Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > Le indulgenze >
Se le indulgenze valgano secondo quello che in esse è determinato
Supplemento
Questione 25
Articolo 2
SEMBRA che le indulgenze non valgano per quello che in esse è determinato. Infatti:
1. Le indulgenze non hanno nessun effetto se non in forza del potere delle chiavi. Ma chi ha tale potere non può assolvere che una parte della pena dovuta, secondo la gravità del peccato e la contrizione del penitente. Perciò, poiché le indulgenze vengono concesse secondo il parere di chi le stabilisce, sembra che non valgano per quanto in esse è determinato.
2. A causa della pena dovuta viene differito il raggiungimento della gloria, che l'uomo deve ambire con tutte le sue forze. Ma se le indulgenze valgono per quello che in esse è fissato, l'uomo, dedicandosi a lucrare indulgenze, in poco tempo potrebbe rendersi immune da ogni reato di pena temporale. Perciò sembra che egli dovrebbe mettere da parte ogni altra occupazione per attendere a lucrare indulgenze.
3. A volte viene concessa l'indulgenza in modo tale che chi collabora alla costruzione di un edificio ottiene la remissione di una terza parte dei suoi peccati. Se dunque le indulgenze valgono per quel che si dice, chi dà una moneta, poi una seconda e infine una terza a tale scopo, ottiene la perfetta remissione della pena dovuta a tutti i suoi peccati. Il che sembra inaudito.
4. Altre volte si concedono sette anni d'indulgenza a chi visita una data chiesa. Se dunque le indulgenze valgono per quello che in esse è determinalo, colui che abita presso la chiesa, o i chierici che la officiano e vi si recano ogni giorno, hanno lo stesso vantaggio di colui che viene di lontano: il che sembra ingiusto. Di più tante volte lucrerebbero l'indulgenza quante volte al giorno vi si rechino.
5. Sembra che condonare una pena più di quel che si merita equivalga a rimetterla senza motivo: perché di quella parte che eccede il merito non vi è soddisfazione. Ora, chi concede le indulgenze non può rimettere arbitrariamente tutta la pena dovuta, né parte di essa: così, p. es., il Papa non può dire semplicemente a qualcuno: "Ti assolvo da ogni pena dovuta per i tuoi peccati". Quindi sembra che egli non possa condonare neppure in parte, più di quel che uno merita. Ma le indulgenze spesso vengono concesse al di sopra di quanto meritano le opere satisfattorie. Perciò non hanno il valore che loro si dà.
IN CONTRARIO: 1. La Scrittura dice: "Ha forse Dio bisogno della nostra menzogna, da dovere difendere con la falsità?". Quindi la Chiesa non mente promulgando le indulgenze. Le quali, perciò, valgono secondo quanto in esse è stabilito.
2. L'Apostolo dice ai Corinzi: "Se vana è la nostra predicazione, vana è pure la nostra fede". Perciò chiunque predica il falso, da parte sua, distrugge la fede e pecca mortalmente. Se, per conseguenza, le indulgenze non hanno il valore che loro viene attribuito, tutti coloro che le predicano peccano mortalmente. Il che è assurdo.
RISPONDO: In proposito esistono molte opinioni. Alcuni dicono che le indulgenze non hanno il valore loro fissato, ma soltanto quello attribuito dalla fede e pietà di chi le lucra. Secondo costoro la Chiesa concede le indulgenze per stimolare, mediante una bugia, gli uomini a fare il bene: a guisa di una madre che invoglia il suo bambino a camminare, con la promessa di un pomo.
Tale affermazione sembra molto pericolosa. Come infatti dice S. Agostino, se si incontra qualcosa di falso nelle S. Scritture, tutta la forza della sua autorità viene meno. Parimente, ammessa una sola menzogna nella predicazione della Chiesa, i suoi insegnamenti non avranno più autorità alcuna per confermare nella fede.
Perciò altri affermarono che hanno il valore loro attribuito secondo una giusta valutazione: non di chi concede le indulgenze, il quale potrebbe forse non valorizzare abbastanza ciò che dà; né di chi le lucra, il quale potrebbe considerare troppo poco ciò che gli viene dato; ma secondo la giusta valutazione dei buoni, tenuto conto delle condizioni della persona che le riceve e dell'utilità o necessità della Chiesa, la quale ha maggiori necessità in un tempo che in un altro.
Ma neppure tale opinione ci sembra si possa tenere. Prima di tutto, perché in tal caso le indulgenze servirebbero non per rimettere, ma per commutare la pena. - E poi perché la predicazione della Chiesa non sarebbe esente da menzogna, dato che in alcuni casi, tenuto conto delle condizioni sopra indicate, alle indulgenze si attribuisce maggior valore determinabile una giusta valutazione; come quando il Papa concede sette anni d'indulgenza a chi visita una determinata chiesa. Ciò vale anche per le indulgenze concesse da S. Gregorio per le stazioni di Roma.
Per questo altri dicono che il grado di condono della pena nelle indulgenze non va misurato solamente dalla devozione di chi le riceve, come dice la prima opinione; né dalla quantità di ciò che si dà, come dice la seconda; ma dal motivo per cui sono concesse, in relazione al quale uno va considerato degno di lucrare una data indulgenza. Quindi ciascuno conseguirà maggior grado di perdono, in tutto o in parte, a misura che si sarà avvicinato di più al motivo per cui l'indulgenza venne concessa.
Ma nemmeno tale soluzione giustifica pienamente l'uso della Chiesa, la quale talvolta concede maggior indulgenza, identico restando il motivo della concessione: a chi visita una chiesa, p. es., nelle stesse circostanze, ora è concesso un anno d'indulgenza, ora solo quaranta giorni, secondo quanto il Papa ha determinato promulgandola. Ne segue che il grado di perdono non va misurato dall'opera buona che rende degni dell'indulgenza.
Perciò dobbiamo affermare che la quantità dell'effetto segue alla quantità della causa. Ora, la causa per cui con le indulgenze viene condonata la pena non è altro che l'abbondanza dei meriti della Chiesa, sufficienti a espiare tutta la pena: di fatto le indulgenze non derivano dalla devozione, dal lavoro o dal dono di chi intende lucrarle, e neppure dal motivo per cui esse vengono concesse. Quindi non bisogna condizionare il grado di perdono ad alcuno di quei motivi, ma soltanto ai meriti della Chiesa, che sono sempre sovrabbondanti; per conseguenza si otterrà il perdono, in quanto quei meriti verranno applicati a una determinata persona. Per applicarli poi a una data persona è necessaria, sia l'autorità di dispensare questo tesoro, sia l'unione, attraverso la carità, tra colui che gode di tali meriti e colui che li ha guadagnati. Così pure è richiesto un motivo che giustifichi tale trasmissione di meriti: e questo è l'onore di Dio e l'utilità della Chiesa in genere. Conseguentemente, motivo sufficiente per concedere le indulgenze sarà qualunque cosa o azione che ridondi a utilità della Chiesa e ad onore di Dio.
Per questo motivo, con altri autori, bisogna dire che le indulgenze hanno il valore che ad esse è dato: purché in chi le concede vi sia l'autorità, in chi le riceve la carità, e nella motivazione di esse non manchi la pietà, la quale include l'onore di Dio e l'utilità del prossimo. In questa maniera "non si fa troppo mercato della misericordia di Dio", come alcuni dicono; e neppure si deroga alla divina giustizia: poiché nessuna pena viene condonata, ma solo compensata con i meriti di altri.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il potere delle chiavi è duplice di ordine e di giurisdizione. Il potere di ordine si esercita nei sacramenti. E poiché gli effetti dei sacramenti non vengono fissati dagli uomini, ma da Dio, non può il sacerdote determinare quale grado di pena dovuta al peccato venga condonato nella confessione, ma viene perdonato soltanto quanto Dio ha stabilito il potere di giurisdizione invece non si esercita nei sacramenti, e i suoi effetti soggiacciono alla volontà dell'uomo. Ebbene, la remissione che si concede con le indulgenze è un effetto di questo potere, dato che non appartiene all'amministrazione dei sacramenti, ma alla distribuzione dei beni comuni della Chiesa. Perciò possono concedere indulgenze anche i legati pontifici non sacerdoti.
Per conseguenza stabilire quale grado di pena viene condonato con le indulgenze spetta a chi le concede. - Se però costui agisce a capriccio, in modo tale cioè che gli uomini, quasi per niente, vengono dispensati dal compiere opere di penitenza, egli pecca, benché i sudditi non cessino per questo di usufruire della completa indulgenza.
2. Benché le indulgenze siano molto utili per la remissione della pena, tuttavia altre opere satisfattorie sono più meritorie quanto al premio essenziale, il quale è infinitamente superiore al perdono della pena temporale.
3. Quando, in maniera indeterminata, viene concessa un'indulgenza per "coloro che collaborano alla costruzione di una chiesa" bisogna intendere che si tratta di un aiuto adeguato alla persona che lo offre: questa otterrà maggiore o minore grado d'indulgenza in proporzione alla sua generosità. Così, p. es., un povero che offre un denaro lucra l'indulgenza intera: a differenza di un ricco, al quale non fa onore dare così poco per un'opera così bella; come del resto un re non si potrebbe chiamare benefattore di un altro uomo per avergli dato appena pochi soldi.
4. Chi abita vicino alla chiesa e i sacerdoti e chierici che l'ufficiano lucrano la stessa indulgenza di coloro che vengono da una distanza di mille giornate di cammino: perché il perdono non è proporzionato alla fatica, come s'è già detto, ma ai meriti che vengono elargiti. Però chi fatica di più acquista anche un merito maggiore.
Tale interpretazione va data quando l'indulgenza viene concessa senza distinzioni. Ma talvolta queste ci sono. Come quando il Papa, nelle assoluzioni generali, concede cinque anni d'indulgenza a chi deve attraversare il mare; tre a chi ha da valicare i monti; e agli altri un anno solo.
Inoltre non sempre si può lucrare l'indulgenza ogni volta che si va in chiesa. Infatti in certi casi è limitata a un determinato periodo di tempo, come quando è detto: "Chi visita tale chiesa fino a tale tempo, lucra tanto d'indulgenze", si intende "una volta soltanto". Se poi in una chiesa vi è l'indulgenza perpetua, come quella di quaranta giorni a S. Pietro, allora ciascuno può lucrare l'indulgenza ogni volta che vi si rechi.
5. L'opera buona che motiva la concessione non è richiesta quale misura del condono della pena; ma perché l'intenzione di coloro, i cui meriti vengono applicati, possa raggiungere una determinata persona. Ora, il bene di una persona può valere per un'altra in due modi. - Primo, in forza della carità: in tal modo chiunque viva nella carità è partecipe di tutto il bene che si fa nel mondo. Secondo, in forza dell'intenzione di chi lo compie. Ed è in questa maniera appunto che l'intenzione di chi ha operato per il bene della Chiesa, se interviene la causa legittima, può raggiungere per mezzo delle indulgenze un'altra persona.
|