Sup, 54

Terza parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > L'impedimento di consanguineità


Supplemento
Questione 54
Proemio

Passiamo così a parlare dell'impedimento di consanguineità.
In proposito si pongono quattro quesiti:

1. Se la consanguineità sia stata ben definita;
2. Se le sue divisioni siano desunte giustamente dai gradi e dalle linee;
3. Se essa impedisca il matrimonio per legge naturale;
4. Se la Chiesa possa stabilire i gradi di parentela che impediscono il matrimonio.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > L'impedimento di consanguineità > Se la definizione data della consanguineità sia esatta


Supplemento
Questione 54
Articolo 1

SEMBRA che non sia accettabile la definizione seguente della consanguineità: "La consanguineità è il vincolo contratto tra persone discendenti dal medesimo capostipite mediante la generazione naturale". Infatti:
1. Tutti gli uomini discendono dal medesimo capostipite per figliolanza naturale, cioè da Adamo. Perciò se la definizione suddetta fosse esatta, tutti gli uomini sarebbero consanguinei. Il che è falso.

2. Un vincolo non può sussistere che tra persone le quali hanno un rapporto di somiglianza; perché il vincolo unisce. Ora, tra i discendenti da un medesimo casato la somiglianza reciproca non è superiore a quella esistente tra gli altri uomini: poiché sono simili nella specie e differenti nel numero. Perciò la consanguineità non costituisce un vincolo.

3. La generazione, come insegna il Filosofo, avviene mediante "il superfluo della nutrizione". Ma tale superfluo è più affine con le sostanze commestibili, essendo della stessa natura, che con colui che le ingerisce. Quindi, come non nasce un vincolo di consanguineità tra chi deriva da codesto seme e le sostanze commestibili, così non nasce un vincolo di affinità dalla generazione carnale.

4. Labano disse a Giacobbe a motivo della loro parentela: "Tu sei mio osso e mia carne". Perciò tale affinità va denominata più carnalità che consanguineità.

5. La generazione carnale è comune agli uomini e agli animali. Ma con essa gli animali non contraggono un vincolo di consanguineità. Non lo contraggono quindi neppure gli uomini.

RISPONDO: Come nota il Filosofo, "qualsiasi amicizia si fonda su una comunicazione, o comunanza". E poiché l'amicizia è un legame, ovvero un'unione, la comunanza, che è causa dell'amicizia, viene denominata vincolo. Ecco perché per qualsiasi comunanza certe persone si dicono collegate tra loro: si dicono concittadini, p. es., quelli che hanno tra loro una comunanza politica, e commilitoni quelli che sono associati in una impresa militare. Così quelli che convengono tra loro in una comunanza di natura, ossia di origine, si dicono consanguinei. Perciò nella suddetta divisione il vincolo funge quasi da genere della consanguineità; le "persone discendenti dal medesimo capostipite", tra le quali esiste codesto vincolo, indicano il soggetto cui si applica; e la "generazione naturale" il principio di questo legame.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La virtù attiva non viene ricevuta negli strumenti nella stessa perfezione con cui si trova nell'agente principale. E poiché come ogni motore mosso costituisce quasi uno strumento, la virtù di un motore che è primo in un dato genere, se passa attraverso vari soggetti intermedi, finalmente cessa arrivando a un soggetto che è mosso soltanto e non motore. Ora, la virtù del genere muove non soltanto alla forma specifica, ma anche alle particolarità individuali, per cui i figli somigliano al padre anche negli accidenti e non solo nella specie. Tuttavia la virtù individuale del padre nel figlio non è così perfetta come era nel padre; e nel nipote meno ancora; cosicché gradatamente si attenua. E finalmente viene a cessare.
E poiché la consanguineità consiste nel partecipare di tale virtù in forza della generazione, "un po' per volta la consanguineità distrugge se stessa", come dice S. Isidoro. Perciò nella definizione della consanguineità il capostipite non è quello remoto, ma quello prossimo, la cui virtù attiva rimane ancora nei discendenti.

2. Risulta da quanto abbiamo detto sopra, che i consanguinei non somigliano soltanto nella natura specifica, ma anche nella virtù individuale derivata in molti da un unico capostipite: cosicché può avvenire che il figlio somigli non solo al padre, ma al nonno, o ai proavi, come nota Aristotele.

3. La somiglianza va riscontrata più in base alla forma, per cui una cosa è in atto, che in base alla materia per cui è in potenza: il carbone acceso, p. es., è più simile al fuoco che all'albero da cui furono tagliate le legna. Allo stesso modo il nutrimento già trasformato dalla facoltà di nutrizione è più simile al soggetto nutrito, che alla sostanza da cui il nutrimento era stato desunto.
L'argomento invece sarebbe valido secondo l'opinione di coloro, i quali dicevano che la materia costituisce tutta l'essenza di una cosa, mentre le forme sarebbero solo accidenti. Il che è falso.

4. Ciò che immediatamente si converte in seme è il sangue, come Aristotele dimostra. Ecco perché è più giusto chiamare consanguineità piuttosto che carnalità il vincolo che si contrae con la generazione carnale. E quando si dice che un consanguineo è "carne dell'altro", ciò si deve al fatto che il sangue, il quale si trasforma in sperma e in mestruo, è in potenza carne e ossa.

5. Alcuni per spiegare perché il vincolo di consanguineità si contrae tra gli uomini e non tra gli animali, affermano che quanto c'è di reale natura umana in tutti gli uomini sarebbe stato nel nostro progenitore: il che non avviene per gli animali. – Ma stando a questo la consanguineità non avrebbe limiti. Del resto tale posizione l'abbiamo confutata in precedenza. Perciò rispondiamo che ciò avviene perché gli animali in forza della generazione da un comune prossimo ascendente non contraggono un vincolo di amicizia, come invece avviene tra gli uomini, secondo le spiegazioni date.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > L'impedimento di consanguineità > Se la consanguineità sia ben divisa per linee e gradi


Supplemento
Questione 54
Articolo 2

SEMBRA che la consanguineità non sia ben divisa per linee e gradi. Infatti:
1. Per linea di consanguineità s'intende "una serie ordinata di persone unite dal vincolo del sangue, discendendo esse da un medesimo capostipite, che abbraccia vari gradi". Ma la consanguineità altro non è che la serie di tali persone. Perciò la linea suddetta altro non è che la stessa consanguineità. Ora, nessuna cosa può servire a dividere se stessa. Dunque non è giusto dividere la consanguineità mediante linee di parentela.

2. Le divisioni di un termine più universale non devono riscontrarsi nella definizione di esso. Ora la discendenza si riscontra nella definizione surriferita della consanguineità. Perciò la consanguineità non si può dividere in linea ascendente, discendente e collaterale.

3. La linea si definisce come distanza "tra due punti". Ma due punti non costituiscono che un grado. Perciò una linea non ha che un grado solo. Quindi è identica la divisione della consanguineità per linee e per gradi.

4. Per definizione il grado è "il rapporto esistente tra persone distanti, che misura la distanza reciproca". Ora, essendo invece la consanguineità una prossimità, tale distanza si oppone alla consanguineità e non può essere una divisione della medesima. Dunque la consanguineità non si divide per gradi.

5. Se la consanguineità si divide e si conosce mediante i gradi, è indispensabile che quanti sono parenti nel medesimo grado siano ugualmente consanguinei. Ma questo è falso: poiché, come dicono le Decretali, il prozìo e il pronipote sono nel medesimo grado, ma non sono ugualmente consanguinei. Perciò la consanguineità non è ben divisa per gradi.

6. In una serie ordinata di cose, qualsiasi aggiunta fa passare al grado superiore: ogni unità, p. es., aggiunta a un numero determina una nuova specie di numero. Invece l'aggiunta di un altro
parente non sempre determina un grado diverso di consanguineità: poiché aggiungendo al padre lo zio paterno il grado di consanguineità rimane lo stesso. Perciò la consanguineità non va distinta mediante i gradi.

7. Tra due persone imparentate la distanza di consanguineità è sempre la stessa: poiché entrambi gli estremi di una distanza sono sempre tra loro ugualmente distanti. Invece il grado di consanguineità non è sempre identico da entrambe le parti: perché talora da un lato la consanguineità è in terzo grado e dall'altro in quarto grado. Dunque il rapporto di consanguineità non si può ben conoscere mediante i gradi.

RISPONDO: La consanguineità è un legame fondato su una comunanza di natura, derivante dall'atto della generazione con il quale la natura si propaga. Ora, tale comunanza, a detta del Filosofo, può avere tre forme. La prima quale relazione tra causa ed effetto; ed è la consanguineità del padre rispetto al figlio.
Cosicché, secondo la sua espressione, "i genitori amano i figli come qualche cosa di se stessi". - La seconda quale relazione tra effetto e causa: ed è quella tra figli e genitori; cosicché "i figli amano i loro genitori quali cause della loro esistenza". - La terza è basata sulla relazione reciproca tra esseri derivanti dal medesimo principio, o causa: e sono i fratelli, p. es., che, a detta del medesimo Autore, "nascono dalle stesse persone". - E poiché un punto in movimento produce una linea, e mediante la generazione il padre discende in qualche modo nel figlio, in base alle tre relazioni suddette si desumono tre linee di consanguineità: discendente, ascendente e collaterale.
E poiché il moto generativo non si arresta al termine definito, ma è in continuo sviluppo, si possono riscontrare il padre del padre e i figli del figlio e così via. E secondo questi vari sviluppi si hanno diversi gradi nella stessa linea. E poiché i gradi di una cosa formano le parti di essa, i gradi di vicinanza non esistono dove non c'è vicinanza. Ecco perché l'identità e la troppa distanza eliminano i gradi di consanguineità: poiché nessuno può essere vicino o simile a se stesso. Per questo nessuna persona costituisce per se stessa un grado; ma solo in relazione a un'altra persona.
Tuttavia diversi sono i modi di computare i gradi nelle diverse linee. Infatti il grado di consanguineità nelle linee ascendenti e discendenti si contrae tra due persone per il fatto che una deriva da un'altra. In base quindi alla legge ecclesiastica come a quella civile, la persona che nel processo generativo si riscontra per prima, o risalendo o discendendo, dista da un individuo, da Pietro p. es., in primo grado, come padre e figlio; quella che si riscontra seconda dista in secondo grado, come nonno e nipote; e così via.
La consanguineità invece di coloro che sono parenti in linea collaterale, non si contrae per derivazione dell'uno dall'altro, ma per il fatto che derivano entrambi da un capostipite. Perciò il grado di consanguineità va computato qui in rapporto all'unico principio da cui entrambi derivano. Su questo però la computazione della legge ecclesiastica differisce da quella civile: poiché quella civile somma i gradi di discendenza dal ceppo comune di entrambe le parti; quella ecclesiastica invece conta quelli di una parte soltanto, cioè di quella in cui si riscontrano più numerosi gradi. Perciò secondo il computo della legge civile fratello e sorella, o due fratelli, sono consanguinei in secondo grado. Invece secondo il computo ecclesiastico due fratelli sono consanguinei in primo grado: perché nessuno dei due dista dalla radice comune più di un grado. Invece il figlio di un fratello dista dal fratello di suo padre in secondo grado: perché tanti sono i gradi che li dividono dalla radice comune. Perciò secondo il computo ecclesiastico quanti sono i gradi che separano una persona da un ascendente comune, tanta è la distanza che la separa da qualsiasi discendente, e mai può essere minore; poiché "la causa è sempre superiore all'effetto". Sebbene, quindi, gli altri che discendono da un capostipite comune siano consanguinei di una data persona in forza di codesto capostipite, non possono essere vicini a chi ne discende in altro modo, più di quanto codesto discendente è vicino al capostipite stesso. Talora invece la distanza maggiore nella parentela può essere da parte degli altri; i quali forse distano dal capostipite comune più dell'interessato; ma la consanguineità va sempre computata dalla maggiore distanza.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'obbiezione parte da un falso presupposto. Infatti la consanguineità non è una serie di persone, ma una relazione esistente tra di esse, la cui serie produce la consanguineità.

2. La discendenza in senso lato si riscontra in qualsiasi linea di consanguineità; poiché l'origine carnale, per cui si contrae il vincolo di consanguineità è una discendenza. Ma la discendenza specifica, cioè la derivazione dai maggiori della persona di cui si cerca la consanguineità, costituisce la linea discendente.

3. La linea si può prendere in due sensi. In senso proprio per la dimensione che è la prima specie della quantità continua. In tal senso la linea retta contiene in maniera attuale due soli punti, che ne sono i termini; ma virtualmente ne contiene infiniti, e con la determinazione attuale di ciascuno la linea si divide, e se ne formano due. - Talora invece per linea s'intendono le cose allineate. E in tal senso si ha la linea e la figura nei numeri, in quanto nei numeri un'unità viene dopo l'altra. Cosicché ogni unità successiva è un grado in codesta linea. Lo stesso si dica per la linea di consanguineità. Ecco perché una linea contiene più gradi.

4. Come non può esserci somiglianza, se non c'è una certa diversità, così non può esserci prossimità, se non c'è una certa distanza. Perciò non una distanza qualsiasi si contrappone alla consanguineità, ma una tale distanza che la escluda.

5. Come la bianchezza può dirsi maggiore in due modi, cioè in intensità e in estensione; così la consanguineità può dirsi maggiore o minore in intensità, cioè per la natura di essa, oppure in estensione: e in questo senso la consanguineità è misurata dal numero delle persone interposte nel processo di origine. Ed è in questo secondo senso che si distinguono i gradi di consanguineità.
Ecco perché può capitare che di due i quali si trovano nel medesimo grado di consanguineità rispetto a una data persona, l'uno sia ad essa più consanguineo dell'altro rispetto all'intensità di questo legame: il padre e il figlio, p. es., sono per un individuo consanguinei in primo grado, poiché in entrambi i casi non intercorre tra loro una persona intermedia; ma quanto a intensità è più consanguineo il padre che il fratello, poiché il fratello non è consanguineo se non in quanto deriva dal medesimo padre. Perciò quanto uno è prossimo allo stipite comune da cui deriva la consanguineità, tanto più è consanguineo, sebbene non lo sia in un grado più prossimo. E in tal senso il prozìo per una persona è più consanguineo di un pronipote, sebbene entrambi lo siano nello stesso grado.

6. Sebbene padre e zio paterno siano nello stesso grado rispetto alla radice da cui nasce la consanguineità, perché entrambi distano di un grado dal nonno; tuttavia rispetto alla persona di cui si cerca la consanguineità non sono nel medesimo grado: perché il padre è consanguineo in primo grado, lo zio invece non può esserlo che in secondo grado, cioè come il nonno.

7. Due persone distano sempre tra loro nello stesso numero di gradi, quantunque talora non distino allo stesso modo, come abbiamo già spiegato, dal capostipite comune.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > L'impedimento di consanguineità > Se la consanguineità impedisca il matrimonio per legge naturale


Supplemento
Questione 54
Articolo 3

SEMBRA che la consanguineità non impedisca il matrimonio per legge naturale. Infatti:
1. Nessuna donna può essere più prossima ad un uomo di quanto lo fu Eva per Adamo, della quale egli disse: "Ora sì che questo è osso delle mie ossa e carne della mia carne". Ma Eva fu a lui unita in matrimonio. Dunque nessuna consanguineità per legge di natura è un impedimento al matrimonio.

2. La legge naturale è identica presso tutti i popoli. Ora, presso i popoli barbari nessun consanguineo è escluso dal matrimonio. Quindi per legge naturale la consanguineità non è un impedimento al matrimonio.

3. Come dice il Digesto, "è legge naturale ciò che la natura ha insegnato a tutti gli animali". Ora gli animali bruti si accoppiano con la loro madre. Dunque non è per legge naturale che certe persone sono escluse dal matrimonio a motivo della consanguineità.

4. Ciò che non pregiudica un bene del matrimonio non può essere un impedimento. Ma la consanguineità non pregiudica nessun bene del matrimonio. Quindi non può impedirlo.

5. Tra le cose più prossime e più simili l'unione è più perfetta e duratura. Ora, il matrimonio è un'unione. Essendo dunque la consanguineità una prossimità, non è un impedimento, ma un'agevolazione del matrimonio.

IN CONTRARIO: 1. Ciò che impedisce il bene della prole impedisce per legge naturale il matrimonio. Ma la consanguineità impedisce il bene della prole; poiché, come nota S. Gregorio, "abbiamo appreso dall'esperienza che da tale matrimonio non può svilupparsi la prole". Dunque la consanguineità per legge naturale è impedimento al matrimonio.

2. Ciò che si riscontra nella prima origine della natura umana è di legge naturale. Ma alla natura umana nella sua prima origine fu imposto che il padre e la madre fossero esclusi dal matrimonio; il che è evidente da quelle parole della Genesi: "Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre", le quali non possono riferirsi alla coabitazione, e quindi debbono riferirsi all'unione matrimoniale. Perciò per legge naturale, la consanguineità impedisce il matrimonio.

RISPONDO: Nel matrimonio è contro la legge naturale ciò che lo rende inadatto rispetto al fine cui è ordinato. Ora, il fine primario ed essenziale del matrimonio è il bene della prole. E questo viene impedito dal primo grado di consanguineità, cioè tra padre e figlia, o tra figlio e madre, non già totalmente, poiché la figlia può generare dal seme paterno e quindi nutrire e istruire la prole assieme al padre; ma non può farlo in maniera conveniente. È un disordine infatti che si unisca al padre come compagna nel matrimonio, per generare ed educare la prole, una figlia la quale è tenuta a una totale sottomissione verso il padre come sua creatura. Perciò è di legge naturale che il padre e la madre siano esclusi dal matrimonio. E la madre più ancora del padre; poiché la riverenza che i figli devono ai genitori sarebbe più compromessa dal matrimonio di un figlio con la madre, che da quello di una figlia col padre, dovendo essere la moglie in qualche modo sottomessa al marito.
Fine poi secondario del matrimonio è la repressione della concupiscenza. E questo verrebbe compromesso, se si potesse sposare qualsiasi consanguinea: poiché si offrirebbe un grande incentivo alla concupiscenza, qualora non fosse interdetta la copula carnale tra le persone che sono tenute a convivere nella stessa casa. Ecco perché la legge divina non solo escluse il matrimonio col padre e la madre, ma anche con gli altri consanguinei con i quali si deve convivere, e che sono deputati a custodi della pudicizia reciproca. A tale motivo accenna la legge divina là dove dice: "Non scoprire la nudità di tali e tali persone perché è la tua nudità".
Inoltre fine accidentale del matrimonio è l'affratellamento e l'amicizia, poiché l'uomo si comporta verso i consanguinei della moglie come verso i suoi. Quindi si pregiudicherebbe tale espansione, se uno sposasse una donna del proprio sangue: perché dal matrimonio non nascerebbe nessuna nuova amicizia. Ecco perché le leggi umane ed ecclesiastiche proibiscono le nozze entro vari gradi di consanguineità.
Risulta quindi che la consanguineità rispetto a certe persone è un impedimento al matrimonio per legge naturale; rispetto ad altre lo è per legge divina; e per altre ancora lo è per legge umana positiva.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Eva, sebbene derivasse da Adamo, non era figlia di Adamo: poiché non ne derivò nel modo col quale l'uomo genera i suoi simili, ma mediante un intervento divino, col quale dalla costa di Adamo si sarebbe potuto fare un cavallo come fu fatta Eva. Perciò la prossimità di Eva con Adamo non è così naturale come quella della figlia col padre. Né Adamo fu principio naturale di Eva, come un padre lo è di sua figlia.

2. Che certi barbari usino accoppiarsi con i loro genitori non deriva dalla legge naturale, ma dall'ardore della concupiscenza, il quale in essi ha offuscato la legge naturale.

3. Si dice che l'accoppiamento tra maschio e femmina è di diritto naturale, perché la natura l'ha insegnato a tutti gli animali. L'ha insegnato però diverso per i diversi animali, secondo l'indole di ciascuno. Ora, l'accoppiamento con i genitori deroga alla riverenza ad essi dovuta: la natura infatti, come ha infuso nei generanti l'istinto di provvedere ai figli, così infuse nei figli la riverenza verso i genitori. A nessun animale però, all'infuori dell'uomo, essa ha infuso la sollecitudine perpetua dei genitori verso i figli, né la perpetua riverenza dei figli verso i genitori: che negli altri animali i figli sono necessari ai genitori, o i genitori ai figli solo per un tempo più o meno lungo. Cosicché in certi animali il figlio aborrisce l'accoppiamento con la madre, fino a che rimane in lui la conoscenza e il rispetto di essa come madre: e il Filosofo lo dimostra con l'esempio del cammello e del cavallo. E poiché tutte le abitudini oneste degli animali sono concentrate per natura nell'uomo, e in modo più perfetto che in essi, l'uomo aborrisce per natura non solo di accoppiarsi con la madre, ma anche con la figlia, il che sarebbe meno contro natura, secondo le spiegazioni date. Inoltre gli animali, a differenza degli uomini, non contraggono consanguineità dalla generazione carnale. Perciò il paragone non regge.

4. Abbiamo già dimostrato come la consanguineità dei coniugi pregiudichi il bene del matrimonio. Perciò l'argomento poggia su un falso presupposto.

5. Non è affatto strano che di due tipi di unione l'uno sia incompatibile con l'altro: cioè come l'identità esclude la somiglianza. Parimente il vincolo della consanguineità impedisce l'unione coniugale.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > L'impedimento di consanguineità > Se la Chiesa possa fissare al quarto grado il vincolo di consanguineità che impedisce il matrimonio


Supplemento
Questione 54
Articolo 4

SEMBRA che la Chiesa non possa fissare al quarto grado il vincolo di consanguineità che impedisce il matrimonio. Infatti:
1. Nel Vangelo si legge: "L'uomo non separi ciò che Dio ha unito". Ora, coloro che sono uniti dal vincolo di consanguineità in quarto grado furono uniti da Dio: poiché nella legge divina la loro unione non era proibita. Dunque essi non devono essere separati dalla legge umana.

2. Il matrimonio è un sacramento, come il battesimo. Ora, una legge della Chiesa non può impedire che chi riceve il battesimo, essendone idoneo secondo la legge divina, non riceva il carattere battesimale. Perciò una deliberazione della Chiesa non può invalidare un matrimonio tra persone cui la legge divina non lo proibisce.

3. La legge positiva non può abrogare o ampliare le cose di ordine naturale. Ma la consanguineità è un vincolo naturale, che di suo impedisce il matrimonio. Dunque la Chiesa non può fare con una legge che certe persone possano o non possano unirsi in matrimonio: come non può fare che siano o non siano consanguinee.

4. Una norma di diritto positivo deve avere un motivo ragionevole; poiché deriva dalla legge naturale in forza di codesto motivo. Ma i motivi che vengono addotti per il numero dei gradi sembrano del tutto irragionevoli, non avendo nessun rapporto con le cose motivate: come, p. es., che la proibizione della consanguineità fino al quarto grado è in rapporto ai quattro elementi; fino al sesto in rapporto alle sei età del mondo; e fino a sette in rapporto alla settimana che abbraccia tutto il tempo. Dunque tale proibizione non ha nessun valore.

5. L'identica causa avrà necessariamente il medesimo effetto. Ma le cause per le quali la consanguineità impedisce il matrimonio sono il bene della prole, la repressione della concupiscenza e la espansione dell'amicizia, come sopra abbiamo visto. Perciò esse avrebbero dovuto impedire il matrimonio in tutti i tempi per gli stessi gradi di consanguineità. Il che non è vero: poiché adesso la consanguineità impedisce fino al quarto grado e in antico fino al settimo.

6. L'identica unione non può essere insieme un sacramento ed uno stupro. Ora, ciò avverrebbe se la Chiesa avesse il potere di cambiare i gradi di consanguineità che sono impedimento del matrimonio: cosicché persone imparentate in quinto grado avrebbero commesso uno stupro quando ciò era proibito; e dopo la revoca dell'impedimento da parte della Chiesa il loro sarebbe diventato un matrimonio. E viceversa potrebbe capitare che i gradi ora ammessi in seguito siano interdetti dalla Chiesa. Sembra dunque che l'autorità della Chiesa non si estenda a questo.

7. La legge umana deve imitare quella divina. Ora, secondo la legge divina contenuta nel vecchio Testamento i gradi proibiti non sono dello stesso numero in linea ascendente e in linea discendente: poiché nell'antica legge, p. es., era proibito di prendere per moglie la zia paterna, ma non la figlia del proprio fratello. Perciò anche adesso non deve esserci una proibizione identica per i nipoti e gli zii.

IN CONTRARIO: 1. Il Signore ha detto ai suoi discepoli: "Chi ascolta voi ascolta me". Dunque il precetto della Chiesa è valido come il precetto di Dio. Ma la Chiesa talora ha permesso e talora ha proibito gradi di consanguineità che l'antica legge non proibiva. Dunque codesti gradi [se proibiti] impediscono il matrimonio.

2. Come un tempo i matrimoni dei pagani erano regolati dalle leggi civili, così ora i matrimoni sono regolati dalle leggi ecclesiastiche. Ma allora le leggi civili determinavano i gradi di consanguineità che impedivano il matrimonio. Perciò adesso questo dev'essere stabilito dalle leggi ecclesiastiche.

RISPONDO: L'impedimento di consanguineità fu più o meno esteso nei vari gradi secondo le epoche. Infatti all'inizio del genere umano fu escluso il matrimonio solo col padre e la madre: perché allora erano pochi gli uomini, e bisognava attendere col massimo impegno alla propagazione della specie; cosicché la proibizione si limitava a quelle persone che sarebbero state inadatte a raggiungere lo stesso fine primario del matrimonio, che è il bene della prole, per i motivi sopra indicati.
In seguito, essendosi ormai propagato il genere umano, dalla legge di Mosè, la quale cominciava a reprimere la concupiscenza, furono escluse molte altre persone. Come dice infatti Mosè Maimonide, furono allora vietate le nozze con tutte quelle persone che son solite abitare in una stessa famiglia: perché se tra costoro fosse lecita la copula carnale, si darebbe un grande incentivo alla libidine. Però l'antica legge ammise il matrimonio in certi altri gradi di consanguineità: anzi talora in qualche modo lo comandò, prescrivendo che ognuno prendesse in moglie una donna "del proprio parentado"; perché allora il culto del vero Dio veniva propagato con l'espansione della famiglia.
Ma con l'avvento della nuova legge, che è "legge dello Spirito" e dell'amore, furono proibiti molti gradi di consanguineità: perché ormai il culto di Dio viene propagato e moltiplicato, non con la generazione carnale, ma mediante la grazia spirituale; e quindi è necessario che gli uomini si astengano maggiormente dalle cose della carne, per attendere a quelle dello spirito; e inoltre perché si espanda maggiormente l'amore.
Ecco perché nei primi tempi del cristianesimo la consanguineità impediva il matrimonio fino ai suoi gradi più remoti: affinché l'amicizia naturale abbracciasse il più gran numero di persone con la consanguineità e l'affinità. E giustamente fu stabilito fino al settimo grado; sia perché oltre codesto grado non si conserva facilmente il ricordo della radice comune, sia perché allude alla grazia settiforme dello Spirito Santo.
In seguito però, cioè in questi ultimi tempi, la proibizione della Chiesa si è ristretta al quarto grado: perché proibire i gradi successivi di consanguineità era inutile e pericoloso. Inutile, perché verso i consanguinei più lontani non si ha quasi nessun rapporto di amicizia superiore a quello verso gli estranei, "col raffreddarsi della carità nel cuore di molti". Pericoloso, perché col prevalere della concupiscenza e della negligenza, gli uomini non curavano la grande estensione della consanguineità: e quindi la proibizione delle nozze nei gradi più remoti costituiva per molti "un laccio di perdizione".
D'altra parte ragioni di convenienza giustificano la riduzione del divieto fino al quarto grado. Sia perché gli uomini sono soliti vivere fino alla quarta generazione: cosicché il ricordo della consanguineità non può cancellarsi dalla memoria. Ed è per questo che il Signore ha minacciato di vendicare i peccati dei genitori "fino alla terza e alla quarta generazione". - Sia perché in ogni generazione si fa una nuova mescolanza del sangue, la cui identità invece costituisce la consanguineità; e tanto più si mescola con altro sangue tanto più si discosta dal primo. E poiché quattro sono gli elementi, ciascuno dei quali tanto più è mescolabile quanto più è sottile, avviene che nella prima mistura svanisce l'identità quanto al primo elemento che è il più sottile; nella seconda quanto al secondo; nella terza quanto al terzo; e nella quarta rispetto al quarto. Quindi è giusto che dopo la quarta generazione si possa rinnovare l'unione carnale.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio come non unisce coloro che si uniscono contro le leggi divine, così non unisce coloro che si uniscono contro le leggi della Chiesa, le quali obbligano come i precetti di Dio.

2. Il matrimonio non è soltanto un sacramento, ma anche un compito sociale. Perciò esso è soggetto alle disposizioni della gerarchia ecclesiastica più del battesimo, che è solo un sacramento: poiché come i contratti e i compiti civili sono sottoposti alle leggi umane, così i contratti e i compiti spirituali sono sottoposti alle leggi ecclesiastiche.

3. Sebbene il vincolo di consanguineità sia di ordine naturale, tuttavia non dipende dalla natura che esso impedisca il vincolo coniugale, se non per i gradi più stretti, secondo le spiegazioni date. Perciò la Chiesa con le sue leggi non può far sì che alcuni siano o non siano consanguinei, perché in tutti i tempi essi tali rimangono: ma fa sì che i rapporti coniugali siano leciti o illeciti nei vari tempi secondo i vari gradi di consanguineità.

4. Quei motivi sono addotti come ragioni accomodatizie e di congruenza, più che come ragioni vere ed apodittiche.

5. Come abbiamo già spiegato non sono identici motivi per proibire il matrimonio nei vari gradi di consanguineità nelle varie epoche. Perciò quello che in un dato tempo viene utilmente concesso, in un'altra epoca può essere salutare che venga proibito.

6. Una legge impone delle norme non alle cose passate, bensì a quelle future. Quindi se adesso venisse proibito il quinto grado che finora era ammesso, i coniugi che sono parenti in quinto grado non possono essere perciò separati: perché nessun impedimento successivo al contratto matrimoniale è in grado di dirimerlo.
Perciò l'unione che era vero matrimonio non diviene uno stupro per la legge posta dalla Chiesa. - Parimenti, se fosse ammesso in seguito un grado di parentela che adesso è proibito, un'unione illegittima del genere non diventerebbe matrimoniale in base al contratto precedente in forza della legge ecclesiastica: perché volendo adesso costoro potrebbero separarsi. Tuttavia potrebbero rinnovare il contratto, e da allora l'unione loro sarebbe legittima.

7. Nel proibire il matrimonio tra consanguinei la Chiesa tiene conto soprattutto dei legami d'amore. E poiché l'amore verso i nipoti non è minore a quello verso gli zii, anzi maggiore, cioè quanto il figlio è più legato al padre che il padre ai figli, come nota Aristotele; il grado di consanguineità relativo agli zii fu proibito ugualmente, come quello relativo ai nipoti.
Invece l'antica legge in queste proibizioni, volendo reprimere la concupiscenza, teneva conto specialmente della coabitazione, proibendo il matrimonio tra quelle persone cui sarebbe più facile avvicinarsi per l'abitazione in comune. Ora, capita più facilmente che la nipote coabiti con lo zio, piuttosto che coabiti la zia col nipote: poiché la figlia quasi s'identifica col padre, essendo qualche cosa di lui; la sorella invece non ha tale rapporto col fratello, non essendo qualche cosa di lui, essendo piuttosto derivata con lui dal medesimo genitore. Perciò il motivo per escludere la nipote non era identico a quello che escludeva la zia.

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