Sup, 95

Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le doti dei beati


Supplemento
Questione 95
Proemio

Passiamo così a esaminare le doti dei beati.
Sull'argomento si pongono cinque quesiti:

1. Se ai beati si debbano attribuire delle doti;
2. Se le doti differiscano dalla beatitudine;
3. Se anche in Cristo ci siano codeste doti;
4. Se ci siano negli angeli;
5. Se le doti siano ben elencate.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le doti dei beati > Se nei beati si debbano ammettere delle doti


Supplemento
Questione 95
Articolo 1

SEMBRA che nei beati non si debbano ammettere delle doti. Infatti:
1. Secondo le leggi la dote va data allo sposo per sostenere i pesi del matrimonio. Ora, i santi non rappresentano lo sposo, bensì la sposa, poiché sono membra della Chiesa. Dunque ad essi non vengono date delle doti.
2. La dote, secondo la legge, non è data dal padre dello sposo, bensì dal padre della sposa. Invece i doni della beatitudine vengono dati dal Padre dello Sposo, cioè di Cristo, secondo le parole di S. Giacomo: "Ogni cosa ottima e ogni dono perfetto [viene dal Padre dei lumi]". Perciò i doni che vengono fatti ai beati non vanno chiamati doti.
3. Nel matrimonio vengono offerte le doti per renderne più tollerabili i pesi. Ma nel matrimonio spirituale non ci sono pesi: soprattutto nello stato della Chiesa trionfante. Perciò in quest'ultimo non si devono assegnare delle doti.
4. Le doti non vengono date che in occasione di matrimonio. Ora, il matrimonio spirituale con Cristo mediante la fede viene contratto nello stato della Chiesa militante. Quindi, se ai beati spettano delle doti, per la stessa ragione spetteranno anche ai santi che vivono sulla Terra. Ma a questi non spettano affatto. Dunque neppure spettano ai beati.
5. Le doti rientrano tra i beni esterni, denominati beni di fortuna. Invece i premi dei beati appartengano ai beni interiori. Quindi non meritano il nome di doti.

IN CONTRARIO: 1. S. Paolo scrive: "Grande è questo sacramento: io parlo di quello tra Cristo e la Chiesa"; dal che si rileva che il matrimonio spirituale viene significato da quello carnale. Ora, nel matrimonio carnale la sposa è condotta dotata nella casa dello sposo. Dunque poiché i santi vengono condotti nella dimora di Cristo quando entrano nella beatitudine, è chiaro che allora vengono dotati di certe doti.
2. Nel matrimonio carnale vengono assegnate delle doti per rendere gradevole il matrimonio. Ma il matrimonio spirituale è gradevole più di quello carnale. Dunque soprattutto ad esso spettano delle doti.
3. Gli ornamenti della sposa rientrano nella dote. Ebbene, i santi entreranno nella gloria coi loro ornamenti, secondo le parole di Isaia: "Mi ha rivestito della veste di salvezza... come una sposa ornata dei suoi gioielli". Perciò nella patria i santi avranno delle doti.

RISPONDO: Senza dubbio quando i beati sono introdotti nella gloria ricevono da Dio dei doni a loro ornamento: e codesti ornamenti dai maestri sono stati denominati doti. Anzi della dote di cui ora parliamo viene data la seguente definizione: "La dote è un ornamento perpetuo dell'anima e del corpo, proporzionato alla vita, e duraturo per sempre nell'eterna beatitudine". E codesta descrizione è ricalcata sul modello della dote materiale con cui la sposa viene ornata e provveduta nei riguardi del marito in modo da bastare per nutrire la sposa e i figli; e tuttavia codesta dote viene conservata senza perdite per la sposa, in modo da tornare ad essa in caso di dissoluzione del matrimonio.
Però sul significato del nome ci sono diverse opinioni. Alcuni infatti affermano che il termine dote non deriva da nessuna analogia col matrimonio carnale; ma è desunto dall'uso comune di denominare dote ogni perfezione o attrezzatura di qualsiasi uomo: così, p. es., chi possiede il sapere si dice che è dotato di scienza. In tal senso Ovidio si è servito del termine dote, in quel verso: "E con qualsiasi dote tu puoi piacere, cerca di piacere".
Questo però non è del tutto esatto. Perché ogni qual volta un nome è posto a significare principalmente una data cosa, non c'è consuetudine di usarlo per altre cose, se non secondo una certa analogia. Ora, poiché secondo la sua prima istituzione il termine dote si riferisce al matrimonio carnale, è necessario che in qualsiasi altra accezione si riscontri un'analogia col significato principale.
Perciò altri dicono che l'analogia sta in questo che nel matrimonio per dote propriamente s'intende il dono che viene fatto alla sposa da parte dello sposo, quando viene condotta in casa dello sposo, e che consiste nell'abbigliamento di essa. Ciò risulta p. es., nelle parole rivolte da Sichem a Giacobbe e ai suoi figlioli: "Chiedete pur grande la dote, e grandi donativi"; oppure da quel testo dell'Esodo: "Se uno sedurrà una vergine la doterà, e la prenderà in moglie". Ecco perché gli ornamenti, donati da Cristo ai santi quando vengono introdotti nella dimora della gloria, sono denominati doti.
Questo però è in evidente contrasto con quanto dicono i giuristi, che sono competenti in questo campo. Essi infatti dicono che la dote propriamente è "un donativo fatto dalla parentela della moglie a favore del marito, come contributo per l'onere del matrimonio che il marito sostiene". Invece ciò che lo sposo dona alla sposa viene chiamato "donativo in vista delle nozze". Ed è in tal senso che il termine dote e usato in quel passo del Libro dei Re, in cui si dice che "il Faraone, re d'Egitto s'impadronì di Gazer, e la diede in dote a sua figlia, moglie di Salomone". - Né contro questa interpretazione si possono invocare i testi citati sopra.
Perché sebbene le doti vengano ordinariamente assegnate dai genitori della fanciulla, tuttavia talora capita che lo sposo, o il padre dello sposo assegni lui la dote, sostituendosi al padre della fanciulla. E questo può capitare per due motivi. O per l'affetto straordinario verso la sposa: come nel caso di Hemar, il quale volle dare la dote che avrebbe dovuto ricevere, per l'amore violento di suo figlio verso la ragazza. Oppure può capitare come punizione dello sposo, di dover dar lui, alla vergine da lui violata, la dote che avrebbe dovuto dare il padre della ragazza. E di questo parla appunto Mosè nel testo citato.
Perciò secondo altri si deve concludere che la dote nel matrimonio carnale propriamente è quella assegnata dai parenti della sposa alla parentela dello sposo, per sostenere, come abbiamo detto, gli oneri del matrimonio.
Ma allora rimane la difficoltà di vedere come tale assegnazione possa adattarsi al caso nostro; poiché gli ornamenti che si riscontrano nella beatitudine sono conferiti alla mistica sposa dal suo sposo. Ciò verrà chiarito nella risposta alle difficoltà.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nel matrimonio carnale, sebbene la dote venga assegnata allo sposo quanto all'uso, tuttavia appartiene alla sposa quanto a proprietà e dominio; il che è evidente nel fatto che in caso di scioglimento del matrimonio la dote secondo le leggi rimane alla sposa. Così anche nel matrimonio spirituale gli ornamenti concessi alla mistica sposa, ossia alla Chiesa nei suoi membri, appartengono allo sposo di essa in quanto ridondano a sua gloria ed onore, ma spettano alla sposa quali ornamenti di essa.
2. Padre dello Sposo, ossia di Cristo, è la sola persona del Padre: invece padre della sposa è tutta la Trinità. Poiché gli effetti prodotti nelle creature spettano alla Trinità tutta intera. Perciò nel matrimonio spirituale le doti in parola, propriamente parlando, sono date più del padre della sposa che del Padre dello Sposo. Questo conferimento però, sebbene venga prodotto da tutte le persone, può appropriarsi ad ognuna di esse sotto qualche aspetto.
Alla Persona del Padre quale donatore: perché in lui risiede l'autorità; a lui inoltre va appropriata la paternità anche rispetto alle creature, cosicché egli è insieme Padre dello Sposo e della sposa.
Al Figlio viene appropriato in quanto il conferimento delle doti è a motivo di lui e per lui. Viene poi appropriato allo Spirito Santo in quanto le doti vengono conferite in lui e in conformità con lui: infatti l'amore è la ragione di ogni dono.
3. Alle doti di per sé va attribuito quello di cui di per sé sono causa, cioè di rendere gradevole il matrimonio; va invece loro attribuito per accidens quello che da esse viene eliminato, cioè il peso del matrimonio, che viene appunto alleviato dalle doti; così pure alla grazia per se spetta render giusta una persona, mentre per accidens spetta render giusto un peccatore. Perciò sebbene nel matrimonio spirituale non ci siano oneri, si riscontra in esso sommo godimento. Ma è per rendere perfetto codesto godimento che vengono conferite alla sposa delle doti, così da unirsi con esse gioiosamente allo sposo.
4. La dote non c'è l'uso di assegnarla alla sposa nel fidanzamento, ma quando viene portata in casa dello sposo per goderne la presenza. Ebbene, fino a che noi siamo in questa vita "pellegriniamo lontani dal Signore". Ecco perché i doni concessi ai santi in questa vita non sono denominati doni: lo sono invece quelli che vengono loro conferiti quando sono assunti alla gloria, nella quale godono la presenza dello Sposo.
5. Nel matrimonio spirituale si richiede la bellezza interiore, secondo le parole del Salmista: "Tutta la gloria di lei, figliuola di re, è all'interno, ecc. Invece nel matrimonio carnale si richiede pure la bellezza esteriore. Perciò non è necessario che nel matrimonio spirituale vengano assegnate doti di quel genere, come matrimonio carnale.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le doti dei beati > Se le doti s'identifichino con la beatitudine


Supplemento
Questione 95
Articolo 2

SEMBRA che le doti s'identifichino con la beatitudine. Infatti:
1. Come risulta dalla definizione data, "la dote è un ornamento dell'anima e del corpo, che durerà per sempre nella beatitudine eterna". Ora, la beatitudine è per l'anima un ornamento. Dunque la beatitudine è una dote.
2. La dote è ciò per cui la sposa si unisce allo sposo gradevolmente. Ma nel matrimonio spirituale ciò è appunto la beatitudine. Quindi la beatitudine è una dote.
3. A detta di S. Agostino, la visione costituisce tutta la sostanza della beatitudine. Ebbene, la visione è posta nell'elenco delle doti. Dunque la beatitudine non è che una dote.
4. La fruizione rende beati. Ora, la fruizione è una delle doti. Dunque una dote rende beati. E quindi la beatitudine è una dote.
5. Come dice Boezio, la beatitudine "è lo stato perfetto risultante dalla somma di tutti i beni". Ma lo stato dei beati è reso perfetto dalle loro doti. Dunque le doti non sono che parti della beatitudine.

IN CONTRARIO: 1. Le doti sono date senza meriti. Invece la beatitudine non è data, ma viene resa, o retribuita. Quindi non è una dote.
2. La beatitudine è una soltanto. Le doti invece sono molteplici. Perciò la beatitudine non è una dote.
3. La beatitudine risulta nell'uomo secondo quella parte che in lui è la più nobile, come nota Aristotele. Invece le doti vengono assegnate anche al corpo. Dunque doti e beatitudine non s'identificano.

RISPONDO: Sull'argomento ci sono due opinioni. Alcuni infatti dicono che beatitudine e doti sono identiche nella realtà ma differiscono concettualmente: poiché, mentre la dote si riferisce al matrimonio spirituale tra Cristo e l'anima, la beatitudine non vi si riferisce. - Ma questo non sembra accettabile; poiché la beatitudine consiste in un'operazione; mentre la dote non è un'operazione, bensì una qualità, o una disposizione.
Perciò secondo altri si deve rispondere che beatitudine e doti differiscono anche realmente, nel senso che per beatitudine s'intende l'operazione perfetta con la quale l'anima beata si unisce a Dio; mentre per doti s'intendono gli abiti, o disposizioni, o altre qualità qualsiasi che sono ordinate a codesta perfetta operazione. Cosicché le doti sono ordinate alla beatitudine, ma non rientrano nella beatitudine come parti di essa.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ; 1. Propriamente parlando la beatitudine non è un ornamento dell'anima, bensì risulta da tale ornamento: poiché consiste in un'operazione, mentre per ornamento s'intende una certa bellezza che decora il beato stesso.
2. La beatitudine non è ordinata all'unione, ma è l'unione stessa dell'anima con Cristo, la quale si effettua mediante un atto. Le doti invece sono doni che predispongono a codesta unione.
3. Si può parlare di visione in due maniere. Primo, in senso attuale, cioè per indicare l'atto stesso del vedere. E allora la visione non è una dote, ma la stessa beatitudine. - Secondo, in senso abituale, cioè per indicare l'abito da cui viene emesso codesto atto, ossia lo splendore della gloria con la quale l'anima viene illuminata divinamente per vedere Dio. E in tal senso essa è dote e principio della beatitudine; ma non la beatitudine stessa.
4. Lo stesso si dica a proposito della fruizione.
5. La beatitudine abbraccia tutti i beni, non come parti essenziali di se stessa, ma in quanto tutti in qualche modo sono ad essa ordinati.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le doti dei beati > Se anche Cristo debba avere le doti


Supplemento
Questione 95
Articolo 3

SEMBRA che anche Cristo debba avere le doti. Infatti:
1. I santi mediante la gloria sono resi conformi a Cristo, secondo le parole di S. Paolo: "Egli trasformerà il corpo della nostra miseria, rendendolo conforme al corpo della sua gloria". Perciò anche Cristo deve avere le doti.
2. Nel matrimonio spirituale vengono assegnate delle doti per analogia col matrimonio carnale. Ora, in Cristo si riscontra un matrimonio spirituale singolarissimo, cioè l'unione di due nature in una sola persona: per cui si dice che la natura umana in lui è stata sposata al Verbo, come risulta dalla Glossa su quel detto dei Salmi: "Nel sole ha posto la sua tenda, ecc."; e su quelle parole dell'Apocalisse: "Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini". Perciò anche a Cristo spettano delle doti.
3. S. Agostino, accettando una delle regole di Ticonio, insegna che per l'unità del corpo mistico, risultante dall'unione tra il capo e le membra, Cristo viene denominato anche sposa oltre che sposo; il che risulta anche dall'espressione di Isaia: "Come sposo fregiato d'una corona, e come sposa ornata dei suoi gioielli". Ora, poiché alla sposa sono dovute le doti, sembra necessario che queste ci siano anche in Cristo.
4. La dote è dovuta a tutte le membra della Chiesa, essendo la Chiesa sposa [di Cristo]. Ma anche Cristo è una delle sue membra il che è evidente dalle parole di S. Paolo: "Voi siete corpo di Cristo e membra di un membro", "cioè di Cristo" aggiunge la Glossa. Dunque anche a Cristo sono dovute le doti.
5. Cristo ha una visione, una fruizione e un godimento perfetti. Ora, queste cose sono elencate tra le doti. Quindi Cristo deve avere le doti.

IN CONTRARIO: 1. Tra sposo e sposa deve esserci distinzione di persone. In Cristo invece non c'è niente che come persona si distingua dal Figlio di Dio che è lo sposo, secondo la frase evangelica: "Chi ha la sposa è lo sposo". Perciò, siccome le doti sono assegnate alla sposa o per la sposa, è chiaro che a Cristo non spetta di avere le doti.
2. Non spetta all'identica persona dare e ricevere le doti. Ora, Cristo è colui che dà le doti spirituali. Dunque non spetta a Cristo ricevere le doti.

RISPONDO: Sul quesito presente esistono due opinioni. Alcuni infatti affermano che ci sono tre forme di unione: la prima chiamata consentanea, con la quale Cristo è unito a Dio col vincolo dell'amore; la seconda di degnazione, con la quale la natura umana è unita a quella divina; la terza è quella con la quale Cristo medesimo è unito alla Chiesa. Ebbene, essi dicono che, secondo le prime due forme di unione, a Cristo spetterebbe di aver le doti in quanto doti; invece quanto alla terza gli converrebbe ciò che costituisce la dote in modo eccellentissimo, però non sotto l'aspetto di dote: perché in tale unione Cristo fa la parte di sposo, e la Chiesa quella di sposa; e la dote quanto a proprietà e dominio spetta alla sposa, sebbene sia data allo sposo quanto all'uso.
Ma questa teoria non persuade. Poiché nell'unione in cui Cristo si unisce al Padre per consenso d'amore anche come Dio, non si può dire che ci sia un matrimonio: poiché ivi non si riscontra nessuna sottomissione, che invece deve esserci nei rapporti tra sposa e sposo.
Così pure non può riscontrarsi una dote nell'unione della natura umana con quella divina, che avviene nell'unità di persona, ovvero per conformità di voleri: e questo per tre ragioni. Primo, perché nel matrimonio in cui si da la dote ai richiede conformità di natura tra lo sposo e la sposa. E questa manca nell'unione tra la natura umana e quella divina. - Secondo, perché in tale matrimonio si richiede la distinzione delle persone. Invece la natura umana quanto a persona non è distinta dal Verbo. - Terzo, perché la dote viene data quando la sposa viene introdotta la prima volta nella casa dello sposo: e quindi spetta solo alla sposa che prima di essere unita era non unita. Invece la natura umana assunta dal Verbo in unità di persona non esisteva affatto prima di essergli perfettamente unita.
Perciò secondo altri si deve concludere che a Cristo le doti non si addicono affatto: oppure che non si addicono così propriamente come agli altri santi. Tuttavia le qualità che sono denominate doti spettano a lui nella maniera più eccellente.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La conformità ricordata va intesa in quello che costituisce la dote, non già sotto l'aspetto di dote che dovrebbe trovarsi anche in Cristo. Infatti ciò in cui siamo resi conformi a Cristo non è necessario che sia in lui e in noi allo stesso modo.
2. La natura umana nella sua unione col Verbo non è denominata sposa in senso proprio: poiché non si riscontra in essa la distinzione di persone, che invece è richiesta tra sposo e sposa. Che poi talora codesta natura venga denominata sposa in quanto è unita al Verbo si spiega col fatto che ha certi atteggiamenti della sposa: e cioè perché è a lui unita inseparabilmente; e perché in detta unione la natura umana è inferiore al Verbo, ed è governata dal Verbo come la sposa dal suo sposo.
3. Che Cristo talora abbia l'appellativo di sposa non dipende dal fatto che egli lo è realmente; ma in quanto riveste la persona della sua sposa, cioè della Chiesa, che è unita a lui spiritualmente. Perciò niente impedisce, secondo codesto modo di esprimersi che gli si possano attribuire delle doti: non perché le abbia lui, ma perché le dà la Chiesa.
4. Il termine Chiesa può avere due significati. Talora infatti indica soltanto il corpo unito a Cristo come al proprio capo. E allora la Chiesa soltanto ha l'aspetto di sposa. E in tal senso Cristo non è uno delle membra, ma il capo che fa giungere il suo influsso su tutte le membra della Chiesa.
Altre volte invece Chiesa si usa per indicare il capo e le membra congiunte con lui. E allora Cristo può dirsi membro della Chiesa, in quanto ha un ufficio distinto da ogni altro, cioè quello di comunicare agli altri la vita. - Però non è molto appropriata questa sua denominazione di membro: perché membro implica l'idea di parte; invece in Cristo il bene spirituale non è parziale, ma è totalmente integro; cosicché egli è il bene totale della Chiesa, e la somma degli altri più lui non è più grande di lui da solo. Perciò parlando cosi della Chiesa, il termine Chiesa non indica solo la sposa ma "lo sposo e la sposa", in quanto dalla loro unione spirituale risulta un unico effetto. Ecco perché sebbene Cristo si possa dire in qualche modo membro della Chiesa, in nessun modo può dirsi membro della sposa. E sotto quest'aspetto le doti come tali non gli si possono attribuire.
5. In quell'argomentazione c'è una "fallacia di accidente". Poiché quelle perfezioni non spettano a Cristo sotto l'aspetto di doti.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le doti dei beati > Se gli angeli abbiano le doti


Supplemento
Questione 95
Articolo 4

SEMBRA che gli angeli abbiano le doti. Infatti:
1. A commento delle parole del Cantico, "Una è la mia colomba", la Glossa afferma: "Una è la Chiesa per gli uomini e per gli angeli". Ora, la Chiesa è sposa, cosicché ai membri di essa spetta avere le doti. Dunque gli angeli hanno anch'essi le doti.
2. Spiegando le parole evangeliche, "Voi siate come uomini che aspettano il loro padrone di ritorno dalle nozze", la Glossa scrive: "Il Signore andò a nozze, quando dopo la resurrezione come uomo nuovo unì a sé la moltitudine degli angeli", Perciò la moltitudine degli angeli è sposa di Cristo. Quindi agli angeli spettano le doti.
3. Il matrimonio spirituale consiste in una unione spirituale. Ma l'unione spirituale tra gli angeli e Dio non è minore di quella che unisce a Dio i beati. Quindi, poiché le doti di cui parliamo vengono assegnate a motivo del matrimonio spirituale, è chiaro che le doti si addicono anche agli angeli.
4. Il matrimonio spirituale richiede sposo spirituale e sposa spirituale. Ora, a Cristo quale spirito sommo sono per natura più conformi gli angeli che gli uomini. Perciò il matrimonio spirituale di Cristo può esserci più con gli angeli che con gli uomini.
5. Si esige più affinità tra capo e membra che tra sposo e sposa. Ma l'affinità esistente tra Cristo e gli angeli è sufficiente a far sì che Cristo sia denominato "capo degli angeli". Dunque per lo stesso motivo essa basta a far sì che possa dirsi sposo in relazione ad essi.

IN CONTRARIO: 1. Origene nel commento al Cantico dei cantici distingue quattro tipi di personaggi: lo sposo e la sposa, le vergini e gli amici dello sposo. E dice che gli angeli sono "gli amici dello sposo". Poiché dunque le doti non sono dovute che alla sposa, è chiaro che esse non si addicono agli angeli.
2. Cristo celebrò le nozze con la Chiesa mediante l'incarnazione e la passione, applicandosi a lui figuratamente le parole dell'Esodo: "Tu mi sei sposo di sangue". Ma con la passione e l'incarnazione Cristo non si è unito agli angeli in un modo diverso dal precedente. Dunque gli angeli non appartengono alla Chiesa in quanto è chiamata sposa. Perciò agli angeli non si addicono le doti.

RISPONDO: Non c'è dubbio che agli angeli convengono come agli uomini le perfezioni che rientrano nelle doti dell'anima. Però esse non convengono loro sotto l'aspetto di doti, come invece convengono agli uomini: perché agli angeli non si applica come agli uomini con la stessa proprietà l'aspetto di sposa. Infatti tra sposo e sposa si richiede conformità di natura, cosi da essere della medesima specie. Ora, gli uomini hanno questo in comune con Cristo: poiché egli ha assunto la natura umana, con la quale è diventato conforme nella specie umana con tutti gli uomini. Egli invece non è conforme con gli angeli in unità di specie, né secondo la natura divina, né secondo la natura umana. Perciò le doti non si addicono agli angeli col rigore che si addicono agli uomini.
Tuttavia in ciò che si predica metaforicamente, dato che non si richiede la somiglianza sotto tutti gli aspetti, da una data dissomiglianza non si può concludere che metaforicamente una data cosa non si possa predicare di un dato soggetto. Perciò dalla ragione addotta non si può concludere in senso assoluto che agli angeli non convengono le doti; ma solo che non convengono loro così propriamente come agli uomini, per la dissomiglianza suddetta.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene gli angeli facciano parte dell'unità della Chiesa, tuttavia non sono membri della Chiesa in quanto questa viene denominata sposa per la conformità di natura. E in tal senso ad essi non conviene propriamente di avere le doti.
2. Lo sposalizio accennato è preso in senso lato per un'unione che non implica conformità di natura nella specie. Ma in tal modo niente impedisce che le doti in senso lato si attribuiscano anche agli angeli.
3. Sebbene nel matrimonio spirituale non ci sia altra unione che quella spirituale, tuttavia coloro che vengono a unirsi devono concordare nella loro specie naturale, per avere perfetta ragione di matrimonio. Per questo appunto lo sposalizio propriamente non appartiene agli angeli.
4. L’affinità con la quale gli angeli sono conformi a Cristo in quanto Dio, non è tale da bastare per la perfetta ragione di matrimonio, non essendo una conformità nella specie; anzi, rimane sempre tra loro un'infinita distanza.
5. Cristo propriamente non si dice neppure capo degli angeli, in quanto il concetto di capo richiede conformità di natura. Si noti però che sebbene il capo e le altre membra siano parti di un individuo di una data specie, tuttavia ognuna di codeste membra considerata per se stessa non è della stessa specie delle altre: la mano infatti ha come parte una specie diversa dalla testa. Perciò parlando dei rapporti tra le membra, tra loro non si richiede altra conformità che quella di proporzione, in modo che una riceva dall'altra, e che l'una serva l'altra. Ecco perché l'affinità che c'è tra Dio e gli angeli è più adeguata all'idea di capo che a quella di sposo.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > Le doti dei beati > Se sia conveniente ammettere che tre sono le doti dell'anima: visione, dilezione e fruizione


Supplemento
Questione 95
Articolo 5

SEMBRA che non sia conveniente ammettere che tre sono le doti dell'anima, cioè visione, dilezione e fruizione. Infatti:
1. L'anima si unisce a Dio con lo spirito, o mente, in cui c'è l'immagine della Trinità, secondo la memoria, l'intelligenza e la volontà. Ora, la dilezione spetta alla volontà e la visione all'intelligenza. Dunque si deve assegnare qualche cosa che corrisponda alla memoria: poiché la fruizione non appartiene alla memoria, ma piuttosto alla volontà.
2. Le doti della beatitudine si dice che corrispondono alle virtù con le quali ci uniamo a Dio in questa vita, ossia alla fede, alla speranza e alla carità, che hanno Dio stesso per oggetto. Ebbene, la dilezione corrisponde alla carità e la visione alla fede. Perciò si deve ammettere qualche cosa che corrisponda alla speranza: poiché la fruizione spetta piuttosto alla carità.
3. Di Dio non possiamo fruire se non con la dilezione e la visione: diciamo infatti che noi abbiamo la fruizione di quelle cose che amiamo per se stesse, come spiega S. Agostino. Dunque la fruizione come dote non va distinta dalla dilezione.
4. Per la perfezione della beatitudine si richiede la comprensione, come accennano le parole di S. Paolo: "Correte in modo da poter comprendere, o conseguire". Quindi si deve aggiungere una quarta dote.
5. S. Anselmo a scrive che alla beatitudine dell'anima appartengono: "sapienza, amicizia, concordia, potere, onore, sicurezza e godimento". Da ciò risulta che le doti predette non sono elencate a dovere.
6. S. Agostino afferma, che Dio in quella beatitudine "sarà veduto senza fine, sarà amato senza sazietà, sarà lodato senza stanchezza". Dunque alle doti suddette deve aggiungersi la lode.
7. Boezio elenca cinque requisiti per la beatitudine: la sufficienza, che è promessa dalle ricchezze; la contentezza, che è promessa dal piacere; la celebrità, promessa dalla fama; la sicurezza, promessa dalla potenza, il rispetto, promesso dalla dignità. Sembra quindi che siano queste le doti da elencare e non quelle sopra ricordate.

RISPONDO: Tutti ammettono comunemente che tre sono le doti dell'anima, però esse vengono elencate diversamente. Alcuni infatti affermano che le tre doti dell'anima sono la visione, la dilezione e la fruizione; altri che sono invece la visione, la comprensione, e la fruizione; e finalmente, secondo altri, esse sarebbero la visione, il godimento e la comprensione. Però tutti questi elenchi ai riducono alle stesse cose, e identico è il numero assegnato.
Sopra infatti abbiamo detto che la dote è qualcosa di inerente all'anima, per cui essa è ordinata a quell'operazione nella quale consiste la beatitudine. Ebbene, in quest'ultima operazione si richiedono due cose: la sostanza dell'atto stesso, che è la visione, e la perfezione di esso che è il godimento. Infatti la beatitudine dev'essere "un'operazione perfetta". Ora, una visione può essere gradevole per due motivi: primo, da parte dell'oggetto, in quanto ciò che si vede è piacevole; secondo, da parte della visione stessa, in quanto il vedere medesimo è piacevole, cosicché proviamo piacere persino nel conoscere il male, sebbene il male non ci piaccia.
E poiché l'atto finale, in cui consiste l'ultima beatitudine, deve essere perfettissimo, si richiede che quella visione sia gradevole in tutti e due i sensi. E affinché la visione stessa sia piacevole da parte della visione, si richiede che mediante un abito sia diventata connaturale a chi vede; mentre affinché sia piacevole da parte dell'oggetto si richiedono due cose, che l'oggetto sia conforme o conveniente, e che sia unito a chi vede.
Perciò perché la visione sia piacevole in quanto visione, si richiede l'abito che eserciti la funzione del vedere. E così abbiamo la prima dote, che tutti chiamano visione. - Invece da parte dell'oggetto visibile si richiedono due cose. Innanzi tutto la convenienza o conformità, che si ha mediante l'affetto: e per questo alcuni assegnano come dote la dilezione e altri la fruizione, in quanto la fruizione appartiene all'affetto: poiché quanto prediligiamo o amiamo al sommo lo riteniamo convenientissimo. – Inoltre da parte dell'oggetto si richiede l'unione [col soggetto]. E per questo alcuni parlano di comprensione, la quale altro non è che possedere Dio come presente in se stessi: altri invece parlano di fruizione; in quanto la fruizione non è frutto della speranza, come nella vita presente, ma della realtà posseduta, come nella patria beata.
In tal modo le tre doti corrispondono alle tre virtù teologali: la visione alla fede; la comprensione, o la fruizione, secondo una delle spiegazioni, alla speranza; il godimento, o la fruizione secondo l'altra spiegazione, alla carità. Infatti la fruizione perfetta, come si avrà in patria, include sia il godimento che la comprensione. Ecco perché alcuni stanno per l'una e altri stanno per l'altra.
Alcuni poi attribuiscono queste tre doti alle tre potenze dell'anima: la visione alla ragione; la dilezione al concupiscibile; e la fruizione all'irascibile, in quanto tale fruizione è conquistata mediante una vittoria. - Ma questo è un parlare improprio. Perché irascibile e concupiscibile non sono nella parte intellettiva, bensì in quella sensitiva; invece le doti dell'anima sono nella mente [o spirito].

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Memoria e intelligenza non hanno che un'unica operazione: o perché l'intelligenza stessa è l'operazione della memoria; oppure, se per intelligenza s'intende una facoltà, la memoria non si produce in un atto se non mediante l'intelligenza, perché alla memoria spetta solo di conservare le nozioni. Infatti alla memoria e all'intelligenza non corrisponde che un abito, cioè il sapere [notizia]. Perciò all'una e all'altra corrisponde una dote soltanto, cioè la visione.
2. Alla speranza corrisponde la fruizione in quanto include la comprensione, che succederà appunto alla speranza. Infatti ciò che si spera, ancora non si possiede: perciò la speranza dà una certa tristezza per la lontananza dell'amato. Ecco perché essa nella patria viene a cessare e le succede invece la comprensione.
3. La fruizione in quanto include la comprensione si distingue sia dalla visione che dalla dilezione; però diversamente da come la dilezione si distingue dalla visione. Perché dilezione e visione indicano abiti diversi, di cui uno appartiene all'intelletto e l'altro alla volontà. Ma la comprensione, o la fruizione in quanto sta per comprensione, non implica un abito distinto dai due precedenti, ma l'eliminazione di quegli impedimenti dai quali risultava che l'anima non poteva unirsi a Dio come a un oggetto presente. E questo avviene per il fatto che l'abito stesso della gloria libera l'anima da ogni difetto: p. es., facendola capace di conoscere senza i fantasmi, di dominare pienamente sul corpo, e di altre cose simili, che escludono tutti quegli ostacoli, per i quali adesso "noi pellegriniamo lontani da Dio".
4. La quarta difficoltà è stata risolta dalle cose già dette.
5. Propriamente le doti sono i principii immediati di quell'operazione costitutiva della perfetta beatitudine, in cui l'anima si unisce a Cristo. Non così le perfezioni elencate da S. Anselmo: le quali invece sono cose che in qualche modo accompagnano e segnano la beatitudine, non solo in rapporto allo sposo, cui tra le cose enumerate appartiene solo la sapienza, ma anche in rapporto agli altri. In rapporto agli uguali; cui si riferisce l’amicizia per l'unione degli affetti, e la concordia, per l'accordo nell'operare. In rapporto agli inferiori: cui si riferisce il potere, per la facoltà che i superiori hanno di disporre degli inferiori, e l'onore, per l'ossequio che gli inferiori prestano ai superiori. E in rapporto a se stesso: poiché a ciò si riferisce la sicurezza con l'eliminazione del male, e il godimento con il conseguimento del bene.
6. La lode, che S. Agostino mette al terzo posto tra le cose che ci saranno nella patria, non è una disposizione alla beatitudine, bensì una conseguenza di essa: dal momento infatti che l'anima si unisce a Dio, in cui consiste la beatitudine, segue che prorompa nella lode. Perciò la lode non ha l'aspetto di dote.
7. Le cinque cose enumerate da Boezio sono varie condizioni della beatitudine: ma non disposizioni all'atto della beatitudine. Poiché la beatitudine, data la sua perfezione, da sola possiede per se stessa tutto ciò che gli uomini cercano nelle diverse cose, come spiega ripetutamente il Filosofo. Boezio dimostra che nella vera beatitudine quelle cinque cose devono esserci, perché esse sono cercate dagli uomini nella felicità temporale. Esse infatti o rientrano nell'immunità dal male, come la sicurezza; — oppure nel conseguimento del bene: del bene conveniente, nel caso della contentezza; di quello perfetto, nel caso della sufficienza; — oppure rientrano tra le manifestazioni del bene: nel caso della celebrità, in quanto il bene di un individuo viene a conoscenza di molti; e nel caso del rispetto, in quanto vengono prestati i segni di tale conoscenza e di codesto bene; il rispetto infatti consiste nel rendere onore, che è una testimonianza resa alla virtù. Perciò è evidente che queste cinque cose non sono da chiamarsi doti, ma condizioni varie della beatitudine.

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