Sup, 93

Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > La beatitudine dei santi e le loro mansioni


Supplemento
Questione 93
Proemio

Passiamo ora a considerare la beatitudine dei santi e le loro mansioni.
Sull'argomento si pongono tre quesiti:

1. Se la beatitudine dei santi debba essere maggiore dopo il giudizio [finale];
2. Se i gradi di beatitudine siano denominati mansioni;
3. Se le diverse mansioni si distinguano secondo i gradi di carità.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > La beatitudine dei santi e le loro mansioni > Se la beatitudine dei santi sarà maggiore prima o dopo il giudizio


Supplemento
Questione 93
Articolo 1

SEMBRA che la beatitudine dei santi dopo il giudizio non debba essere maggiore di prima. Infatti:
1. Più una cosa si approssima alla somiglianza con Dio, più perfettamente partecipa la beatitudine. Ora, l'anima è più simile a Dio separata dal corpo, di quando è unita con esso. Perciò la sua beatitudine è maggiore prima di riassumere il corpo che dopo.
2. Una virtù è più potente unita che frazionata. Ebbene, l'anima disincarnata è più unita di quanto non lo sia nello stato di unione col corpo. Cosicché la sua virtù è maggiore nell'operare. E quindi partecipa più perfettamente la beatitudine, che consiste in un'operazione.
3. La beatitudine consiste in un atto dell'intelletto speculativo. Ma l'intelletto nel suo atto non si serve di un organo corporeo: cosicché la riassunzione del corpo non farà sì che l'anima possa intendere più perfettamente. Dunque la beatitudine dell'anima non sarà maggiore dopo la resurrezione.
4. Niente può essere maggiore dell'infinito: perciò la somma dell'infinito con una realtà finita non è maggiore dell'infinito stesso. Ora, l'anima beata prima di riprendere il proprio corpo gode di un bene infinito, cioè di Dio; e dopo la resurrezione del corpo non avrà altro godimento, se non forse quello della gloria del corpo, che è un bene finito. Perciò il suo godimento di queste due cose dopo la resurrezione del corpo non sarà maggiore di quello antecedente.

IN CONTRARIO: 1. A proposito di quelle parole dell'Apocalisse, "Vidi sotto l'altare le anime degli uccisi, ecc." la Glossa afferma: "Attualmente le anime dei santi stanno sotto, cioè in una dignità inferiore a quella che avranno in futuro". Dunque dopo il giudizio la loro beatitudine sarà più grande.
2. Ai buoni viene concessa in premio la beatitudine come ai cattivi lo stato di miseria. Ma dopo la resurrezione dei corpi la miseria dei malvagi sarà maggiore di prima: perché saranno puniti non solo nell'anima, bensì anche nel corpo. Perciò la beatitudine dei santi sarà maggiore dopo la resurrezione dei corpi.

RISPONDO: Che la beatitudine dei santi dopo la resurrezione aumenti in estensione è evidente: perché allora essa non sarà solo nell'anima, ma anche nel corpo. Però la stessa beatitudine dell'anima avrà un aumento in estensione: poiché l'anima non godrà solo del proprio bene, bensì anche di quello del corpo.
Anzi si può dire che la beatitudine dell'anima stessa aumenterà in intensità. Infatti il corpo dell'uomo può essere considerato sotto due punti di vista: primo, in quanto è perfettibile da parte dell'anima; secondo, in quanto si trova in esso qualche cosa che ostacola l'anima nelle sue operazioni, non lasciandosi in tutto perfezionare dall'anima. Considerandola dal primo punto di vista l'unione del corpo con l'anima apporta all'anima una perfezione. Poiché ogni parte è imperfetta e viene completata nel suo tutto: cosicché il tutto sta alla parte come la forma sta alla materia. Perciò anche l'anima è più perfetta nel suo essere naturale quando è nel tutto, cioè nell'uomo composto attualmente di anima e corpo, di quando ne è separata. Ma considerata dal secondo punto di vista, l'unione del corpo impedisce la perfezione dell'anima; di qui le parole della Sapienza: "Il corpo che si corrompe aggrava l’anima". Se quindi dal corpo si elimina tutto ciò per cui resiste all'azione dell'anima, l'anima sarà in senso assoluto più perfetta esistendo in codesto corpo, che separata da esso. Orbene, quanto più una cosa è perfetta nell'essere, tanto è in grado di agire più perfettamente. Perciò l'agire dell'anima unita a un tale corpo sarà più perfetto di quello dell'anima separata. Ma tale è appunto il corpo glorioso, che sarà in tutto sottomesso allo spirito. Consistendo dunque la beatitudine in un'operazione, la beatitudine dell'anima sarà più perfetta dopo la riassunzione del corpo che prima: infatti come l'anima separata dal corpo corruttibile può agire con più perfezione di quando è ad esso congiunta, così dopo il ricongiungimento col corpo glorioso il suo operare sarà più perfetto di quando ne era separata. Ora, ogni essere imperfetto desidera la propria perfezione. Dunque l'anima separata brama naturalmente di ricongiungersi al corpo. E per codesta brama, che procede da uno stato d'imperfezione, la sua operazione con la quale tende verso Dio è meno intensa. Ecco perché S. Agostino afferma, che "dal desiderio del corpo l'anima viene ritardata nel suo tendere totalmente verso il sommo bene".

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'anima è più simile a Dio quando è unita al corpo glorioso che quando è separata, poiché con tale unione ha un essere più perfetto: infatti più una cosa è perfetta, più è simile a Dio. Il cuore, p. es., la cui perfezione di vita consiste nel moto, è più simile a Dio quando si muove che quando si ferma, sebbene Dio non si muova mai.
2. Una virtù che per sua natura è fatta per essere nella materia, è più potente esistendo nella materia che stando separata da essa: sebbene assolutamente parlando una virtù separata dalla materia abbia una potenza maggiore.
3. Sebbene nell'atto d'intendere l'anima non si serva del corpo, tuttavia la perfezione del corpo in qualche modo coopererà alla perfezione dell'atto intellettivo, in quanto per l'unione del suo corpo glorioso l'anima sarà naturalmente più perfetta, e quindi più efficace nell'operare. In tal modo il bene stesso del corpo coopererà strumentalmente all'operazione in cui consiste la beatitudine: analogamente a quanto dice il Filosofo a proposito dei beni esterni, che strumentalmente cooperano alla felicità della vita [presente].
4. Sebbene l'aggiunta del finito all'infinito non dia una entità maggiore tuttavia dà un più: perché finito e infinito sono due, mentre l'infinito di per sé è una cosa sola. Ebbene, l'estensione del godimento non riceve un aumento ma un più. Perciò il godimento aumenterà in estensione rispetto al solo godimento di Dio, perché avrà per oggetto Dio e la gloria del corpo. - Inoltre la gloria del corpo farà crescere anche in intensità il godimento di Dio, in quanto coopererà alla perfezione di quegli atti con i quali l'anima si volge verso Dio: più infatti l'operazione connaturale è perfetta, più intenso è il piacere, come spiega Aristotele.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > La beatitudine dei santi e le loro mansioni > Se i gradi di beatitudine debbano denominarsi mansioni


Supplemento
Questione 93
Articolo 2

SEMBRA che i gradi di beatitudine non si debbono denominare mansioni. Infatti:
1. La beatitudine implica l'idea di premio. Ora, mansione non accenna affatto all'idea di premio. Dunque i diversi gradi di beatitudine non devono dirsi mansioni.
2. Mansione sembra significare una sede locale. Ma il luogo dal quale i santi saranno resi felici non è di ordine corporale, bensì spirituale, e cioè Dio, il quale è uno. Perciò non esiste che una sola mansione. Quindi i diversi gradi di beatitudine non devono denominarsi mansioni.
3. Uomini di meriti diversi, come ci saranno nella patria beata ci sono anche attualmente in purgatorio, e un tempo ci furono nel limbo dei Patriarchi. Ma in purgatorio e nel limbo non si riscontrano diversità di mansioni. Dunque non ci dovranno essere neppure in patria.

IN CONTRARIO: 1. Sta scritto: "Nella casa di mio Padre ci sono molte mansioni": e S. Agostino spiega che si tratta delle varie gradazioni di premi.
2. In ogni città c'è un'ordinata distinzione di mansioni. Ora, la patria celeste è paragonata a una città, com'è evidente nell'Apocalisse. Dunque in essa si devono distinguere diverse mansioni, secondo i diversi gradi di beatitudine.

RISPONDO: Il moto locale essendo, come dice il Filosofo, il primo di tutti i moti, il termine moto come quello di distanza e di altre cose del genere è derivato dal moto locale a tutti gli altri tipi di movimento. Ora, il fine o termine del moto locale è il luogo in cui una cosa si ferma e si conserva dopo averlo raggiunto. Perciò in qualsiasi moto il quietarsi di esso nel suo termine lo denominiamo collocamento o mansione. Ecco perché, avendo usato il termine moto anche per gli atti dell'appetito e della volontà, il conseguimento del fine del moto stesso affettivo viene denominato sede permanente, ossia mansione, ovvero collocamento nel fine. Ecco perché i diversi gradi nel conseguimento del fine ultimo vengono denominati "mansioni diverse": cosicché l'unica casa sta a indicare la comune e universale beatitudine da parte dell'oggetto; mentre la pluralità delle mansioni indica le differenze che nella beatitudine si riscontrano da parte dei beati. Parimente anche negli esseri corporei vediamo che identico è il luogo in alto verso il quale tendono tutti i corpi leggeri, ma ciascuno di essi ci arriva più o meno vicino secondo la propria levità; e quindi ci sono varie mansioni o sedimentazioni secondo la differente leggerezza.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Mansione implica l'idea di fine o termine: e di conseguenza implica quella di premio, che è il fine del merito.
2. Sebbene sia unico il luogo di ordine spirituale, tuttavia sono diversi i gradi di approssimazione ad esso, e in base a questi si hanno diverse mansioni.
3. Coloro che furono nel limbo, o che adesso sono in purgatorio non hanno ancora raggiunto il loro termine finale. Ecco perché, sia in purgatorio che nel limbo non c’è distinzione di mansioni, ma questa c'è solo in paradiso e all'inferno, che sono il termine rispettivo dei buoni e dei cattivi.



Terza parte e Supplemento > Il fine della vita immortale > La beatitudine dei santi e le loro mansioni > Se le diverse mansioni si distinguano secondo i gradi di carità


Supplemento
Questione 93
Articolo 3

SEMBRA che le diverse mansioni non si distinguano secondo i diversi gradi di carità. Infatti:
1. Nel Vangelo si legge: "Diede a ciascuno secondo la propria virtù". Ora, la virtù propria di ciascuno è la sua capacita naturale. Perciò i doni della grazia e della gloria vengono distribuiti secondo i diversi gradi della virtù naturale.
2. Il Salmista afferma: "Tu ricompenserai ciascuno secondo le sue opere". Ora, quello che viene dato in ricompensa è la misura della beatitudine. Dunque i gradi della beatitudine saranno secondo la diversità delle opere, e non secondo il diverso grado di carità.
3. Il premio è dovuto all'atto e non all'abito: ecco perché, a detta di Aristotele, "non sono coronati i più forti, ma i lottatori"; e S. Paolo afferma: "Non sarà coronato se non chi avrà combattuto secondo le regole". Ma la beatitudine è un premio. Quindi i diversi gradi della beatitudine saranno secondo il diverso valore delle opere compiute, e non secondo il grado di carità.

IN CONTRARIO: 1. Più uno è unito a Dio, più è felice o beato. Ma la misura dell'unione con Dio è secondo la misura della carità. Dunque secondo la differenza di carità ci sarà anche diversità di beatitudine.
2. Come il grado positivo, o assoluto sta al positivo corrispondente, così il comparativo sta al corrispondente comparativo. Ebbene avere la beatitudine segue dall'avere la carità. Perciò avere maggiore beatitudine segue dall'avere maggiore carità.

RISPONDO: Due sono i principii distintivi delle mansioni o gradi della beatitudine: prossimo e remoto. Principio prossimo è la diversa disposizione esistente nei beati, dalla quale dipendono in tutti le diversità di perfezione nell'atto in cui consiste la beatitudine. Ma il principio remoto è il merito, col quale hanno conseguito tale beatitudine.
Ebbene in base al primo vengono tra loro distinte le mansioni secondo la carità esistente in patria: la quale, quanto sarà più perfetta, tanto renderà chi la possiede più capace della luce divina, e pari alla sua grandezza sarà la perfezione della visione di Dio.
In base al secondo invece vengono distinte le mansioni in proporzione alla carità esistente nella vita terrena. Infatti i nostri atti non sono meritori per la sostanza stessa dell'atto, bensì per il solo abito della virtù da cui sono informati. Ma la capacità di meritare in tutto le virtù deriva dalla carità, che ha per oggetto il fine medesimo. Perciò la diversità nel meritare risale interamente al diverso grado di carità. Ecco perché la carità della vita presente distinguerà le varie mansioni secondo il merito.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La virtù di cui parla quel testo non è la sola capacità naturale, ma la capacità naturale unita allo sforzo di conseguire la grazia. E allora, la virtù così concepita è come la disposizione materiale alla misura della grazia e della gloria: ma la carità costituisce formalmente l'elemento completivo del merito alla gloria. Perciò la distinzione di gradi nella gloria si desume dai gradi della carità più che dai gradi della virtù suddetta.
2. Le opere non meritano la retribuzione della gloria, se non in quanto sono informate dalla carità. Perciò i diversi gradi di gloria saranno secondo i diversi gradi di carità.
3. Sebbene l'abito della carità, o di ogni altra virtù non sia il merito cui è dovuto il premio, è tuttavia il principio e la ragione unica per cui si merita nell'atto. Ecco perché i premi si distinguono in base alle sue diversità. - Tuttavia dal genere stesso dell'atto può dipendere un certo grado nel meritare, non già rispetto al premio essenziale, che è il godimento di Dio, ma rispetto ad alcuni premi accidentali che sono il godimento di qualche bene creato.

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva