Sup, 52

Terza parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > L'impedimento della condizione servile


Supplemento
Questione 52
Proemio

Veniamo ora a considerare l'impedimento della condizione servile.
Sull'argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se la condizione servile impedisca il matrimonio;
2. Se uno schiavo possa contrarre matrimonio senza il consenso del padrone;
3. Se un ammogliato possa ridursi in schiavitù, senza il consenso della moglie;
4. Se i figli debbano seguire la condizione del padre o quella della madre.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > L'impedimento della condizione servile > Se la condizione servile impedisca il matrimonio


Supplemento
Questione 52
Articolo 1

SEMBRA che la condizione servile non impedisca il matrimonio.
Infatti:
1. Impedisce il matrimonio solo ciò che è incompatibile con esso. Ora, la schiavitù non ha nessuna incompatibilità in questo senso: altrimenti non potrebbero esserci matrimoni tra schiavi. Dunque la schiavitù non impedisce il matrimonio.

2. Ciò che è contro natura non può impedire ciò che è secondo natura. Ma la schiavitù è contro natura; poiché, a detta di San Gregorio, "è contro natura che l'uomo voglia dominare sull'uomo". Il che risulta anche dal fatto che all'uomo fu detto di "presiedere ai pesci del mare, ecc."; non già di "presiedere sull'uomo". Perciò la schiavitù non può impedire il matrimonio, che è cosa naturale.

3. Se essa è un impedimento, o lo è per diritto naturale, o per diritto positivo. Ma non lo è per diritto naturale: perché secondo tale diritto "tutti gli uomini sono uguali", come afferma S. Gregorio; e all'inizio del Digesto si dice che la schiavitù non è di diritto naturale. Ora, il diritto positivo deriva da quello naturale, come scrive Cicerone. Quindi secondo nessun diritto la schiavitù può impedire il matrimonio.

4. Un impedimento impedisce il matrimonio, sia che si conosca, sia che non si conosca, com'è evidente nel caso della consanguineità. Ma la schiavitù, se è conosciuta dall'altro contraente, non impedisce il matrimonio. Quindi la schiavitù di suo non può essere un impedimento matrimoniale. Perciò non dovrebbe essere elencata tra essi come un impedimento distinto.

5. Come ci si può ingannare sullo stato di schiavitù, in modo da ritenere libero chi è schiavo, così ci si può ingannare pensando che sia schiava una persona libera. Eppure la libertà non è considerata un impedimento del matrimonio. Dunque non si deve così considerare neppure lo stato servile.

6. Rende più gravoso il legame matrimoniale e impedisce maggiormente il bene della prole la malattia della lebbra che lo stato di schiavitù. Ma la lebbra non è posta tra gli impedimenti del matrimonio. Quindi non va elencata tra essi neppure la schiavitù.

IN CONTRARIO: 1. Le Decretali stabiliscono che l'errore sulla condizione servile impedisce di contrarre matrimonio, e dirime il matrimonio contratto.

2. Il matrimonio, per la sua onestà, è tra i beni per se stessi desiderabili. Invece la schiavitù è tra le cose per se stesse repellenti. Perciò matrimonio e schiavitù sono incompatibili. Quindi la schiavitù impedisce il matrimonio.

RISPONDO: In forza del contratto matrimoniale un coniuge è tenuto a rendere il debito all'altro. Quindi, se colui che si obbliga non ha la capacità di renderlo, l'ignoranza di tale impotenza da parte dell'altro contraente annulla il contratto. Ora, come l'impotenza rende del tutto incapaci a rendere il debito, così la schiavitù impedisce che si possa rendere liberamente. Perciò, come l'impotenza è un impedimento del matrimonio, quando è sconosciuta, e non lo è quando è conosciuta, così la condizione servile impedisce se ignorata, ma non impedisce se è conosciuta.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La schiavitù è incompatibile col matrimonio, sia rispettivamente all'atto cui uno si obbliga verso il coniuge, e che egli non può porre liberamente; sia rispetto al bene della prole, la quale subisce la condizione servile dei genitori. Ma poiché ciascuno può spontaneamente rinunziare a un proprio diritto accettando una menomazione, se un contraente conosce la condizione servile dell'altro, il matrimonio è valido.
Inoltre, poiché l'obbligo di rendere il debito è identico per i due contraenti, uno non può pretendere dall'altro più di quanto egli può dare. Ecco perché, se uno schiavo contrae matrimonio con una schiava che crede libera, non c'è un impedimento nel loro matrimonio.
È dunque evidente che lo stato di schiavitù non dirime il matrimonio, se non quando è ignorata dall'altro contraente, e questi sia di libera condizione. Niente perciò impedisce che ci siano matrimoni tra schiavi, o tra un uomo libero e una schiava.

2. Niente impedisce che una cosa sia contro l'intenzione prima della natura, senza essere contro l'intenzione seconda della medesima. Ogni corruzione, p. es., deficienza o invecchiamento è contro natura, come nota Aristotele, poiché la natura tende all'essere e alla perfezione: e tuttavia non è contro l'intenzione seconda della natura; poiché la natura, non potendo conservare l'essere in una data cosa lo conserva in un'altra che viene generata dalla corruzione della prima. E quando non può giungere a una perfezione maggiore, la natura si accontenta di quella minore: quando, p. es., non può produrre un maschio, produce una femmina, la quale, a detta di Aristotele, è "un maschio mancato".
Parimente, anche la schiavitù è contro la prima intenzione della natura, ma non contro la seconda. Poiché la ragione naturale e la natura stessa inclinano a questo, che tutti siano buoni: ma per il fatto che si pecca, la natura inclina a far subire il castigo del peccato. Ora, la schiavitù è subentrata appunto come pena del peccato. E non è contraddittorio che una cosa, pur essendo di per sé naturale, venga impedita da un fatto contro natura: il matrimonio, p. es., viene così impedito dall'impotenza fisiologica, la quale è contro natura nel modo indicato.

3. La legge naturale detta che un castigo venga inflitto per una colpa, e che nessuno sia punito senza colpa: ma determinare il castigo secondo le condizioni di persona e di colpevolezza appartiene alla legge positiva. Ora, essendo la schiavitù un castigo, viene determinata dalla legge positiva, e deriva da quella naturale come il determinato dall'indeterminato. E da questa determinazione del diritto positivo è stato stabilito che la schiavitù ignorata sia un impedimento del matrimonio, perché nessuno sia punito senza colpa: è infatti un castigo per la donna avere per marito uno schiavo, ma non viceversa.

4. Ci sono degli impedimenti che rendono illecito il matrimonio. E poiché la liceità di una cosa non dipende dalla nostra volontà, ma dalla legge; l'ignoranza di tale impedimento, togliendo la volontarietà e l'avvertenza, non incide sulla validità del matrimonio. E tali sono l'impedimento di affinità, i voti, e altri consimili.
Ci sono invece altri impedimenti che rendono il matrimonio inefficace per esigere il debito coniugale. E poiché dipende dalla nostra volontà condonare ciò che a noi è dovuto, qualora questi impedimenti siano conosciuti, non invalidano il matrimonio, ma solo quando con l'ignoranza provocano un atto involontario. Tali sono gli impedimenti della schiavitù e dell'impotenza. E poiché anche per se stessi questi sono impedimenti del matrimonio, vengono enumerati a parte come distinti dall'errore. Invece la sostituzione di persona non e un impedimento distinto dall'errore: poiché la persona che subentra non implica un impedimento, se non rispetto all'intenzione del contraente.

5. La libertà personale non impedisce il [libero] atto del matrimonio. Ecco perché l'ignoranza di tale condizione personale non impedisce il matrimonio.

6. La lebbra non impedisce il matrimonio in quello che è il suo primo atto, poiché i lebbrosi possono rendere liberamente il debito coniugale; sebbene vi apportino altri gravami rispetto agli effetti successivi. Perciò essa non impedisce il matrimonio nella stessa misura della schiavitù.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > L'impedimento della condizione servile > Se uno schiavo possa contrarre matrimonio, senza il consenso del padrone


Supplemento
Questione 52
Articolo 2

SEMBRA che uno schiavo non possa contrarre matrimonio, senza il consenso del padrone. Infatti:
1. Nessuno può cedere a una terza persona quello che è di un altro, senza il permesso di quest'ultimo. Ora, "lo schiavo è una cosa del padrone", Perciò egli non può cedere alla moglie il potere sul proprio corpo contraendo il matrimonio, senza il benestare del padrone.

2. Lo schiavo è tenuto ad ubbidire al suo padrone. Ma il padrone può comandargli di non consentire al matrimonio. Dunque egli non può contrarre il matrimonio senza il consenso del padrone.

3. Contratto il matrimonio, lo schiavo è tenuto a rendere il debito coniugale alla moglie anche per un precetto della legge divina.
Ma nel momento in cui la sposa chiede il debito coniugale il padrone può imporre allo schiavo qualche servizio, che egli non può compiere per stare con la moglie. Dunque, se uno schiavo potesse contrarre matrimonio, senza il permesso del padrone, questi sarebbe ingiustamente privato dei suoi servizi. Il che è inammissibile.

4. Il padrone può vendere il proprio schiavo in lontane regioni, dove la moglie non può seguirlo, o per la debolezza fisica; o per il pericolo di perdere la fede, se viene venduto agli infedeli; oppure perché non lo permette il padrone della moglie, se questa è schiava. E così il matrimonio verrebbe disciolto. Il che è intollerabile. Perciò lo schiavo non può contrarre matrimonio, senza il benestare del padrone.

5. L'obbligazione con la quale uno si dedica al servizio divino è più rispettabile di quella che lo sottomette alla moglie. Ora, uno schiavo non può farsi religioso, né entrare nel clero, senza il beneplacito del padrone. Molto meno quindi può unirsi in matrimonio senza tale consenso.

IN CONTRARIO: 1. S. Paolo afferma: "In Gesù Cristo non c'è né schiavo né libero". Perciò nel contrarre matrimonio c'è l'identica libertà per i liberi e per gli schiavi nella religione cristiana.

2. La schiavitù è di diritto positivo: il matrimonio invece è di diritto naturale e divino. Poiché, dunque, il diritto positivo non può pregiudicare il diritto naturale o quello divino, è chiaro che lo schiavo può contrarre matrimonio senza il benestare del padrone.

RISPONDO: Come abbiamo visto in precedenza, il diritto positivo deriva da quello naturale. Perciò la schiavitù, che è di diritto positivo, non può pregiudicare a quanto è di diritto naturale. Ora, l'appetito naturale come spinge alla conservazione dell'individuo, così spinge alla conservazione della specie mediante la generazione. Quindi, allo stesso modo che lo schiavo sottostà al padrone non senza poter mangiare e dormire liberamente, e compiere quanto riguarda le sue necessità corporali; così non deve sottostare al punto da non poter contrarre liberamente il matrimonio, anche all'insaputa e contro la volontà del padrone.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Lo schiavo appartiene al padrone per le sue funzioni [professionali] aggiunte a quelle naturali; che rispetto a quest'ultime siamo tutti uguali. Perciò per quanto riguarda le funzioni naturali lo schiavo può, senza il benestare del padrone, dare ad altri il potere sul suo corpo mediante il matrimonio.

2. Lo schiavo è tenuto ad ubbidire nelle cose che il padrone può lecitamente comandare. Ora, il padrone come non può proibire lecitamente allo schiavo di mangiare e di dormire, così non può proibirgli di contrarre matrimonio: il legislatore infatti regola anche l'uso che uno deve fare di quanto gli appartiene. Quindi se il padrone comanda allo schiavo di non contrarre matrimonio, questi non è tenuto ad ubbidirgli.

3. Se lo schiavo ha contratto matrimonio col consenso del padrone, allora è tenuto a trascurare il servizio quando deve rendere il debito coniugale: poiché il padrone, avendogli concesso di contrarre matrimonio, è logico che gli abbia concesso tutto ciò che esso richiede. Se invece lo ha contratto all'insaputa, o contro la volontà del padrone, allora non è tenuto a rendere il debito, ma piuttosto a ubbidire al padrone, quando le due cose sono incompossibili. Tuttavia in questi casi, come in tutte le azioni umane, bisogna tener presenti molte cose: e il pericolo cui è esposta la castità della moglie, e l'ostacolo che il debito coniugale può apportare al servizio richiesto, e altre cose del genere. E dopo aver tutto considerato, uno può giudicare se è tenuto a ubbidire più al padrone, o alla moglie.

4. In codesto caso il padrone deve essere costretto a non vendere lo schiavo in modo da rendere più gravosi gli oneri del matrimonio: specialmente se si considera che non manca in nessun luogo il modo di vendere il proprio schiavo a un prezzo giusto.

5. Con la vita religiosa e con gli ordini sacri uno si obbliga per tutto il tempo al servizio di Dio. Invece il debito coniugale obbliga solo nei momenti opportuni. E quindi il paragone non regge.
Inoltre chi entra in religione o riceve gli ordini si obbliga a delle funzioni che sono sopraggiunte a quelle naturali, e sulle quali il padrone ha il dominio; mentre costui non ha il dominio sulle funzioni naturali, cui lo schiavo si obbliga nel matrimonio. Ecco perché questi non potrebbe far voto di castità, senza il consenso del padrone.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > L'impedimento della condizione servile > Se uno sposato possa vendersi come schiavo dopo il matrimonio


Supplemento
Questione 52
Articolo 3

SEMBRA che uno sposato non possa vendersi come schiavo dopo il matrimonio. Infatti:
1. Non può essere mai ratificato ciò che viene compiuto in frode o a detrimento di terzi. Ora, il marito che si vende come schiavo compie questo in frode talora del matrimonio, o almeno a danno della sua sposa. Perciò tale vendita non può valore per ridurli alla condizione di schiavi.

2. Due cose che hanno il favore della legge prevalgono su l'unica che non gode codesto favore. Ora, matrimonio o libertà [nel nostro caso] godono il favore della legge contro la schiavitù, la quale non gode il favore dei diritto. Dunque tale schiavitù deve essere assolutamente annullata.

3. Nel matrimonio marito e moglie sono alla pari. Ma la moglie non può rendersi schiava contro il volere del marito. Quindi neppure il marito può farlo senza il consenso della moglie.

4. Ciò che nell'ordine naturale può impedire a una cosa di prodursi, è fatto per distruggerla una volta che si sia prodotta. Ora, la schiavitù del marito, se è ignorata dalla sposa annulla il contratto matrimoniale. Perciò se essa seguisse al matrimonio lo distruggerebbe. Il che è inammissibile.

IN CONTRARIO: 1. Chiunque può cedere ad altri ciò che gli appartiene. Ora, il marito è padrone di sé, essendo persona libera. Dunque può cedere ad altri questo dominio.

2. Uno schiavo, come abbiamo detto, può prender moglie contro la volontà del padrone. Quindi per lo stesso motivo può rendersi schiavo contro la volontà della moglie.

RISPONDO: Il marito è soggetto alla moglie solo riguardo all'atto matrimoniale, in cui essi sono alla pari: ma ad esso non reca pregiudizio la condizione di schiavitù. Perciò il marito può vendersi ad altri come schiavo. Ne per questo viene a sciogliersi il matrimonio: poiché, come abbiamo visto, nessun impedimento successivo al matrimonio può mai scioglierlo.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La frode può nuocere sempre a chi la commette, ma non può mai pregiudicare i diritti altrui.
Se il marito quindi si dà come schiavo a dispetto della moglie, ne riporta lui un danno, perdendo "il bene inestimabile della libertà"; ma non può pregiudicare i diritti della moglie, essendo tenuto a renderle il debito quando lei vuole, e a tutto ciò che il matrimonio richiede; non potendo esimersene per il comando del padrone.

2. Nei casi d'incompatibilità tra schiavitù e matrimonio, sarà il matrimonio a prevalere sulla schiavitù: poiché lo schiavo è tenuto a rendere il debito coniugale anche contro la volontà del padrone.

3. Sebbene rispetto all'atto matrimoniale e agli obblighi di ordine naturale, sui quali non può interferire la condizione di schiavitù, il marito e la moglie siano alla pari; tuttavia rispetto al governo della famiglia e ad altre cose connesse, l'uomo è il capo della donna ed è tenuto a correggerla, non già viceversa. Perciò la donna non può darsi in ischiava contro la volontà del marito.

4. L'argomento addotto parte dall'analogia con le cose corruttibili: però anche in queste troviamo che molti elementi impediscono la generazione, senza bastare a corrompere la cosa ormai generata. Ma nelle cose di perpetua durata ci possono essere ostacoli che impediscono alla cosa di cominciare, mentre essi non bastano più per distruggerla: com'è evidente per l'anima umana. Così è per il matrimonio, che è un vincolo perpetuo finché dura la vita presente.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > Il matrimonio > L'impedimento della condizione servile > Se i figli debbano seguire la condizione del padre


Supplemento
Questione 52
Articolo 4

SEMBRA che i figli debbano seguire la condizione del padre.
Infatti:
1. La denominazione di un essere deriva dall'elemento costitutivo più importante. Ora, nella generazione il padre è più importante della madre. Dunque...

2. L'essere di una cosa dipende più dalla forma che dalla materia. Ma nella generazione "il padre dà la forma", come scrive Aristotele. Perciò la prole deve seguire più il padre che la madre.

3. La prole deve seguire il genitore cui somiglia maggiormente. Ora, il figlio somiglia più al padre che alla madre; mentre la figlia somiglia più alla madre. Quindi il figlio almeno deve seguire di più la condizione del padre, e la figlia quella della madre.

4. La Sacra Scrittura fa derivare le genealogie non dalle donne, ma dagli uomini. Dunque la prole segue più il padre che la madre.

IN CONTRARIO: 1. Se uno semina nel terreno altrui, il frutto appartiene al proprietario del terreno. Ora, il seno di una donna sta al seme dell'uomo come la terra alla semente. Dunque...

2. Negli animali che nascono da specie differenti notiamo questo, che la prole somiglia più alla madre che al padre: i muli, p. es., che nascono da una cavalla e da un asino somigliano ai cavalli più di quelli che nascono da un asina e da un cavallo. Lo stesso quindi deve avvenire per gli uomini.

RISPONDO: Secondo le leggi civili "la prole segue la condizione della madre". E ciò è ragionevole. Poiché la prole riceve dal padre la perfezione della forma, dalla madre invece la sostanza corporale. Ora, la schiavitù è una condizione corporea: essendo lo schiavo uno strumento di lavoro per il padrone. Perciò la prole quanto a libertà o schiavitù segue la condizione della madre. Invece quanto alla dignità personale, che deriva dalla forma, cioè nella nobiltà, nel luogo di origine, nell'eredità, ecc., segue la condizione del padre. E così determina anche il diritto canonico.
Tuttavia in certe regioni, che non sono governate dal diritto civile, la prole segue sempre la condizione peggiore: cosicché, se il padre è schiavo e la madre libera, i figli devono essere schiavi (non però se il padre si è reso schiavo dopo il matrimonio contro il volere della moglie); e così viceversa. Se poi entrambi sono schiavi, e appartengono a diversi padroni, allora questi si dividono i figli, se questi sono più di uno; e se è uno solo, allora un padrone ricompensa l'altro e prende la prole a proprio servizio. -
Però non è da credere che tale consuetudine sia ragionevole come quanto è stato determinato con maturo consiglio da un gran numero di giureconsulti. Del resto anche nel mondo fisico vediamo che "quanto si riceve viene ricevuto alla maniera del ricevente". Perciò è ragionevole che il seme ricevuto dalla donna segua la condizione di essa.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene il padre sia un principio superiore, la madre dà la sostanza corporea, cui può essere annessa la condizione di schiavitù.

2. Nei caratteri specifici l'uomo somiglia più al padre che alla madre. Ma nelle condizioni materiali deve somigliare più alla madre: poiché il proprio essere specifico una cosa lo riceve dalla forma, ma le condizioni materiali le riceve dalla materia.

3. La somiglianza del figlio col padre è nell'ordine della forma, che egli possiede nella sua perfezione come il padre. Perciò l'argomento non regge.

4. L'onore dei figli deriva più dal padre che dalla madre; ecco perché nelle genealogie della Scrittura e nell'uso corrente si fanno discendere i figli più dal padre che dalla madre. Ma rispetto alla condizione servile essi seguono più la madre [che il padre].

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva