla verginità, ma quello dovuto ai tre gradi della continenza. Invece quella Glossa, che attribuisce il frutto del centuplo ai martiri, prende il termine frutto in senso lato per qualsiasi rinumerazione; e in tal senso il centuplo sta a indicare la retribuzione dovuta a ognuna delle opere di perfezione.
3. Sebbene l'aureola sia un premio accidentale aggiunto a quello essenziale, non ogni premio accidentale è un'aureola, ma un premio dovuto a opere di perfezione, con le quali uno si rende conforme a Cristo mediante una perfetta vittoria. Perciò non c'è difficoltà ad ammettere che al trionfo sulla vita carnale siano dovuti dei premi accidentali, che sono appunto denominati frutti.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole > Se i frutti siano dovuti solo alla virtù della continenza


Supplemento
Questione 96
Articolo 3

SEMBRA che i frutti non siano dovuti solo alla virtù della continenza. Infatti:
1. A commento di quel testo paolino: "Altro è lo splendore del sole, ecc.", la Glossa afferma che "allo splendore del sole è paragonata la dignità di coloro che danno il frutto del cento per uno; a quello della luna coloro che danno il sessanta per uno; e alle stelle coloro che danno il trenta". Ma quella diversità di splendore secondo l'intenzione dell'Apostolo riguarda ogni gradazione di beatitudine. Dunque i diversi frutti non devono corrispondere alla sola virtù della continenza.
2. Frutto deriva da fruizione. Ma la fruizione si riferisce al premio essenziale, che corrisponde a tutte le virtù. Quindi [anche i frutti corrispondono a tutte le virtù].
3. Il frutto è dovuto al lavoro, secondo le parole della Sapienza: "Glorioso è il frutto degli onesti lavori". Ma nella fortezza il travaglio è più grave che nella temperanza o nella continenza. Dunque il frutto non corrisponde solo alla continenza.
4. È più difficile non eccedere nel cibo necessario alla vita, che negli atti venerei, senza i quali la vita si conserva ugualmente. Perciò il travaglio della parsimonia è superiore a quello della continenza. Quindi i frutti devono corrispondere più alla parsimonia che alla continenza.
5. Il frutto implica ristoro. Ma il ristoro si ha soprattutto nel fine. Perciò, siccome le virtù teologali hanno per oggetto il fine, cioè Dio stesso, è chiaro che il frutto è dovuto specialmente per codeste virtù.

IN CONTRARIO: La Glossa attribuisce i frutti alla verginità, alla vedovanza e alla continenza coniugale, che fanno parte della continenza.

RISPONDO: Il frutto è un premio dovuto all'uomo per il fatto che dalla vita carnale passa a quella spirituale. Perciò esso corrisponde soprattutto a quella virtù che più d'ogni altra libera l'uomo dal dominio della carne. Ebbene questo è il compito della continenza, perché l'anima viene assoggettata alla carne soprattutto dai piaceri venerei; cosicché a detta di S, Girolamo durante quell'atto lo spirito di profezia si ritrae dal cuore dei profeti; e, a detta del Filosofo, "durante codesto piacere è impossibile capire intellettualmente qualsiasi cosa". Perciò i frutti si riferiscono più alla continenza che a qualsiasi altra virtù.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La Glossa suddetta parla del frutto in senso lato, in quanto qualsiasi retribuzione può essere denominata frutto.
2. Dalle cose già dette risulta che al frutto, nel significato di cui adesso parliamo, non è connessa l'idea di fruizione.
3. I frutti, secondo l'accezione che qui interessa, non corrispondono al lavoro a motivo della fatica, ma per il fatto che col lavoro il seme fruttifica. Ecco perché le messi stesse vengono denominate lavori, in quanto si lavora per esse, e si ottengono col lavoro. Il frutto invece in quanto metaforicamente si desume dal seme è più affine alla continenza che alla fortezza, poiché l'uomo è reso schiavo della carne non dalle passioni regolate dalla fortezza, bensì dalle passioni che sono oggetto della continenza.
4. I piaceri connessi col cibo, sebbene siano più necessari di quelli venerei, sono però meno violenti. Ecco perché con essi l'anima non è assoggettata alla carne allo stesso modo.
5. Il termine frutto qui non si desume dalla fruizione e quindi dal ristoro che si ha nel fine, ma da un altro aspetto del frutto. Perciò l'argomento non regge.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole > Se sia giusto assegnare tre frutti alle tre parti della continenza


Supplemento
Questione 96
Articolo 4

SEMBRA che non sia giusto assegnare tre frutti alle tre parti della continenza. Infatti:
1. S. Paolo enumera dodici frutti dello spirito: carità, gioia, pace, ecc. Dunque è chiaro che non si dovevano elencare tre frutti soltanto.
2. I frutti stanno a indicare dei premi speciali. Ma un premio che viene assegnato ai vergini, ai vedovi e ai coniugati non è speciale, perché tutti i salvati sono contenuti in qualcuna di queste tre categorie; poiché nessuno può salvarsi privo di continenza, e la continenza è esaurita da queste tre categorie. Perciò non è ragionevole assegnare tre frutti alle tre categorie suddette.
3. Come la vedovanza supera la continenza coniugale, la verginità supera la vedovanza. Invece il sessanta non supera il trenta come il cento supera il sessanta: e ciò si riscontra sia secondo la proporzione aritmetica, perché il sessanta supera il trenta di trenta unità, mentre cento supera il sessanta di quaranta unità; sia secondo la proporzione geometrica, perché sessanta è il doppio rispetto al trenta, mentre cento supera sessanta di due terzi del sessanta medesimo, poiché contiene l'intero più due terzi di esso. Perciò non è ragionevole adattare i frutti suddetti ai tre gradi della continenza.
4. Le affermazioni della Scrittura valgono per sempre, secondo le parole evangeliche: "I cicli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno". Invece le cose che dipendono dall'istituzione umana possono cambiare tutti i giorni. Perciò non si deve mai far derivare la ragione di quanto è detto nella Scrittura da cose dipendenti dall'istituzione umana. Quindi non è giusta la ragione che S. Beda assegna per i frutti suddetti affermando che il trenta per uno è dovuto ai coniugati, perché nella rappresentazione simbolica che se ne fa nell'abaco il trenta è rappresentato dal contatto tra l'estremità del pollice con quella dell'indice, cosicché in qualche modo si baciano tra loro, e quindi il trenta sta a indicare il bacio dei coniugati. Il sessanta invece viene rappresentato dal contatto dell'indice con l'articolazione intermedia del pollice: cosicché la rappresentazione dell'indice sul pollice sta a indicare l'oppressione che le vedove soffrono in questo mondo. Quando poi nel contare noi arriviamo a cento, passiamo gradatamente da sinistra a destra: ecco perché il cento per uno designa la verginità, la quale raggiunge la dignità degli angeli, i quali sono a destra, cioè nella gloria, noi invece siamo a sinistra, data l'imperfezione della vita presente.

RISPONDO: La continenza, alla quale corrispondono i frutti, eleva l'uomo a una certa spiritualità, col rigetto della vita carnale. Perciò secondo il grado di spiritualità raggiunto con la continenza si distinguono vari frutti. Ebbene, c'è una spiritualità necessaria e una spiritualità sovrabbondante. Quella necessaria sta nel fatto che la rettitudine dello spirito non viene pervertita dai piaceri della carne; e questo avviene quando uno usa codesti piaceri secondo il retto ordine della ragione. E questa è la spiritualità dei coniugati. La spiritualità è invece sovrabbondante, quando uno si astiene del tutto da codesti piaceri della carne che soffocano lo spirito. Questo però può attuarsi in due modi. O in rapporto a qualsiasi tempo: passato, presente e futuro; e questa è la spiritualità dei vergini. Oppure per un certo tempo: e questa è la spiritualità delle vedove. Perciò a chi osserva la continenza coniugale è dato il frutto del trenta per uno, a chi osserva quella vedovile è dato il sessanta; e a chi osserva quella verginale è dato il centuplo, per il motivo sopra indicato da S. Beda.
Però si potrebbe assegnare un altro motivo, partendo dalla natura stessa dei numeri suddetti. Il trenta infatti deriva dalla moltiplicazione di tre per dieci. Ora, come nota Aristotele, il tre è "il numero di ogni cosa", e contiene una certa perfezione comune a tutti gli esseri, cioè inizio, metà e fine. E giusto quindi che il trenta venga attribuito ai coniugati, nei quali non si riscontra, oltre l'osservanza del Decalogo, indicato dal numero dieci, nessun'altra perfezione se non quella comune, senza la quale è impossibile la salvezza. Il sei invece, dalla cui moltiplicazione per dieci deriva il sessanta, deve la perfezione alle sue parti, poiché nasce dall'addizione di tutti i suoi divisori. Perciò il sessanta ben si addice alla vedovanza, in cui si riscontra un perfetto distacco dai piaceri della carne rispetto a tutte le circostanze, che sono come le parti in cui si divide l'atto virtuoso; infatti il vedovo non usa i piaceri carnali con nessuna persona, in nessun luogo, e in nessuna delle altre circostanze. Il che non si verificava nella continenza coniugale. Il centuplo poi ben corrisponde alla verginità, perché il dieci, la cui moltiplicazione per se stesso dà il numero cento, è il limite dei numeri; e analogamente la verginità è il limite massimo della spiritualità, non potendosi aggiungere ad essa un altro grado di spiritualità. Inoltre cento, quale numero quadrato, possiede la perfezione della sua figura. Infatti la figura quadrata è perfetta perché è uguale in tutte le sue parti, avendo uguali tutti i suoi lati. Quindi esso ai addice alla verginità, in cui si riscontra l'integrità rispetto a qualsiasi tempo.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nel testo citato i frutti non sono secondo l'accezione di cui c'interessiamo al presente.
2. Niente obbliga a ritenere che i frutti siano un premio non comune a tutti coloro che si salvano. Infatti è comune a tutti non il solo premio essenziale, ma anche qualche premio accidentale, quale, p. es., la gioia di quelle opere buone senza le quali è impossibile salvarsi. Però si può anche rispondere che i frutti non spettano a tutti i salvati, com'è evidente per coloro che si pentono in fin di vita, dopo esser vissuti nell'incontinenza; infatti per costoro non c'è il frutto, ma solo il premio essenziale.
3. La distinzione dei frutti si desume più dalle specie e dalle figure dei numeri suddetti, che dalle unità che racchiudono. Tuttavia anche in rapporto alle differenze del quantitativo che racchiudono si può trovare una ragione. Infatti chi è coniugato si astiene soltanto dalla donna non propria; la vedova invece e dal proprio marito e da un estraneo: cosicché si riscontra una specie di raddoppiamento, come il sessanta è il doppio di trenta. Cento poi è sopra sessanta l'addizione di quaranta, il quale risulta dalla moltiplicazione di quattro per dieci. Ora, il quattro è il primo dei numeri solidi o cubici. Perciò codesta addizione si addice alla verginità, la quale alla perfezione della vedovanza aggiunge la perpetua integrità.
4. Sebbene quella rappresentazione dei numeri derivi da un'istituzione umana, tuttavia essa si fonda in qualche modo sulla natura, poiché i numeri sono stati designati gradatamente secondo l'ordine delle dita, delle articolazioni e dei loro contatti.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole > Se l'aureola sia dovuta alla verginità


Supplemento
Questione 96
Articolo 5

SEMBRA che per la verginità non sia dovuta l'aureola. Infatti:
1. All'opera che incontra maggiore difficoltà è dovuto un premio più grande. Ora, nella continenza dai piaceri della carne incontrano più difficoltà le vedove che le vergini. Infatti S. Girolamo scrive, che "quanto è maggiore la difficoltà che alcuni incontrano nell'astenersi dai piaceri illeciti, tanto maggiore è il loro premio", e parla così per esaltare le vedove. Inoltre il Filosofo afferma che "le giovani già violate bramano maggiormente il coito per il ricordo del piacere provato". Dunque l'aureola, che costituisce il premio più grande è dovuta più alle vedove che alle vergini.
2. Se l'aureola fosse dovuta alla verginità dovrebbe riscontrarsi soprattutto dove si riscontra la verginità più perfetta. Ora nella Beata Vergine la verginità è allo stato più perfetto, tanto che essa viene denominata Vergine delle vergini. E tuttavia a lei non è dovuta l'aureola, poiché essa non sostenne nessuna lotta per la continenza, non essendo stata toccata affatto dalla corruzione del fomite. Quindi l'aureola non è dovuta alla verginità.
3. Un premio eccellente non può esser dovuto a una cosa che non è degna di lode in tutti i tempi. Ebbene, nello stato d'innocenza l'osservanza della verginità non sarebbe stata lodevole, poiché allora vigeva il comando: "Crescete e moltiplicatevi, e riempite la terra". E neppure lo sarebbe stata nel tempo dell'antica legge, in cui le sterili erano maledette. Dunque l'aureola non è dovuta alla verginità.
4. Non si può attribuire l'identico premio alla verginità conservata e alla verginità perduta. Invece alla verginità perduta talora spetta l'aureola, come quando una donna viene prostituita da un tiranno, perché confessa la fede di Cristo. Perciò l'aureola non è dovuta alla verginità.
5. Un premio eccellente non può esser dovuto per una dote che ci spetta per natura. Ora, la verginità è una dote con cui gli uomini nascono, siano essi buoni o cattivi. Dunque l'aureola non può esser dovuta per la verginità.
6. La verginità sta al centuplo e all'aureola, come la vedovanza sta al frutto del sessanta per uno. Ora, come alcuni insegnano, non a tutte le vedove si deve il sessanta per uno, ma solo a quelle che fanno voto di vedovanza. Perciò anche l'aureola non è dovuta a qualsiasi tipo di verginità, ma solo alla verginità osservata per voto.
7. Il premio non viene corrisposto a uno stato di necessità, perché ogni merito si fonda sulla volontà. Invece alcuni sono vergini per necessità, come i temperamenti frigidi e gli eunuchi. Dunque non sempre alla verginità è dovuta l'aureola.

IN CONTRARIO: 1. A proposito di quel testo dell'Esodo, "Farai un'altra corona d'oro più piccola [o aureola]", la Glossa afferma: "In questa corona rientra il cantico nuovo che i vergini cantano davanti all'Agnello, vergini che seguono l'Agnello dovunque egli vada". Perciò il premio dovuto alla verginità è denominato aureola.
2. In Isaia si legge: "Questo dice il Signore agli eunuchi: io darò loro un nome più noto di quello derivante dai figli e dalle figlie". E la Glossa spiega: "Ciò significa una gloria singolare ed eccelsa". Ma gli eunuchi che si sono mutilati per il regno dei cieli stanno a indicare i vergini. Dunque alla verginità è dovuto mi premio eccellente, che è denominato aureola.

RISPONDO: Dove c'è una forma eccellente di vittoria deve esserci una speciale corona. Perciò, siccome con la verginità si ottiene una vittoria singolare sulla carne, contro la quale si ha una guerra continua, secondo le parole di S. Paolo: "Lo spirito ha desideri in opposizione alla carne...", alla verginità è dovuta una speciale corona, denominata aureola. E questa è dottrina comune per tutti. Ma non tutti concordano nel dire a quale tipo di verginità essa sia dovuta. Alcuni infatti affermano che essa è dovuta al fatto stesso d'esser vergini. Cosicché chi attualmente è vergine, avrà l'aureola, se è nel numero dei salvati. — Ma questo non sembra ragionevole. Perché così coloro che hanno il proposito di sposarsi, e muoiono prima del matrimonio, avrebbero l'aureola. Perciò altri dicono che l'aureola è dovuta allo stato e non al fatto della verginità; cosicché meritano l'aureola solo quelle vergini che si sono poste nello stato di verginità perpetua mediante il voto. — Ma anche questo non persuade, perché uno può osservare la verginità col proposito di chi vi si vota, senza farne il voto.
Si può quindi rispondere diversamente, e cioè che il merito è dovuto a ogni atto di virtù imperato dalla carità. Ora, la verginità rientra nella virtù in quanto l'integrità perpetua di mente e di cuore è oggetto di una scelta, com'è evidente da quanto abbiamo detto. Perciò l'aureola propriamente è dovuta solo a quelle vergini, che hanno fatto il proposito di conservare in perpetuo la verginità, sia che questo proposito l'abbiano o non l'abbiano confermato con un voto. E questo vale in quanto l'aureola propriamente è considerata come un premio concesso per un merito, anche se tale proposito è stato interrotto per un certo tempo, restando però intatta l'integrità della carne; purché esso si riscontri al termine della vita, poiché la verginità della mente è riparabile, non così la verginità della carne.
Se invece per aureola s'intende in senso lato qualsiasi godimento aggiunto nella patria a quello essenziale, allora anche alle vergini integre solo fisicamente sarà concessa l'aureola, pur mancando in esse il proposito di conservare per sempre la verginità. Infatti non c'è dubbio che esse godranno dell'integrità del loro corpo, come godono gl'innocenti del fatto che sono stati immuni dal peccato; anche se loro non fu offerta la possibilità di peccare, come ai bambini battezzati, p. es. Però quest'accezione del termine aureola non è propria, bensì molto vaga e generica.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nella custodia della continenza sotto un aspetto la lotta è più dura per le vergini, e sotto un altro è più dura per le vedove, a parità di condizioni. Infatti la concupiscenza sollecita le vergini, sia per il desiderio di fare un'esperienza, il che procede da una specie di curiosità, la quale spinge l'uomo a vedere con più passione le cose mai viste; sia perché talora in esse la concupiscenza fa considerare il piacere più grande di quello che è in realtà; e in più c'è in esse l'inconsiderazione degli inconvenienti connessi con tali piaceri. Perciò sotto quest'aspetto le vedove sostengono una lotta meno grave, mentre la loro lotta è più dura per il ricordo del piacere provato. Ma nei vari soggetti la tentazione è maggiore o minore per quella cosa o per quell'altra secondo le diverse condizioni, o disposizioni: perché alcuni sono più spinti da una cosa e altri dall'altra. Ma comunque sia la gravità della lotta, questo però è certo, che è più perfetta la vittoria delle vergini che quella delle vedove. Poiché la vittoria più grande e più bella è certo quella di non aver mai ceduto al nemico. Ora, la corona non è dovuta al combattimento, bensì alla vittoria riportata in combattimento.
2. Esistono sull'argomento due opinioni. Alcuni dicono che la Beata Vergine quale premio della verginità non ha ricevuto l'aureola, se questa si prende in senso proprio, cioè in riferimento alla lotta. Tuttavia essa possiede qualcosa che è più grande dell'aureola, dato il suo proposito perfettissimo di conservare la verginità.
Altri invece dicono che essa ha ricevuto anche l'aureola, proprio sotto l'aspetto di aureola, e in modo eccellentissimo: perché, pur non avendo provato la lotta, tuttavia ebbe una certa impugnazione della carne; ma per il vigore della virtù ebbe la carne talmente sottomessa, da non sentire codesta impugnazione. — Ma questo discorso non sembra accettabile, poiché credendo noi che la Beata Vergine è stata del tutto immune dall'inclinazione del fomite, data la sua perfetta santificazione, non è secondo la pietà ammettere che in essa ci sia stata la ribellione della carne; perché una tale lotta non dipende che dall'inclinazione del fomite; e la tentazione della carne non può essere senza peccato, come risulta dalla Glossa su quelle parole di S. Paolo: "È stato dato a me lo stimolo della mia carne, ecc.".
Perciò si deve concludere che essa ha una vera e propria aureola, per essere conforme in questo a tutti gli altri membri della Chiesa in cui si riscontra la verginità. E sebbene non abbia sperimentato l'impugnazione della carne, ebbe però la lotta derivante dalla diretta tentazione da parte del nemico, il quale non ebbe riguardo neppure per Cristo, come risulta dal Vangelo.
3. Alla verginità non è dovuta l'aureola, se non in quanto aggiunge una certa eccellenza superiore agli altri gradi della continenza. Ora, se Adamo non avesse peccato, la verginità non avrebbe avuto nessuna superiorità sulla continenza coniugale, perché allora le nozze sarebbero state sempre degne d'onore, e il letto nuziale senza macchia, mancando ogni inquinamento della concupiscenza. Perciò allora la verginità non sarebbe stata conservata; e non avrebbe avuto diritto a nessuna aureola. Ma dopo la mutazione della condizione umana la verginità ha acquistato un pregio speciale. Perciò le è dovuto uno speciale premio.
E anche sotto la legge mosaica, quando il culto di Dio doveva essere propagato mediante la generazione carnale, non era del tutto lodevole astenersi dalle nozze. Perciò neppure allora a un tale proposito sarebbe stato assegnato uno speciale premio, a meno che non fosse stato fatto per ispirazione divina, come si pensa che sia stato nel caso di Geremia e di Elia, per i quali non si fa nessun cenno relativo al matrimonio.
4. Se una vergine viene violentata, non per questo perde la sua aureola: purché conservi saldo il proposito di custodire in perpetuo la verginità, qualora in nessun modo consenta a codesto atto. Anzi non perde per questo neppure la verginità. E questo vale, sia che venga violentata a motivo della fede, sia per qualsiasi altro motivo. Se però subisce questo per la fede, l'atto è meritorio e rientra tra le specie del martirio. Ecco perché S. Lucia disse: "Se mi farai violare contro la mia volontà, la corona della mia castità sarà raddoppiata"; non perché allora avrebbe avuto due aureole di verginità, ma perché avrebbe avuto due premi: uno per la verginità custodita, e l'altro per l'ingiuria subita. E anche nel caso che una vergine così oppressa concepisse, non per questo perderebbe il merito della verginità. Tuttavia non sarebbe da paragonarsi alla Madre di Cristo, nella quale con l'integrità della mente si ebbe anche l'integrità della carne.
5. La verginità è innata in noi dalla nascita, quanto al suo dato materiale. Ma il proposito di conservare l'integrità perpetua, dal quale la verginità acquista il suo merito, non è innato, bensì deriva da un dono della grazia.
6. Il frutto del sessanta per uno non è dovuto a qualsiasi vedova, ma solo a quelle che hanno fatto il proposito di rimanere vedove, anche se non l'hanno confermato col voto, come appunto abbiamo detto per la verginità.
7. Se i frigidi e gli eunuchi hanno il desiderio di custodire l'integrità in perpetuo, anche nel caso in cui fossero in grado di compiere l'atto carnale, meritano il nome di vergini e meritano l'aureola: casi infatti fanno di necessità virtù. Se invece nutrono il desiderio di sposarsi, qualora potessero, allora non meritano l'aureola. Di qui le parole di S. Agostino: "Coloro che sono impotenti, così da non poter generare, come sono appunto gli eunuchi, se diventano cristiani e osservano i precetti del Signore, ma con l’intenzione di sposarsi, se ne avessero la facoltà, sono da equipararsi ai credenti coniugati".



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole > Se l’aureola sia dovuta ai martiri


Supplemento
Questione 96
Articolo 6

SEMBRA che l'aureola non sia dovuta ai martiri. Infatti:
1. L'aureola è un premio dato alle opere supererogatorie; cosicché S. Beda, a commento di quel testo dell'esodo, "farai un'altra corona, ecc.", afferma: "Ciò si può applicare al premio di coloro che ai precetti comuni per tutti aggiungono spontaneamente le pratiche di una vita più perfetta". Ora, morire per confessare la fede spesso è opera necessaria e non supererogatoria, come risulta da quelle parole di S. Paolo: "Col cuore si crede alla giustizia, ma è la confessione che si fa con la bocca a raggiungere la salvezza". Dunque per il martirio non sempre è dovuta l'aureola.
2. Secondo S. Gregorio, "i servizi quanto più sono liberi, tanto più sono graditi". Ora, il martirio presenta il minimo di libertà, essendo una pena inflitta da altri. Perciò l'aureola, che viene corrisposta per un merito eccellente, non è dovuta al martirio.
3. Il martirio si ha non soltanto nell'esterna accettazione della morte, ma anche nell'atto interiore della volontà. Infatti S. Bernardo distingue tre generi di martiri: martiri di volontà ma non di morte, come S. Giovanni; di volontà e di morte, come S. Stefano; di morte ma non di volontà, come i Santi Innocenti. Perciò se per il martirio fosse dovuta l'aureola, spetterebbe soprattutto al martirio di volontà, poiché il merito procede dalla volontà. Ma questo nessuno lo sostiene. Dunque l'aureola non è dovuta al martirio.
4. L'afflizione del corpo è meno grave di quella dello spirito, provocata dalle, sofferenze ulteriori e dalle passioni dell'anima. Ma l'afflizione interiore è anch'essa un martirio, come accenna S. Girolamo nel discorso sull'Assunzione [di Maria]: "Io posso dire con ragione che la Vergine madre di Dio è stata martire, sebbene abbia finito in pace la sua vita. Poiché "La sua anima fu trapassata da una spada"", ossia dal dolore per la morte del Figlio. Perciò siccome l'aureola non viene corrisposta per il dolore interiore, non va corrisposta neppure per quello esterno.
5. Anche la penitenza è una specie di martirio, stando a quelle parole di S. Gregorio: "Sebbene manchi l'occasione della persecuzione, anche la nostra pace ha il suo martirio: infatti senza offrire il collo alla spada, noi uccidiamo nella nostra anima con la spada dello spirito i desideri della carne". Ora, alla penitenza che si concreta in atti esterni non è dovuta l'aureola. Quindi questa non è dovuta neppure al martirio esteriore.
6. L'aureola non può esser dovuta a un atto illecito. Ora, come spiega S. Agostino, a nessuno è lecito suicidarsi. E tuttavia nella Chiesa sono stati esaltati dei martiri, che si sono dati la morte, per sfuggire alla crudeltà dei tiranni, come risulta dalla Storia Ecclesiastica a proposito di alcune donne di Alessandria. Perciò non sempre al martirio è dovuta l'aureola.
7. Talora capita che uno venga ferito per la fede, ma che sopravviva per un certo tempo. È evidente però che costui è un martire. Tuttavia non sembra che gli spetti l'aureola, perché il suo combattimento non è durato fino alla morte. Dunque al martirio non sempre è dovuta l'aureola.
8. Alcuni soffrono di più per la perdita dei beni temporali, che per le sofferenze del proprio corpo: e lo dimostra il fatto che affrontano tanti disagi por l'acquisto delle ricchezze. Perciò se costoro perdono per Cristo i beni temporali, sono evidentemente dei martiri. E tuttavia non sembra che loro sia dovuta l'aureola. Di qui la conclusione precedente.
9. Martire sembra essere soltanto colui che viene ucciso per la fede. Di qui le parole di S. Isidoro; "Il termine greco martiri in latino suona testimoni, perché costoro hanno sofferto per dare testimonianza a Cristo, e hanno combattuto per la verità fino alla morte". Ma ci sono delle virtù che sono superiori alla fede; p. es., la giustizia e la carità, le quali non possono sussistere senza la grazia. Eppure a queste non è dovuta l'aureola. Perciò l'aureola non è dovuta al martirio.
10. Viene da Dio non solo la verità della fede, ma ogni altra verità; poiché, come dice S. Ambrogio, "ogni verità, da chiunque sia affermata, viene dallo Spirito Santo". Se quindi a chi affronta la morte per una verità di fede è dovuta l'aureola, analogamente è dovuta a coloro che l'affrontano per qualsiasi verità. Ma questo non sembra ammissibile.
11. Il bene comune è superiore al bene particolare. Ma se uno muore in una guerra giusta per la difesa dello stato non ha diritto all'aureola. Quindi non ha diritto ad essa neppure se viene ucciso per la conservazione della fede in se stesso. Di qui la conclusione come sopra.
12. Qualsiasi merito deriva dal libero arbitrio. Ebbene, la Chiesa celebra il martirio di alcuni i quali non avevano il libero arbitrio. Dunque costoro non hanno meritato l'aureola. Quindi l'aureola non è dovuta a tutti i martiri.

IN CONTRARIO: 1. S. Agostino afferma: "Per quanto io sappia nessuno ha osato preferire la verginità al martirio". Ma alla verginità è dovuta l'aureola. Dunque anche al martirio.
2. La corona è dovuta a chi combatte. Ora, nel martirio c'è un combattimento di particolare difficoltà. Quindi spetta ad esso una speciale aureola.

RISPONDO: Come lo spirito lotta contro le concupiscenze inferiori, così l'uomo deve lottare contro le passioni che premono dall'esterno. Perciò come alla vittoria più perfetta con la quale si trionfa delle concupiscenze carnali è dovuta una speciale corona chiamata aureola; così questa è dovuta alla più perfetta vittoria contro le impugnazioni dall'esterno. Ora, per determinare la vittoria più perfetta sulle passioni esteriori si devono considerare due cose. Primo, la gravità della passione. Ebbene, tra tutte le passioni che affliggono dall'esterno occupa il primo posto la morte, come tra le passioni inferiori l'occupa la concupiscenza dei piaceri venerei. Perciò quando uno riporta vittoria sulla morte o sui supplizi che la preparano, si ottiene una vittoria perfettissima.
Secondo, questa perfezione della vittoria dipende dal motivo del combattimento; e cioè dal fatto che si combatte per la causa più onesta, che è Cristo medesimo. Ebbene, queste due cose si riscontrano nel martirio, cioè la morte e la sua accettazione per Cristo: "infatti non è la pena che fa il martire, bensì il motivo di essa". Perciò al martirio è dovuta l'aureola come alla verginità.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Subire la morte per Cristo di suo è un'opera supererogatoria: non tutti infatti sono tenuti a confessare la fede dinanzi al persecutore. Ma in qualche caso ciò è necessario per la salvezza; quando cioè uno è catturato dal persecutore e richiesto della sua fede, è tenuto a confessarla. Ma in tal caso non segue che non meriti l'aureola. Poiché questa è dovuta all'opera non in quanto supererogatoria, ma in quanto singolarmente perfetta. Perciò restando codesta perfezione, anche se cessa l'aspetto supererogatorio, uno merita l'aureola.
2. Al martirio è dovuto un premio non in quanto è inflitto dall'esterno, ma in quanto viene subito volontariamente; poiché noi non possiamo meritare se non con gli atti che sono in noi. E più la cosa subita volontariamente è difficile, e quindi più ripugnante alla volontà, tanto maggiormente la volontà che la subisce per amore di Cristo si mostra più ferma nell'adesione a Cristo, e quindi a lei in modo più eccellente è dovuto un premio.
3. Ci sono degli atti esterni che proprio in quanto tali presentano una particolare violenza nel piacere o nella difficoltà. Ebbene, in codesti casi l'atto esterno aumenta sempre o il merito o il demerito, in quanto nell'atto la volontà subisce una variazione, per la violenza dell'atto. Perciò a parità di condizioni commette un peccato più grave chi compie un atto di lussuria, che colui il quale vi consente solo con la volontà, perché nell'atto stesso la volontà aumenta. Parimente, poiché l'atto esterno del martirio presenta la più grave difficoltà, volere il martirio non raggiunge il merito di esso, dovuto all'atto per la sua difficoltà. Sebbene codesto volere possa raggiungere un premio più alto, considerata la radice del merito; perché uno potrebbe desiderare di subire il martirio con una carità più grande di uno che lo subisce. Perciò chi è martire di volontà o di desiderio col suo volere può meritare un premio essenziale uguale o maggiore a quello dovuto a un martire. Ma l'aureola è dovuta alla difficoltà che si sperimenta nell'agone stesso del martirio. Ecco perché l'aureola non è dovuta a coloro che sono martiri solo di desiderio.
4. Come i piaceri del tatto, oggetto della temperanza occupano il primo posto tra tutti i piaceri sia interni che esterni, così i dolori del tatto superano tutti gli altri dolori. Ecco perché alla difficoltà che s'incontra nel sopportare i dolori del tatto, p. es., le percosse e altre pene consimili, è dovuta l'aureola a preferenza della difficoltà che si prova nel sopportare i dolori interiori. Per questi ultimi uno non può essere denominato martire in senso proprio, ma secondo una certa somiglianza. Ed è in, tal senso che si esprime S. Girolamo.
6. Le afflizioni della penitenza propriamente parlando non sono un martirio, poiché non si tratta di tormenti ordinati a dare la morte, ma solo di mortificazioni ordinate a domare la carne; cosicché se uno passa questa misura le sue penitenze sono colpevoli. Ma si dicono martirio per un certa somiglianza. Ora, codesta penitenza supera il martirio per la durata, ma da esso è superata nell'intensità.
6. Come spiega S. Agostino, a nessuno è lecito suicidarsi per nessun motivo; a meno che ciò non si compia per ispirazione divina quale esempio di fortezza, fino al disprezzo della morte. Ebbene, nei casi accennati dall'obbiezione si crede che il suicidio di quei santi sia stato compiuto per ispirazione divina. Ecco perché la Chiesa commemora il loro martirio.
7. Se uno, ricevuta per fede una ferita mortale, non muore subito, non c'è dubbio che merita l'aureola, com'è evidente nel caso di S. Cecilia, la quale sopravvisse tre giorni, e di molti martiri, che morirono in carcere. — Ma anche se la ferita non è mortale e tuttavia per essa uno incorra la morte, c'è da credere che meriti l'aureola, sebbene alcuni dicano che non la meriti, qualora la morte dipenda dalla propria incuria, o negligenza. Infatti codesta negligenza non l'avrebbe portato alla morte, senza la ferita precedente, ricevuta per la fede; cosicché la ferita suddetta rimane l'occasione prima della morte. Ecco perché non sembra che uno perda l'aureola, a meno che la negligenza sia tanto grave da costituire un peccato mortale, che toglie insieme e la corona e l'aureola. — Se invece in seguito alla ferita mortale uno non muore, o per un caso, oppure perché le ferite non sono mortali, però muore in carcere, merita ancora l'aureola. Ecco perché nella Chiesa viene celebrato il martirio di alcuni santi, i quali morirono in carcere, pur avendo ricevuto delle ferite molto tempo prima, come nel caso di S. Marcello papa.
Perciò comunque la sofferenza per Cristo venga continuata fino alla morte, sia che essa segua o no immediatamente, uno è costituito martire e merita l'aureola. Se invece la violenza non dura sino alla morte, per questo uno non può dirsi martire, come nel caso di S. Silvestro, che la Chiesa non celebra come martire, perché finì la vita tranquillamente, pur avendo in precedenza sofferto dei tormenti.
8. Come la temperanza non riguarda i piaceri procurati dalle ricchezze, dagli onori, e da altre cose del genere ma solo i piaceri del tatto, che sono i principali, così la fortezza riguarda i pericoli di morte, che sono appunto i principali, come si legge in Aristotele. Perciò l'aureola è dovuta solo alle ingiurie che colpiscono il proprio corpo, e a cui è solita seguire la morte. Se uno quindi viene a perdere per Cristo i beni temporali, o la fama, o altre cose del genere, non per questo diventa propriamente un martire, né merita l'aureola.
D'altra parte uno onestamente non può amare i beni esterni più del proprio corpo. E l'amore disordinato non contribuisce al merito dell'aureola. Né il dolore per la perdita dei beni materiali è paragonabile al dolore causato dall'uccisione del corpo e da analoghe sofferenze.
9. Causa adeguata del martirio non è soltanto la confessione della fede, ma qualsiasi altra virtù non politica, ma infusa che abbia Cristo come fine. Infatti uno può diventare testimone di qualsiasi atto di virtù, poiché le opere che Cristo compie in noi sono la testimonianza della sua bontà. È così che alcune vergini furono uccise per la verginità, che esse volevano conservare; p. es., S. Agnese e alcune altre di cui la Chiesa celebra il martirio.
10. La verità della fede ha Cristo come fine e come oggetto. Ecco perché la confessione di essa merita l'aureola, qualora ne segua un castigo, non solo da parte del fine, ma anche da parte della materia. La confessione invece di qualunque altra verità non può essere causa sufficiente per il martirio a motivo della materia, ma solo a motivo del fine: qualora uno, cioè, preferisse essere ucciso per Cristo, piuttosto che peccare contro di lui dicendo una menzogna.
11. Il bene increato sorpassa tutto il bene creato. Quindi qualsiasi fine creato, sia che si tratti del bene comune, sia di quello privato, non può offrire all'altro tanta bontà quanto il fine increato, come quando uno agisce per Dio. Perciò quando uno subisce la morte per il bene comune, senza riferimento a Cristo, non merita l'aureola. Se invece egli lo riferisce a Cristo merita l'aureola ed è martire, qualora cioè subisce la morte nel difendere lo stato dall'assalto di nemici, i quali si propongono di distruggere la fede di Cristo.
12. Alcuni hanno affermato che nei bambini innocenti uccisi per Cristo, per virtù divina fu anticipato l'uso di ragione, come sarebbe avvenuto in S. Giovanni Battista, mentre era ancora nel seno materno. E in tal modo essi sarebbero stati veri martiri, sia con l'atto esterno, che con la volontà, e avrebbero quindi l'aureola.
Altri però affermano che essi furono martiri solo per l'atto esterno, non per la volontà: e questa sembra l'opinione di S. Bernardo, il quale distingue tre generi di martirio, come abbiamo già notato. Stando a questo, gli innocenti come non raggiungono la perfezione del vero martirio, ma ne partecipano qualche aspetto per il fatto che hanno sofferto per Cristo, così sono in possesso dell'aureola, non in modo perfetto, ma per una certa partecipazione; cioè in quanto godono di essere stati uccisi in ossequio a Cristo, analogamente a quanto sopra abbiamo detto per i bambini battezzati, i quali godono della propria innocenza e della propria integrità.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole > Se l’aureola sia dovuta ai dottori


Supplemento
Questione 96
Articolo 7

SEMBRA che l'aureola non sia dovuta ai dottori. Infatti:
1. Qualsiasi premio futuro corrisponde a qualche atto di virtù. Ma predicare o insegnare è un atto che non appartiene a nessuna virtù. Dunque all'insegnamento, o predicazione non è dovuta l'aureola.
2. Insegnare e predicare derivano dallo studio e dall'insegnamento. Ma le cose che saranno premiate nella vita futura non sono quelle acquistate con l'industria umana, poiché non meritiamo con le virtù naturali o acquisite. Perciò nessuno merita l'aureola per la vita futura con l'insegnamento e con la predicazione.
3. L'esaltazione futura corrisponde all'umiliazione nella vita presente, poiché "chi si umilia sarà esaltato". Ma nell’insegnare e nel predicare non c'è umiliazione, anzi c'è piuttosto l'occasione d'insuperbirsi; la Glossa infatti scrive, che "il demonio inganna molti inorgogliti dall'onore del magistero", È chiaro quindi che alla predicazione e all'insegnamento non è dovuta l'aureola.

IN CONTRARIO: 1. Spiegando le parole di S. Paolo, "Affinché sappiate qual è la sopraeminente, ecc.", la Glossa afferma: "I santi dottori avranno un aumento di gloria, oltre quello che è comune a tutti".
2. Inoltre, a proposito di quel testo dei Cantici, "La mia vigna è dinanzi a me", la Glossa spiega: "Egli mostra quale premio singolare prepari ai suoi dottori". Dunque i dottori avranno un premio speciale. Ed è appunto questo che noi chiamiamo aureola.

RISPONDO: Come si ottiene una vittoria singolare sulla carne e sul mondo mediante il martirio e la verginità, così si ottiene la più perfetta vittoria contro il demonio, quando uno non solo non cede ai suoi assalti, ma addirittura lo scaccia, non solo da sé, bensì anche da altri. E questo avviene mediante la predicazione e l'insegnamento [sacro]. Perciò alla predicazione e all'insegnamento è dovuta l'aureola, come alla verginità e al martirio. Né si può dire, come alcuni affermano, che essa sia dovuta solo ai prelati ai quali compete per ufficio di predicare e d'insegnare, ma a chiunque eserciti con la debita licenza queste funzioni. Anzi ai prelati, anche se hanno l'ufficio di predicare, tale aureola non è dovuta, se di fatto non predicano; poiché la corona non è concessa per le facoltà abituali, ma per il combattimento attuale, secondo le parole di S. Paolo: "Non sarà coronato, se non chi avrà combattuto a dovere".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Predicare e insegnare sono atti di una virtù, cioè della misericordia. Perciò esse sono elencate tra le elemosine spirituali.
2. Sebbene la capacità di predicare e di insegnare talora provenga dallo studio, l'uso o esercizio dell'insegnamento proviene dalla volontà, la quale viene animata dalla carità che è infusa da Dio. E così il suo atto può essere meritorio.
3. L'esaltazione nella vita presente non diminuisce il premio di quella futura, se non in colui che cerca in codesta esaltazione la propria gloria. Chi invece volge tale esaltazione al bene degli altri, ne riceve la ricompensa. Però quando si dice che all'insegnamento è dovuta un'aureola, si deve intendere di quell'insegnamento che riguarda il mistero della salvezza, e che debella il demonio nel cuore degli uomini, mediante le armi spirituali, di cui parla S. Paolo: "Le armi della nostra milizia non sono carnali, bensì spirituali".



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole > Se l'aureola sia dovuta a Cristo


Supplemento
Questione 96
Articolo 8

SEMBRA che l'aureola sia dovuta anche a Cristo. Infatti:
1. L'aureola è dovuta alla verginità, al martirio e all'insegnamento. Ma in Cristo queste tre cose si ebbero in modo superlativo. Dunque a lui l'aureola si addice più che ad ogni altro.
2. Tutto ciò che di più perfetto si trova negli atti umani va attribuito a Cristo più che a qualsiasi altro. Ora, il premio dell'aureola è dovuto ai meriti più eccellenti. Dunque esso è dovuto anche a Cristo.
3. S. Cipriano afferma che "la verginità porta l'immagine di Dio". Perciò l'esemplare della verginità è in Dio. Quindi è chiaro che a Cristo, anche come Dio, è dovuta l'aureola.

IN CONTRARIO: 1. L'aureola, si dice, è la gioia della conformità con Cristo. Ora, nessuno viene a conformarsi o a somigliare con se stesso, come dice il Filosofo. Perciò l'aureola non è dovuta a Cristo.
2. Il premio dovuto a Cristo non fu mai suscettibile di aumento. Ora, Cristo nell'istante del suo concepimento non ebbe l'aureola, perché allora non aveva ancora combattuto. Quindi neppure in seguito egli ebbe mai l'aureola.

RISPONDO: Sull'argomento ci sono due opinioni. Infatti alcuni affermano che in Cristo si riscontra l'aureola nel suo aspetto specifico, poiché in lui ci fu lotta e vittoria, e per conseguenza meritò una vera e propria corona.
Ma considerando meglio la cosa, si nota che sebbene a Cristo si addica propriamente l'aurea corona, non gli si può attribuire l'aureola. Questa infatti, proprio perché espressa col diminutivo, implica qualcosa di partecipato, che mai si possiede nella sua pienezza. Perciò il possesso dell'aureola spetta a coloro in cui c'è una partecipazione alla vittoria perfetta a imitazione di Cristo, in cui si ha pienamente la perfetta vittoria. Riscontrandosi quindi in Cristo l'essenza piena e principale della vittoria, in riferimento alla quale tutti gli altri sono costituiti vincitori, secondo le parole evangeliche: "Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo", e quelle dell'Apocalisse: "Ecco ha vinto il Leone della tribù di Giuda", a Cristo non compete l'aureola, ma qualcosa da cui tutte le aureole hanno la loro origine. Di qui l'affermazione dell'Apocalisse: "A chi vince darò di sedere con me sul mio trono, come anch'io ho vinto e mi sono assise sul trono del Padre mio". Perciò secondo altri si deve concludere che, pur non riscontrandosi in Cristo l'aspetto proprio dell'aureola, vi si trova qualcosa di più eccellente di essa.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Cristo fu vergine, martire e dottore in modo verissimo. Ma il premio accidentale corrispettivo a codeste qualifiche in Cristo non aveva un particolare rilievo in confronto alla grandezza del premio essenziale. Ecco perché egli non ha l'aureola nel suo aspetto essenziale di aureola.
2. Sebbene l'aureola sia dovuta alle opere più perfette, tuttavia in quanto diminutivo significa una certa derivazione di perfezione da altri, cui questa sì trova nella sua pienezza. E da questo lato essa implica una certa inferiorità. E per questo non si riscontra in Cristo, in cui ogni perfezione è nella sua pienezza.
3. La verginità, pur avendo in qualche modo il suo modello in Dio, non trova in lui un modello dell'identica natura. Poiché l'integrità o incorruzione, che la verginità cerca di imitare, non è in Dio sotto la forma che si riscontra in un vergine.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole > Se l'aureola sia dovuta agli angeli


Supplemento
Questione 96
Articolo 9

SEMBRA che l'aureola sia dovuta agli angeli. Infatti:
1. S. Girolamo parlando della verginità scrive: "Vivere nella carne liberi dalla carne è vita più angelica che umana". E la Glossa afferma, che "la verginità è porzione angelica". Perciò, siccome alla verginità corrisponde l'aureola, è chiaro che questa è dovuta agli angeli.
2. È più nobile l'incorruzione dello spirito che l'incorruzione della carne. Ora, negli angeli si riscontra l'incorruzione dello spirito, perché non hanno mai peccato. Dunque ad essi l'aureola è dovuta più che agli uomini incorrotti nella carne, i quali han commesso qualche peccato.
3. L'aureola è dovuta anche all'insegnamento. Ma gli angeli insegnano a noi, purificando, illuminando e perfezionando, come scrive Dionigi. Quindi è loro dovuta almeno l'aureola dei dottori.

IN CONTRARIO: 1. S. Paolo scrive: "Non sarà coronato, se non chi avrà combattuto a dovere", Ma negli angeli non c'è combattimento. Dunque ad essi non è dovuta l'aureola.
2. L'aureola non è dovuta a un atto che non sia compiuto col corpo: infatti a coloro che amano la verginità, il martirio e l'insegnamento, l'aureola non è dovuta se non compiono queste cose.

RISPONDO: L'aureola non è dovuta agli angeli. E la ragione sta nel fatto che l'aureola propriamente corrisponde a una perfezione eccezionale nel merito. Ora, quanto negli uomini rientra nella perfezione del merito negli angeli è connaturale, o perché rientra nello stato loro comune, o perché spetta addirittura al premio essenziale. Perciò proprio per i motivi per i quali agli uomini è dovuta l'aureola, agli angeli essa dev'essere negata.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che la verginità è una vita angelica, in quanto i vergini imitano mediante la grazia ciò che gli angeli hanno per natura. Infatti per gli angeli non è un atto di virtù astenersi del tutto dai piaceri della carne, non potendo quest'ultimi esistere in essi.
2. La perpetua incorruzione dello spirito merita agli angeli il premio essenziale. Essa infatti è indispensabile per la salvezza; poiché in essi la rovina non può essere seguita da una riparazione.
3. Gli atti con i quali gli angeli insegnano a noi rientrano nella loro gloria e nel comune loro stato. Quindi con codesti atti essi non possono meritare l'aureola.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole > Se l'aureola sia dovuta anche al corpo


Supplemento
Questione 96
Articolo 10

SEMBRA che l'aureola sia dovuta anche al corpo. Infatti:
1. Il premio essenziale è superiore a quello accidentale. Ora, la dote, che pure rientra nel premio essenziale, non è soltanto nell'anima, ma anche nel corpo. Perciò sarà in questo anche l'aureola, che rientra nel premio accidentale.
2. Un peccato che si commette col corpo riceve un castigo nell'anima e nel corpo. Quindi anche il merito acquistato col corpo esige un premio nell'anima e nel corpo. Ora, il merito corrispondente all'aureola viene acquistato col corpo. Dunque al corpo è dovuta l'aureola.
3. Nei corpi dei martiri apparirà una certa trasparente pienezza di virtù nelle stesse cicatrici. Di qui le parole di S. Agostino: "Siamo talmente presi, io non so come, dall'amore per i santi martiri, che nel regno dei beati vorremmo vedere nei loro corpi le cicatrici delle ferite, ricevute per il nome di Cristo. E forse le vedremo. Esse infatti non saranno per essi delle deformità, ma degli ornamenti, e nel loro corpo splenderà una bellezza non corporea ma spirituale". Perciò l'aureola dei martiri sarà anche nel corpo, e per lo stesso motivo sarà altrettanto per le altre aureole.

IN CONTRARIO: 1. Le anime che sono attualmente in paradiso hanno le aureole, e tuttavia esse non hanno il corpo. Dunque il soggetto dell'aureola non è il corpo, ma l'anima.
2. Tutto il merito deriva dall'anima. Perciò anche il premio dev'essere tutto nell'anima.

RISPONDO: Propriamente l'aureola è nell'anima; infatti essa non è che la gioia di quelle opere per cui è dovuta l'aureola. Però come dal godimento del premio essenziale, che è l'aurea corona, ridonda una certa bellezza nel corpo, in cui consiste la gloria del corpo, così dal godimento dell'aureola risulta nel corpo una certa bellezza. Cosicché l'aureola principalmente è nell'anima, però per ridondanza rifulge anche nel corpo.
Sono così risolte anche le difficoltà.
Si deve però notare che l'ornamento delle cicatrici che appariranno nel corpo dei martiri non può confondersi con l'aureola. Perché ci sono dei martiri i quali, pur avendo l'aureola, non avranno codeste cicatrici: quelli, p. es., che sono morti affogati, o consunti dalla fame, o dallo squallore del carcere.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole > Se sia giusto distinguere tre aureole: dei vergini, dei martiri e dei predicatori


Supplemento
Questione 96
Articolo 11

SEMBRA che non sia giusto distinguere tre aureole: dei vergini dei martiri e dei predicatori. Infatti:
1. L'aureola dei martiri corrisponde alla loro virtù della fortezza; l'aureola dei vergini corrisponde alla temperanza; e l'aureola dei dottori alla virtù della prudenza. Dunque doveva essere una quarta aureola corrispondente alla virtù della giustizia.
2. La Glossa afferma che "la corona viene concessa laddove il Vangelo promette la vita eterna a chi osserva i comandamenti: "Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti". Ad essa poi viene aggiunta l'aureola là dove afferma: "Se vuoi essere perfetto, va, vendi quanto possiedi, e dallo ai poveri"". Perciò l'aureola è dovuta alla povertà.
3. Col voto di obbedienza uno si sottomette a Dio totalmente Quindi nel voto di obbedienza si ha la massima perfezione, ed è perciò evidente che ad esso è dovuta l'aureola.
4. Esistono molte altre opere supererogatorie, di cui l'uomo avrà nel secolo futuro uno speciale godimento. Esistono dunque molte altre aureole oltre le tre ricordate.
5. Si può divulgare la fede, sia predicando, sia scrivendo. Perciò per quest'ultimo compito ci vuole una quarta aureola.

RISPONDO: L'aureola è un premio privilegiato che corrisponde a una privilegiata vittoria. Ecco perché secondo le privilegiate vittorie nei tre combattimenti che possono impegnare qualsiasi uomo, si desumono tre aureole. Infatti nella lotta contro la carne la vittoria più splendida è quella di colui che si astiene del tutto dai piaceri venerei, che sono i più violenti, ossia è la vittoria dei vergini. Ecco perché l'aureola è dovuta alla verginità. - Nella lotta contro il mondo la vittoria più bella è quella di sostenerne la persecuzione fino alla morte. Perciò ai martiri che ottengono la vittoria in codesto combattimento è dovuta una seconda aureola. - E nella lotta contro il demonio la vittoria più bella si ha quando uno ricaccia il nemico non solo da sé medesimo, ma anche dal cuore degli altri, il che avviene mediante l'insegnamento e la predicazione. Perciò ai dottori e ai predicatori è dovuta una terza aureola.
Alcuni però distinguono le tre aureole secondo tre potenze dell'anima: in modo che esse corrispondano ai tre atti principali delle tre facoltà dell'anima. Infatti l'atto principale della ragione consiste nel diffondere anche in altri la verità della fede. E per codesto atto è dovuta l'aureola dei dottori. - Il principale atto dell'irascibile è quello di superare anche la morte per Cristo. E a codesto atto è dovuta l'aureola dei martiri. - Finalmente l'atto più importante del concupiscibile è astenersi totalmente dal piacere più grande. E a questo è dovuta l'aureola dei vergini.
Altri poi distinguono le tre aureole in base ai tre aspetti in cui più nobilmente ci conformiamo a Cristo. Egli infatti era il mediatore tra il Padre e il mondo. Perciò fu maestro, o dottore in quanto manifestò al mondo la verità ricevuta dal Padre. Fu martire in quanto sostenne la persecuzione del mondo. E fu vergine, in quanto conservò in sé la purezza. Perciò i dottori, i martiri e le vergini hanno con lui la conformità più perfetta. E per questo è loro dovuta l'aureola.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nell'atto della giustizia non si riscontra nessun combattimento, al contrario di quanto avviene in quelle altre virtù. - Tuttavia non è vero che insegnare sia un atto della prudenza, anzi è piuttosto un atto di carità o di misericordia, a seconda che siamo spinti a esercitarlo da uno di codesti abiti; oppure è un atto della sapienza alla quale spetta dirigerlo.
Ovvero si può rispondere, secondo altri, che la giustizia abbraccia tutte le virtù; e quindi ad essa non è dovuta una speciale aureola.
2. La povertà, pur essendo opera di perfezione, non occupa il primo posto in una data lotta spirituale: perché l'amore dei beni temporali è un nemico meno pericoloso della concupiscenza della carne, o della persecuzione che infierisce sul proprio corpo. Ecco perché alla povertà non è dovuta l'aureola. Gli è invece dovuto il potere di giudicare, a motivo dell'umiliazione che l'accompagna. Ma la Glossa addotta prende il termine aureola in senso lato, per un premio qualsiasi dovuto per un merito eccezionale.
3, 4. Lo stesso si dica per la terza e la quarta difficoltà.
5. L'aureola è dovuta anche a coloro che divulgano con gli scritti la sacra dottrina. Ma essa non si distingue dall'aureola dei dottori: perché scrivere è una maniera d'insegnare.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole > Se l'aureola dei vergini sia superiore alle altre


Supplemento
Questione 96
Articolo 12

SEMBRA che l'aureola dei vergini sia superiore alle altre. Infatti:
1. Nell'Apocalisse si legge che i vergini "seguono l'Agnello dovunque egli vada", e che "nessun altro può ripetere il canto" che cantavano i vergini. Dunque l'aureola più eccellente è quella dei vergini.
2. S. Cipriano afferma che le vergini sono "la porzione più illustre del gregge di Cristo". Perciò è loro dovuta un'aureola più grande.
3. AL CONTRARIO sembra che l'aureola più alta sia quella dei martiri. Infatti Aimone afferma che "non tutte le vergini precederanno le donne sposate, ma solo quelle che sopportando i tormenti e conservando la verginità possono reggere il confronto delle martiri coniugate". Quindi è il martirio a porre la verginità al disopra degli altri stati. Perciò il martirio merita un'aureola superiore.
4. Anzi sembra che l'aureola più nobile spetti ai dottori. Perché la Chiesa militante è modellata su quella trionfante. Ora, nella chiesa militante il massimo onore è dovuto ai dottori, secondo le parole di S. Paolo: "Gli anziani che si comportano bene nell'ufficio di capi, siano fatti degni di doppio onore, massime quelli che s'affaticano nel parlare e nell'insegnare". Dunque nella Chiesa trionfante è dovuta a costoro la più nobile delle aureole.

RISPONDO: La superiorità di un'aureola sull'altra si può rilevare da due punti di vista. Primo, dal lato del combattimento; cosicché l'aureola principale è quella dovuta alla lotta più dura. E da questo punto di vista è superiore alle altre sotto un aspetto l'aureola dei martiri, e sotto un altro quella delle vergini. Infatti la lotta dei martiri è più dura per se stessa e più dolorosa. Ma la lotta della carne è più pericolosa, perché più lunga e perché ci tocca più da vicino. - Secondo, dal lato dell'oggetto del combattimento. E da questo punto di vista l'aureola più nobile è quella dei dottori. Perché il loro combattimento ha per oggetto i beni spirituali: invece gli altri combattimenti accennati riguardano le passioni sensibili.
Però la superiorità che deriva dal combattimento stesso è più essenziale all'aureola, perché l'aureola per sua natura dice rapporto alla vittoria e al combattimento. D'altra parte la difficoltà della lotta dal lato della lotta stessa è superiore alla difficoltà considerata dal nostro punto di vista, ossia in quanto ci tocca più da vicino. Perciò assolutamente parlando l'aureola più nobile tra tutte è quella dei martiri. Ecco perché la Glossa, a proposito dell'ottava beatitudine evangelica, che è quella riguardante i martiri, "Beati coloro che soffrono persecuzione, ecc.", dice che essa è il coronamento di tutte le altre. Per questo inoltre nell'enumerare i santi la Chiesa pone i martiri prima dei dottori e delle vergini. - Ma niente impedisce che sotto un certo aspetto le altre aureole siano superiori.
Sono così risolte anche le difficoltà.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le aureole > Se uno possa avere l'aureola di vergine, di martire, o di dottore più perfettamente di un altro


Supplemento
Questione 96
Articolo 13

SEMBRA che uno non possa avere più perfettamente di un altro l'aureola di vergine, di martire o di dottore. Infatti:
1. Le cose che hanno raggiunto il loro termine non subiscono né aumento né diminuzione. Ora, l'aureola è dovuta a delle opere che hanno raggiunto il termine della perfezione. Quindi l'aureola non può né aumentare né diminuire.
2. La verginità non può essere maggiore o minore; poiché implica una privazione, e le negazioni non ammettono un più e un meno. Perciò neanche il premio della verginità che è l'aureola dei vergini, può avere un più e un meno.

IN CONTRARIO: L'aureola si sovrappone all'aurea corona. Ma quest'ultima in uno è maggiore che in un altro. Dunque anche l'aureola.

RISPONDO: Poiché causa del premio è in qualche modo il merito, i premi devono variare secondo la diversità dei meriti; infatti una cosa aumenta o diminuisce secondo l'aumento o la diminuzione della propria causa. Ora, il merito corrispondente all'aureola può essere maggiore o minore. Quindi anche l'aureola può essere maggiore o minore.
Si noti però che il merito rispondente all'aureola può aumentare in due modi: primo, in base alla radice dell'atto; secondo, in base all'atto esterno medesimo. Infatti possono esserci due persone una delle quali subisce il martirio con maggiore carità dell'altra; oppure con più carità attende alla predicazione, o respinge da sé i piaceri della carne. Però all'aumento del merito che dipende dalla radice non corrisponde un aumento dell'aureola, bensì l'aumento dell'aurea corona. Mentre all'aumento del merito che dipende dalla natura dell'atto corrisponde l'aumento dell'aureola. Può darsi quindi che uno, il quale nel martirio merita meno quanto al premio essenziale, meriti per il martirio stesso una maggiore aureola.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I meriti cui corrispondono le aureole raggiungono il termine della perfezione non in senso assoluto, ma la specie di essa: così, p. es., si dirà che il fuoco è la specie più sottile dei corpi. Perciò niente impedisce che un'aureola sia più eccellente dell'altra; come un fuoco può essere più sottile dell'altro.
2. Una verginità può essere più pura dell'altra per un maggiore distacco da quanto è contrario alla verginità; cosicché si può dire che è più grande la verginità di colei che evita di più le occasioni di perderla. Infatti in tal senso le privazioni possono avere un aumento: come quando si dice che un uomo è più cieco perché ha maggiori indisposizioni all'esercizio della vista.

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