Sup, 1

Terza parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > La contrizione


Supplemento
Questione 1
Proemio

Rimangono da esaminare le singole parti della penitenza: primo, la contrizione; secondo, la confessione; terzo, la soddisfazione. A proposito della contrizione si devono considerare cinque cose: primo, che cosa essa sia; secondo, quale debba esserne l'oggetto; terzo, la misura di essa; quarto, la sua durata; quinto, i suoi effetti.
Sul primo argomento si pongono tre quesiti:

1. Se la contrizione sia ben definita;
2. Se sia un atto di virtù;
3. Se l'attrizione possa diventare contrizione.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > La contrizione > Se la contrizione sia "il dolore spontaneo dei peccati col proposito di confessarli e di espiarli"


Supplemento
Questione 1
Articolo 1

SEMBRA che la contrizione non sia, come dicono alcuni, "il dolore spontaneo dei peccati col proposito di confessarli e di espiarli". Infatti:
1. A detta di S. Agostino, "il dolore ha per oggetto cose capitate contro il nostro volere". Ma i peccati non sono tali. Dunque la contrizione non è "il dolore dei peccati".

2. La contrizione ci viene data da Dio. Ora, quello che ci viene dato non è spontaneo. Quindi la contrizione non è un dolore "spontaneo".

3. La soddisfazione e la confessione sono necessarie per la remissione della pena che non viene rimessa nella contrizione. Ma talora nella contrizione viene rimessa tutta la pena. Dunque non è necessario che il contrito abbia sempre "il proposito di confessarsi e di espiare".

IN CONTRARIO: Tale è la definizione proposta.

RISPONDO: "Radice di ogni peccato è la superbia" con la quale l'uomo, aderendo al proprio sentire, si allontana dai precetti di Dio. Perciò è necessario che quanto distrugge il peccato faccia recedere l'uomo dal proprio sentire. Ora, colui che persevera nel proprio sentire è denominato in senso figurato compatto e duro: cosicché si dice che uno si lascia spezzare quando si allontana dal proprio sentire. Però tra la frattura e lo sbriciolamento o triturazione (contritio) delle cose materiali, da cui queste voci sono desunte e applicate a quelle spirituali, c'è questa differenza, come nota Aristotele, che si parla di frattura "quando una cosa solida si divide in grandi pezzi", mentre si parla di triturazione "quando si riduce in parti minute". E poiché per la remissione dei peccati si richiede che uno abbandoni totalmente l'affetto del peccato, col quale conservava coerenza e solidità nel suo sentire, l'atto col quale viene rimesso il peccato in senso figurato viene chiamato contrizione (ossia sbriciolamento).
Ora, in questa contrizione si possono considerare diverse cose: cioè la natura stessa dell'atto, il suo modo di prodursi, il suo principio e i suoi effetti. E secondo queste varie considerazioni furono date diverse definizioni della contrizione.
Rispetto alla natura stessa dell'atto viene data la definizione suddetta. E poiché l'atto della contrizione è un atto virtuoso ed è insieme parte del sacramento della penitenza, viene presentata in codesta definizione quale atto di virtù per il fatto che vengono indicati il genere di esso, ossia "il dolore"; il suo oggetto, nell'espressione "dei peccati"; e la deliberazione richiesta per un atto virtuoso con l'aggettivo "spontaneo". Invece quale parte del sacramento viene illustrato col legame che esso ha con le altre parti, mediante l'espressione, "col proposito di confessarli, ecc.".
C'è però una seconda definizione che definisce la contrizione in quanto è soltanto un atto di virtù; ma a questa definizione viene aggiunta la differenza specifica che la inserisce in una speciale virtù, ossia nella penitenza. Essa infatti dice che la penitenza è "il dolore volontario dei peccati, pronto a punire quanto uno si pente di aver commesso". Per il fatto quindi che si accenna alla punizione viene a inserirsi nella virtù della penitenza.
C'è poi la definizione di S. Isidoro: "La contrizione è compunzione e umiltà d'animo, accompagnata dalle lacrime, derivante dal ricordo del peccato e dal timore del giudizio". Questa definizione accenna all'etimologia della parola con l'espressione "umiltà d'animo": perché, come dalla superbia uno è reso inflessibile nel proprio sentire, così per il fatto che ne recede contrito, viene ad umiliarsi. Accenna pure alle manifestazioni esterne dell'atto, con le parole "accompagnata dalle lacrime"; e al principio o movente che lo determina: "derivante dal ricordo del peccato, ecc.".
Dalle parole di S. Agostino si desume un'altra definizione: "La contrizione è il dolore che rimette il peccato".
Un'altra definizione si desume dalle parole di S. Gregorio: "La contrizione è l'umiltà dell'animo che annienta il peccato tra la speranza e il timore". E questa accenna all'etimologia del nome con l'espressione "umiltà dell'animo"; ai suoi effetti con l'espressione "che annienta il peccato"; al suo movente con le parole "tra la speranza e il timore". E non ricorda solo il movente principale, che è il timore; ma anche quello concomitante, ossia la speranza, senza la quale il timore potrebbe produrre la disperazione.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene i peccati fossero volontari quando capitarono, tuttavia sono involontari nel momento in cui ne abbiamo la contrizione. E quindi "sono capitati contro la nostra volontà", non di quando si vollero, ma rispetto a quella che abbiamo adesso, secondo la quale vorremmo che non fossero mai capitati.

2. La contrizione deriva da Dio soltanto rispetto alla forma (ossia alla carità) da cui è informata: non già rispetto alla natura dell'atto, il quale deriva e dal libero arbitrio e da Dio che opera in tutte le opere e dalla natura e dalla volontà.

3. Sebbene la pena possa essere rimessa per intero mediante la contrizione, tuttavia è ancora necessaria e la confessione e la soddisfazione. Sia perché l'uomo non può raggiungere la certezza di essersi purificato del tutto. Sia perché la confessione e la soddisfazione sono di precetto. Perciò commetterebbe una trasgressione, chi non si confessasse e non accettasse l'espiazione.




Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > La contrizione > Se la contrizione sia un atto di virtù


Supplemento
Questione 1
Articolo 2

SEMBRA che la contrizione non sia un atto di virtù. Infatti:
1. Le passioni non sono atti di virtù; perché, come dice Aristotele, per esse "noi non veniamo né lodati né vituperati". Ma il dolore è una passione. Essendo quindi la contrizione un dolore, è evidente che non è un atto di virtù.

2. Contrizione deriva da terere (triturare) come il termine attrizione. Ora, come tutti ammettono, l'attrizione non è un atto di virtù. Dunque neppure la contrizione.

IN CONTRARIO: Niente è meritorio all'infuori dell'atto virtuoso. Ma la contrizione è un atto meritorio. Quindi è un atto di virtù.

RISPONDO: La contrizione nel significato proprio del termine non sta a significare un atto di virtù, ma piuttosto un atto fisico: qui però non si fa questione di etimologia, bensì dell'uso che per metafora si fa di questo nome. Ora, come la baldanza della propria volontà nel fare il male implica qualche cosa che per sua natura è un male; così l'annientamento e lo sbriciolamento di codesta volontà implica qualche cosa che per sua natura è bene, poiché significa detestare la propria volontà con la quale è stato commesso il peccato. Perciò è un atto di una virtù: cioè di quella virtù che ha il compito di detestare e di distruggere i peccati commessi, ossia della penitenza, come risulta da quanto già detto.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nella contrizione si riscontrano due dolori del peccato. Il primo nella parte sensitiva, il quale è una passione. E questo non costituisce essenzialmente la contrizione quale atto di virtù, ma ne è piuttosto l'effetto. Infatti la virtù della penitenza, come infligge al proprio corpo un castigo esterno per compensare l'offesa commessa contro Dio mediante le membra corporee; così infligge al concupiscibile stesso il castigo del dolore dei peccati, perché anche il concupiscibile ha cooperato a commetterli. - Tuttavia questo dolore può rientrare nella contrizione in quanto quest'ultima fa parte del sacramento: perché i sacramenti non si limitano agli atti interni, ma son fatti per compiersi in atti esterni e mediante cose sensibili.
Il secondo dolore è nella volontà, e consiste nel semplice dispiacere di qualche male: per quel processo per cui, come abbiamo spiegato, gli affetti della volontà vengono denominati con i nomi delle passioni. E in tal senso la contrizione è essenzialmente un dolore, ed è un atto della virtù di penitenza.

2. L'attrizione sta a indicare una tappa verso la contrizione perfetta: cosicché anche per gli esseri corporei si parla di cose tritate (attrita) quando esse sono sminuzzate in qualche modo, ma non perfettamente: mentre si parla di contrizione (ossia di triturazione) quando tutti i pezzi sono ridotti in parti minutissime. Ecco perché in campo spirituale attrizione significa un certo dispiacere dei peccati commessi, però non perfetto: la contrizione indica quello perfetto.



Terza Parte e Supplemento > I Sacramenti > La penitenza > La contrizione > Se l'attrizione possa diventare contrizione


Supplemento
Questione 1
Articolo 3

SEMBRA che l'attrizione possa diventare contrizione. Infatti:
1. Attrizione e contrizione differiscono tra loro come ciò che è informe differisce da ciò che è formato. Ora, la fede informe può diventare formata. Quindi anche l'attrizione può diventare contrizione.

2. La materia riceve la sua perfezione appena rimossa la privazione. Ma il dolore sta alla grazia come la materia alla forma: poiché la grazia rende formato il dolore. Perciò il dolore, che prima era informe mentre c'era il peccato, il quale è privazione della grazia, tolto il peccato riceve la perfezione con la formazione da parte della grazia. Si ha quindi la medesima conclusione.

IN CONTRARIO: Di due cose che hanno principi totalmente diversi, l'una non potrà mai diventare l'altra. Ora, il principio dell'attrizione è il timore servile, mentre quello della contrizione è il timore filiale. Dunque l'attrizione non può diventare contrizione.

RISPONDO: Sull'argomento ci sono due opinioni. Alcuni dicono che l'attrizione diventa contrizione, come la fede informe diviene fede formata. - Ma questo evidentemente è impossibile. Perché, sebbene l'abito della fede diventi formato, mai tuttavia un atto di fede informe diventa atto di fede formata: poiché quell'atto informe passa e non permane quando sopravviene la carità. Invece attrizione e contrizione non sono un abito, ma semplicemente atti. Inoltre gli abiti delle virtù infuse che riguardano la volontà non possono essere mai informi: poiché essi sono al seguito della carità, come abbiamo visto. Prima quindi che venga infusa la grazia non esiste un abito che possa emettere un atto di contrizione. E quindi in nessun modo l'attrizione può diventare contrizione. Ed è appunto ciò che sostiene l'altra opinione.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Fede e contrizione, come sopra abbiamo spiegato, non sono alla pari.

2. Una materia che rimane identica al sopravvenire della sua perfezione, tolta la privazione viene ad essere formata. Ma quel dolore che era informe non rimane identico al sopravvenire della carità. Dunque esso non può divenire formato.
Oppure si può rispondere che la materia essenzialmente non deriva dalla forma, mentre l'atto deriva così dall'abito da cui riceve la forma. Perciò niente impedisce che la materia riceva una nuova forma che prima non aveva. Ma ciò è impossibile per un atto: come è impossibile che una data cosa, numericamente identica, nasca da una causa dalla quale prima non era nata; perché una cosa viene all'esistenza una volta soltanto.

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