Sup, 4

Terza parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il tempo della contrizione


Supplemento
Questione 4
Proemio

Passiamo quindi a esaminare il tempo della contrizione.
Sull'argomento si pongono tre quesiti:

1. Se il tempo della contrizione duri tutta la vita presente;
2. Se sia opportuno dolersi di continuo dei peccati;
3. Se dopo la vita presente le anime possano avere la contrizione dei peccati.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il tempo della contrizione > Se il tempo della contrizione duri tutta la vita presente


Supplemento
Questione 4
Articolo 1

SEMBRA che il tempo della contrizione non duri tutta la vita presente. Infatti:
1. Il peccato commesso condanna al dolore come condanna alla vergogna. Ma la vergogna per il peccato non dura tutta la vita: poiché, come dice S. Ambrogio, "non ha di che vergognarsi chi ha conseguito il perdono del suo peccato". Quindi neppure la contrizione, che è il dolore dei peccati.

2. S. Giovanni afferma, che "la carità perfetta estromette il timore, perché il timore implica pena". Ora, anche il dolore implica pena. Dunque nello stato di carità perfetta non può durare la contrizione.

3. Del passato non può esserci dolore, che a rigore è del male presente, se non in quanto qualche cosa del male passato perdura attualmente. Ma talora si giunge in questa vita a un tale stato in cui non resta nulla dei peccati commessi: né la disposizione, né la colpa, che qualsiasi reato. Quindi non occorre più sentirne dolore.

4. S. Paolo dichiara, che "per coloro che amano Dio tutto coopera al bene"; anche i peccati, aggiunge la Glossa. Perciò non è necessario, dopo la remissione dei peccati, dolersi di essi.

5. La contrizione è una parte della penitenza assieme alla soddisfazione. Ora, la soddisfazione non è richiesta di continuo. Quindi neppure la contrizione.

IN CONTRARIO: 1. S. Agostino scrive, che "dove termina il dolore, vien meno la penitenza: e dove manca la penitenza non rimane nulla del perdono". Poiché, dunque, bisogna non perdere il perdono ottenuto, è necessario dolersi continuamente del peccato.

2. Nell'Ecclesiastico si legge: "Circa il peccato espiato non essere senza timore". Dunque l'uomo deve sempre pentirsi per ottenere la remissione dei peccati.

RISPONDO: Nella contrizione si riscontrano due tipi di dolore: il primo, proprio della ragione, è la detestazione del peccato commesso; il secondo, proprio della parte sensitiva, deriva dal precedente. Ebbene, la contrizione deve durare tutto il tempo della vita presente secondo l'uno e l'altro dolore. Infatti finché uno è nella vita presente è costretto a detestare gli ostacoli che impediscono o ritardano il suo cammino verso la meta. E poiché il corso della nostra vita verso Dio viene ritardato dalle colpe passate, perché il tempo concesso per percorrerlo non può essere ricuperato; è necessario che per tutto il tempo della vita presente rimanga lo stato di contrizione come detestazione del peccato. Lo stesso si dica per il dolore sensibile, che è assunto dalla volontà come un castigo. L'uomo infatti avendo col peccato meritato una pena eterna, per l'offesa contro l'eterno Dio, deve per lo meno conservarne il dolore "nella sua eternità di uomo", ossia per tutto il corso della vita, quando la pena eterna gli viene commutata in pena temporale. Ecco perché Ugo di S. Vittore afferma che Dio, sciogliendo l'uomo dalla colpa e dalla pena eterna, lo lega nel vincolo della perpetua detestazione del peccato.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La vergogna è legata al peccato solo in quanto esso implica turpitudine. Ecco perché una volta rimessa la colpa non c'è più posto per la vergogna. Rimane invece sempre posto per il dolore, il quale si riferisce alla colpa non solo per la sua turpitudine, ma anche per quanto ha di nocivo.

2. Il timore servile che la carità estromette è incompatibile con la carità a motivo della sua servilità, che si riferisce alla pena. Ma il dolore della contrizione è causato dalla carità, come sopra abbiamo visto. Dunque il paragone non regge.

3. Sebbene con la penitenza il peccatore torni in possesso della grazia precedente e diventi immune dal reato della pena, tuttavia non ritorna mai alla pristina dignità dell'innocenza. Ecco perché rimane sempre in lui qualche cosa dei peccati commessi.

4. Come non si deve "fare il male perché ne venga un bene", così non si deve godere del male perché da esso, per l'influsso della divina provvidenza, occasionalmente ne viene un bene, poiché di quei beni i peccati non sono stati causa, ma piuttosto impedimento. È la divina provvidenza invece a causarli: e quindi di essa l'uomo deve godere, mentre deve addolorarsi del male.

5. La soddisfazione si riferisce alla pena determinata che deve essere imposta per i peccati. Quindi essa può aver termine, così da non richiedere ulteriore soddisfazione. Tale pena però va proporzionata alla colpa soprattutto sotto l'aspetto di conversione (alla creatura), per il quale è limitata; il dolore della contrizione invece si riferisce alla colpa sotto l'aspetto di aversione, per il quale il peccato ha una certa infinità. Ecco perché la vera contrizione deve durare sempre. E non c'è nessun inconveniente che essa rimanga mentre la soddisfazione viene a cessare.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il tempo della contrizione > Se sia bene dolersi continuamente dei peccati


Supplemento
Questione 4
Articolo 2

SEMBRA che non sia bene dolersi continuamente dei peccati. Infatti: 1. Talvolta è opportuno gioire, come risulta dall'esortazione paolina: "Godete sempre nel Signore", a cui la Glossa aggiunge, che "è necessario godere". Ma gioire e addolorarsi simultaneamente non è possibile. Quindi non è opportuno dolersi sempre dei peccati.

2. Quanto di suo è cattivo e repellente non si deve praticare, se non nella misura che è necessario come rimedio di un'infermità: il che è evidente per la cauterizzazione e l'amputazione. Ora, la tristezza di suo è cattiva; infatti l'Ecclesiastico raccomanda: "Caccia lungi da te la tristezza", e aggiunge il motivo: "Poiché molti ha ucciso la tristezza e non c'è utilità in essa". E ciò è ribadito espressamente anche da Aristotele. Quindi dei peccati non ci si deve affliggere più di quanto è sufficiente a cancellarli. Ma subito dopo il primo atto di contrizione il peccato viene cancellato. Dunque non è bene dolersene ulteriormente.

3. S. Bernardo ha scritto: "Il dolore è buono, se non è continuo: perché bisogna mescolare il miele con l'assenzio". Perciò sembra che non sia bene avere un dolore continuo.

IN CONTRARIO: 1. S. Agostino raccomanda: "Il penitente si dolga sempre, e goda del suo dolore".

2. È bene continuare sempre, per quanto è possibile, quegli atti in cui consiste la beatitudine. Ma tale è il dolore dei peccati, come risulta dal Vangelo: "Beati coloro che piangono". Quindi è bene prolungare il dolore per quanto è possibile.

RISPONDO: Una delle caratteristiche riconosciute degli atti di virtù sta nel fatto che in essi non può riscontrarsi né eccesso né difetto, come spiega Aristotele. Perciò, la contrizione, essendo un atto della virtù di penitenza quale dispiacere dell'appetito razionale, non può ammettere un eccesso, né d'intensità, né di durata: se non nel caso in cui codesto atto di virtù venga a impedire l'atto di un'altra virtù più necessaria in un dato momento. Quindi per quanto uno possa insistere nell'atto di codesto dispiacere, sarà sempre la cosa migliore: purché egli compia a suo tempo gli atti delle altre virtù quando sono richiesti. Le passioni invece possono essere o esagerate, o insufficienti, sia per l'intensità che per la durata. Ecco perché la passione del dolore provocata della volontà, come deve essere moderatamente intensa, così deve essere moderatamente duratura: perché se durasse troppo, l'uomo cadrebbe nella disperazione, nella pusillanimità e in altri vizi di questo genere.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il dolore della contrizione impedisce la gioia mondana: non però la gioia di Dio, poiché essa ha per oggetto anche codesto dolore.

2. L'Ecclesiastico parla della tristezza mondana. E il Filosofo parla della passione della tristezza, di cui bisogna servirsi con moderazione, come richiede il fine per cui ce ne serviamo.

3. S. Bernardo parla del dolore in quanto è una passione.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Il tempo della contrizione > Se le anime abbiano la contrizione dei loro peccati anche dopo la vita presente


Supplemento
Questione 4
Articolo 3

SEMBRA che anche dopo la vita presente le anime abbiano la contrizione dei loro peccati. Infatti:
1. L'amore di carità causa il dispiacere dei peccati. Ma dopo la vita presente rimane la carità in certe anime, sia come atto che come abito; poiché, come dice S. Paolo, "la carità non avrà mai fine". Perciò rimane il dispiacere dei peccati commessi, che è l'essenziale della contrizione.

2. Ci si deve affliggere più della colpa che della pena. Ora, nel purgatorio le anime sono afflitte e per la pena sensibile e per la dilazione della gloria. Molto più dunque si affliggono delle colpe da loro commesse.

3. La pena del purgatorio è satisfattoria per il peccato. Ma la soddisfazione deve la sua efficacia alla contrizione. Quindi la contrizione rimane anche dopo questa vita.

IN CONTRARIO: 1. La contrizione è parte del sacramento della penitenza. Ma i sacramenti dopo la vita presente non rimangono. Dunque neppure la contrizione.

2. La contrizione può essere così grande da cancellare sia la colpa che la pena. Se quindi nel purgatorio le anime potessero avere la contrizione, potrebbero conseguire con la contrizione il condono della pena, ed esser liberate del tutto dalla pena sensibile: il che è falso.

RISPONDO: Nella contrizione vanno considerate tre cose: la prima è il genere cui la contrizione appartiene, ed è il dolore; la seconda è la forma, essendo essa un atto di virtù informato dalla grazia; la terza è l'efficacia della contrizione, essendo essa un atto meritorio, sacramentale e in qualche modo satisfattorio. Le anime quindi che dopo la vita presente sono nella patria beata non possono avere la contrizione, perché prive del dolore per la pienezza della gioia. Quelle che si trovano all'inferno mancano di contrizione: perché, pur avendo il dolore, non hanno la grazia che lo informi. Coloro invece che sono in purgatorio hanno il dolore dei peccati informato dalla grazia, ma esso non è meritorio, non essendo costoro in stato di merito. - Al contrario è nella vita presente che si possono riscontrare tutte e tre queste cose.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La carità non causa questo dolore, se non in quelli che son capaci di dolore. Ora, la pienezza della gioia toglie ai beati ogni capacità di addolorarsi. Quindi, sebbene essi abbiano la carità, tuttavia mancano di contrizione.

2. Nel purgatorio le anime si affliggono dei peccati: ma codesto dolore non è la contrizione, poiché non ne ha l'efficacia.

3. La pena sofferta dalle anime del purgatorio propriamente non può dirsi satisfattoria, poiché la soddisfazione richiede un atto meritorio, ma può dirsi soddisfazione in senso lato quale accettazione della pena meritata.

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