Sup, 65

Terza parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > Problemi annessi al matrimonio: la poligamia


Supplemento
Questione 65
Proemio

Veniamo ora a considerare la poligamia.
Sull'argomento si pongono cinque quesiti:

1. Se avere più mogli sia contrario alla legge naturale;
2. Se un tempo fosse lecito;
3. Se avere una concubina sia contro la legge naturale;
4. Se sia peccato mortale accoppiarsi con essa;
5. Se un tempo fosse lecito avere la concubina.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > Problemi annessi al matrimonio: la poligamia > Se avere più mogli sia contro la legge naturale


Supplemento
Questione 65
Articolo 1

SEMBRA che avere più mogli non sia contro la legge naturale. Infatti:
1. La consuetudine non può prevalere sulla legge naturale. Invece stando alle parole di S. Agostino, riferite nelle Sentenze, la poligamia "non era peccato, quando essa era in uso". Perciò avere più mogli non è contro la legge naturale.

2. Chi agisce contro la legge naturale viola un precetto: poiché come ha i suoi precetti la legge scritta, li ha pure la legge naturale. Invece S. Agostino afferma che avere più mogli "non era contro un precetto, poiché nessuna legge lo proibiva". Dunque avere più mogli non è contro la legge naturale.

3. Il matrimonio è ordinato principalmente alla procreazione della prole. Ora, un uomo può avere prole da molte donne, mediante la loro fecondazione. Quindi avere più mogli non è contro la legge di natura.

4. Come si legge all'inizio del Digesto, "la legge naturale è quella che la natura ha insegnato a tutti gli animali". Ma la natura non a tutti gli animali ha insegnato la monogamia: poiché in molti animali il maschio ai accoppia con più femmine. Dunque non è contro natura avere più mogli.

5. A detta del Filosofo, nel generare la prole il maschio sta alla femmina come l'agente al paziente, o come l'artigiano alla materia grezza. Ora, non è contro l'ordine di natura che un agente agisca su molteplici pazienti, o che un artigiano operi su varie materie. Perciò non è contro la legge naturale che un uomo abbia più mogli.

IN CONTRARIO: 1. È evidentemente di legge naturale soprattutto ciò che è stato inculcato all'uomo nella sua creazione. Ora, la monogamia fu inculcata all'uomo fin nella creazione della natura umana, come risulta da quelle parole della Genesi: "Saranno due in una sola carne". Si tratta dunque di una legge naturale.

2. È contro natura che un uomo si obblighi all'impossibile, e che offra a un'altra persona ciò che ha dato ad altri. Ma chi sposa una donna le dà il potere sul proprio corpo, così da essere costretto a renderle il debito coniugale quando lo chiede. Quindi agisce contro la legge naturale, se poi dà il potere sul proprio corpo a un'altra donna: poiché non potrebbe rendere il debito coniugale a entrambe, se lo chiedessero simultaneamente.

3. Questa norma: "Non fare ad altri quanto non vuoi che altri ti faccia", è di legge naturale. Ora, il marito in nessun modo vorrebbe che la moglie avesse un secondo marito. Perciò è contro natura aggiungere alla prima una seconda moglie.

4. Ciò che contrasta col desiderio naturale è contro la legge di natura. Ma la gelosia del marito per la moglie e della moglie per il marito è naturale: perché si riscontra in tutti. Quindi, siccome la gelosia è "un amore che non tollera condominio nel possesso dell'amato", è chiaramente contro la legge naturale che più mogli abbiano un solo marito.

RISPONDO: Tutti gli esseri naturali sono dotati di principii non solo per compiere le operazioni proprie, ma per compierle convenientemente al proprio fine: sia che si tratti di funzioni proporzionate alla natura del proprio genere, o di funzioni dovute alla loro natura specifica. Il magnete, p. es., per la natura del proprio genere tende verso il basso, e per la sua natura specifica attrae a sé il ferro. Ora, come negli esseri che agiscono per necessità fisica o di natura principii operativi sono le forme stesse, da cui scaturiscono le operazioni proprie proporzionate al fine; così negli esseri dotati di conoscenza principii operativi sono la conoscenza e l'appetito. Quindi nella facoltà conoscitiva deve riscontrarsi una percezione naturale, e in quella appetitiva un'inclinazione naturale, le quali rendano gli atti rispondenti al genere o alla specie, proporzionati al fine. Siccome però tra tutti gli animali l'uomo ha la nozione del fine come tale, e il rapporto dell'operazione col fine, in lui si riscontra una conoscenza naturale, la quale lo dirige nell'agire, e che giustamente viene chiamata legge o diritto naturale. Invece per gli altri animali si parla di estimativa naturale: infatti le bestie sono spinte a compiere azioni loro convenienti, piuttosto che a preordinarle agendo di proprio arbitrio.
Perciò la legge naturale non è altro che la conoscenza naturale dell'uomo, per dirigersi convenientemente nell'agire, cioè nel compimento delle azioni sue proprie: sia quelle dovute alla natura del genere, come generare, mangiare, ecc.; sia quelle dovute alla natura della specie, come il ragionare e altre funzioni consimili. Ora, tutto ciò che rende un'azione inadatta al fine inteso dalla natura, va definito come contrario alla legge naturale.
Ma un'azione può non essere proporzionata, o al fine principale, o a quello secondario: e in entrambi i casi ciò può avvenire in due maniere. Primo, in modo da impedire del tutto il raggiungimento del fine: l'eccesso sproporzionato del cibo. p. es., oppure la sua carenza, impedisce la salute del corpo, che è il fine principale della nutrizione; e impedisce la buona disposizione nel compiere le proprie mansioni, che ne è il fine secondario. Secondo, in modo da rendere difficile, o meno conveniente il raggiungimento del fine principale o di quello secondario; come un pasto disordinato, p. es., perché preso fuori di tempo. Perciò se un atto è talmente sproporzionato al fine da impedire il fine principale, è proibito dalla legge naturale in forza dei suoi precetti primari che in campo operativo sono come i primi principii in campo speculativo.
Se invece si tratta di un'azione sproporzionata in qualsiasi modo a un fine secondario, oppure inadatta al fine principale stesso, così da renderne difficile o meno agevole il conseguimento, allora essa è proibita, ma non dai precetti primari della legge naturale, bensì da quelli secondari che da essi derivano; come in campo speculativo le conclusioni derivano dai primi principii per sé noti. Ed è in tal senso che tale azione deve dirsi contraria alla legge naturale.
Il matrimonio, dunque, ha per fine principale la procreazione e l'educazione della prole, fine che compete all'uomo in forza della natura del suo genere; cosicché, per usare l'espressione aristotelica, "esso è comune anche agli altri animali". E da questo lato al matrimonio corrisponde il bene della prole. Ma come fine secondario il Filosofo stesso dichiara che per gli uomini il matrimonio offre lo scambio dei servizi necessari alla vita. E da quest'altro lato i coniugi si devono reciprocamente la fede, o fedeltà, che è uno dei beni del matrimonio. Inoltre nel caso dei credenti si deve raggiungere un altro fine, cioè si deve esprimere simbolicamente l'unione di Cristo con la Chiesa. E allora tra i beni del matrimonio abbiamo il sacramento. Perciò al primo di questi fini del matrimonio l'uomo è ordinato in quanto animale; al secondo in quanto uomo; al terzo in quanto cristiano.
Ora, la poligamia non esclude e neppure impedisce in qualche modo il primo di codesti fini: bastando un uomo solo a fecondare più mogli, e a educare i figli nati da esse. — Il secondo invece, anche se non l'esclude l'impedisce gravemente: poiché non può esser facile la pace in una famiglia, dove molte mogli sono unite a un solo marito, non potendo uno solo soddisfare più mogli secondo i loro desideri; e anche perché la concorrenza di più persone in un dato ufficio causa litigi, come "litigano tra di loro i vasai", così litigano le varie mogli di un unico marito. — Il terzo fine poi è escluso del tutto dalla poligamia: perché come unico è Cristo, così è unica la Chiesa. Da ciò si conclude che la poligamia sotto certi aspetti è contro la legge naturale; mentre non lo è sotto altri aspetti.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La consuetudine non può prevalere sulla legge naturale per quanto riguarda i precetti primari di essa, che equivalgono ai primi principii in campo speculativo. Ma le norme che ne derivano come conclusioni la consuetudine è in grado così di potenziarle come di menomarle, secondo l'espressione di Cicerone. E tale è appunto anche il precetto della legge naturale relativo alla monogamia.

2. Secondo il detto di Cicerone, "il timore delle leggi e la religione hanno sancito le cose stabilite dalla natura e confermate dalla consuetudine". Dal che si rileva che le norme che la legge naturale deriva dai suoi primi principii non hanno per se stesse forza coattiva di precetto, se non quando sono sancite dalla legge divina od umana. Ecco perché S. Agostino può dire che [i Patriarchi] non agivano contro nessun precetto della legge, "perché ciò da nessuna legge era proibito".

3. La terza difficoltà è stata risolta nel corpo dell'articolo.

4. Una legge può dirsi naturale in vari sensi. Primo, in rapporto al suo principio, o causa, cioè nel senso che è stabilita dalla natura. Di qui la definizione di Cicerone: "Legge naturale è quella che non è frutto di opinioni, ma che è impressa in noi da un'innata virtù".
E poiché si parla di moti naturali anche negli esseri materiali, non perché prodotti da un principio intrinseco, ma perché derivano da una causa superiore che è il loro motore, cosicché i moti dei quattro elementi derivanti dall'influsso dei corpi celesti, a detta di Averroè, si dicono naturali; le norme stesse della legge divina possono dirsi di legge naturale, perché derivanti dall'influsso e dall'ispirazione della causa superiore, cioè di Dio. È in tal senso che si esprime S. Isidoro, dove dice che "legge naturale è quanto è contenuto nella Legge e nel Vangelo".
Terzo, una legge può dirsi naturale non solo dalla sua causa, ma dalla natura stessa, cioè perché riguarda cose naturali. E poiché la natura si prende in opposizione alla ragione, per cui l'uomo è uomo, in senso strettissimo vanno escluse dalla legge naturale le cose che riguardano l'uomo soltanto, sebbene derivino dal dettame della ragione naturale, per limitarsi a quelle norme che tale ragione detta a proposito di cose che l'uomo ha in comune con altri esseri. E in tal senso vale la definizione suddetta: "La legge naturale è quella che la natura ha insegnato a tutti gli animali".
Sebbene, dunque, la poligamia non sia contro la legge naturale presa nella terza accezione, è però contro la legge naturale nella seconda accezione: perché è proibita dalla legge di Dio. Ed è pure contro la legge naturale presa nel primo significato, com'è evidente dalle cose già dette: perché la natura a ciascun animale detta di comportarsi come conviene alla propria specie. Ecco perché alcuni animali, in cui per l'educazione della prole si richiede l'opera del maschio e della femmina, per istinto naturale conservano l'unione monogamica: com'è evidente nel caso delle tortore, delle colombe, e di altri animali.
Siccome però gli argomenti addotti in contrario sembrano provare che la poligamia è contro i principii primi della legge naturale, bisogna rispondere anche ad essi.

5. La natura umana fu creata senza nessun difetto. Perciò allora vennero infuse nell'uomo non soltanto le norme indispensabili per raggiungere il fine primario del matrimonio, ma anche quelle richieste per raggiungere senza difficoltà i fini secondari. Ecco perché nel momento della sua creazione dovette bastare all'uomo un'unica moglie.

6. Nel matrimonio il marito non dà alla moglie un potere universale sul proprio corpo, ma solo rispetto a quegli atti che sono richiesti dal matrimonio. Ora, il matrimonio non richiede che il marito renda alla moglie il debito coniugale tutti i momenti, per raggiungere il bene della prole, che è il fine principale del matrimonio, ma basta che lo renda per la fecondazione. Ciò invece è richiesto dal matrimonio considerato come rimedio alla concupiscenza, che è il suo fine secondario; e cioè che in qualsiasi momento si renda il debito coniugale al coniuge che lo domanda. Da ciò risulta che chi prende più mogli non si obbliga all'impossibile, se si considera il fine principale del matrimonio. Perciò la poligamia non è contro i primi precetti della legge naturale.

7. Il precetto della legge naturale, "Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te", va inteso con la clausola: "a parità di condizioni"; poiché non è detto che un superiore non debba resistere ai sudditi, per il fatto che non vuole resistenza da parte loro. Perciò in forza di tale precetto non si può esigere che l'uomo non si permetta altre mogli, come non tollera che la moglie abbia altri mariti: poiché la poligamia non è contro i primi precetti della legge naturale, come abbiamo spiegato; mentre la poliandria è contro tali precetti; poiché quest'ultima per un verso impedisce e per un altro verso compromette il bene della prole, che è il fine principale del matrimonio. Infatti il bene della prole non implica soltanto la procreazione, ma anche l'educazione.
Ora, sebbene la poliandria non elimini del lutto la procreazione della prole, poiché, a detta di Aristotele, dopo la prima fecondazione la donna può essere fecondata di nuovo, tuttavia è di grave ostacolo, poiché è difficile che in tal modo non ci sia la corruzione o di entrambi i germi o almeno di uno di essi. L'educazione poi viene del tutto compromessa: poiché dalla poliandria segue l'incertezza della paternità, mentre invece la cura del padre è indispensabile per l'educazione. Ecco perché non è stato concesso da nessuna legge o consuetudine che una donna potesse avere più mariti, come invece è avvenuto per la poligamia.

8. L'inclinazione naturale delle facoltà appetitive segue la percezione naturale della conoscenza. E poiché la poligamia non si presenta all'intelletto così assurda come la poliandria, al sentimento della moglie non ripugna tanto avere il marito in comune con altre donne, quanto la situazione inversa ripugna al marito. Ecco perché presso gli uomini come presso gli animali è più forte la gelosia del maschio per la femmina, che viceversa.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > Problemi annessi al matrimonio: la poligamia > Se un tempo la poligamia fosse lecita


Supplemento
Questione 65
Articolo 2

SEMBRA che la poligamia non possa mai essere stata lecita.
Infatti:
1. A detta del Filosofo, "la legge naturale ha sempre e dovunque il medesimo vigore". Ma la poligamia, come abbiamo dimostrato, è proibita dalla legge naturale. Perciò come non è lecita adesso, non è stata lecita mai.

2. Se un tempo essa era permessa, ciò si deve o al fatto che era lecita per se stessa, o ad una dispensa. Nel primo caso, essa sarebbe lecita anche adesso. Il secondo caso invece non è ammissibile. Perché, come scrive S. Agostino: "Essendo Dio il creatore della natura, non compie nulla contro le tendenze che egli stesso ha inserito". Ora, avendo Dio inserito nella nostra natura la tendenza alla monogamia, è chiaro che in questo egli non può mai aver dispensato.

3. Se una cosa diviene lecita per una dispensa, non è permessa che alle persone dispensate. Ma non si legge in nessun luogo della Scrittura che sia stata data una dispensa generale. E poiché nell'antico Testamento tutti quelli che volevano prendevano più mogli, senza che ne fossero rimproverati dalla legge o dai profeti, non sembra che ciò fosse lecito per una dispensa.

4. Dove esiste un identico motivo di dispensare deve intervenire la medesima dispensa. Ora, non può trovarsi altro motivo in tale dispensa che la moltiplicazione dei figli per il culto di Dio. Ma questa è necessaria anche adesso. Dunque tale dispensa dovrebbe durare tuttora; tanto più che in nessun luogo si legge che sia stata revocata.

5. Nel dare una dispensa non si deve sacrificare un bene maggiore per uno minore. Ora, la fede e il sacramento, che risultano compromessi nella poligamia, sono beni superiori alla moltiplicazione della prole. Perciò non si sarebbe dovuta dare quella dispensa in vista di tale moltiplicazione.

IN CONTRARIO: 1. A detta di S. Paolo, "la legge fu data in vista delle trasgressioni", cioè per proibirle. Ma l'antica legge accenna alla poligamia senza proibirla, com'è evidente in quel passo del Deuteronomio: "Se un uomo ha due mogli, ecc.". Dunque i poligami non erano trasgressori. E quindi ciò era lecito.

2. La stessa cosa risulta dall'esempio dei santi patriarchi, molti dei quali si legge che avessero più mogli, pur essendo accettissimi a Dio: come Giacobbe, David e molti altri. Un tempo quindi ciò era lecito.

RISPONDO: Come risulta da quanto abbiamo detto, la poligamia è contro la legge naturale, ma non contro i precetti primari, bensì contro i secondari, che derivano dai primi come conclusioni. Ma poiché gli atti umani variano secondo le diverse condizioni di persona, di tempo e delle altre circostanze, le suddette conclusioni non derivano dai precetti primari della legge naturale così da essere efficaci sempre, bensì nella maggior parte dei casi: e ciò avviene per tutta la morale, come Aristotele dimostra. Perciò quando l'efficacia o vigore di quelle norme viene a mancare, è lecito trascurarle. E poiché non è facile determinare tali variazioni, è riservata all'autorità che dà vigore alla legge la facoltà di permettere l'esenzione da essa nei casi in cui non ha motivo di estendersi. E tale permesso sì denomina dispensa.
Ora, la legge che comanda la monogamia non è d'istituzione umana, ma divina: e non fu mai data a parole o per iscritto, ma impressa nei cuori, come tutte le altre che in qualsiasi modo appartengono alla legge naturale. Ecco perché in questo caso la dispensa poteva venire da Dio soltanto, mediante un'ispirazione interiore. La quale ispirazione fu fatta principalmente ai santi Patriarchi, e mediante il loro esempio comunicata agli altri, nel tempo in cui bisognava omettere quel precetto naturale per accrescere il numero dei figli da educare al culto di Dio. Il fine principale infatti in pratica va sempre preferito a quello secondario.
Essendo, perciò, il bene della prole il fine principale del matrimonio, quando la moltiplicazione di essa era necessaria, bisognò passare sopra temporaneamente alla menomazione che poteva derivare ai fini secondari, i quali, come abbiamo visto, sono difesi dal precetto contro la poligamia.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La legge naturale di suo ha sempre e dovunque il medesimo vigore. Ma accidentalmente, per qualche impedimento, può talora alterarsi in qualche luogo; e il Filosofo lo spiega portando l'esempio di altre cose naturali. Sempre e dovunque infatti la destra è per natura più valida della sinistra; ma per un qualche accidente capita che uno sia ambidestro, essendo la nostra natura variabile. Lo stesso avviene per il diritto naturale, come dice appunto il Filosofo.

2. È detto in una Decretale che "non fu mai lecito avere più mogli, senza una dispensa ottenuta per ispirazione divina". Tuttavia tale dispensa non è data in contrasto con le tendenze che Dio ha inserito nella natura, ma indipendentemente da esse: poiché tali tendenze, come abbiamo visto, non sono ordinate ad attuarsi sempre, ma nella maggioranza dei casi; così come non è contro natura un fatto miracoloso di ordine fisico, indipendentemente da quanto avviene d'ordinario.

3. Quale è la legge tale deve esserne la dispensa. Ora, la legge naturale non è promulgata per iscritto, ma impressa nei cuori; quindi la dispensa delle sue norme non era da farsi per iscritto, ma per ispirazione inferiore.

4. Con la venuta di Cristo è iniziato il tempo della pienezza della sua grazia, mediante la quale il culto di Dio è stato portato a tutte le genti con una propagazione d'ordine spirituale. Perciò non sussiste il motivo della dispensa esistente prima di Cristo, quando il culto di Dio veniva diffuso e conservato mediante la propagazione carnale.

5. Quel bene del matrimonio che è la prole include il proposito di conservare la fede in Dio: poiché la prole è posta tra i beni del matrimonio in quanto viene attesa per essere educata al culto di Dio. Ora, la fede in Dio è superiore alla fede verso la moglie, che è tra i beni del matrimonio; nonché al significato simbolico che appartiene al sacramento, poiché i simboli sono ordinati alla conoscenza della fede. Perciò non è irragionevole che per il bene della prole si siano in parte sacrificati gli altri beni.
Tuttavia essi non furono eliminati completamente. Poiché la fedeltà rimaneva verso più mogli; e in un certo senso si salvava anche il [simbolismo del] sacramento. Sebbene infatti non si salvi così l'unione di Cristo con la Chiesa in quanto una, tuttavia la pluralità delle mogli può significare la distinzione dei gradi gerarchici, i quali esistono non solo nella Chiesa militante, ma anche in quella trionfante. Quindi quegli antichi matrimoni significavano in qualche modo l'unione di Cristo con la Chiesa non solo militante, come dicono alcuni, ma anche con quella trionfante in cui non mancano "mansioni diverse".



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > Problemi annessi al matrimonio: la poligamia > Se avere la concubina sia contro la legge naturale


Supplemento
Questione 65
Articolo 3

SEMBRA che avere la concubina non sia contro la legge naturale Infatti:
1. Le cerimonie legali non erano di legge naturale. Ora, negli Atti degli Apostoli il divieto della fornicazione è inserito tra le cerimonie legali imposte temporaneamente ai convertiti dal paganesimo. Perciò la fornicazione semplice, a cui si riduce il concubinaggio, non è contro la legge naturale.

2. Il diritto positivo, come dice Cicerone, deriva dal diritto naturale. Ma secondo il diritto positivo la fornicazione semplice non è proibita: che anzi secondo le antiche leggi le donne degne di castigo erano condannate al postribolo. Dunque il concubinaggio non è contro la legge naturale.

3. La legge naturale non proibisce che si possa dare temporaneamente e con delle restrizioni ciò che si può dare in modo assoluto. Ma una donna nubile può dare in perpetuo a un uomo nelle stesse condizioni il dominio sul proprio corpo, così da potersene servire lecitamente quando vuole. Quindi non è contro la legge naturale concedere tale potere sul proprio corpo temporaneamente.

4. Chi si serve come vuole di ciò che gli appartiene non fa ingiuria a nessuno. Ora, la schiava appartiene al padrone. Perciò se questi se ne serve a piacimento non fa torto a nessuno. Dunque il concubinato non è contro natura.

5. Ciascuno può dare ad altri ciò che è suo. Ma la moglie ha il dominio sul corpo del marito, come dice S. Paolo. Quindi, se la moglie consente, il marito può accoppiarsi con un'altra donna senza peccato.

IN CONTRARIO: 1. Secondo tutte le leggi i figli nati da una concubina sono disonorati. Ma questo non avverrebbe, se l'accoppiamento da cui derivano non fosse turpe per natura. Dunque il concubinato è contro la legge naturale.

2. Il matrimonio è un'istituzione naturale. Però non potrebbe esserlo, se l'uomo potesse unirsi alla donna fuori del matrimonio, senza violare una legge di natura. Perciò avere la concubina è contro la legge naturale.

RISPONDO: È da considerarsi contraria alla legge naturale quell'azione che non è conveniente al debito fine, sia perché non è ad esso ordinata dall'agente, sia perché di suo è incompatibile con esso. Ora, il fine che la natura persegue nella copula è la procreazione e l'educazione della prole: e affinché si cercasse codesto bene, al coito essa aggiunse il piacere, come dice Costantino. Perciò chiunque si serve dell'accoppiamento per il piacere che vi si trova, non indirizzandolo al fine inteso dalla natura, agisce contro natura: lo stesso si dica di quell'accoppiamento che non può essere ordinato a quel fine come si conviene. E poiché le cose per lo più si denominano dal fine, essendone questo l'aspetto migliore, così l'unione matrimoniale prese nome dal bene della prole, che ne è lo scopo principale; invece il termine concubina esprime solo l'accoppiamento, poiché nel concubinaggio il concubito è cercato per se stesso.
E anche se uno in tale accoppiamento cerca la prole, quell'atto non è conveniente al bene di essa, il quale non implica solo la procreazione, da cui la prole riceve l'esistenza, ma anche l'educazione e l'istruzione che le procurano nutrimento e formazione da parte dei genitori; poiché, a detta del Filosofo, sono questi i tre doveri dei genitori verso i figli. Siccome però l'educazione e l'istruzione dovuta alla prole si estende a un lungo periodo di tempo, la legge naturale esige che padre e madre convivano a lungo, per attendere insieme ad allevare la prole. Ecco perché gli uccelli che allevano insieme i loro piccoli, prima che questi siano adulti non rompono quella unione che era iniziata con l'accoppiamento. Ora, tale obbligo di convivenza tra la donna e l'uomo è effetto proprio del matrimonio. Perciò l'unione con una donna che non è la propria moglie, cioè con una donna concubina, è contro la legge naturale.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Presso i pagani la legge naturale era offuscata in molte cose. Ecco perché non ritenevano peccaminoso l'uso di una concubina, ma consideravano lecito abbandonarsi ogni tanto alla fornicazione: come facevano per le altre cose contrarie alle leggi cerimoniali dei Giudei, sebbene queste non fossero contro natura. Per questo gli Apostoli inserirono il divieto della fornicazione tra quei precetti cerimoniali, a motivo della differenza esistente su questi due punti tra giudei e gentili.

2. La legge suddetta derivò non dall'istinto della legge naturale, ma dal suddetto offuscamento, in cui caddero i pagani per non aver reso a Dio la gloria dovuta, come scrive S. Paolo. Perciò col prevalere della religione cristiana, quella legge fu estirpata.

3. In certe cose come non c'è nessun inconveniente nel cedere ad altri in modo assoluto ciò che è di nostra proprietà, così non ce n'è alcuno nel darle temporaneamente: cosicché nessuna di tali donazioni è contro natura. Non è però così nel caso nostro. Perciò il paragone non regge.

4. L'ingiuria è il contrario della giustizia. Ora, la legge naturale non proibisce soltanto l'ingiustizia, ma ciò che è contrario a tutte le virtù. È contro la legge naturale, p. es., che uno mangi senza moderazione, sebbene chi agisce così non faccia torto a nessuno, mangiando del suo. — Inoltre, sebbene la schiava appartenga al padrone rispetto al servizio, non gli appartiene rispetto all'atto sessuale. C'è poi modo e modo di servirci di quanto ci appartiene. — Dopo tutto il concubinario fa ingiuria alla prole nascitura, perché l'unione suddetta non provvede sufficientemente al suo bene, come sopra abbiamo spiegato.

5. La moglie ha il dominio sul corpo del marito non in maniera assoluta e universale, ma solo in ordine al matrimonio. Essa quindi non può cedere a un'altra il corpo del marito contro il bene del matrimonio.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > Problemi annessi al matrimonio: la poligamia > Se la fornicazione semplice sia peccato mortale


Supplemento
Questione 65
Articolo 4

SEMBRA che la fornicazione semplice non sia peccato mortale.
Infatti:
1. La bugia è un peccato più grave della semplice fornicazione: ciò risulta dal fatto che Giuda, il quale non esitò a commettere fornicazione con Tamar, rifiutò di dire una bugia, affermando; "Essa certo non potrà accusarmi di menzogna". Ora, la bugia non sempre è peccato mortale. Dunque neppure la semplice fornicazione.

2. Il peccato mortale va punito con la morte. Ora, l'antica legge non punì mai con la morte la fornicazione concubinaria, eccetto qualche caso particolare. Essa, quindi, non è peccato mortale.

3. A detta di S. Gregorio, i peccati mortali della carne sono meno gravi dei peccati spirituali. Ma non sempre la superbia e l'avarizia, che pure sono peccati spirituali, sono colpe mortali. Dunque non può esserlo ogni fornicazione, che è peccato carnale.

4. Più la tentazione è forte, meno è grave il peccato: poiché pecca più gravemente chi si lascia vincere da una tentazione più debole. Ora, la massima istigazione della concupiscenza è quella verso il piacere venereo. Perciò, siccome il peccato di gola non sempre è peccato mortale, non sarà mortale neppure la semplice fornicazione.

IN CONTRARIO: 1. Dal regno di Dio non esclude che il peccato mortale. Ma i fornicatori, a detta di S. Paolo, sono esclusi dal regno di Dio. Dunque la fornicazione semplice è peccato mortale.

2. Solo i peccati mortali sono chiamati crimini. Ora, qualsiasi fornicazione è cosi denominata dalla Scrittura: "Stai lontano da ogni fornicazione, e non ti permettere mai di compiere un crimine con una che non sia tua moglie".

RISPONDO: Come abbiamo visto nel Secondo Libro, sono peccati mortali nel loro genere quegli atti che spezzano il vincolo d'amicizia con Dio o tra gli nomini: essi infatti sono incompatibili con i due precetti di quella carità, che è la vita dell'anima. Perciò, siccome il concubito fornicario toglie il doveroso impegno che i genitori hanno verso la prole, e che è nell'intenzione della natura; non c'è dubbio che la semplice fornicazione è per se stessa peccato mortale, anche se non esistesse nessuna legge scritta.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Spesso uomini che non evitano peccati mortali, evitano dei peccati veniali verso cui non sentono una propensione troppo forte. Così anche Giuda evitò la bugia, senza evitare la fornicazione. — Però nel caso si trattava di una bugia dannosa, poiché ne sarebbe seguita un'ingiustizia, se egli non avesse dato ciò che aveva promesso.

2. Il peccato mortale è così denominato non perché è punito con la pena di morte temporale, ma perché è punito con la pena eterna. Perciò anche il furto, che come altre colpe è peccato mortale, non sempre dalla legge è punito con la pena di morte. Lo stesso avviene per la fornicazione.

3. Come non è peccato mortale qualsiasi moto di superbia, così non lo è qualsiasi moto di lussuria: poiché i primi moti di lussuria sono peccati veniali, come anche talora certi atti matrimoniali. Tuttavia certi atti di lussuria sono peccati mortali, mentre alcuni moti di superbia sono peccati veniali: poiché nelle parole riferite di S. Gregorio si fa un confronto tra i vizi secondo il loro genere, non già rispetto ai singoli atti.

4. La circostanza più aggravante è quella che più si avvicina alla formalità specifica del peccato. Perciò, benché la fornicazione venga scusata per la gravità dell'incitamento, tuttavia per la materia su cui verte ha una gravità maggiore del mangiare disordinato: perché ha per oggetto cose che sono ordinate a stringere i legami della società umana. Perciò l'argomento non regge.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > Problemi annessi al matrimonio: la poligamia > Se un tempo fosse lecito avere la concubina


Supplemento
Questione 65
Articolo 5

SEMBRA che un tempo fosse lecito avere la concubina. Infatti:
1. Non avere la concubina è di legge naturale come avere una sola moglie. Ma un tempo era lecito avere più mogli. Quindi lo era pure avere la concubina.

2. Una donna non poteva essere simultaneamente schiava e moglie: poiché per il fatto stesso che una schiava veniva presa per moglie per legge diventava libera. Ora, di alcuni che erano amicissimi di Dio, p. es., di Abramo e di Giacobbe, si legge che ebbero rapporti sessuali con le loro schiave. Esse quindi non erano mogli. Perciò un tempo era lecito avere la concubina.

3. La donna che uno ha sposato non può essere cacciata via, e i suoi figli devono essere partecipi dell'eredità. Abramo invece cacciò di casa Agar, e il di lei figlio non ebbe eredità. Costei dunque non era moglie di Abramo.

IN CONTRARIO: 1. Ciò che contrasta con i precetti del Decalogo non fu mai lecito. Ma avere la concubina è contro il precetto: "Non commettere adulterio". Dunque non fu mai lecito.
2. S. Ambrogio ha scritto: "Non è permesso al marito ciò che non è permesso alla moglie". Ora, alla moglie non fu mai permesso avere rapporti con un altro uomo, lasciando il proprio marito. Quindi non fu mai lecito avere la concubina.

RISPONDO: Mosè Maimonide sostiene che prima che fosse data la legge la fornicazione non era peccato; e lo prova col fatto che Giuda ebbe rapporti sessuali con Tamar. — Ma questo argomento non persuade. Infatti non è necessario escludere che i figli di Giacobbe abbiano peccato: poiché furono accusati presso il loro padre di un crimine detestabile, e s'accordarono per uccidere o vendere Giuseppe.
Perciò essendo contro la legge naturale avere rapporti coniugali con una donna che non è la propria moglie, in nessun tempo ciò poteva esser lecito, neppure per una dispensa. Infatti tali rapporti, come sopra abbiamo visto, non sono azioni confacenti al bene della prole, che è il fine principale del matrimonio. Quindi essi sono contro i precetti primari della legge naturale, che non ammettono dispensa.
Perciò là dove nell'antico Testamento si legge che ebbero concubine santi personaggi non imputabili di peccato mortale, si deve pensare che costoro fossero unite loro in matrimonio, e che tuttavia bisogna denominarle concubine perché sotto un aspetto erano moglie e sotto un altro concubine. Nel matrimonio infatti in quanto è ordinato al fine principale che è il bene della prole, la moglie è unita al marito in modo indissolubile, o almeno per lungo tempo, come sopra abbiamo visto: e da questo lato non si ammettono dispense. Invece rispetto al fine secondario che è il governo della famiglia e lo scambio dei servizi, la moglie è unita al marito come compagna. E questo mancava in quelle donne denominate concubine. Perché ci poteva essere una dispensa, essendo un fine secondario del matrimonio. E da questo lato tali donne somigliavano alle concubine, e per questo ne prendevano il nome.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Avere più mogli non è contro i primi precetti della legge naturale come avere la concubina. Perciò l'argomento non regge.

2. Gli antichi patriarchi, usando la dispensa che li autorizzava ad avere più mogli, trattarono quelle schiave con affetto maritale. Esse infatti erano mogli rispetto al fine primario e principale del matrimonio. Invece non lo erano rispetto al legame che costituisce il fine secondario, e che è incompatibile con la condizione servile, non potendo una donna essere insieme compagna e schiava.

3. Come vedremo in seguito, per evitare l'uccisione delle mogli la legge mosaica permetteva per dispensa di dare il libello del ripudio; ebbene, in forza della medesima dispensa era lecito ad Abramo cacciar via Agar, per significare il mistero di cui parla S. Paolo nell’Epistola ai Galati. Così pure ha significato simbolico il fatto che il figlio di lei fu diseredato. Lo stesso del resto è detto di Esaù, che pure era figlio di una donna libera. Parimente ha un significato simbolico che fossero eredi ugualmente i figli di Giacobbe, sia quelli nati da schiave, che quelli nati da donne libere; perché, come spiega S. Agostino, "a Cristo nascono dei figli sia mediante buoni ministri, prefigurati nelle donne libere, sia mediante quelli cattivi, prefigurati nelle schiave".

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