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Se il sacerdote possa sempre assolvere i propri sudditi
Supplemento
Questione 20
Articolo 2
SEMBRA che non sempre il sacerdote possa assolvere i propri sudditi.
Infatti:
1. Come dice S. Agostino, "nessuno deve esercitare l'ufficio di sacerdote, se non è immune da quei peccati che giudica negli altri". Ma talora capita che il sacerdote sia partecipe del peccato commesso dal proprio suddito: nel caso, p. es., in cui abbia peccato con una donna sua suddita. Perciò sembra che non sempre egli possa esercitare il potere delle chiavi sui propri sudditi.
2. Per il potere delle chiavi uno viene guarito da tutte le sue miserie. Talora però qualche peccato implica un'irregolarità, o una scomunica da cui un semplice sacerdote non può assolvere. Dunque costui non può esercitare il potere delle chiavi su coloro che sono irretiti in codeste censure.
3. Il potere giudiziario del nostro sacerdozio è prefigurato da quello dell'antico sacerdozio. Ora, ai giudici inferiori l'antica Legge non permetteva di giudicare ogni cosa, ma rimandava ai giudici superiori, come si legge nell’Esodo: "Se nascerà qualche questione tra voi, ecc.". Dunque neppure il sacerdote può assolvere i propri sudditi dai peccati gravi, ma deve ricorrere al proprio superiore.
IN CONTRARIO: 1. "A chi si affida ciò che è principale si affida anche l'accessorio". Ebbene, ai sacerdoti viene affidato il compito di amministrare ai loro sudditi l'Eucarestia, cui è ordinata l'assoluzione da qualsiasi peccato. Dunque il sacerdote, per il potere delle chiavi, è in grado di assolvere da tutti i peccati.
2. La grazia, per quanto piccola, cancella qualsiasi peccato. Ma il sacerdote dispensa i sacramenti con i quali viene data la grazia. Quindi, per il potere delle chiavi, il sacerdote può assolvere da tutti i peccati.
RISPONDO: Il potere di ordine come tale si estende alla remissione di tutti i peccati: ma poiché per l'esercizio di questo potere si richiede la giurisdizione, che discende gerarchicamente dai superiori agl'inferiori, un superiore può riservarsi dei casi in cui non lascia il giudizio all'inferiore. Altrimenti qualsiasi semplice sacerdote munito di giurisdizione è in grado di assolvere.
Ebbene sono cinque i casi in cui il semplice sacerdote deve rinviare il penitente a un prelato superiore. Primo, quando si tratta d'imporre la penitenza solenne; perché ministro proprio di essa è il vescovo. - Secondo, quando si tratta di scomunicati che non possono essere assolti da un sacerdote ordinario. - Terzo, quando il penitente ha contratto un'irregolarità la cui dispensa è riservata al superiore. - Quarto, quando si tratta di incendiari. – Quinto, quando in una diocesi c'è la consuetudine di riservare al vescovo i delitti enormi per incutere timore. La consuetudine infatti in codesti casi dà o toglie la giurisdizione.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In tale caso né il sacerdote dovrebbe ascoltare la confessione della donna sua complice, rinviandola a un altro confessore; né costei dovrebbe confessarsi da lui, ma chiedere il permesso di andare da un altro; oppure dovrebbe ricorrere a un prelato superiore, se il complice negasse il permesso. E ciò sia per il pericolo che per la menomazione della [salutare] vergogna. - Tuttavia se il complice l'assolvesse, sarebbe assolta. Infatti le parole di S. Agostino, secondo le quali il sacerdote non deve essere infetto degli stessi peccati, valgono per la liceità non per la validità del sacramento.
2. La penitenza libera da tutte le menomazioni della colpa, ma non da tutte quelle della pena: poiché anche dopo aver fatto penitenza per l'omicidio, uno rimane colpito di irregolarità. Perciò il sacerdote può assolvere dalla colpa, ma per togliere la pena deve rinviare al superiore, a meno che non si tratti di scomunica, perché in tal caso l'assoluzione da questa deve precedere l'assoluzione dei peccati; fino a che infatti uno è scomunicato non può ricevere nessun sacramento della Chiesa.
3. L'argomento è valido per quei casi in cui i superiori si riservano la giurisdizione.
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