I, 83

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Il libero arbitrio


Prima pars
Quaestio 83
Prooemium

[31911] Iª q. 83 pr.
Deinde quaeritur de libero arbitrio. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum homo sit liberi arbitrii.
Secundo, quid sit liberum arbitrium, utrum sit potentia, vel actus, vel habitus.
Tertio si est potentia, utrum sit appetitiva, vel cognitiva.
Quarto, si est appetitiva, utrum sit eadem potentia cum voluntate, vel alia.

 
Prima parte
Questione 83
Proemio

[31911] Iª q. 83 pr.
Ed eccoci a parlare del libero arbitrio.
Sull’argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se l’uomo possieda il libero arbitrio;
2. Che cosa sia il libero arbitrio, cioè se sia potenza, atto, o abito;
3. Posto che sia una potenza, si domanda se sia una potenza appetitiva o conoscitiva;
4. Posto che sia una potenza appetitiva, si domanda se si identifichi con la volontà, o sia una potenza distinta.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Il libero arbitrio > Se l’uomo possieda il libero arbitrio


Prima pars
Quaestio 83
Articulus 1

[31912] Iª q. 83 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod homo non sit liberi arbitrii. Quicumque enim est liberi arbitrii, facit quod vult. Sed homo non facit quod vult, dicitur enim Rom. VII, non enim quod volo bonum, hoc ago; sed quod odi malum, illud facio. Ergo homo non est liberi arbitrii.

 
Prima parte
Questione 83
Articolo 1

[31912] Iª q. 83 a. 1 arg. 1
SEMBRA che l’uomo non possieda il libero arbitrio. Infatti:
1. Chi possiede il libero arbitrio fa quello che vuole. Ora l’uomo non fa quello che vuole; poiché sta scritto: "Non faccio il bene che voglio; ma il male che non voglio, questo io faccio". Dunque nell’uomo non v’è libero arbitrio.

[31913] Iª q. 83 a. 1 arg. 2
Praeterea, quicumque est liberi arbitrii, eius est velle et non velle, operari et non operari. Sed hoc non est hominis, dicitur enim ad Rom. IX, non est volentis, scilicet velle, neque currentis, scilicet currere. Ergo homo non est liberi arbitrii.

 

[31913] Iª q. 83 a. 1 arg. 2
2. Chiunque abbia il libero arbitrio, ha il potere di volere e di non volere, di operare e di non operare. Ma questo non appartiene all’uomo; infatti sta scritto: "Non è di chi vuole" il volere, "né di chi corre" è il correre. Perciò l’uomo non possiede il libero arbitrio.

[31914] Iª q. 83 a. 1 arg. 3
Praeterea, liberum est quod sui causa est, ut dicitur in I Metaphys. Quod ergo movetur ab alio, non est liberum. Sed Deus movet voluntatem, dicitur enim Prov. XXI, cor regis in manu Dei, et quocumque voluerit vertet illud; et Philipp. II, Deus est qui operatur in nobis velle et perficere. Ergo homo non est liberi arbitrii.

 

[31914] Iª q. 83 a. 1 arg. 3
3. "È libero chi è causa di se stesso" come dice Aristotele; quindi non lo è chi è mosso da altri. Ma Dio muove la volontà, poiché dice la Scrittura: "Il cuore del re è in mano a Dio; Egli lo piega a tutto ciò che vuole"; e ancora: "Dio è che produce in noi il volere e l’agire". Perciò l’uomo non ha il Libero arbitrio.

[31915] Iª q. 83 a. 1 arg. 4
Praeterea, quicumque est liberi arbitrii, est dominus suorum actuum. Sed homo non est dominus suorum actuum, quia, ut dicitur Ierem. X, non est in homine via eius, nec viri est ut dirigat gressus suos. Ergo homo non est liberi arbitrii.

 

[31915] Iª q. 83 a. 1 arg. 4
4. Chiunque possiede libertà di arbitrio, è padrone dei suoi atti. Ora l’uomo non è padrone dei suoi atti, poiché leggiamo: "Non è in potere dell’uomo la sua strada, ne in suo arbitrio il camminare e dirigere i suoi passi". Per conseguenza l’uomo non è libero.

[31916] Iª q. 83 a. 1 arg. 5
Praeterea, philosophus dicit, in III Ethic., qualis unusquisque est, talis finis videtur ei. Sed non est in potestate nostra aliquales esse, sed hoc nobis est a natura. Ergo naturale est nobis quod aliquem finem sequamur. Non ergo ex libero arbitrio.

 

[31916] Iª q. 83 a. 1 arg. 5
5. Dice il Filosofo: "Quale ciascuno è, tale è il fine che a lui apparisce". Ma non è in nostro potere essere fatti in questo o in quel modo, perché ci viene dalla natura. Dunque è per natura che noi seguiamo un dato fine. Dunque non proviene dal libero arbitrio.

[31917] Iª q. 83 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur Eccli. XV, Deus ab initio constituit hominem, et reliquit eum in manu consilii sui. Glossa, idest in libertate arbitrii.

 

[31917] Iª q. 83 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Dio da principio creò l’uomo e lo lasciò in mano del suo consiglio". E la Glossa spiega: "cioè del suo libero arbitrio".

[31918] Iª q. 83 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod homo est liberi arbitrii, alioquin frustra essent consilia, exhortationes, praecepta, prohibitiones, praemia et poenae. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod quaedam agunt absque iudicio, sicut lapis movetur deorsum; et similiter omnia cognitione carentia. Quaedam autem agunt iudicio, sed non libero; sicut animalia bruta. Iudicat enim ovis videns lupum, eum esse fugiendum, naturali iudicio, et non libero, quia non ex collatione, sed ex naturali instinctu hoc iudicat. Et simile est de quolibet iudicio brutorum animalium. Sed homo agit iudicio, quia per vim cognoscitivam iudicat aliquid esse fugiendum vel prosequendum. Sed quia iudicium istud non est ex naturali instinctu in particulari operabili, sed ex collatione quadam rationis; ideo agit libero iudicio, potens in diversa ferri. Ratio enim circa contingentia habet viam ad opposita; ut patet in dialecticis syllogismis, et rhetoricis persuasionibus. Particularia autem operabilia sunt quaedam contingentia, et ideo circa ea iudicium rationis ad diversa se habet, et non est determinatum ad unum. Et pro tanto necesse est quod homo sit liberi arbitrii, ex hoc ipso quod rationalis est.

 

[31918] Iª q. 83 a. 1 co.
RISPONDO: L’uomo possiede il libero arbitrio: altrimenti vani sarebbero i consigli, le esortazioni, i precetti, le proibizioni, i premi e le pene. Per averne l’evidenza, dobbiamo osservare che alcuni esseri agiscono senza alcun discernimento o giudizio, come la pietra che si muove verso il basso; e così tutte le cose, che sono prive di conoscenza. - Altri esseri agiscono con un certo giudizio, che però non è libero, come gli animali bruti. Infatti la pecora, al vedere il lupo, giudica, con discernimento naturale e non libero, che sia necessario fuggirlo: poiché tale giudizio non proviene da un confronto [di vari oggetti], ma da un istinto naturale. Lo stesso si dica del discernimento di tutti gli animali. - L’uomo invece agisce in base a un [vero] giudizio; perché, mediante la facoltà conoscitiva, giudica se una cosa si deve fuggire o seguire. Ora, siccome un tale giudizio non mira per un istinto naturale a determinare una cosa fissa particolare da farsi, ma dipende da un raffronto della ragione, l’uomo agisce con giudizio libero, avendo egli il potere di portarsi su oggetti diversi. Infatti in cose contingenti la ragione ha la via aperta verso termini opposti; come riscontriamo nei sillogismi di probabilità o dialettici e negli accorgimenti della retorica. Ora, le cose particolari da farsi sono contingenti: quindi il giudizio della ragione su di esse rimane aperto verso soluzioni opposte, e non è determinato a una sola. È necessario pertanto che l’uomo possieda il libero arbitrio, proprio perché egli è ragionevole.

[31919] Iª q. 83 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut supra dictum est, appetitus sensitivus, etsi obediat rationi, tamen potest in aliquo repugnare, concupiscendo contra illud quod ratio dictat. Hoc ergo est bonum quod homo non facit cum vult, scilicet non concupiscere contra rationem, ut Glossa Augustini ibidem dicit.

 

[31919] Iª q. 83 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come abbiamo già notato, l’appetito sensitivo, benché obbedisca alla ragione, può talvolta dissentire, nutrendo desiderii contrari a quelli che sono dettati dalla ragione. - E il bene, che l’uomo non riesce a fare quando vuole, è proprio questo, cedi non desiderare contro la ragione", come dice S. Agostino nel suo commento.

[31920] Iª q. 83 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod verbum illud apostoli non sic est intelligendum quasi homo non velit et non currat libero arbitrio, sed quia liberum arbitrium ad hoc non est sufficiens, nisi moveatur et iuvetur a Deo.

 

[31920] Iª q. 83 a. 1 ad 2
2. La frase dell’Apostolo non va intesa nel senso che l’uomo non vuole e non corre per libero arbitrio; ma nel senso che il libero arbitrio non è sufficiente a far questo, se non è mosso e aiutato da Dio.

[31921] Iª q. 83 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod liberum arbitrium est causa sui motus, quia homo per liberum arbitrium seipsum movet ad agendum. Non tamen hoc est de necessitate libertatis, quod sit prima causa sui id quod liberum est, sicut nec ad hoc quod aliquid sit causa alterius, requiritur quod sit prima causa eius. Deus igitur est prima causa movens et naturales causas et voluntarias. Et sicut naturalibus causis, movendo eas, non aufert quin actus earum sint naturales; ita movendo causas voluntarias, non aufert quin actiones earum sint voluntariae, sed potius hoc in eis facit, operatur enim in unoquoque secundum eius proprietatem.

 

[31921] Iª q. 83 a. 1 ad 3
3. Il libero arbitrio è causa del suo operare; perché l’uomo muove se stesso all’azione per mezzo del libero arbitrio. Tuttavia la libertà non esige necessariamente che l’essere libero sia la prima causa di se stesso; come per ammettere che uno è causa di un altro, non si richiede che ne sia la causa prima. Dio pertanto è la causa prima, che muove le cause naturali e quelle volontarie. E come col muovere le cause naturali non toglie che i loro atti siano naturali, così movendo le cause volontarie non toglie alle loro azioni di essere volontarie, che anzi è proprio lui che le fa esser tali: infatti egli opera in tutte le cose conforme alle proprietà di ciascuna.

[31922] Iª q. 83 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod dicitur non esse in homine via eius, quantum ad executiones electionum, in quibus homo impediri potest, velit nolit. Electiones autem ipsae sunt in nobis, supposito tamen divino auxilio.

 

[31922] Iª q. 83 a. 1 ad 4
4. Si dice che "non è in potere dell’uomo la sua strada", quanto alla esecuzione delle sue decisioni, esecuzione che, volente o nolente, può essere impedita. Ma le decisioni stesse dipendono da noi: supposto però l’aiuto divino.

[31923] Iª q. 83 a. 1 ad 5
Ad quintum dicendum quod qualitas hominis est duplex, una naturalis, et alia superveniens. Naturalis autem qualitas accipi potest vel circa partem intellectivam; vel circa corpus et virtutes corpori annexas. Ex eo igitur quod homo est aliqualis qualitate naturali quae attenditur secundum intellectivam partem, naturaliter homo appetit ultimum finem, scilicet beatitudinem. Qui quidem appetitus naturalis est, et non subiacet libero arbitrio, ut ex supradictis patet. Ex parte vero corporis et virtutum corpori annexarum, potest esse homo aliqualis naturali qualitate, secundum quod est talis complexionis, vel talis dispositionis, ex quacumque impressione corporearum causarum, quae non possunt in intellectivam partem imprimere, eo quod non est alicuius corporis actus. Sic igitur qualis unusquisque est secundum corpoream qualitatem, talis finis videtur ei, quia ex huiusmodi dispositione homo inclinatur ad eligendum aliquid vel repudiandum. Sed istae inclinationes subiacent iudicio rationis, cui obedit inferior appetitus, ut dictum est. Unde per hoc libertati arbitrii non praeiudicatur. Qualitates autem supervenientes sunt sicut habitus et passiones, secundum quae aliquis magis inclinatur in unum quam in alterum. Tamen istae etiam inclinationes subiacent iudicio rationis. Et huiusmodi etiam qualitates ei subiacent, inquantum in nobis est tales qualitates acquirere, vel causaliter vel dispositive, vel a nobis excludere. Et sic nihil est quod libertati arbitrii repugnet.

 

[31923] Iª q. 83 a. 1 ad 5
5. Vi sono nell’uomo due maniere di essere: una naturale, l’altra acquisita. Quella naturale può riguardare o la parte intellettiva, o il corpo e le facoltà annesse al corpo. Dal fatto dunque che l’uomo ha un suo modo naturale di essere nell’ordine intellettivo, desidera naturalmente il fine ultimo, che è la felicità. Questo appetito è naturale e non sottostà al libero arbitrio, come si è già visto. - Ma in ordine al corpo e alle facoltà annesse l’uomo può avere un suo modo naturale di essere, in quanto possiede una data complessione fisica, o una data predisposizione in dipendenza dall’influsso delle cause fisiche, le quali invece non possono influire sulla parte intellettiva, perché questa non è atto di un corpo. È vero pertanto che, quale ciascuno è in base alle qualità del corpo, tale è il fine che gli si presenta: poiché da tali disposizioni fisiche l’uomo si sente inclinato a scegliere o a ripudiare una cosa. Però queste inclinazioni sottostanno al giudizio della ragione, cui obbedisce l’appetito inferiore, come abbiamo già detto. Quindi da ciò non viene nessun pregiudizio al libero arbitrio.
Ma le maniere di essere che sono acquisite, si presentano come abiti e passioni, in forza dei quali uno è più portato a una cosa che a un’altra. Tuttavia anche queste inclinazioni sottostanno al giudizio della ragione. Anzi vi sottostanno anche siffatte qualità, poiché sto in noi acquistarle, o causandole, o disponendoci ad esse, ovvero sbarazzandoci di esse. In tal senso non vi è niente, che si opponga alla libertà di arbitrio.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Il libero arbitrio > Se il libero arbitrio sia una potenza


Prima pars
Quaestio 83
Articulus 2

[31924] Iª q. 83 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod liberum arbitrium non sit potentia. Arbitrium enim liberum nihil est aliud quam liberum iudicium. Iudicium autem non nominat potentiam, sed actum. Ergo liberum arbitrium non est potentia.

 
Prima parte
Questione 83
Articolo 2

[31924] Iª q. 83 a. 2 arg. 1
SEMBRA che il libero arbitrio non sia una potenza. Infatti:
1. Il libero arbitrio non è che un giudizio libero. Ora il giudizio non indica una potenza ma un atto. Dunque non è una potenza.

[31925] Iª q. 83 a. 2 arg. 2
Praeterea, liberum arbitrium dicitur esse facultas voluntatis et rationis. Facultas autem nominat facilitatem potestatis, quae quidem est per habitum. Ergo liberum arbitrium est habitus. Bernardus etiam dicit quod liberum arbitrium est habitus animae liber sui. Non ergo est potentia.

 

[31925] Iª q. 83 a. 2 arg. 2
2. Si dice che il libero arbitrio è una facoltà della volontà e della ragione. Ora il termine facoltà sta a indicare la facilità di una data potenza, la quale facilità si ottiene mediante l’abito. Quindi il libero arbitrio è un abito. - Anche S. Bernardo afferma che "il libero arbitrio è un abito dell’animo, libero di sé". Non è dunque una potenza.

[31926] Iª q. 83 a. 2 arg. 3
Praeterea, nulla potentia naturalis tollitur per peccatum. Sed liberum arbitrium tollitur per peccatum, Augustinus enim dicit quod homo male utens libero arbitrio, et se perdit et ipsum. Ergo liberum arbitrium non est potentia.

 

[31926] Iª q. 83 a. 2 arg. 3
3. Col peccato non viene tolta nessuna potenza naturale. Ora il libero arbitrio viene tolto in seguito al peccato: poiché, dice S. Agostino, che "l’uomo usando male del libero arbitrio, ha perduto se stesso e quello". Perciò il libero arbitrio non è una potenza.

[31927] Iª q. 83 a. 2 s. c.
Sed contra est quod nihil est subiectum habitus, ut videtur, nisi potentia. Sed liberum arbitrium est subiectum gratiae; qua sibi assistente, bonum eligit. Ergo liberum arbitrium est potentia.

 

[31927] Iª q. 83 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: È chiaro che niente può fare da soggetto di un abito, all’infuori di una potenza. Ora il libero arbitrio è il soggetto in cui si trova la grazia; con l’assistenza della quale esso sceglie il bene. Dunque il libero arbitrio è una potenza.

[31928] Iª q. 83 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, quamvis liberum arbitrium nominet quendam actum secundum propriam significationem vocabuli; secundum tamen communem usum loquendi, liberum arbitrium dicimus id quod est huius actus principium, scilicet quo homo libere iudicat. Principium autem actus in nobis est et potentia et habitus, dicimur enim aliquid cognoscere et per scientiam, et per intellectivam potentiam. Oportet ergo quod liberum arbitrium vel sit potentia, vel sit habitus, vel sit potentia cum aliquo habitu. Quod autem non sit habitus, neque potentia cum habitu, manifeste apparet ex duobus. Primo quidem, quia si est habitus, oportet quod sit habitus naturalis, hoc enim est naturale homini, quod sit liberi arbitrii. Nullus autem habitus naturalis adest nobis ad ea quae subsunt libero arbitrio, quia ad ea respectu quorum habemus habitus naturales, naturaliter inclinamur, sicut ad assentiendum primis principiis; ea autem ad quae naturaliter inclinamur, non subsunt libero arbitrio, sicut dictum est de appetitu beatitudinis. Unde contra propriam rationem liberi arbitrii est, quod sit habitus naturalis. Contra naturalitatem autem eius est, quod sit habitus non naturalis. Et sic relinquitur quod nullo modo sit habitus. Secundo hoc apparet, quia habitus dicuntur secundum quos nos habemus ad passiones vel ad actus bene vel male, ut dicitur in II Ethic., nam per temperantiam bene nos habemus ad concupiscentias, per intemperantiam autem male; per scientiam etiam bene nos habemus ad actum intellectus, dum verum cognoscimus per habitum autem contrarium male. Liberum autem arbitrium indifferenter se habet ad bene eligendum vel male. Unde impossibile est quod liberum arbitrium sit habitus. Relinquitur ergo quod sit potentia.

 

[31928] Iª q. 83 a. 2 co.
RISPONDO: Sebbene libero arbitrio, secondo il significato proprio del termine, indichi un atto, pure nell’uso comune chiamiamo libero arbitrio il principio di tale atto; cioè quello per cui l’uomo giudica liberamente. Ora in noi principii dell’atto sono la potenza e l’abito: si dice infatti che conosciamo una cosa, sia mediante la scienza, sia mediante la facoltà intellettiva. Bisognerà dunque che il libero arbitrio sia o una potenza, o un abito, oppure una potenza unita a un abito.
Che non sia un abito, né una potenza unita a un abito, si rileva chiaramente da due argomenti. Primo, perché se fosse un abito dovrebbe essere un abito naturale, essendo cosa naturale per l’uomo avere il libero arbitrio. Ora non esiste in noi un abito naturale per le cose che sottostanno al libero arbitrio; perché noi tendiamo naturalmente a fare quanto è oggetto degli abiti naturali, p. es., ad assentire ai primi principii; invece le cose cui tendiamo naturalmente non sottostanno al libero arbitrio, come abbiamo notato sopra a proposito del desiderio della felicità. Quindi è contro il concetto stesso di libero arbitrio, che esso sia un abito naturale. E che sia un abito non naturale è in contrasto con la sua naturalità. Quindi rimane acquisito che esso non è un abito per nessun verso. - Secondo, lo rileviamo dal fatto che gli abiti vengono definiti da Aristotele come qualità "secondo le quali siamo disposti bene o male, rispetto alle passioni o alle azioni". Infatti, in materia di concupiscenza, con la temperanza riceviamo una disposizione buona, e una disposizione cattiva con l’intemperanza; così, con la scienza abbiamo una buona disposizione a compiere l’atto dell’intelletto, poiché conosciamo la verità; l’abbiamo cattiva con l’abito contrario. Ma il libero arbitrio è indifferente nello scegliere bene o male. Non è dunque possibile che sia un abito. - Rimane quindi che sia una potenza.

[31929] Iª q. 83 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod consuetum est potentiam significari nomine actus. Et sic per hunc actum qui est liberum iudicium, nominatur potentia quae est huius actus principium. Alioquin, si liberum arbitrium nominaret actum, non semper maneret in homine.

 

[31929] Iª q. 83 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L’uso vuole che la potenza sia indicata col nome del suo atto. Perciò mediante quell’atto, che è il giudizio libero, viene denominata la potenza che ne è il principio. Altrimenti, se il libero arbitrio indicasse un atto, non sarebbe permanente nell’uomo.

[31930] Iª q. 83 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod facultas nominat quandoque potestatem expeditam ad operandum. Et sic facultas ponitur in definitione liberi arbitrii. Bernardus autem accipit habitum non secundum quod dividitur contra potentiam, sed secundum quod significat habitudinem quandam, qua aliquo modo se aliquis habet ad actum. Quod quidem est tam per potentiam quam per habitum, nam per potentiam homo se habet ut potens operari, per habitum autem ut aptus ad operandum bene vel male.

 

[31930] Iª q. 83 a. 2 ad 2
2. Facoltà talvolta indica la potenza spedita nell’operare. In tal senso il termine facoltà è posto nella definizione del libero arbitrio. - S. Bernardo poi parla di abito, non in quanto si distingue dalla potenza, ma in quanto sta a indicare una qualsiasi disposizione ad agire. E questo può dipendere, sia da una potenza, che da un abito: infatti, dalla potenza l’uomo è messo in condizione di poter agire; e dall’abito è messo in condizione di poter agire bene o male.

[31931] Iª q. 83 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod homo peccando liberum arbitrium dicitur perdidisse, non quantum ad libertatem naturalem, quae est a coactione; sed quantum ad libertatem quae est a culpa et a miseria. De qua infra in tractatu moralium dicetur, in secunda parte huius operis.

 

[31931] Iª q. 83 a. 2 ad 3
3. Si dice che l’uomo col peccare ha perduto il libero arbitrio, non quanto alla libertà naturale, che dice immunità da coazione; ma quanto alla libertà che è esenzione dalla colpa e dalla miseria. -
Si parlerà di queste cose in seguito quando tratteremo della morale nella seconda parte di quest’opera.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Il libero arbitrio > Se il libero arbitrio sia una potenza appetitiva


Prima pars
Quaestio 83
Articulus 3

[31932] Iª q. 83 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod liberum arbitrium non sit potentia appetitiva, sed cognitiva. Dicit enim Damascenus quod cum rationali confestim comitatur liberum arbitrium. Sed ratio est potentia cognitiva. Ergo liberum arbitrium est potentia cognitiva.

 
Prima parte
Questione 83
Articolo 3

[31932] Iª q. 83 a. 3 arg. 1
SEMBRA che il libero arbitrio non sia una potenza appetitiva, ma conoscitiva. Infatti:
1. Dice il Damasceno che "il libero arbitrio segue immediatamente alla razionalità". Ora la ragione è una potenza conoscitiva. Perciò il libero arbitrio è una potenza conoscitiva.

[31933] Iª q. 83 a. 3 arg. 2
Praeterea, liberum arbitrium dicitur quasi liberum iudicium. Sed iudicare est actus cognitivae virtutis. Ergo liberum arbitrium est cognitiva potentia.

 

[31933] Iª q. 83 a. 3 arg. 2
2. Dire libero arbitrio è come dire libero giudizio. Ma il giudicare è un atto della facoltà conoscitiva. Dunque il libero arbitrio è una potenza conoscitiva.

[31934] Iª q. 83 a. 3 arg. 3
Praeterea, ad liberum arbitrium praecipue pertinet electio. Sed electio videtur ad cognitionem pertinere, quia electio importat quandam comparationem unius ad alterum, quod est proprium cognitivae virtutis. Ergo liberum arbitrium est potentia cognitiva.

 

[31934] Iª q. 83 a. 3 arg. 3
3. L’atto della scelta appartiene in modo particolare al libero arbitrio. Ora la scelta è di ordine conoscitivo; poiché la scelta implica il raffronto di una cosa con un’altra, il che è proprio delle facoltà conoscitive. Quindi il libero arbitrio è una potenza conoscitiva.

[31935] Iª q. 83 a. 3 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in III Ethic., quod electio est desiderium eorum quae sunt in nobis. Sed desiderium est actus appetitivae virtutis. Ergo et electio. Liberum autem arbitrium est secundum quod eligimus. Ergo liberum arbitrium est virtus appetitiva.

 

[31935] Iª q. 83 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Dice il Filosofo che "la scelta è il desiderio delle cose che dipendono da noi". Ma il desiderio è un atto della facoltà appetitiva. Quindi anche la scelta. Ora, in tanto abbiamo il libero arbitrio, in quanto siamo capaci di scegliere. Di conseguenza il libero arbitrio è una facoltà appetitiva.

[31936] Iª q. 83 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod proprium liberi arbitrii est electio, ex hoc enim liberi arbitrii esse dicimur, quod possumus unum recipere, alio recusato, quod est eligere. Et ideo naturam liberi arbitrii ex electione considerare oportet. Ad electionem autem concurrit aliquid ex parte cognitivae virtutis, et aliquid ex parte appetitivae, ex parte quidem cognitivae, requiritur consilium, per quod diiudicatur quid sit alteri praeferendum; ex parte autem appetitivae, requiritur quod appetendo acceptetur id quod per consilium diiudicatur. Et ideo Aristoteles in VI Ethic. sub dubio derelinquit utrum principalius pertineat electio ad vim appetitivam, vel ad vim cognitivam, dicit enim quod electio vel est intellectus appetitivus, vel appetitus intellectivus. Sed in III Ethic. in hoc magis declinat quod sit appetitus intellectivus, nominans electionem desiderium consiliabile. Et huius ratio est, quia proprium obiectum electionis est illud quod est ad finem, hoc autem, inquantum huiusmodi, habet rationem boni quod dicitur utile, unde cum bonum, inquantum huiusmodi, sit obiectum appetitus, sequitur quod electio sit principaliter actus appetitivae virtutis. Et sic liberum arbitrium est appetitiva potentia.

 

[31936] Iª q. 83 a. 3 co.
RISPONDO: L’atto proprio del libero arbitrio è la scelta: infatti si dice che siamo dotati di libero arbitrio, appunto perché abbiamo la possibilità di prendere una cosa ricusandone un’altra, il che equivale a scegliere. Bisognerà dunque studiare la natura del libero arbitrio, partendo dalla scelta. In questa concorrono un elemento di ordine conoscitivo e un elemento di ordine appetitivo: da parte della potenza conoscitiva si richiede il consiglio, col quale si giudica quale sia il partito da preferire; da parte invece della potenza appetitiva si richiede che sia accettato mediante il desiderio quanto viene giudicato mediante il consiglio. Per questa ragione Aristotele lascia sospesa la questione se la scelta appartenga di più alla facoltà appetitiva, o a quella conoscitiva: dice infatti che la scelta è, o "un’intellezione appetitiva, o un’appetizione intellettiva". Però egli nell’Etica propende per l’appetito intellettivo, poiché definisce la scelta un "desiderio consiliato". E questo perché l’oggetto proprio della scelta è ciò che serve per raggiungere il fine, e che, in quanto tale, ha carattere di bene utile: e siccome il bene, in quanto tale, è oggetto dell’appetito, ne segue che la scelta è principalmente un atto della facoltà appetitiva. Quindi il libero arbitrio è una potenza appetitiva.

[31937] Iª q. 83 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod potentiae appetitivae concomitantur apprehensivas. Et secundum hoc dicit Damascenus quod cum rationali confestim comitatur liberum arbitrium.

 

[31937] Iª q. 83 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le potenze appetitive accompagnano quelle conoscitive. Questo è il senso in cui il Damasceno afferma che "il libero arbitrio segue immediatamente alla razionalità".

[31938] Iª q. 83 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod iudicium est quasi conclusio et determinatio consilii. Determinatur autem consilium, primo quidem per sententiam rationis, et secundo per acceptationem appetitus, unde philosophus dicit, in III Ethic., quod ex consiliari iudicantes desideramus secundum consilium. Et hoc modo ipsa electio dicitur quoddam iudicium, a quo nominatur liberum arbitrium.

 

[31938] Iª q. 83 a. 3 ad 2
2. Il giudizio è una specie di conclusione e di determinazione del consiglio. Ora, il consiglio è determinato prima dal parere della ragione, e quindi dall’accettazione dell’appetito. Perciò il Filosofo dice che, "avendo noi formato il giudizio mediante il consiglio, desideriamo in conformità del consiglio [stesso]". In tal senso anche la scelta si dice che è una specie di giudizio, dal quale prende il nome il libero arbitrio.

[31939] Iª q. 83 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod ista collatio quae importatur in nomine electionis, pertinet ad consilium praecedens, quod est rationis. Appetitus enim, quamvis non sit collativus, tamen inquantum a vi cognitiva conferente movetur, habet quandam collationis similitudinem, dum unum alteri praeoptat.

 

[31939] Iª q. 83 a. 3 ad 3
3. Il raffronto implicito nel termine scelta appartiene al consiglio che precede, e che spetta alla ragione. Infatti, sebbene l’appetito non abbia una capacità di comparazione, tuttavia, in quanto è mosso dalla facoltà conoscitiva che stabilisce dei raffronti, acquista una certa affinità col raffronto, allorché appetisce di preferenza una cosa invece di un’altra.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Il libero arbitrio > Se il libero arbitrio sia una potenza distinta dalla volontà


Prima pars
Quaestio 83
Articulus 4

[31940] Iª q. 83 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod liberum arbitrium sit alia potentia a voluntate. Dicit enim Damascenus, in libro II, quod aliud est thelesis, aliud vero bulesis, thelesis autem est voluntas; bulesis autem videtur arbitrium liberum, quia bulesis, secundum ipsum, est voluntas quae est circa aliquid quasi unius per comparationem ad alterum. Ergo videtur quod liberum arbitrium sit alia potentia a voluntate.

 
Prima parte
Questione 83
Articolo 4

[31940] Iª q. 83 a. 4 arg. 1
SEMBRA che il libero arbitrio sia una potenza distinta dalla volontà. 2 Infatti:
1. Il Damasceno dice che altra cosa è la "thelesis", altra la "bulesis": ora, la "thelesis" è la volontà, invece la "bulesis" sembra essere il libero arbitrio; poiché, secondo lui, la "bulesis" è la volontà, che ha per oggetto una cosa scelta nel raffronto con un’altra. Dunque il libero arbitrio si presenta come una potenza distinta dalla volontà.

[31941] Iª q. 83 a. 4 arg. 2
Praeterea, potentiae cognoscuntur per actus. Sed electio, quae est actus liberi arbitrii, est aliud a voluntate, ut dicitur in III Ethic., quia voluntas est de fine, electio autem de iis quae sunt ad finem. Ergo liberum arbitrium est alia potentia a voluntate.

 

[31941] Iª q. 83 a. 4 arg. 2
2. Le potenze si conoscono dai loro atti. Ora la scelta, che è l’atto del libero arbitrio, è una cosa diversa dalla volontà, perché, a detta del Filosofo, "la volontà ha per oggetto il fine, mentre la scelta ha per oggetto i mezzi, che portano al fine". Dunque il libero arbitrio è una potenza diversa dalla volontà.

[31942] Iª q. 83 a. 4 arg. 3
Praeterea, voluntas est appetitus intellectivus. Sed ex parte intellectus sunt duae potentiae, scilicet agens et possibilis. Ergo etiam ex parte appetitus intellectivi debet esse alia potentia praeter voluntatem. Et haec non videtur esse nisi liberum arbitrium. Ergo liberum arbitrium est alia potentia praeter voluntatem.

 

[31942] Iª q. 83 a. 4 arg. 3
3. La volontà è l’appetito intellettivo. Ma nella parte intellettiva ci sono due potenze, cioè l’intelletto agente e quello possibile, perciò anche nell’appetito intellettivo ci deve essere un’altra potenza, oltre la volontà. E questa non sembra essere altro che il libero arbitrio. Dunque il libero arbitrio è una potenza distinta dalla volontà.

[31943] Iª q. 83 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Damascenus dicit, in III libro, quod liberum arbitrium nihil aliud est quam voluntas.

 

[31943] Iª q. 83 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Il Damasceno insegna che il libero arbitrio non è altro che la volontà.

[31944] Iª q. 83 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod potentias appetitivas oportet esse proportionatas potentiis apprehensivis, ut supra dictum est. Sicut autem ex parte apprehensionis intellectivae se habent intellectus et ratio, ita ex parte appetitus intellectivi se habent voluntas et liberum arbitrium, quod nihil aliud est quam vis electiva. Et hoc patet ex habitudine obiectorum et actuum. Nam intelligere importat simplicem acceptionem alicuius rei, unde intelligi dicuntur proprie principia, quae sine collatione per seipsa cognoscuntur. Ratiocinari autem proprie est devenire ex uno in cognitionem alterius, unde proprie de conclusionibus ratiocinamur, quae ex principiis innotescunt. Similiter ex parte appetitus, velle importat simplicem appetitum alicuius rei, unde voluntas dicitur esse de fine, qui propter se appetitur. Eligere autem est appetere aliquid propter alterum consequendum, unde proprie est eorum quae sunt ad finem. Sicut autem se habet in cognitivis principium ad conclusionem, cui propter principia assentimus; ita in appetitivis se habet finis ad ea quae sunt ad finem, quae propter finem appetuntur. Unde manifestum est quod sicut se habet intellectus ad rationem, ita se habet voluntas ad vim electivam, idest ad liberum arbitrium. Ostensum est autem supra quod eiusdem potentiae est intelligere et ratiocinari, sicut eiusdem virtutis est quiescere et moveri. Unde etiam eiusdem potentiae est velle et eligere. Et propter hoc voluntas et liberum arbitrium non sunt duae potentiae, sed una.

 

[31944] Iª q. 83 a. 4 co.
RISPONDO: È necessario che le potenze appetitive corrispondano a quelle conoscitive, come si è detto sopra. Ora, lo stesso rapporto, che nella conoscenza intellettiva esiste tra intelletto e ragione, esiste pure nell’appetito intellettivo tra volontà e libero arbitrio, il quale non è altro che la facoltà di scelta. La cosa appare evidente dalle relazioni esistenti tra gli oggetti e gli atti. Infatti l’intellezione indica la semplice apprensione immediata di una cosa: per questo si dice che propriamente, sono oggetto d’intellezione i principii per sé noti, senza illazione. Invece ragionare significa propriamente passare da una conoscenza a un’altra: perciò il ragionamento riguarda a tutto rigore le conclusioni raggiunte mediante i principii. Parimente, per quanto riguarda l’appetito, il volere indica l’immediata e semplice appetizione di una cosa: quindi si dice che la volontà ha per oggetto il fine, il quale è voluto per se stesso. Scegliere invece è desiderare qualche cosa in vista di un’altra: perciò in senso proprio la scelta ha per oggetto le cose che portano al fine. Ora, il rapporto esistente nel campo della conoscenza tra il principio e le conclusioni, cui diamo l’assenso in forza dei principii, è analogo a quello esistente nel campo appetitivo tra il fine e le cose che al fine conducono, e sono volute in ordine al fine. È dunque evidente che, come sta l’intelletto alla ragione, così sta la volontà alla facoltà di scelta, cioè al libero arbitrio. - Ma sopra abbiamo visto che l’intendere e il ragionare spettano alla medesima potenza, come alla medesima potenza spetta la quiete e il moto. Spetterà quindi alla medesima potenza il volere e lo scegliere. E per questo che la volontà e il libero arbitrio non sono due potenze, ma una sola.

[31945] Iª q. 83 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod bulesis distinguitur a thelesi, non propter diversitatem potentiarum, sed propter differentiam actuum.

 

[31945] Iª q. 83 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La bulesis si distingue dalla thelesis non per una diversità di potenze, ma per una differenza di atti.

[31946] Iª q. 83 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod electio et voluntas, idest ipsum velle, sunt diversi actus, sed tamen pertinent ad unam potentiam, sicut etiam intelligere et ratiocinari, ut dictum est.

 

[31946] Iª q. 83 a. 4 ad 2
2. La scelta e la volontà, o volizione, sono atti diversi; tuttavia appartengono alla stessa potenza, come anche l’intendere e il ragionare, secondo quello che si è già detto.

[31947] Iª q. 83 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod intellectus comparatur ad voluntatem ut movens. Et ideo non oportet in voluntate distinguere agens et possibile.

 

[31947] Iª q. 83 a. 4 ad 3
3. L’intelletto [stesso] sta alla volontà, come suo motore; non c’è quindi bisogno di distinguere in essa una potenza agente e una possibile.

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