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Se il tempo della contrizione duri tutta la vita presente
Supplemento
Questione 4
Articolo 1
SEMBRA che il tempo della contrizione non duri tutta la vita presente. Infatti:
1. Il peccato commesso condanna al dolore come condanna alla vergogna. Ma la vergogna per il peccato non dura tutta la vita: poiché, come dice S. Ambrogio, "non ha di che vergognarsi chi ha conseguito il perdono del suo peccato". Quindi neppure la contrizione, che è il dolore dei peccati.
2. S. Giovanni afferma, che "la carità perfetta estromette il timore, perché il timore implica pena". Ora, anche il dolore implica pena. Dunque nello stato di carità perfetta non può durare la contrizione.
3. Del passato non può esserci dolore, che a rigore è del male presente, se non in quanto qualche cosa del male passato perdura attualmente. Ma talora si giunge in questa vita a un tale stato in cui non resta nulla dei peccati commessi: né la disposizione, né la colpa, che qualsiasi reato. Quindi non occorre più sentirne dolore.
4. S. Paolo dichiara, che "per coloro che amano Dio tutto coopera al bene"; anche i peccati, aggiunge la Glossa. Perciò non è necessario, dopo la remissione dei peccati, dolersi di essi.
5. La contrizione è una parte della penitenza assieme alla soddisfazione. Ora, la soddisfazione non è richiesta di continuo. Quindi neppure la contrizione.
IN CONTRARIO: 1. S. Agostino scrive, che "dove termina il dolore, vien meno la penitenza: e dove manca la penitenza non rimane nulla del perdono". Poiché, dunque, bisogna non perdere il perdono ottenuto, è necessario dolersi continuamente del peccato.
2. Nell'Ecclesiastico si legge: "Circa il peccato espiato non essere senza timore". Dunque l'uomo deve sempre pentirsi per ottenere la remissione dei peccati.
RISPONDO: Nella contrizione si riscontrano due tipi di dolore: il primo, proprio della ragione, è la detestazione del peccato commesso; il secondo, proprio della parte sensitiva, deriva dal precedente. Ebbene, la contrizione deve durare tutto il tempo della vita presente secondo l'uno e l'altro dolore. Infatti finché uno è nella vita presente è costretto a detestare gli ostacoli che impediscono o ritardano il suo cammino verso la meta. E poiché il corso della nostra vita verso Dio viene ritardato dalle colpe passate, perché il tempo concesso per percorrerlo non può essere ricuperato; è necessario che per tutto il tempo della vita presente rimanga lo stato di contrizione come detestazione del peccato. Lo stesso si dica per il dolore sensibile, che è assunto dalla volontà come un castigo. L'uomo infatti avendo col peccato meritato una pena eterna, per l'offesa contro l'eterno Dio, deve per lo meno conservarne il dolore "nella sua eternità di uomo", ossia per tutto il corso della vita, quando la pena eterna gli viene commutata in pena temporale. Ecco perché Ugo di S. Vittore afferma che Dio, sciogliendo l'uomo dalla colpa e dalla pena eterna, lo lega nel vincolo della perpetua detestazione del peccato.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La vergogna è legata al peccato solo in quanto esso implica turpitudine. Ecco perché una volta rimessa la colpa non c'è più posto per la vergogna. Rimane invece sempre posto per il dolore, il quale si riferisce alla colpa non solo per la sua turpitudine, ma anche per quanto ha di nocivo.
2. Il timore servile che la carità estromette è incompatibile con la carità a motivo della sua servilità, che si riferisce alla pena. Ma il dolore della contrizione è causato dalla carità, come sopra abbiamo visto. Dunque il paragone non regge.
3. Sebbene con la penitenza il peccatore torni in possesso della grazia precedente e diventi immune dal reato della pena, tuttavia non ritorna mai alla pristina dignità dell'innocenza. Ecco perché rimane sempre in lui qualche cosa dei peccati commessi.
4. Come non si deve "fare il male perché ne venga un bene", così non si deve godere del male perché da esso, per l'influsso della divina provvidenza, occasionalmente ne viene un bene, poiché di quei beni i peccati non sono stati causa, ma piuttosto impedimento. È la divina provvidenza invece a causarli: e quindi di essa l'uomo deve godere, mentre deve addolorarsi del male.
5. La soddisfazione si riferisce alla pena determinata che deve essere imposta per i peccati. Quindi essa può aver termine, così da non richiedere ulteriore soddisfazione. Tale pena però va proporzionata alla colpa soprattutto sotto l'aspetto di conversione (alla creatura), per il quale è limitata; il dolore della contrizione invece si riferisce alla colpa sotto l'aspetto di aversione, per il quale il peccato ha una certa infinità. Ecco perché la vera contrizione deve durare sempre. E non c'è nessun inconveniente che essa rimanga mentre la soddisfazione viene a cessare.
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