I, 79

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive


Prima pars
Quaestio 79
Prooemium

[31715] Iª q. 79 pr.
Deinde quaeritur de potentiis intellectivis. Circa quod quaeruntur tredecim.
Primo, utrum intellectus sit potentia animae, vel eius essentia.
Secundo, si est potentia, utrum sit potentia passiva.
Tertio, si est potentia passiva, utrum sit ponere aliquem intellectum agentem.
Quarto, utrum sit aliquid animae.
Quinto, utrum intellectus agens sit unus omnium.
Sexto, utrum memoria sit in intellectu.
Septimo, utrum sit alia potentia ab intellectu.
Octavo, utrum ratio sit alia potentia ab intellectu.
Nono, utrum ratio superior et inferior sint diversae potentiae.
Decimo, utrum intelligentia sit alia potentia praeter intellectum.
Undecimo, utrum intellectus speculativus et practicus sint diversae potentiae.
Duodecimo, utrum synderesis sit aliqua potentia intellectivae partis.
Tertiodecimo, utrum conscientia sit aliqua potentia intellectivae partis.

 
Prima parte
Questione 79
Proemio

[31715] Iª q. 79 pr.
Passiamo ora a studiare le potenze intellettive.
Su di esse si pongono tredici quesiti:

1. Se l’intelletto sia una potenza dell’anima o la sua essenza;
2. Posto che sia una potenza, si domanda se sia una potenza passiva;
3. Posto che sia una potenza passiva, si domanda se si debba ammettere anche un intelletto agente;
4. Se questo sia qualche cosa dell’anima;
5. Se l’intelletto agente sia uno solo per tutti;
6. Se vi sia una memoria intellettiva;
7. Se essa sia una potenza distinta dall’intelletto;
8. Se la ragione sia una potenza distinta dall’intelletto;
9. Se la ragione superiore e quella inferiore siano potenze diverse;
10. Se l’intelligenza sia una potenza distinta dall’intelletto;
11. Se l’intelletto speculativo e quello pratico siano potenze diverse;
12. Se la sinderesi sia una potenza della parte intellettiva;
13. Se la coscienza sia una potenza della parte intellettiva.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive > Se l’intelletto sia una facoltà dell’anima


Prima pars
Quaestio 79
Articulus 1

[31716] Iª q. 79 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod intellectus non sit aliqua potentia animae, sed sit ipsa eius essentia. Intellectus idem enim videtur esse quod mens. Sed mens non est potentia animae sed essentia, dicit enim Augustinus, IX de Trin., mens et spiritus non relative dicuntur, sed essentiam demonstrant. Ergo intellectus est ipsa essentia animae.

 
Prima parte
Questione 79
Articolo 1

[31716] Iª q. 79 a. 1 arg. 1
SEMBRA che l’intelletto non sia una facoltà psichica, ma l’essenza stessa dell’anima. Infatti:
1. L’intelletto si identifica con la mente. Ora, la mente non è una potenza dell’anima, ma la sua essenza; dice infatti S. Agostino: "Mente e spirito non si dicono in senso relativo, ma indicano l’essenza". Quindi l’intelletto non è che l’essenza stessa dell’anima.

[31717] Iª q. 79 a. 1 arg. 2
Praeterea, diversa genera potentiarum animae non uniuntur in aliqua potentia una, sed in sola essentia animae. Appetitivum autem et intellectivum sunt diversa genera potentiarum animae, ut dicitur in II de anima; conveniunt autem in mente, quia Augustinus, X de Trin., ponit intelligentiam et voluntatem in mente. Ergo mens et intellectus est ipsa essentia animae, et non aliqua eius potentia.

 

[31717] Iª q. 79 a. 1 arg. 2
2. I vari generi di potenze non si trovano uniti in una qualche potenza, ma nella sola essenza dell’anima. Ora appetito e intelligenza sono generi diversi di facoltà psichiche, come dice Aristotele; ma essi si trovano uniti nella mente, poiché S. Agostino pone intelligenza e volontà nella mente. Dunque la mente o intelletto non è una potenza, ma l’essenza stessa dell’anima.

[31718] Iª q. 79 a. 1 arg. 3
Praeterea, secundum Gregorium, in homilia ascensionis, homo intelligit cum Angelis. Sed Angeli dicuntur mentes et intellectus. Ergo mens et intellectus hominis non est aliqua potentia animae, sed ipsa anima.

 

[31718] Iª q. 79 a. 1 arg. 3
3. Dice S. Gregorio nell’Omelia dell’Ascensione che "l’uomo ha in comune con gli angeli l’intendere". Ma gli angeli vengono chiamati Menti e Intelletti. Perciò la mente o intelletto dell’uomo non è una potenza dell’anima, ma l’anima stessa.

[31719] Iª q. 79 a. 1 arg. 4
Praeterea, ex hoc convenit alicui substantiae quod sit intellectiva, quia est immaterialis. Sed anima est immaterialis per suam essentiam. Ergo videtur quod anima per suam essentiam sit intellectiva.

 

[31719] Iª q. 79 a. 1 arg. 4
4. Una sostanza deriva la sua intellettualità dal fatto di essere immateriale. Ma l’anima è immateriale per la sua essenza; dovrà quindi essere intellettiva per la sua essenza.

[31720] Iª q. 79 a. 1 s. c.
Sed contra est quod philosophus ponit intellectivum potentiam animae, ut patet in II de anima.

 

[31720] Iª q. 79 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo considera l’intelligenza come una potenza dell’anima.

[31721] Iª q. 79 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod necesse est dicere, secundum praemissa, quod intellectus sit aliqua potentia animae, et non ipsa animae essentia. Tunc enim solum immediatum principium operationis est ipsa essentia rei operantis, quando ipsa operatio est eius esse, sicut enim potentia se habet ad operationem ut ad suum actum, ita se habet essentia ad esse. In solo Deo autem idem est intelligere quod suum esse. Unde in solo Deo intellectus est eius essentia, in aliis autem creaturis intellectualibus intellectus est quaedam potentia intelligentis.

 

[31721] Iª q. 79 a. 1 co.
RISPONDO: A norma di quanto si è detto, dobbiamo necessariamente ammettere che l’intelletto è una potenza dell’anima e non la sua essenza. Infatti allora soltanto il principio immediato dell’operazione è l’essenza di chi opera, quando l’operazione stessa si identifica con l’essere dell’operante; poiché una potenza sta all’operazione, che ne è l’atto, come l’essenza sta all’essere. Ora in Dio soltanto l’intendere si identifica col suo essere. Dunque solo in Dio l’intelletto s’identifica con l’essenza; mentre nelle altre creature intellettuali, l’intelletto non è che una potenza dell’essere intelligente.

[31722] Iª q. 79 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod sensus accipitur aliquando pro potentia, aliquando vero pro ipsa anima sensitiva, denominatur enim anima sensitiva nomine principalioris suae potentiae, quae est sensus. Et similiter anima intellectiva quandoque nominatur nomine intellectus, quasi a principaliori sua virtute; sicut dicitur in I de anima, quod intellectus est substantia quaedam. Et etiam hoc modo Augustinus dicit quod mens est spiritus, vel essentia.

 

[31722] Iª q. 79 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Talora usiamo il termine senso per indicare la potenza, a volte invece per indicare la stessa anima sensitiva: poiché l’anima sensitiva prende il nome dalla sua potenza principale, che è il senso. In modo analogo l’anima intellettiva talora è chiamata intelletto, come da quella che ne è la facoltà principale; e in tal senso Aristotele scrive che "l’intelletto è una sostanza". E, sempre in questo senso, S. Agostino afferma che la mente è spirito o essenza.

[31723] Iª q. 79 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod appetitivum et intellectivum sunt diversa genera potentiarum animae, secundum diversas rationes obiectorum. Sed appetitivum partim convenit cum intellectivo, et partim cum sensitivo, quantum ad modum operandi per organum corporale, vel sine huiusmodi organo, nam appetitus sequitur apprehensionem. Et secundum hoc Augustinus ponit voluntatem in mente, et philosophus in ratione.

 

[31723] Iª q. 79 a. 1 ad 2
2. Appetito e intelligenza sono generi diversi di potenze psichiche, data la diversità dei loro oggetti. Ma l’appetito concorda in parte con l’intelletto e in parte col senso quanto al modo di operare, che avviene mediante organi corporei, o senza di essi: poiché l’appetizione segue [in tutto] la conoscenza. Sotto questo punto di vista S. Agostino pone la volontà nella mente, e il Filosofo nella ragione.

[31724] Iª q. 79 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod in Angelis non est alia vis nisi intellectiva, et voluntas, quae ad intellectum consequitur. Et propter hoc Angelus dicitur mens vel intellectus, quia tota virtus sua in hoc consistit. Anima autem habet multas alias vires, sicut sensitivas et nutritivas, et ideo non est simile.

 

[31724] Iª q. 79 a. 1 ad 3
3. Non ci sono negli angeli altre potenze che l’intelletto e la volontà che lo accompagna. L’angelo quindi è chiamato Mente o Intelletto, perché è in tale facoltà che si esaurisce tutta la sua virtù. L’anima invece possiede molte altre potenze, quali le sensitive e quelle vegetative; perciò il caso è diverso.

[31725] Iª q. 79 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod ipsa immaterialitas substantiae intelligentis creatae non est eius intellectus; sed ex immaterialitate habet virtutem ad intelligendum. Unde non oportet quod intellectus sit substantia animae, sed eius virtus et potentia.

 

[31725] Iª q. 79 a. 1 ad 4
4. Non è che l’immaterialità stessa della sostanza intelligente creata si identifichi col suo intelletto; ma dall’immaterialità viene ad essa la facoltà di intendere. Non è perciò necessario che l’intelletto sia la sostanza stessa dell’anima, ma che ne sia una facoltà o potenza.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive > Se l’intelletto sia una potenza passiva


Prima pars
Quaestio 79
Articulus 2

[31726] Iª q. 79 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod intellectus non sit potentia passiva. Patitur enim unumquodque secundum materiam; sed agit ratione formae. Sed virtus intellectiva consequitur immaterialitatem substantiae intelligentis. Ergo videtur quod intellectus non sit potentia passiva.

 
Prima parte
Questione 79
Articolo 2

[31726] Iª q. 79 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l’intelletto non sia una potenza passiva. Infatti:
1. Gli esseri sono passivi a motivo della materia; sono invece attivi per ragione della forma. Ora la facoltà intellettiva si fonda sulla immaterialità della sostanza intelligente. Pare quindi che l’intelletto non possa essere una potenza passiva.

[31727] Iª q. 79 a. 2 arg. 2
Praeterea, potentia intellectiva est incorruptibilis, ut supra dictum est. Sed intellectus si est passivus, est corruptibilis, ut dicitur in III de anima. Ergo potentia intellectiva non est passiva.

 

[31727] Iª q. 79 a. 2 arg. 2
2. La potenza intellettiva è incorruttibile, come si è visto sopra. Ma Aristotele insegna che "se l’intelletto è passivo, è corruttibile". Perciò la potenza intellettiva non è passiva.

[31728] Iª q. 79 a. 2 arg. 3
Praeterea, agens est nobilius patiente, ut dicit Augustinus XII super Gen. ad Litt., et Aristoteles in III de anima. Potentiae autem vegetativae partis omnes sunt activae, quae tamen sunt infimae inter potentias animae. Ergo multo magis potentiae intellectivae, quae sunt supremae, omnes sunt activae.

 

[31728] Iª q. 79 a. 2 arg. 3
3. "L’agente è più nobile del paziente", come dicono S. Agostino e Aristotele. Ora le potenze della parte vegetativa sono tutte attive, benché siano le più basse tra le potenze dell’anima. Molto più dunque saranno attive le potenze intellettive, che sono le più alte.

[31729] Iª q. 79 a. 2 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in III de anima, quod intelligere est pati quoddam.

 

[31729] Iª q. 79 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo afferma che "intendere è in certo modo un patire".

[31730] Iª q. 79 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod pati tripliciter dicitur. Uno modo, propriissime, scilicet quando aliquid removetur ab eo quod convenit sibi secundum naturam, aut secundum propriam inclinationem; sicut cum aqua frigiditatem amittit per calefactionem, et cum homo aegrotat aut tristatur. Secundo modo, minus proprie dicitur aliquis pati ex eo quod aliquid ab ipso abiicitur, sive sit ei conveniens, sive non conveniens. Et secundum hoc dicitur pati non solum qui aegrotat, sed etiam qui sanatur; non solum qui tristatur, sed etiam qui laetatur; vel quocumque modo aliquis alteretur vel moveatur. Tertio modo, dicitur aliquid pati communiter, ex hoc solo quod id quod est in potentia ad aliquid, recipit illud ad quod erat in potentia, absque hoc quod aliquid abiiciatur. Secundum quem modum, omne quod exit de potentia in actum, potest dici pati, etiam cum perficitur. Et sic intelligere nostrum est pati. Quod quidem hac ratione apparet. Intellectus enim, sicut supra dictum est, habet operationem circa ens in universali. Considerari ergo potest utrum intellectus sit in actu vel potentia, ex hoc quod consideratur quomodo intellectus se habeat ad ens universale. Invenitur enim aliquis intellectus qui ad ens universale se habet sicut actus totius entis, et talis est intellectus divinus, qui est Dei essentia, in qua originaliter et virtualiter totum ens praeexistit sicut in prima causa. Et ideo intellectus divinus non est in potentia, sed est actus purus. Nullus autem intellectus creatus potest se habere ut actus respectu totius entis universalis, quia sic oporteret quod esset ens infinitum. Unde omnis intellectus creatus, per hoc ipsum quod est, non est actus omnium intelligibilium, sed comparatur ad ipsa intelligibilia sicut potentia ad actum. Potentia autem dupliciter se habet ad actum. Est enim quaedam potentia quae semper est perfecta per actum; sicut diximus de materia corporum caelestium. Quaedam autem potentia est, quae non semper est in actu, sed de potentia procedit in actum; sicut invenitur in generabilibus et corruptibilibus. Intellectus igitur angelicus semper est in actu suorum intelligibilium, propter propinquitatem ad primum intellectum, qui est actus purus, ut supra dictum est. Intellectus autem humanus, qui est infimus in ordine intellectuum, et maxime remotus a perfectione divini intellectus, est in potentia respectu intelligibilium, et in principio est sicut tabula rasa in qua nihil est scriptum, ut philosophus dicit in III de anima. Quod manifeste apparet ex hoc, quod in principio sumus intelligentes solum in potentia, postmodum autem efficimur intelligentes in actu. Sic igitur patet quod intelligere nostrum est quoddam pati, secundum tertium modum passionis. Et per consequens intellectus est potentia passiva.

 

[31730] Iª q. 79 a. 2 co.
RISPONDO: Il termine patire si usa in tre diversi significati. Primo, in senso propriissimo, allorché si toglie a un essere qualche cosa, che ad esso conviene per natura, o per un’inclinazione propria; come, p. es., quando l’acqua perde la freschezza a causa del calore, oppure quando l’uomo si ammala o si rattrista. - Secondo, si dice in senso meno proprio che uno patisce, per il fatto che perde un qualche cosa, conveniente o nocivo che sia. In questo senso si dirà che patisce non soltanto chi si ammala, ma anche chi guarisce; non solo chi si rattrista, ma anche chi si rallegra, o chiunque venga in altro modo alterato o trasmutato. - Terzo, si dice in senso larghissimo che uno patisce, per indicare soltanto che, essendo in potenza a qualche cosa, riceve quello a cui era in potenza, senza perdere niente. In tal senso, tutto ciò, che esce dalla potenza all’atto, si può dire che patisce, anche se acquista una perfezione. E proprio in questo senso il nostro intendere è un patire.
Ed eccone la dimostrazione. Abbiamo già visto che l’intelletto abbraccia con la sua operazione l’ente nella sua universalità. Potremo allora scoprire se l’intelletto sia in atto o in potenza, osservando come esso si comporta verso l’ente, preso nella sua universalità. Vi è infatti un intelletto, il quale si trova di fronte all’ente universale, come atto di tutto l’essere: tale è l’intelletto divino, che è la stessa essenza di Dio, in cui preesiste originariamente e virtualmente tutto l’essere, come nella sua prima causa. Perciò l’intelletto divino non è in potenza, ma è atto puro. - Ora nessun intelletto creato può presentarsi come atto di tutto l’essere universale; perché bisognerebbe che fosse un ente infinito. Quindi ogni intelletto creato, in forza della sua essenza, non è l’atto di tutti gli intelligibili, ma sta ad essi come la potenza sta all’atto.
La potenza però può trovarsi rispetto all’atto in due diverse condizioni. Vi è infatti una potenza, la quale è sempre provvista del suo atto, come abbiamo detto a proposito della materia dei corpi celesti. Ve n’è un’altra invece, la quale non è sempre attuata, ma è soggetta a passare dalla potenza all’atto, come avviene nei corpi generabili e corruttibili. - Or dunque, l’intelletto angelico è sempre in atto rispetto ai propri intelligibili, a causa della sua vicinanza alla prima intelligenza, che è atto puro, come si è visto. Invece l’intelletto umano, che è la più bassa delle intelligenze e la più lontana dalla perfezione dell’intelletto divino, è in potenza rispetto agli intelligibili, e da principio, per dirla col Filosofo, è "come una tavoletta levigata in cui non e’ è scritto niente". La cosa appare evidente dal fatto che in un primo tempo noi siamo soltanto in potenza all’intellezione, che poi diviene attuale. - È dunque evidente che il nostro intendere è un patire, inteso nel terzo significato. Per conseguenza l’intelletto è una potenza passiva.

[31731] Iª q. 79 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod obiectio illa procedit de primo et secundo modo passionis, qui sunt proprii materiae primae. Tertius autem modus passionis est cuiuscumque in potentia existentis quod in actum reducitur.

 

[31731] Iª q. 79 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L’obiezione procede dal primo e dal secondo modo di patire, che sono propri della materia prima. Invece il terzo modo appartiene a qualsiasi cosa, che essendo in potenza passi all’atto.

[31732] Iª q. 79 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod intellectus passivus secundum quosdam dicitur appetitus sensitivus, in quo sunt animae passiones; qui etiam in I Ethic. dicitur rationalis per participationem, quia obedit rationi. Secundum alios autem intellectus passivus dicitur virtus cogitativa, quae nominatur ratio particularis. Et utroque modo passivum accipi potest secundum primos duos modos passionis, inquantum talis intellectus sic dictus, est actus alicuius organi corporalis. Sed intellectus qui est in potentia ad intelligibilia, quem Aristoteles ob hoc nominat intellectum possibilem, non est passivus nisi tertio modo, quia non est actus organi corporalis. Et ideo est incorruptibilis.

 

[31732] Iª q. 79 a. 2 ad 2
2. Secondo alcuni l’intelletto passivo sarebbe l’appetito sensitivo, nel quale risiedono le passioni dell’anima, e che Aristotele stesso chiama "razionale per partecipazione", perché obbedisce alla ragione. Per altri invece l’intelletto passivo sarebbe la cogitativa, la quale è chiamata anche ragione particolare. Stando a queste due opinioni, il termine passivo si potrebbe prendere secondo i due primi modi di patire, poiché un tale intelletto non sarebbe che l’atto di un organo corporeo. - Ma l’intelletto che è in potenza agli intelligibili, e che Aristotele denomina, per questo, intelletto possibile, non è passivo che nel terzo modo, non essendo atto di un organo corporeo. Ed è pertanto incorruttibile.

[31733] Iª q. 79 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod agens est nobilius patiente, si ad idem actio et passio referantur, non autem semper, si ad diversa. Intellectus autem est vis passiva respectu totius entis universalis. Vegetativum autem est activum respectu cuiusdam entis particularis, scilicet corporis coniuncti. Unde nihil prohibet huiusmodi passivum esse nobilius tali activo.

 

[31733] Iª q. 79 a. 2 ad 3
3. L’agente è più nobile del paziente, quando azione e passione si riferiscono a un medesimo oggetto; ma non lo è sempre, se esse si riferiscono a oggetti diversi. Ora l’intelletto è una potenza passiva che abbraccia l’ente nella sua universalità. Invece il principio vegetativo è attivo rispetto a un ente particolare, cioè al corpo cui è unito. Niente dunque impedisce che un principio passivo di tal genere sia più nobile di un tale principio attivo.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive > Se sia necessario ammettere un intelletto agente


Prima pars
Quaestio 79
Articulus 3

[31734] Iª q. 79 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod non sit ponere intellectum agentem. Sicut enim se habet sensus ad sensibilia, ita se habet intellectus noster ad intelligibilia. Sed quia sensus est in potentia ad sensibilia non ponitur sensus agens, sed sensus patiens tantum. Ergo, cum intellectus noster sit in potentia ad intelligibilia, videtur quod non debeat poni intellectus agens, sed possibilis tantum.

 
Prima parte
Questione 79
Articolo 3

[31734] Iª q. 79 a. 3 arg. 1
SEMBRA che non sia necessario ammettere un intelletto agente. Infatti:
1. Il nostro intelletto sta agl’intelligibili, come il senso ai sensibili. Ora, per il fatto che il senso è in potenza agli oggetti sensibili, noi non ammettiamo un senso agente, ma basta quello passivo. Perciò, per il fatto che il nostro intelletto è in potenza all’oggetto intelligibile, non sembra necessario ammettere un intelletto agente, ma basta quello possibile.

[31735] Iª q. 79 a. 3 arg. 2
Praeterea, si dicatur quod in sensu etiam est aliquod agens, sicut lumen, contra, lumen requiritur ad visum inquantum facit medium lucidum in actu, nam color ipse secundum se est motivus lucidi. Sed in operatione intellectus non ponitur aliquod medium quod necesse sit fieri in actu. Ergo non est necessarium ponere intellectum agentem.

 

[31735] Iª q. 79 a. 3 arg. 2
2. Se uno rispondesse che anche per il senso esiste un agente, p. es., la luce, replichiamo: La luce è richiesta alla visione per rendere attualmente luminoso il mezzo [p. es., l’aria]; perché di suo il colore è già capace di trasmutare un corpo illuminato. Ma nell’intellezione non esiste un mezzo, che richieda di esser posto in atto. Non è dunque necessario ammettere un intelletto agente.

[31736] Iª q. 79 a. 3 arg. 3
Praeterea, similitudo agentis recipitur in patiente secundum modum patientis. Sed intellectus possibilis est virtus immaterialis. Ergo immaterialitas eius sufficit ad hoc quod recipiantur in eo formae immaterialiter. Sed ex hoc ipso aliqua forma est intelligibilis in actu, quod est immaterialis. Ergo nulla necessitas est ponere intellectum agentem, ad hoc quod faciat species intelligibiles in actu.

 

[31736] Iª q. 79 a. 3 arg. 3
3. L’immagine dell’agente è ricevuta nel paziente in modo conforme al paziente stesso. Ora, l’intelletto possibile è una facoltà immateriale. Quindi la sua immaterialità basta a far sì che le forme siano in esso ricevute immaterialmente. Ma una forma è intelligibile in atto proprio perché è immateriale. Non vi è perciò necessità alcuna di supporre un intelletto agente, per rendere intelligibili in atto le specie [delle cose].

[31737] Iª q. 79 a. 3 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in III de anima, quod sicut in omni natura ita et in anima est aliquid quo est omnia fieri, et aliquid quo est omnia facere. Est ergo ponere intellectum agentem.

 

[31737] Iª q. 79 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Dice il Filosofo che "come nella natura, così anche nell’anima, vi è un principio per cui essa è in potenza a diventare tutte le cose, e un principio, per cui tutto rende attuale". Si deve dunque ammettere un intelletto agente.

[31738] Iª q. 79 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, secundum opinionem Platonis, nulla necessitas erat ponere intellectum agentem ad faciendum intelligibilia in actu; sed forte ad praebendum lumen intelligibile intelligenti, ut infra dicetur. Posuit enim Plato formas rerum naturalium sine materia subsistere, et per consequens eas intelligibiles esse, quia ex hoc est aliquid intelligibile actu, quod est immateriale. Et huiusmodi vocabat species, sive ideas, ex quarum participatione dicebat etiam materiam corporalem formari, ad hoc quod individua naturaliter constituerentur in propriis generibus et speciebus; et intellectus nostros, ad hoc quod de generibus et speciebus rerum scientiam haberent. Sed quia Aristoteles non posuit formas rerum naturalium subsistere sine materia; formae autem in materia existentes non sunt intelligibiles actu, sequebatur quod naturae seu formae rerum sensibilium, quas intelligimus, non essent intelligibiles actu. Nihil autem reducitur de potentia in actum, nisi per aliquod ens actu, sicut sensus fit in actu per sensibile in actu. Oportebat igitur ponere aliquam virtutem ex parte intellectus, quae faceret intelligibilia in actu, per abstractionem specierum a conditionibus materialibus. Et haec est necessitas ponendi intellectum agentem.

 

[31738] Iª q. 79 a. 3 co.
RISPONDO: Ammessa l’opinione di Platone, non vi è necessità di porre un intelletto agente, per rendere intelligibili in atto gli oggetti; ma forse soltanto per offrire a colui che intende una luce intellettuale, come diremo nell’articolo seguente. Pensava infatti Platone che le forme degli esseri fisici sussistessero senza materia, e che per conseguenza esse fossero intelligibili; appunto perché un’entità è attualmente intelligibile, per il fatto che è immateriale. Egli chiamò specie o idee queste forme: e diceva che dalla partecipazione di esse acquistano le loro forme, sia la materia corporea, allo scopo di costituire così gl’individui nei loro generi e nelle loro specie fisiche, sia il nostro intelletto, per acquistare cosi la scienza dei generi e delle specie delle cose.
Ma siccome Aristotele ha escluso che le forme degli esseri fisici sussistano senza la materia; e poiché le forme che esistono nella materia non sono intelligibili in atto, ne segue che le nature o forme delle cose sensibili, che noi intendiamo, non sono intelligibili in atto. Ora, niente può passare dalla potenza all’atto, se non per mezzo di un ente già in atto: così il senso diviene senziente in atto, a causa dell’oggetto già attualmente sensibile. Bisognava dunque ammettere nell’intelletto una potenza capace di rendere intelligibili in atto gli oggetti, mediante l’astrazione delle forme dalle loro condizioni materiali. Questa è la necessità di ammettere l’intelletto agente.

[31739] Iª q. 79 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod sensibilia inveniuntur actu extra animam, et ideo non oportuit ponere sensum agentem. Et sic patet quod in parte nutritiva omnes potentiae sunt activae; in parte autem sensitiva, omnes passivae; in parte vero intellectiva est aliquid activum, et aliquid passivum.

 

[31739] Iª q. 79 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli oggetti sensibili si trovano già in atto fuori dell’anima; perciò non è necessario porre un senso agente. - Cosicché risulta che nella parte nutritiva tutte le potenze sono attive; nella parte sensitiva tutte sono passive; nell’intellettiva invece vi è un principio attivo e un principio passivo.

[31740] Iª q. 79 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod circa effectum luminis est duplex opinio. Quidam enim dicunt quod lumen requiritur ad visum, ut faciat colores actu visibiles. Et secundum hoc, similiter requiritur, et propter idem, intellectus agens ad intelligendum, propter quod lumen ad videndum. Secundum alios vero, lumen requiritur ad videndum, non propter colores, ut fiant actu visibiles; sed ut medium fiat actu lucidum, ut Commentator dicit in II de anima. Et secundum hoc, similitudo qua Aristoteles assimilat intellectum agentem lumini, attenditur quantum ad hoc, quod sicut hoc est necessarium ad videndum, ita illud ad intelligendum; sed non propter idem.

 

[31740] Iª q. 79 a. 3 ad 2
2. Sono due le opinioni sull’effetto della luce. Per alcuni la luce si richiede alla visione per rendere i colori visibili in atto. In tal caso, analogamente, e per lo stesso scopo, si richiederebbe l’intelletto agente per intendere, come si richiede la luce per vedere. - Altri invece pensano che la luce non sia necessaria alla vista per rendere attualmente visibili i colori, ma perché il mezzo divenga esso attualmente luminoso, come dice il Commentatore. In questo caso la somiglianza, stabilita da Aristotele tra l’intelletto agente e la luce, va così concepita: come l’una è necessaria per vedere, così l’altro è necessario per intendere; ma non per la medesima ragione.

[31741] Iª q. 79 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod, supposito agente, bene contingit diversimode recipi eius similitudinem in diversis propter eorum dispositionem diversam. Sed si agens non praeexistit, nihil ad hoc faciet dispositio recipientis. Intelligibile autem in actu non est aliquid existens in rerum natura, quantum ad naturam rerum sensibilium, quae non subsistunt praeter materiam. Et ideo ad intelligendum non sufficeret immaterialitas intellectus possibilis, nisi adesset intellectus agens, qui faceret intelligibilia in actu per modum abstractionis.

 

[31741] Iª q. 79 a. 3 ad 3
3. Supposta la presenza di un oggetto in atto, può avvenire che la sua similitudine venga ricevuta in modo diverso in soggetti diversi, a causa della loro diversa disposizione. Ma se la cosa in atto non preesiste, non può giovare la disposizione del ricevente. Ora l’intelligibile in atto non esiste come tale nella realtà, almeno per le cose sensibili, che non sussistono fuori della materia. Quindi l’immaterialità dell’intelletto possibile non basterebbe per intendere, se non ci fosse l’intelletto agente a rendere intelligibili in atto gli oggetti, mediante il processo di astrazione.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive > Se l’intelletto agente faccia parte dell’anima


Prima pars
Quaestio 79
Articulus 4

[31742] Iª q. 79 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod intellectus agens non sit aliquid animae nostrae. Intellectus enim agentis effectus est illuminare ad intelligendum. Sed hoc fit per aliquid quod est altius anima; secundum illud Ioan. I, erat lux vera, quae illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum. Ergo videtur quod intellectus agens non sit aliquid animae.

 
Prima parte
Questione 79
Articolo 4

[31742] Iª q. 79 a. 4 arg. 1
SEMBRA che l’intelletto agente non faccia parte dell’anima [nostra]. Infatti:
1. Funzione dell’intelletto agente è quella di illuminare per l’intellezione. Ora, questo deriva da qualche cosa che è più alto dell’anima, secondo quelle parole: "Era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo". Pare quindi che l’intelletto agente non faccia parte dell’anima.

[31743] Iª q. 79 a. 4 arg. 2
Praeterea, philosophus, in III de anima, attribuit intellectui agenti quod non aliquando intelligit et aliquando non intelligit. Sed anima nostra non semper intelligit; sed aliquando intelligit et aliquando non intelligit. Ergo intellectus agens non est aliquid animae nostrae.

 

[31743] Iª q. 79 a. 4 arg. 2
2. Secondo il Filosofo per l’intelletto agente "non si verifica che a volte intenda e a volte non intenda". Invece la nostra anima non intende sempre; ma a volte sì, a volte no. Dunque esso non è qualche cosa dell’anima nostra.

[31744] Iª q. 79 a. 4 arg. 3
Praeterea, agens et patiens sufficiunt ad agendum. Si igitur intellectus possibilis est aliquid animae nostrae, qui est virtus passiva, et similiter intellectus agens, qui est virtus activa; sequitur quod homo semper poterit intelligere cum voluerit, quod patet esse falsum. Non est ergo intellectus agens aliquid animae nostrae.

 

[31744] Iª q. 79 a. 4 arg. 3
3. Agente e paziente bastano a produrre un’azione. Se quindi l’intelletto possibile, che è una facoltà passiva, e l’intelletto agente, che è una facoltà attiva, fanno parte dell’anima, ne viene che l’uomo potrà sempre intendere a suo piacimento: cosa evidentemente falsa. Dunque l’intelletto agente non fa parte dell’anima.

[31745] Iª q. 79 a. 4 arg. 4
Praeterea, philosophus dicit, in III de anima, quod intellectus agens est substantia actu ens. Nihil autem est respectu eiusdem in actu et in potentia. Si ergo intellectus possibilis, qui est in potentia ad omnia intelligibilia, est aliquid animae nostrae; videtur impossibile quod intellectus agens sit aliquid animae nostrae.

 

[31745] Iª q. 79 a. 4 arg. 4
4. Dice il Filosofo che l’intelletto agente è "una sostanza esistente in atto". Ma niente è nello stesso tempo in atto e in potenza rispetto alla medesima cosa. Se dunque l’intelletto possibile, il quale è in potenza a tutti gli intelligibili, è qualche cosa dell’anima nostra, è impossibile che l’intelletto agente sia anch’esso qualche cosa dell’anima.

[31746] Iª q. 79 a. 4 arg. 5
Praeterea, si intellectus agens est aliquid animae nostrae, oportet quod sit aliqua potentia. Non est enim nec passio nec habitus, nam habitus et passiones non habent rationem agentis respectu passionum animae; sed magis passio est ipsa actio potentiae passivae, habitus autem est aliquid quod ex actibus consequitur. Omnis autem potentia fluit ab essentia animae. Sequeretur ergo quod intellectus agens ab essentia animae procederet. Et sic non inesset animae per participationem ab aliquo superiori intellectu, quod est inconveniens. Non ergo intellectus agens est aliquid animae nostrae.

 

[31746] Iª q. 79 a. 4 arg. 5
5. Se l’intelletto agente facesse parte dell’anima nostra, dovrebbe essere una potenza. Infatti non rientra nella categoria della passione o dell’abito; poiché gli abiti e le passioni non hanno il carattere di agente rispetto alle attività dell’anima; che anzi la passione non è che l’azione stessa della potenza passiva, mentre l’abito non è che una conseguenza delle azioni [ripetute]. Ma ogni potenza promana dall’essenza dell’anima. Avremmo così che l’intelletto agente procederebbe dall’essenza dell’anima. E quindi non verrebbe ad essere nell’anima per una partecipazione di un intelletto superiore: cosa questa inammissibile. Dunque l’intelletto agente non fa parte dell’anima.

[31747] Iª q. 79 a. 4 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, III de anima quod necesse est in anima has esse differentias, scilicet intellectum possibilem, et agentem.

 

[31747] Iª q. 79 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna che "necessariamente vi sono nell’anima queste differenze", cioè l’intelletto possibile e l’intelletto agente.

[31748] Iª q. 79 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod intellectus agens de quo philosophus loquitur, est aliquid animae. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod supra animam intellectivam humanam necesse est ponere aliquem superiorem intellectum, a quo anima virtutem intelligendi obtineat. Semper enim quod participat aliquid, et quod est mobile, et quod est imperfectum, praeexigit ante se aliquid quod est per essentiam suam tale, et quod est immobile et perfectum. Anima autem humana intellectiva dicitur per participationem intellectualis virtutis, cuius signum est, quod non tota est intellectiva, sed secundum aliquam sui partem. Pertingit etiam ad intelligentiam veritatis cum quodam discursu et motu, arguendo. Habet etiam imperfectam intelligentiam, tum quia non omnia intelligit; tum quia in his quae intelligit, de potentia procedit ad actum. Oportet ergo esse aliquem altiorem intellectum, quo anima iuvetur ad intelligendum. Posuerunt ergo quidam hunc intellectum secundum substantiam separatum, esse intellectum agentem, qui quasi illustrando phantasmata, facit ea intelligibilia actu. Sed, dato quod sit aliquis talis intellectus agens separatus, nihilominus tamen oportet ponere in ipsa anima humana aliquam virtutem ab illo intellectu superiori participatam, per quam anima humana facit intelligibilia in actu. Sicut et in aliis rebus naturalibus perfectis, praeter universales causas agentes, sunt propriae virtutes inditae singulis rebus perfectis, ab universalibus agentibus derivatae, non enim solus sol generat hominem, sed est in homine virtus generativa hominis; et similiter in aliis animalibus perfectis. Nihil autem est perfectius in inferioribus rebus anima humana. Unde oportet dicere quod in ipsa sit aliqua virtus derivata a superiori intellectu, per quam possit phantasmata illustrare. Et hoc experimento cognoscimus, dum percipimus nos abstrahere formas universales a conditionibus particularibus, quod est facere actu intelligibilia. Nulla autem actio convenit alicui rei, nisi per aliquod principium formaliter ei inhaerens; ut supra dictum est, cum de intellectu possibili ageretur. Ergo oportet virtutem quae est principium huius actionis, esse aliquid in anima. Et ideo Aristoteles comparavit intellectum agentem lumini, quod est aliquid receptum in aere. Plato autem intellectum separatum imprimentem in animas nostras, comparavit soli; ut Themistius dicit in commentario tertii de anima. Sed intellectus separatus, secundum nostrae fidei documenta, est ipse Deus, qui est creator animae, et in quo solo beatificatur, ut infra patebit. Unde ab ipso anima humana lumen intellectuale participat, secundum illud Psalmi IV, signatum est super nos lumen vultus tui, domine.

 

[31748] Iª q. 79 a. 4 co.
RISPONDO: L’intelletto agente, di cui parla il Filosofo, fa parte dell’anima. Per averne l’evidenza cominciamo a osservare che al disopra dell’anima intellettiva dell’uomo si deve ammettere un intelletto superiore, dal quale l’anima riceve la capacità di intendere.
Infatti, quando un ente mobile e imperfetto partecipa di una perfezione, esige sempre prima di sé un essere immobile e perfetto, che abbia quella perfezione per essenza. Ora l’anima umana è detta intellettiva solo perché è partecipe della virtù intellettuale; lo riprova il fatto che essa non è tutta quanta intellettiva, ma solo secondo una sua parte. Di più, essa giunge alla conoscenza della verità gradatamente con un processo discorsivo, per via di argomentazioni. Inoltre la sua intellezione è imperfetta: sia perché non conosce tutte le cose, sia perché negli atti conoscitivi procede dalla potenza all’atto. Dunque bisogna ammettere l’esistenza di un intelletto più alto, che dia all’anima la virtù di intendere.
Alcuni supposero che questo intelletto, sostanzialmente separato [dal corpo], fosse l’intelletto agente, il quale, quasi proiettando la sua luce sui fantasmi, li renderebbe intelligibili in atto. - Ma, dato pure che esista un simile intelletto agente separato, bisognerà nondimeno ammettere nella stessa anima umana una virtù, partecipata da quell’intelletto superiore, mediante la quale l’anima possa rendere intelligibili in atto gli oggetti. Così anche nel mondo degli esseri fisici più perfetti vediamo che, oltre alle cause efficienti più universali, esistono nei singoli esseri perfetti le loro proprie capacità derivate dalle cause universali: infatti non è soltanto il sole che genera l’uomo, ma nell’uomo stesso vi è la virtù di generare altri uomini; così si dica per gli altri animali perfetti. Ora nella sfera degli esseri inferiori non vi è niente di più perfetto dell’anima umana. Perciò bisogna concludere che esiste in essa una facoltà derivata da un intelletto superiore, mediante la quale possa illuminare i fantasmi.
Ne abbiamo la riprova nell’esperienza, quando ci accorgiamo di astrarre i concetti universali dalle condizioni particolari, il che equivale a rendere attualmente intelligibili gli oggetti. Ora, nessuna operazione compete a una cosa, se non per mezzo di un principio ad essa formalmente inerente, come abbiamo già detto a proposito dell’intelletto possibile. Perciò è necessario che la virtù, la quale costituisce il principio di questa operazione, sia qualche cosa dell’anima. - Per questa ragione Aristotele paragonò l’intelletto agente alla luce, che è un’entità ricevuta [e posseduta] dall’aria. Platone poi, come riferisce Temistio, paragonò al sole l’intelletto separato, che comunica una sua impronta alle nostre anime.
Ora, stando agli insegnamenti della nostra fede, questo intelletto separato è Dio stesso, il quale è il creatore delle anime, e loro unica felicità, come vedremo in seguito. Da lui quindi l’anima umana partecipa una luce intellettuale, secondo le parole del Salmo: "La luce del tuo volto, o Signore, è impressa su di noi".

[31749] Iª q. 79 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod illa lux vera illuminat sicut causa universalis, a qua anima humana participat quandam particularem virtutem, ut dictum est.

 

[31749] Iª q. 79 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quella vera luce illumina come causa universale, da, cui l’anima umana riceve una particolare facoltà, come abbiamo spiegato.

[31750] Iª q. 79 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod philosophus illa verba non dicit de intellectu agente, sed de intellectu in actu. Unde supra de ipso praemiserat, idem autem est secundum actum scientia rei. Vel, si intelligatur de intellectu agente, hoc dicitur quia non est ex parte intellectus agentis hoc quod quandoque intelligimus et quandoque non intelligimus; sed ex parte intellectus qui est in potentia.

 

[31750] Iª q. 79 a. 4 ad 2
2. Il Filosofo non dice quelle parole a proposito dell’intelletto agente, ma dell’intelletto in atto. Tanto è vero che prima aveva detto: "La conoscenza in atto s’identifica con l’oggetto". - Ma se vogliamo riferirle all’intelletto agente, allora esse significano che non dipende dall’intelletto agente il fatto che la nostra intellezione non è continua; ma dipende dall’intelletto possibile.

[31751] Iª q. 79 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod, si intellectus agens compararetur ad intellectum possibilem ut obiectum agens ad potentiam, sicut visibile in actu ad visum; sequeretur quod statim omnia intelligeremus, cum intellectus agens sit quo est omnia facere. Nunc autem non se habet ut obiectum, sed ut faciens obiecta in actu, ad quod requiritur, praeter praesentiam intellectus agentis, praesentia phantasmatum, et bona dispositio virium sensitivarum, et exercitium in huiusmodi opere; quia per unum intellectum fiunt etiam alia intellecta, sicut per terminos propositiones, et per prima principia conclusiones. Et quantum ad hoc, non differt utrum intellectus agens sit aliquid animae, vel aliquid separatum.

 

[31751] Iª q. 79 a. 4 ad 3
3. Se l’intelletto agente stesse a quello possibile, come un oggetto agente sta alla potenza, p. es., come l’oggetto visibile in atto sta alla vista, ne seguirebbe che noi intenderemmo subito tutte le cose; poiché l’intelletto agente è il principio mediante il quale [l’anima] rende attualmente intelligibili tutte le cose. Ma esso non si comporta come oggetto, bensì come il principio che rende attuali gli oggetti; e per questo, oltre la presenza dell’intelletto agente si richiede la presenza dei fantasmi, la buona disposizione delle facoltà sensitive, e l’esercizio in questo genere di attività; poiché dalla conoscenza di una cosa deriva la conoscenza di altre, e cioè dai singoli termini si arriva alle proposizioni e dai principii alle conclusioni. Del resto di fronte a questa difficoltà poco importa che l’intelletto agente sia qualche cosa dell’anima, oppure una realtà separata.

[31752] Iª q. 79 a. 4 ad 4
Ad quartum dicendum quod anima intellectiva est quidem actu immaterialis, sed est in potentia ad determinatas species rerum. Phantasmata autem, e converso, sunt quidem actu similitudines specierum quarundam, sed sunt potentia immaterialia. Unde nihil prohibet unam et eandem animam, inquantum est immaterialis in actu, habere aliquam virtutem per quam faciat immaterialia in actu abstrahendo a conditionibus individualis materiae, quae quidem virtus dicitur intellectus agens; et aliam virtutem receptivam huiusmodi specierum, quae dicitur intellectus possibilis, inquantum est in potentia ad huiusmodi species.

 

[31752] Iª q. 79 a. 4 ad 4
4. Certamente l’anima intellettiva è attualmente immateriale; ma essa è in potenza rispetto alle specie determinate delle cose. Al contrario, i fantasmi sono immagini rappresentative attuali di determinate specie, ma potenzialmente soltanto sono immateriali. Quindi niente impedisce che una medesima anima, in quanto è attualmente immateriale, possegga una facoltà atta a formare delle specie attualmente immateriali, astraendole dalle condizioni della materia concreta: facoltà questa che viene denominata intelletto agente; e possegga pure un’altra facoltà atta a ricevere tali specie, che viene denominata intelletto possibile, perché appunto è in potenza a quelle specie.

[31753] Iª q. 79 a. 4 ad 5
Ad quintum dicendum quod, cum essentia animae sit immaterialis, a supremo intellectu creata, nihil prohibet virtutem quae a supremo intellectu participatur, per quam abstrahit a materia, ab essentia ipsius procedere, sicut et alias eius potentias.

 

[31753] Iª q. 79 a. 4 ad 5
5. Sebbene l’essenza dell’anima sia immateriale e creata dall’intelletto supremo, niente può impedire che da essa, con le altre potenze, promani anche quella facoltà che è una partecipazione dell’intelletto supremo, e che ha la capacità di astrarre dalla materia [gli oggetti].




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive > Se l’intelletto agente sia uno solo per tutti


Prima pars
Quaestio 79
Articulus 5

[31754] Iª q. 79 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod intellectus agens sit unus in omnibus. Nihil enim quod est separatum a corpore, multiplicatur secundum multiplicationem corporum. Sed intellectus agens est separatus, ut dicitur in III de anima. Ergo non multiplicatur in multis corporibus hominum, sed est unus in omnibus.

 
Prima parte
Questione 79
Articolo 5

[31754] Iª q. 79 a. 5 arg. 1
SEMBRA che l’intelletto agente sia uno solo per tutti. Infatti:
1. Nessun essere, che sia separato dalla materia, si moltiplica con la moltiplicazione dei corpi. Ora l’intelletto agente è separato, come dice Aristotele. Dunque non si moltiplica secondo il numero dei corpi umani, ma è unico per tutti.

[31755] Iª q. 79 a. 5 arg. 2
Praeterea, intellectus agens facit universale, quod est unum in multis. Sed illud quod est causa unitatis, magis est unum. Ergo intellectus agens est unus in omnibus.

 

[31755] Iª q. 79 a. 5 arg. 2
2. L’intelletto agente produce l’universale, che consiste in un concetto unico per molte cose. Ora, l’ente, che è causa di unità, è unico a più forte ragione. Dunque l’intelletto agente è unico per tutti.

[31756] Iª q. 79 a. 5 arg. 3
Praeterea, omnes homines conveniunt in primis conceptionibus intellectus. His autem assentiunt per intellectum agentem. Ergo conveniunt omnes in uno intellectu agente.

 

[31756] Iª q. 79 a. 5 arg. 3
3. Tutti gli uomini concordano nei primi principii intellettivi. Ora, l’assenso a quei principii viene dato con l’intelletto agente. Tutti perciò concordano in un solo intelletto agente.

[31757] Iª q. 79 a. 5 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in III de anima, quod intellectus agens est sicut lumen. Non autem est idem lumen in diversis illuminatis. Ergo non est idem intellectus agens in diversis hominibus.

 

[31757] Iª q. 79 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Afferma il Filosofo che l’intelletto agente è come la luce. Ora la luce non è identica nei diversi soggetti illuminati. Quindi non è identico l’intelletto agente nei diversi uomini.

[31758] Iª q. 79 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod veritas huius quaestionis dependet ex praemissis. Si enim intellectus agens non esset aliquid animae, sed esset quaedam substantia separata, unus esset intellectus agens omnium hominum. Et hoc intelligunt qui ponunt unitatem intellectus agentis. Si autem intellectus agens sit aliquid animae, ut quaedam virtus ipsius, necesse est dicere quod sint plures intellectus agentes, secundum pluralitatem animarum, quae multiplicantur secundum multiplicationem hominum, ut supra dictum est. Non enim potest esse quod una et eadem virtus numero sit diversarum substantiarum.

 

[31758] Iª q. 79 a. 5 co.
RISPONDO: La soluzione del quesito dipende dall’articolo precedente. Se infatti l’intelletto agente non facesse parte dell’anima, ma fosse una sostanza separata, l’intelletto agente sarebbe unico per tutti gli uomini. Questo è appunto il pensiero di chi ammette l’unità dell’intelletto agente. - Se invece l’intelletto agente fa parte dell’anima, come una sua facoltà, è necessario concludere che gli intelletti agenti sono tanti, quante sono le anime, le quali corrispondono al numero dei singoli uomini, come abbiamo già visto. Non è infatti possibile che un’unica e identica facoltà appartenga a più sostanze.

[31759] Iª q. 79 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod philosophus probat intellectum agentem esse separatum, per hoc quod possibilis est separatus; quia, ut ipse dicit, agens est honorabilius patiente. Intellectus autem possibilis dicitur separatus, quia non est actus alicuius organi corporalis. Et secundum hunc modum etiam intellectus agens dicitur separatus, non quasi sit aliqua substantia separata.

 

[31759] Iª q. 79 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Filosofo prova che l’intelletto agente è separato dal fatto che è separato quello possibile: poiché com’egli dice, "l’agente è superiore al paziente". Ora l’intelletto possibile si dice separato, perché non è l’atto di un organo corporeo. Alla stessa maniera è detto separato anche l’intelletto agente: non già nel senso che esso sia una sostanza separata.

[31760] Iª q. 79 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod intellectus agens causat universale abstrahendo a materia. Ad hoc autem non requiritur quod sit unus in omnibus habentibus intellectum, sed quod sit unus in omnibus secundum habitudinem ad omnia a quibus abstrahit universale, respectu quorum universale est unum. Et hoc competit intellectui agenti inquantum est immaterialis.

 

[31760] Iª q. 79 a. 5 ad 2
2. L’intelletto agente causa l’universale, astraendolo dalla materia. Ora, per far questo, non si richiede che sia unico in tutti quelli che posseggono l’intelletto: ma basta che abbia unità in rapporto a tutti gli oggetti, dai quali astrae l’universale, e rispetto ai quali l’universale è uno. E questo compete all’intelletto agente in forza della sua immaterialità.

[31761] Iª q. 79 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod omnia quae sunt unius speciei, communicant in actione consequente naturam speciei, et per consequens in virtute, quae est actionis principium, non quod sit eadem numero in omnibus. Cognoscere autem prima intelligibilia est actio consequens speciem humanam. Unde oportet quod omnes homines communicent in virtute quae est principium huius actionis, et haec est virtus intellectus agentis. Non tamen oportet quod sit eadem numero in omnibus. Oportet tamen quod ab uno principio in omnibus derivetur. Et sic illa communicatio hominum in primis intelligibilibus, demonstrat unitatem intellectus separati, quem Plato comparat soli; non autem unitatem intellectus agentis, quem Aristoteles comparat lumini.

 

[31761] Iª q. 79 a. 5 ad 3
3. Tutti gli esseri di una medesima specie hanno in comune gli atti, che derivano dalla natura della specie, e per conseguenza anche la facoltà, che è principio di quegli atti: senza però che questa sia unica per tutti. Ora conoscere i primi principii intellettivi è un atto, che deriva dalla specie umana. Bisogna perciò che tutti gli uomini abbiano in comune quella facoltà che ne è il principio: ed essa è la facoltà dell’intelletto agente. Non è necessario tuttavia che essa sia numericamente identica per tutti. - Essa però deve derivare in tutti da un principio unico. Cosicché la concordanza degli uomini nei primi principii dimostra l’unità di quell’intelletto separato, che Platone paragona al sole; non dimostra invece l’unità dell’intelletto agente, che Aristotele paragona alla luce.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive > Se nella parte intellettiva dell’anima ci sia la memoria


Prima pars
Quaestio 79
Articulus 6

[31762] Iª q. 79 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod memoria non sit in parte intellectiva animae. Dicit enim Augustinus, XII de Trin., quod ad partem superiorem animae pertinent quae non sunt hominibus pecoribusque communia. Sed memoria est hominibus pecoribusque communis, dicit enim ibidem quod possunt pecora sentire per corporis sensus corporalia, et ea mandare memoriae. Ergo memoria non pertinet ad partem animae intellectivam.

 
Prima parte
Questione 79
Articolo 6

[31762] Iª q. 79 a. 6 arg. 1
SEMBRA che nella parte intellettiva dell’anima non ci sia la memoria. Infatti:
1. S. Agostino dice che "spettano alla parte superiore dell’anima le facoltà che non sono comuni agli uomini e alle bestie". Ora la memoria è comune agli uomini e alle bestie, tant’è vero che aggiunge nello stesso luogo: "le bestie possono sentire con i sensi del corpo le cose materiali e conservarle nella memoria". Dunque nella parte intellettiva dell’anima non vi è la memoria.

[31763] Iª q. 79 a. 6 arg. 2
Praeterea, memoria praeteritorum est. Sed praeteritum dicitur secundum aliquod determinatum tempus. Memoria igitur est cognoscitiva alicuius sub determinato tempore; quod est cognoscere aliquid sub hic et nunc. Hoc autem non est intellectus, sed sensus. Memoria igitur non est in parte intellectiva, sed solum in parte sensitiva.

 

[31763] Iª q. 79 a. 6 arg. 2
2. La memoria riguarda il passato. Ma il passato è legato a un certo determinato tempo. Dunque la memoria ha una conoscenza delle cose in quanto limitate a un tempo determinato; il che vuol dire conoscere una cosa nelle circostanze di luogo e di tempo. Ora, ciò non appartiene all’intelletto, ma al senso. Dunque la memoria non si trova nella parte intellettiva, ma solo in quella sensitiva.

[31764] Iª q. 79 a. 6 arg. 3
Praeterea, in memoria conservantur species rerum quae actu non cogitantur. Sed hoc non est possibile accidere in intellectu, quia intellectus fit in actu per hoc quod informatur specie intelligibili; intellectum autem esse in actu, est ipsum intelligere in actu; et sic intellectus omnia intelligit in actu, quorum species apud se habet. Non ergo memoria est in parte intellectiva.

 

[31764] Iª q. 79 a. 6 arg. 3
3. Nella memoria sono conservate le immagini delle cose che non sono attualmente pensate. Ma non è possibile che questo fatto avvenga nell’intelletto; perché l’intelletto, dal momento che riceve la forma delle specie intelligibili, diviene attuale; e per l’intelletto essere in atto è la stessa cosa che la sua intellezione in atto. L’intelletto quindi intende attualmente tutte le cose, delle quali possiede le idee. Perciò nella parte intellettiva non vi è la memoria.

[31765] Iª q. 79 a. 6 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, X de Trin., quod memoria, intelligentia et voluntas sunt una mens.

 

[31765] Iª q. 79 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna che "la memoria, l’intelligenza e la volontà sono un’unica mente".

[31766] Iª q. 79 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod, cum de ratione memoriae sit conservare species rerum quae actu non apprehenduntur, hoc primum considerari oportet, utrum species intelligibiles sic in intellectu conservari possint. Posuit enim Avicenna hoc esse impossibile. In parte enim sensitiva dicebat hoc accidere, quantum ad aliquas potentias, inquantum sunt actus organorum corporalium, in quibus conservari possunt aliquae species absque actuali apprehensione. In intellectu autem, qui caret organo corporali, nihil existit nisi intelligibiliter. Unde oportet intelligi in actu illud cuius similitudo in intellectu existit. Sic ergo, secundum ipsum, quam cito aliquis actu desinit intelligere aliquam rem, desinit esse illius rei species in intellectu, sed oportet, si denuo vult illam rem intelligere, quod convertat se ad intellectum agentem, quem ponit substantiam separatam, ut ab illo effluant species intelligibiles in intellectum possibilem. Et ex exercitio et usu convertendi se ad intellectum agentem, relinquitur, secundum ipsum, quaedam habilitas in intellectu possibili convertendi se ad intellectum agentem, quam dicebat esse habitum scientiae. Secundum igitur hanc positionem, nihil conservatur in parte intellectiva, quod non actu intelligatur. Unde non poterit poni memoria in parte intellectiva, secundum hunc modum. Sed haec opinio manifeste repugnat dictis Aristotelis. Dicit enim, in III de anima, quod, cum intellectus possibilis sic fiat singula ut sciens, dicitur qui secundum actum; et quod hoc accidit cum possit operari per seipsum. Est quidem igitur et tunc potentia quodammodo; non tamen similiter ut ante addiscere aut invenire. Dicitur autem intellectus possibilis fieri singula, secundum quod recipit species singulorum. Ex hoc ergo quod recipit species intelligibilium, habet quod possit operari cum voluerit, non autem quod semper operetur, quia et tunc est quodammodo in potentia, licet aliter quam ante intelligere; eo scilicet modo quo sciens in habitu est in potentia ad considerandum in actu. Repugnat etiam praedicta positio rationi. Quod enim recipitur in aliquo, recipitur in eo secundum modum recipientis. Intellectus autem est magis stabilis naturae et immobilis, quam materia corporalis. Si ergo materia corporalis formas quas recipit, non solum tenet dum per eas agit in actu, sed etiam postquam agere per eas cessaverit; multo fortius intellectus immobiliter et inamissibiliter recipit species intelligibiles, sive a sensibilibus acceptas, sive etiam ab aliquo superiori intellectu effluxas. Sic igitur, si memoria accipiatur solum pro vi conservativa specierum, oportet dicere memoriam esse in intellectiva parte. Si vero de ratione memoriae sit quod eius obiectum sit praeteritum, ut praeteritum; memoria in parte intellectiva non erit, sed sensitiva tantum, quae est apprehensiva particularium. Praeteritum enim, ut praeteritum, cum significet esse sub determinato tempore, ad conditionem particularis pertinet.

 

[31766] Iª q. 79 a. 6 co.
RISPONDO: Essendo compito della memoria conservare le immagini delle cose non attualmente percepite, la prima cosa da considerare è se le specie intelligibili si possano conservare in tal modo nell’intelletto. - Avicenna lo riteneva impossibile. Diceva infatti che ciò si verifica nella parte sensitiva per alcune potenze, perché queste sono atti di organi corporei, nei quali si possono conservare delle immagini, senza bisogno di una percezione attuale. Invece nell’intelletto, che manca di organo corporeo, niente esiste se non come cosa pensata. È quindi necessario che sia sempre attualmente conosciuto quell’oggetto, la cui immagine è presente all’intelligenza. - Orbene, secondo Avicenna, non appena uno cessa dall’intellezione attuale di una cosa, subito scompare dal suo intelletto l’immagine di essa; e se vuole pensarla di nuovo, ha bisogno di rivolgersi all’intelletto agente, che egli riteneva fosse una sostanza separata, affinché da esso derivino le specie intelligibili nell’intelletto possibile. Dall’esercizio poi e dall’uso di rivolgersi all’intelletto agente, rimarrebbe, secondo lui, nell’intelletto possibile una certa attitudine a rivolgersi all’intelletto agente, attitudine che egli riteneva fosse l’abito della scienza. - Perciò, secondo questa opinione, niente si conserverebbe nella parte intellettiva, che non sia attualmente pensato. Quindi per questa teoria non si può ammettere la memoria nella parte intellettiva.
Una tale opinione però urta chiaramente contro le parole di Aristotele. Infatti egli scrive che quando l’intelletto possibile "è divenuto tutte le cose, è conoscente come colui che lo è in atto (ciò che avviene quando può passare all’atto da se stesso), e tuttavia anche allora è in qualche modo in potenza, ma non come lo era prima di aver appreso o di aver scoperto". Si afferma cioè che l’intelletto possibile diviene tutte le cose, nel senso che riceve le specie di tutte le cose. Dal fatto dunque di ricevere le specie intelligibili, l’intelletto riceve la capacità di passare all’atto quando vuole, ma non di essere sempre in atto: poiché anche allora è in certo modo in potenza, benché in maniera diversa da prima di intendere; e cioè come colui che avendo un abito conoscitivo, è in potenza all’atto della conoscenza.
Ma la teoria di Avicenna è contraria anche alla ragione. Infatti ciò che viene ricevuto in un subietto, è ricevuto secondo la natura del ricevente. Ora l’intelletto è di natura più stabile e permanente, che la materia dei corpi. Se dunque la materia non soltanto conserva le forme che riceve, ornando attualmente opera per loro mezzo, ma anche quando ha cessato di operare, in maniera molto più immobile e permanente riceverà le specie intelligibili l’intelletto, sia che le riceva attraverso i sensi, sia che gli vengano comunicate da un intelletto superiore. - Perciò, se per memoria intendiamo la sola capacità di conservare delle specie intenzionali, bisogna concludere che essa si trova anche nella parte intellettiva.
Se invece si riduce il concetto di memoria alla facoltà che ha per oggetto il passato in quanto passato, allora la memoria non esiste nella parte intellettiva, ma solo in quella sensitiva, che è fatta per conoscere i singolari. Infatti il passato come tale, indicando l’esistenza [di una cosa] in un determinato tempo, partecipa la natura dei singolari.

[31767] Iª q. 79 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod memoria, secundum quod est conservativa specierum, non est nobis pecoribusque communis. Species enim conservantur non in parte animae sensitiva tantum, sed magis in coniuncto; cum vis memorativa sit actus organi cuiusdam. Sed intellectus secundum seipsum est conservativus specierum, praeter concomitantiam organi corporalis. Unde philosophus dicit, in III de anima, quod anima est locus specierum, non tota, sed intellectus.

 

[31767] Iª q. 79 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La memoria, in quanto capacità di conservare le specie intenzionali, non è comune a noi e alle bestie.
Infatti le specie intenzionali non sono conservate nella sola parte sensitiva dell’anima, ma piuttosto nel composto [di anima e corpo]; poiché la memoria è l’atto di un organo. L’intelletto invece è capace di conservare esso stesso le specie intenzionali, senza l’aiuto di un organo corporeo. Perciò il Filosofo dice che "l’anima è il luogo delle specie, non tutta però, ma l’intelletto".

[31768] Iª q. 79 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod praeteritio potest ad duo referri, scilicet ad obiectum quod cognoscitur; et ad cognitionis actum. Quae quidem duo simul coniunguntur in parte sensitiva, quae est apprehensiva alicuius per hoc quod immutatur a praesenti sensibili, unde simul animal memoratur se prius sensisse in praeterito, et se sensisse quoddam praeteritum sensibile. Sed quantum ad partem intellectivam pertinet, praeteritio accidit, et non per se convenit, ex parte obiecti intellectus. Intelligit enim intellectus hominem, inquantum est homo, homini autem, inquantum est homo, accidit vel in praesenti vel in praeterito vel in futuro esse. Ex parte vero actus, praeteritio per se accipi potest etiam in intellectu, sicut in sensu. Quia intelligere animae nostrae est quidam particularis actus, in hoc vel in illo tempore existens, secundum quod dicitur homo intelligere nunc vel heri vel cras. Et hoc non repugnat intellectualitati, quia huiusmodi intelligere, quamvis sit quoddam particulare, tamen est immaterialis actus, ut supra de intellectu dictum est; et ideo sicut intelligit seipsum intellectus, quamvis ipse sit quidam singularis intellectus, ita intelligit suum intelligere, quod est singularis actus vel in praeterito vel in praesenti vel in futuro existens. Sic igitur salvatur ratio memoriae, quantum ad hoc quod est praeteritorum, in intellectu, secundum quod intelligit se prius intellexisse, non autem secundum quod intelligit praeteritum, prout est hic et nunc.

 

[31768] Iª q. 79 a. 6 ad 2
2. Il passato si può riferire a due termini, cioè all’oggetto conosciuto e all’atto della conoscenza. I due aspetti sono uniti per quanto riguarda la parte sensitiva, la quale percepisce un oggetto, per il fatto che viene a subire una trasmutazione da un oggetto sensibile presente: e difatti l’animale ricorda simultaneamente di avere prima sentito nel passato, e di aver sentito un oggetto sensibile passato. - Invece, per quel che riguarda la parte intellettiva, il passato come passato è soltanto accidentale, e propriamente non interessa dal punto di vista dell’oggetto. Infatti l’intelletto conosce l’uomo in quanto uomo: ora, per l’uomo in quanto tale è pura accidentalità esistere nel presente, nel passato o nel futuro. Invece dal punto di vista dell’atto, si può dire che il passato può riguardare direttamente anche l’intelletto, come il senso. Infatti l’intendere dell’anima nostra è un atto particolare [e concreto], che esiste in questo o in quel tempo, ed è così che l’intellezione di un uomo la diciamo di ora, di ieri o di domani. E questo non ripugna alla natura dell’intelligenza: poiché, sebbene codesta intellezione sia un fatto particolare [e concreto], tuttavia è un atto immateriale, come abbiamo detto sopra, parlando dell’intelletto. Quindi, come l’intelletto intende se stesso, benché sia un intelletto particolare, così intende la propria intellezione, che è un atto particolare, esistente nel passato, nel presente o nel futuro. - Concludendo, nell’intelletto si salva il concetto di memoria come cognizione del passato, in quanto l’intelletto conosce di aver già prima conosciuto o pensato: non [si salva] invece per la conoscenza del passato nelle sue condizioni concrete di tempo e di luogo.

[31769] Iª q. 79 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod species intelligibilis aliquando est in intellectu in potentia tantum, et tunc dicitur intellectus esse in potentia. Aliquando autem secundum ultimam completionem actus, et tunc intelligit actu. Aliquando medio modo se habet inter potentiam et actum, et tunc dicitur esse intellectus in habitu. Et secundum hunc modum intellectus conservat species, etiam quando actu non intelligit.

 

[31769] Iª q. 79 a. 6 ad 3
3. Qualche volta la specie intelligibile si trova solo potenzialmente nell’intelletto: e allora si dice che l’intelletto è in potenza. A volte poi si trova nell’intelletto in tutta la perfezione dell’atto: e allora l’intelletto intende attualmente. Altre volte è come in uno stadio intermedio tra la potenza e l’atto: e allora si dice che l’intelletto ha una conoscenza abituale. Proprio in questa maniera l’intelletto conserva le specie intenzionali, anche quando attualmente non le pensa.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive > Se la memoria intellettiva sia una potenza distinta dall’intelletto


Prima pars
Quaestio 79
Articulus 7

[31770] Iª q. 79 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod alia potentia sit memoria intellectiva, et alia intellectus. Augustinus enim, in X de Trin., ponit in mente memoriam, intelligentiam et voluntatem. Manifestum est autem quod memoria est alia potentia a voluntate. Ergo similiter est alia ab intellectu.

 
Prima parte
Questione 79
Articolo 7

[31770] Iª q. 79 a. 7 arg. 1
SEMBRA che la memoria intellettiva sia una potenza distinta dall’intelletto. Infatti:
1. S. Agostino pone nella mente "la memoria, l’intelligenza e la volontà". Ora, è chiaro che la memoria è una potenza distinta dalla volontà. Dunque lo sarà pure dall’intelletto.

[31771] Iª q. 79 a. 7 arg. 2
Praeterea, eadem ratio distinctionis est potentiarum sensitivae partis et intellectivae. Sed memoria in parte sensitiva est alia potentia a sensu, ut supra dictum est. Ergo memoria partis intellectivae est alia potentia ab intellectu.

 

[31771] Iª q. 79 a. 7 arg. 2
2. Le potenze della parte sensitiva e quelle della parte intellettiva si distinguono per gli stessi motivi. Ora, la memoria della parte sensitiva è una potenza distinta dal senso, come abbiamo già visto. Perciò anche la memoria della parte intellettiva è una potenza distinta dall’intelletto.

[31772] Iª q. 79 a. 7 arg. 3
Praeterea, secundum Augustinum, memoria, intelligentia et voluntas sunt sibi invicem aequalia, et unum eorum ab alio oritur. Hoc autem esse non posset, si memoria esset eadem potentia cum intellectu. Non est ergo eadem potentia.

 

[31772] Iª q. 79 a. 7 arg. 3
3. Secondo S. Agostino, la memoria, l’intelligenza e la volontà sono uguali tra loro, e l’una di esse nasce dall’altra. Ora questo non sarebbe possibile, se la memoria si identificasse con l’intelletto. Non sono quindi la stessa potenza.

[31773] Iª q. 79 a. 7 s. c.
Sed contra, de ratione memoriae est, quod sit thesaurus vel locus conservativus specierum. Hoc autem philosophus, in III de anima, attribuit intellectui, ut dictum est. Non ergo in parte intellectiva est alia potentia memoria ab intellectu.

 

[31773] Iª q. 79 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: È proprio della memoria essere il recettacolo o il luogo, dove si conservano le specie intenzionali. Ora, il Filosofo attribuisce questo compito all’intelletto, come si è visto sopra. Perciò nella parte intellettiva la memoria non è distinta dall’intelletto.

[31774] Iª q. 79 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, potentiae animae distinguuntur secundum diversas rationes obiectorum; eo quod ratio cuiuslibet potentiae consistit in ordine ad id ad quod dicitur, quod est eius obiectum. Dictum est etiam supra quod, si aliqua potentia secundum propriam rationem ordinetur ad aliquod obiectum secundum communem rationem obiecti, non diversificabitur illa potentia secundum diversitates particularium differentiarum, sicut potentia visiva, quae respicit suum obiectum secundum rationem colorati, non diversificatur per diversitatem albi et nigri. Intellectus autem respicit suum obiectum secundum communem rationem entis; eo quod intellectus possibilis est quo est omnia fieri. Unde secundum nullam differentiam entium, diversificatur differentia intellectus possibilis. Diversificatur tamen potentia intellectus agentis, et intellectus possibilis, quia respectu eiusdem obiecti, aliud principium oportet esse potentiam activam, quae facit obiectum esse in actu; et aliud potentiam passivam, quae movetur ab obiecto in actu existente. Et sic potentia activa comparatur ad suum obiectum, ut ens in actu ad ens in potentia, potentia autem passiva comparatur ad suum obiectum e converso, ut ens in potentia ad ens in actu. Sic igitur nulla alia differentia potentiarum in intellectu esse potest, nisi possibilis et agentis. Unde patet quod memoria non est alia potentia ab intellectu, ad rationem enim potentiae passivae pertinet conservare, sicut et recipere.

 

[31774] Iª q. 79 a. 7 co.
RISPONDO: Come abbiamo detto sopra, le potenze dell’anima si distinguono secondo le ragioni [formali] dei loro oggetti; poiché la natura di ogni potenza consiste nella relazione al proprio oggetto.
Abbiamo anche detto che, se una potenza è, per la sua natura, ordinata a un oggetto considerato sotto un aspetto universale, essa non va soggetta a suddivisioni in base alle diversità delle differenze particolari; così la potenza visiva, che dice ordine al suo oggetto in quanto colorato, non va soggetta a differenze in forza della distinzione tra il bianco e il nero. Ora, l’intelletto dice ordine al suo oggetto sotto l’aspetto universale di ente; poiché l’intelletto possibile è la facoltà "capace di divenire tutte le cose". Perciò nessuna delle differenze esistenti nelle cose può causare una diversità nell’intelletto possibile.
Tuttavia la facoltà dell’intelletto possibile è diversa dall’intelletto agente; poiché, in rapporto a un medesimo oggetto, la potenza attiva, che attua l’oggetto, deve essere un principio diverso dalla potenza passiva, che è mossa dal suo oggetto già esistente in atto.
E quindi la potenza attiva dice ordine al suo oggetto, come un ente in atto all’ente in potenza; viceversa la potenza passiva dice ordine al suo oggetto, come un ente in potenza all’ente in atto.
Or dunque nell’intelletto non vi può essere altra distinzione di potenze, che quella tra l’intelletto possibile e quello agente. È chiaro perciò che la memoria non è una potenza diversa dall’intelletto: dato che la funzione di conservare, come quella di ricevere, spettano ugualmente a una potenza passiva.

[31775] Iª q. 79 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, quamvis in III dist. I Sent. dicatur quod memoria, intelligentia et voluntas sint tres vires; tamen hoc non est secundum intentionem Augustini, qui expresse dicit in XIV de Trin., quod si accipiatur memoria, intelligentia et voluntas, secundum quod semper praesto sunt animae, sive cogitentur sive non cogitentur, ad solam memoriam pertinere videntur. Intelligentiam autem nunc dico qua intelligimus cogitantes; et eam voluntatem, sive amorem vel dilectionem, quae istam prolem parentemque coniungit. Ex quo patet quod ista tria non accipit Augustinus pro tribus potentiis; sed memoriam accipit pro habituali animae retentione, intelligentiam autem pro actu intellectus, voluntatem autem pro actu voluntatis.

 

[31775] Iª q. 79 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene alla distinzione del I libro delle Sentenze si dica che la memoria, l’intelligenza e la volontà, sono tre facoltà; tuttavia ciò non corrisponde al pensiero di S. Agostino, il quale dichiara espressamente che "se si prendono la memoria, l’intelligenza e la volontà, in quanto sono sempre presenti all’anima, sia che si pensi sia che non si pensi ad esse, allora tutte si presentano come appartenenti alla sola memoria. Per intelligenza poi in questo caso io intendo la virtù con la quale intendiamo quando pensiamo; e per volontà, ossia amore o dilezione, quella che ricongiunge questo figlio a suo padre". Di qui risulta che S. Agostino non prende queste tre cose come tre facoltà; ma intende per memoria la presenza abituale dell’anima, per intelligenza l’atto dell’intelletto, e per volontà l’atto della volontà.

[31776] Iª q. 79 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod praeteritum et praesens possunt esse propriae differentiae potentiarum sensitivarum diversificativae; non autem potentiarum intellectivarum, ratione supra dicta.

 

[31776] Iª q. 79 a. 7 ad 2
2. Il passato e il presente possono essere differenze, che impongono delle vere distinzioni tra le potenze sensitive; ma non tra quelle intellettive, per la ragione sopra indicata.

[31777] Iª q. 79 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod intelligentia oritur ex memoria, sicut actus ex habitu. Et hoc modo etiam aequatur ei; non autem sicut potentia potentiae.

 

[31777] Iª q. 79 a. 7 ad 3
3. L’intelligenza nasce dalla memoria, come l’atto dall’abito. In questo sono alla pari; ma non come due potenze distinte.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive > Se la ragione sia una potenza distinta dall’intelletto


Prima pars
Quaestio 79
Articulus 8

[31778] Iª q. 79 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod ratio sit alia potentia ab intellectu. In libro enim de spiritu et anima dicitur, cum ab inferioribus ad superiora ascendere volumus, prius occurrit nobis sensus, deinde imaginatio, deinde ratio, deinde intellectus. Est ergo alia potentia ratio ab intellectu, sicut imaginatio a ratione.

 
Prima parte
Questione 79
Articolo 8

[31778] Iª q. 79 a. 8 arg. 1
SEMBRA che la ragione sia una potenza distinta dall’intelletto. Infatti:
1. Sta scritto nel libro De spiritu et anima: "Quando vogliamo salire dalle cose inferiori a quelle superiori, incontriamo prima il senso, poi l’immaginazione, quindi la ragione e infine l’intelletto".
Perciò la ragione è distinta dall’intelletto, come l’immaginazione dalla ragione.

[31779] Iª q. 79 a. 8 arg. 2
Praeterea, Boetius dicit, in libro de Consol., quod intellectus comparatur ad rationem sicut aeternitas ad tempus. Sed non est eiusdem virtutis esse in aeternitate et esse in tempore. Ergo non est eadem potentia ratio et intellectus.

 

[31779] Iª q. 79 a. 8 arg. 2
2. Dice Boezio che l’intelletto sta alla ragione, come l’eternità sta al tempo. Ma una stessa facoltà non può trovarsi insieme nella eternità e nel tempo. Dunque la ragione e l’intelletto non sono l’identica potenza.

[31780] Iª q. 79 a. 8 arg. 3
Praeterea, homo communicat cum Angelis in intellectu, cum brutis vero in sensu. Sed ratio, quae est propria hominis, qua animal rationale dicitur, est alia potentia a sensu. Ergo pari ratione est alia potentia ab intellectu, qui proprie convenit Angelis, unde et intellectuales dicuntur.

 

[31780] Iª q. 79 a. 8 arg. 3
3. L’uomo ha in comune con gli angeli l’intelletto, con gli animali il senso. Ma la ragione, che è proprietà dell’uomo, e per la quale è definito animale ragionevole, è una potenza distinta dal senso. Quindi, per lo stesso motivo, è una potenza distinta dall’intelletto, che propriamente appartiene agli angeli: tanto che sono chiamati [creature] intellettuali.

[31781] Iª q. 79 a. 8 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, III super Gen. ad Litt., quod illud quo homo irrationabilibus animalibus antecellit, est ratio, vel mens, vel intelligentia, vel si quo alio vocabulo commodius appellatur. Ratio ergo et intellectus et mens sunt una potentia.

 

[31781] Iª q. 79 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino che "quello, su cui è fondata la superiorità dell’uomo sugli animali irragionevoli, è la ragione, ossia la mente, o l’intelligenza, o comunque si preferisca chiamarla".
Perciò la ragione, l’intelletto e la mente, sono una sola potenza.

[31782] Iª q. 79 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod ratio et intellectus in homine non possunt esse diversae potentiae. Quod manifeste cognoscitur, si utriusque actus consideretur. Intelligere enim est simpliciter veritatem intelligibilem apprehendere. Ratiocinari autem est procedere de uno intellecto ad aliud, ad veritatem intelligibilem cognoscendam. Et ideo Angeli, qui perfecte possident, secundum modum suae naturae, cognitionem intelligibilis veritatis, non habent necesse procedere de uno ad aliud; sed simpliciter et absque discursu veritatem rerum apprehendunt, ut Dionysius dicit, VII cap. de Div. Nom. Homines autem ad intelligibilem veritatem cognoscendam perveniunt, procedendo de uno ad aliud, ut ibidem dicitur, et ideo rationales dicuntur. Patet ergo quod ratiocinari comparatur ad intelligere sicut moveri ad quiescere, vel acquirere ad habere, quorum unum est perfecti, aliud autem imperfecti. Et quia motus semper ab immobili procedit, et ad aliquid quietum terminatur; inde est quod ratiocinatio humana, secundum viam inquisitionis vel inventionis, procedit a quibusdam simpliciter intellectis, quae sunt prima principia; et rursus, in via iudicii, resolvendo redit ad prima principia, ad quae inventa examinat. Manifestum est autem quod quiescere et moveri non reducuntur ad diversas potentias, sed ad unam et eandem, etiam in naturalibus rebus, quia per eandem naturam aliquid movetur ad locum, et quiescit in loco. Multo ergo magis per eandem potentiam intelligimus et ratiocinamur. Et sic patet quod in homine eadem potentia est ratio et intellectus.

 

[31782] Iª q. 79 a. 8 co.
RISPONDO: Non è possibile che la ragione e l’intelletto siano nell’uomo due potenze distinte. Cosa questa chiaramente percepita da chi consideri i loro atti. Infatti intendere non significa altro che percepire una verità di ordine intellettivo. Ragionare invece significa procedere da una conoscenza a un’altra, nel conoscere la verità. Quindi gli angeli, i quali posseggono perfettamente, nel modo confacente alla loro natura, la conoscenza della verità, non hanno necessità di procedere da un conoscibile all’altro, ma apprendono la verità delle cose in modo semplice e senza processo discorsivo, come dice Dionigi. Gli uomini invece arrivano alla conoscenza della verità, procedendo da una cosa a un’altra, come scrive ancora Dionigi: e per questo sono denominati ragionevoli. E dunque evidente che il ragionamento sta all’intellezione, come il moto sta al riposo [già conseguito], o come l’acquisizione sta al possesso: l’una cosa appartiene all’essere perfetto, l’altra a quello imperfetto. E poiché il moto procede sempre da qualche cosa di immobile per terminare a qualche cosa di fisso, abbiamo che il raziocinare umano, secondo il metodo di indagine o di invenzione, parte da semplici intuizioni, quali sono i primi principii; e finalmente ritorna [col metodo deduttivo o] per via di giudizio ai primi principii, alla cui luce esamina le conclusioni raggiunte.
È chiaro però, anche nel mondo fisico, che il fermarsi e il muoversi non appartengono a potenze diverse, ma a una sola: poiché è identico il principio intrinseco che porta una cosa a muoversi verso un luogo e a star ferma in esso. A più forte ragione dunque è identica la potenza, con la quale intendiamo e con la quale ragioniamo. È perciò evidente che nell’uomo si identificano la ragione e l’intelletto.

[31783] Iª q. 79 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod illa enumeratio fit secundum ordinem actuum, non secundum distinctionem potentiarum. Quamvis liber ille non sit magnae auctoritatis.

 

[31783] Iª q. 79 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quella enumerazione è fatta secondo l’ordine degli atti, e non in base alla distinzione delle potenze. Si noti però che quel libro non ha una grande importanza.

[31784] Iª q. 79 a. 8 ad 2
Ad secundum patet responsio ex dictis. Aeternitas enim comparatur ad tempus, sicut immobile ad mobile. Et ideo Boetius comparavit intellectum aeternitati, rationem vero tempori.

 

[31784] Iª q. 79 a. 8 ad 2
2. La risposta scaturisce dalle spiegazioni date. Infatti l’eternità si paragona al tempo, come l’immobilità alla mobilità. Per questo Boezio paragonò l’intelligenza all’eternità, e la ragione al tempo.

[31785] Iª q. 79 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod alia animalia sunt ita infra hominem, quod non possunt attingere ad cognoscendam veritatem, quam ratio inquirit. Homo vero attingit ad cognoscendam intelligibilem veritatem, quam Angeli cognoscunt; sed imperfecte. Et ideo vis cognoscitiva Angelorum non est alterius generis a vi cognoscitiva rationis, sed comparatur ad ipsam ut perfectum ad imperfectum.

 

[31785] Iª q. 79 a. 8 ad 3
3. Gli altri animali sono talmente inferiori all’uomo, da non poter arrivare a conoscere la verità ricercata dalla ragione. Invece l’uomo arriva a conoscere, sebbene in modo imperfetto, la verità di ordine intellettivo posseduta dagli angeli. Perciò la facoltà conoscitiva degli angeli non è di un genere diverso dalla facoltà conoscitiva della ragione, ma sta in rapporto ad essa come una qualità perfetta sta a quella imperfetta.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive > Se la ragione superiore e quella inferiore siano potenze distinte


Prima pars
Quaestio 79
Articulus 9

[31786] Iª q. 79 a. 9 arg. 1
Ad nonum sic proceditur. Videtur quod ratio superior et inferior sint diversae potentiae. Dicit enim Augustinus, XII de Trin., quod imago Trinitatis est in superiori parte rationis, non autem in inferiori. Sed partes animae sunt ipsae eius potentiae. Ergo duae potentiae sunt ratio superior et inferior.

 
Prima parte
Questione 79
Articolo 9

[31786] Iª q. 79 a. 9 arg. 1
SEMBRA che la ragione superiore e quella inferiore siano potenze distinte. Infatti:
1. Dice S. Agostino che l’immagine della Trinità si trova nella parte superiore della ragione, non in quella inferiore. Ora le parti dell’anima non sono altro che le sue potenze. Dunque la ragione superiore e quella inferiore sono due potenze.

[31787] Iª q. 79 a. 9 arg. 2
Praeterea, nihil oritur a seipso. Sed ratio inferior oritur a superiori, et ab ea regulatur et dirigitur. Ergo ratio superior est alia potentia ab inferiori.

 

[31787] Iª q. 79 a. 9 arg. 2
2. Nessuna entità ha origine da se stessa. Ma la ragione inferiore nasce da quella superiore, da cui è regolata e diretta. Perciò la ragione superiore è una potenza diversa da quella inferiore.

[31788] Iª q. 79 a. 9 arg. 3
Praeterea, philosophus dicit, in VI Ethic., quod scientificum animae quo cognoscit anima necessaria, est aliud principium et alia pars animae ab opinativo et ratiocinativo, quo cognoscit contingentia. Et hoc probat per hoc, quia ad ea quae sunt genere altera, altera genere particula animae ordinatur; contingens autem et necessarium sunt altera genere, sicut corruptibile et incorruptibile. Cum autem idem sit necessarium quod aeternum, et temporale idem quod contingens; videtur quod idem sit quod philosophus vocat scientificum, et superior pars rationis, quae secundum Augustinum intendit aeternis conspiciendis et consulendis; et quod idem sit quod philosophus vocat ratiocinativum vel opinativum, et inferior ratio, quae secundum Augustinum intendit temporalibus disponendis. Est ergo alia potentia animae ratio superior, et ratio inferior.

 

[31788] Iª q. 79 a. 9 arg. 3
3. Afferma il Filosofo che il "potere scientifico" dell’anima, per il quale essa conosce le verità necessarie, è un principio e una parte dell’anima, ben distinta dal "potere opinativo e raziocinativo", col quale essa conosce le cose contingenti. E lo prova col dire che "per gli oggetti, che sono di un genere differente, vi è una parte dell’anima di genere differente". Ora contingente e necessario sono cose di genere diverso, come corruttibile e incorruttibile. E siccome il necessario si identifica con l’eterno, e ciò che è temporale con il contingente, pare che ci sia identità tra quello, che il Filosofo chiama "potere scientifico", e la parte superiore della ragione che per S. Agostino "è ordinata a contemplare e consultare le verità eterne"; e sembra pure che sia la stessa cosa ciò che il Filosofo chiama "potere raziocinativo", oppure "opinativo", e la ragione inferiore, che per S. Agostino "è chiamata a ordinare le cose temporali". Quindi la ragione superiore dell’anima e la ragione inferiore sono potenze distinte.

[31789] Iª q. 79 a. 9 arg. 4
Praeterea, Damascenus dicit quod ex imaginatione fit opinio; deinde mens, diiudicans opinionem sive vera sit sive falsa, diiudicat veritatem; unde et mens dicitur a metiendo. De quibus igitur iudicatum est iam et determinatum vere, dicitur intellectus. Sic igitur opinativum, quod est ratio inferior, est aliud a mente et intellectu, per quod potest intelligi ratio superior.

 

[31789] Iª q. 79 a. 9 arg. 4
4. Dice il Damasceno che "dall’immaginazione nasce l’opinione; dipoi la mente, che è fatta per giudicare se un’opinione sia vera o falsa, discerne la verità; mente infatti deriva da metiri [misurare]. Quando perciò intorno alle cose si è già formato un giudizio e stabilita una vera conclusione si parla di intelletto". Dunque la facoltà di opinare, che poi è la ragione inferiore, è diversa dalla mente o intelletto, che potremmo chiamare ragione superiore.

[31790] Iª q. 79 a. 9 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, XII de Trin., quod ratio superior et inferior non nisi per officia distinguuntur. Non ergo sunt duae potentiae.

 

[31790] Iª q. 79 a. 9 s. c.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino che la ragione superiore e quella inferiore non si distinguono che per le loro funzioni. Non sono quindi due potenze.

[31791] Iª q. 79 a. 9 co.
Respondeo dicendum quod ratio superior et inferior, secundum quod ab Augustino accipiuntur, nullo modo duae potentiae animae esse possunt. Dicit enim quod ratio superior est quae intendit aeternis conspiciendis aut consulendis, conspiciendis quidem, secundum quod ea in seipsis speculatur; consulendis vero, secundum quod ex eis accipit regulas agendorum. Ratio vero inferior ab ipso dicitur, quae intendit temporalibus rebus. Haec autem duo, scilicet temporalia et aeterna, comparantur ad cognitionem nostram hoc modo, quod unum eorum est medium ad cognoscendum alterum. Nam secundum viam inventionis, per res temporales in cognitionem devenimus aeternorum, secundum illud apostoli, ad Rom. I, invisibilia Dei per ea quae facta sunt, intellecta, conspiciuntur, in via vero iudicii, per aeterna iam cognita de temporalibus iudicamus, et secundum rationes aeternorum temporalia disponimus. Potest autem contingere quod medium, et id ad quod per medium pervenitur, ad diversos habitus pertineant, sicut principia prima indemonstrabilia pertinent ad habitum intellectus, conclusiones vero ex his deductae ad habitum scientiae. Et ideo ex principiis geometriae contingit aliquid concludere in alia scientia, puta in perspectiva. Sed eadem potentia rationis est, ad quam pertinet et medium et ultimum. Est enim actus rationis quasi quidam motus de uno in aliud perveniens, idem autem est mobile quod pertransiens medium pertingit ad terminum. Unde una et eadem potentia rationis est ratio superior et inferior. Sed distinguuntur, secundum Augustinum, per officia actuum, et secundum diversos habitus, nam superiori rationi attribuitur sapientia, inferiori vero scientia.

 

[31791] Iª q. 79 a. 9 co.
RISPONDO: Ragione superiore e ragione inferiore, come le intende S. Agostino, in nessun modo possono essere due potenze. Infatti egli dice che la ragione superiore è quella "che è ordinata a contemplare e a consultare le verità eterne": a contemplarle in quanto le considera in se stesse; a consultarle, in quanto ricava da esse le regole dell’agire. Invece la ragione inferiore è, a suo dire, la facoltà che si applica a disporre delle cose temporali". Ora questi due gruppi di cose, le temporali e le eterne, rispetto alla nostra conoscenza si presentano in questo rapporto, che l’uno di essi è il mezzo per conoscere l’altro. Infatti, seguendo la via della indagine, mediante le cose temporali arriviamo alla conoscenza delle cose eterne, secondo il detto dell’Apostolo: "Le perfezioni invisibili di Dio, comprendendosi dalle cose fatte, si rendono visibili": seguendo invece la via del giudizio, mediante le verità eterne già conosciute giudichiamo delle cose temporali, e in base ai valori eterni le ordiniamo.
Può accadere però che la nozione la quale ha servito da mezzo, e quella che è il termine a cui siamo arrivati col suo aiuto, appartengano ad abiti diversi; così i pruni principii indimostrabili appartengono all’abito dell’intelletto, mentre le conclusioni che ne derivano appartengono all’abito della scienza. Così pure avviene che dai principii della geometria si passa a tirare delle conclusioni nel campo di un’altra scienza, p. es., della prospettiva. - Ma identica rimane la facoltà della ragione, che abbraccia il medio dimostrativo e la conclusione. Infatti l’atto della ragione è come un movimento, che passa da una conoscenza a un’altra; ora identico deve essere il mobile, che, attraversando lo spazio intermedio, giunge al termine. Perciò la ragione superiore e quella inferiore non sono che un’unica e identica potenza. Si distinguono però, secondo S. Agostino, per le funzioni dei loro atti e in base ai loro diversi abiti: infatti alla ragione superiore è attribuita la sapienza, a quella inferiore la scienza.

[31792] Iª q. 79 a. 9 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod secundum quamcumque rationem partitionis potest pars dici. Inquantum ergo ratio dividitur secundum diversa officia, ratio superior et inferior partitiones dicuntur, et non quia sunt diversae potentiae.

 

[31792] Iª q. 79 a. 9 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La parola parte si può usare per qualsiasi specie di partizione. Quindi si può parlare di ragione superiore e inferiore come di parti, in quanto la ragione si divide secondo le diverse funzioni, non perché quelle siano potenze distinte.

[31793] Iª q. 79 a. 9 ad 2
Ad secundum dicendum quod ratio inferior dicitur a superiori deduci, vel ab ea regulari, inquantum principia quibus utitur inferior ratio, deducuntur et diriguntur a principiis superioris rationis.

 

[31793] Iª q. 79 a. 9 ad 2
2. Si dice che la ragione inferiore deriva dalla superiore ed è da quella regolata, perché i principii di cui si serve la ragione inferiore sono dedotti e regolati dai principii della ragione superiore.

[31794] Iª q. 79 a. 9 ad 3
Ad tertium dicendum quod scientificum de quo philosophus loquitur non est idem quod ratio superior, nam necessaria scibilia inveniuntur etiam in rebus temporalibus, de quibus est scientia naturalis et mathematica. Opinativum autem et ratiocinativum in minus est quam ratio inferior, quia est contingentium tantum. Nec tamen est simpliciter dicendum quod sit alia potentia qua intellectus cognoscit necessaria, et alia qua cognoscit contingentia, quia utraque cognoscit secundum eandem rationem obiecti, scilicet secundum rationem entis et veri. Unde et necessaria, quae habent perfectum esse in veritate, perfecte cognoscit; utpote ad eorum quidditatem pertingens, per quam propria accidentia de his demonstrat. Contingentia vero imperfecte cognoscit; sicut et habent imperfectum esse et veritatem. Perfectum autem et imperfectum in actu non diversificant potentiam; sed diversificant actus quantum ad modum agendi, et per consequens principia actuum et ipsos habitus. Et ideo philosophus posuit duas particulas animae, scientificum et ratiocinativum, non quia sunt duae potentiae; sed quia distinguuntur secundum diversam aptitudinem ad recipiendum diversos habitus, quorum diversitatem ibi inquirere intendit. Contingentia enim et necessaria, etsi differant secundum propria genera, conveniunt tamen in communi ratione entis, quam respicit intellectus, ad quam diversimode se habent secundum perfectum et imperfectum.

 

[31794] Iª q. 79 a. 9 ad 3
3. Il potere "scientifico", di cui parla il Filosofo, non corrisponde alla ragione superiore: poiché si trovano nozioni scientifiche anche necessarie nelle cose temporali, di cui si occupano le scienze naturali e la matematica. Invece il "potere opinativo" o "raziocinativo" è qualche cosa di meno che la ragione inferiore: perché abbraccia solo le cose contingenti.
Tuttavia non si deve concludere così che altra è la potenza, con la quale l’intelletto conosce le cose necessarie, e altra quella con la quale conosce le cose contingenti, perché conosce le une e le altre secondo una medesima ragione di oggetto, cioè secondo la ragione di ente e di vero. Quindi conosce perfettamente le cose necessarie, che sono perfette nella verità; in quanto che percepisce la loro essenza, e in base a quella dimostra le loro proprietà. Invece conosce imperfettamente le cose contingenti; appunto perché queste hanno un essere imperfetto e una verità imperfetta. Ora perfezione e imperfezione nell’atto non possono produrre una distinzione tra le potenze. Ma producono delle differenze tra gli atti quanto al loro modo di agire, e indirettamente tra i principii degli atti e tra gli stessi abiti. Perciò il Filosofo distinse due parti nell’anima, il "potere scientifico" e il "raziocinativo", non perché siano due potenze, ma perché ai distinguono in base a un’attitudine diversa a ricevere abiti diversi; e della loro diversità egli si occupa in quel luogo.
Infatti gli enti contingenti e quelli necessari, benché differiscano nel genere, tuttavia concordano nella ragione comune di ente, che è oggetto dell’intelletto e verso la quale essi rispettivamente si comportano come perfezione e imperfezione.

[31795] Iª q. 79 a. 9 ad 4
Ad quartum dicendum quod illa distinctio Damasceni est secundum diversitatem actuum, non secundum diversitatem potentiarum. Opinio enim significat actum intellectus qui fertur in unam partem contradictionis cum formidine alterius. Diiudicare vero, vel mensurare, est actus intellectus applicantis principia certa ad examinationem propositorum. Et ex hoc sumitur nomen mentis. Intelligere autem est cum quadam approbatione diiudicatis inhaerere.

 

[31795] Iª q. 79 a. 9 ad 4
4. La distinzione del Damasceno è basata sulla diversità degli atti, non su quella delle potenze. Infatti l’opinione indica l’atto dell’intelletto, che si porta verso una proposizione, col timore che sia vera la sua contraddittoria. Giudicare poi, o misurare è l’atto dell’intelletto che applica principii certi alla critica [o misura] delle tesi proposte. Di qui il termine mente. L’intellezione, infine, indica l’adesione del giudicante, unita a una certa approvazione.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive > Se l’intelligenza sia una potenza distinta dall’intelletto


Prima pars
Quaestio 79
Articulus 10

[31796] Iª q. 79 a. 10 arg. 1
Ad decimum sic proceditur. Videtur quod intelligentia sit alia potentia ab intellectu. Dicitur enim in libro de spiritu et anima, quod cum ab inferioribus ad superiora ascendere volumus, prius occurrit nobis sensus, deinde imaginatio, deinde ratio, postea intellectus, et postea intelligentia. Sed imaginatio et sensus sunt diversae potentiae. Ergo et intellectus et intelligentia.

 
Prima parte
Questione 79
Articolo 10

[31796] Iª q. 79 a. 10 arg. 1
SEMBRA che l’intelligenza sia una potenza distinta dall’intelletto. Infatti:
1. Sta scritto nel libro De spiritu et anima: "Quando vogliamo salire dalle cose inferiori a quelle superiori, troviamo prima il senso, poi l’immaginazione, quindi la ragione, l’intelletto, e infine l’intelligenza". Ora l’immaginazione e il senso sono due potenze distinte. Dunque anche l’intelletto e l’intelligenza.

[31797] Iª q. 79 a. 10 arg. 2
Praeterea, Boetius dicit, in V de Consol., quod ipsum hominem aliter sensus, aliter imaginatio, aliter ratio, aliter intelligentia intuetur. Sed intellectus est eadem potentia cum ratione. Ergo videtur quod intelligentia sit alia potentia quam intellectus; sicut ratio est alia potentia quam imaginatio et sensus.

 

[31797] Iª q. 79 a. 10 arg. 2
2. Secondo Boezio, "l’uomo stesso è conosciuto diversamente dal senso, dall’immaginazione, dalla ragione e dall’intelligenza". Ma l’intelletto e la ragione sono una stessa potenza. Quindi sembra che l’intelligenza sia una potenza distinta dall’intelletto; al modo stesso che la ragione è una potenza distinta dall’immaginazione e dal senso.

[31798] Iª q. 79 a. 10 arg. 3
Praeterea, actus sunt praevii potentiis, ut dicitur in II de anima. Sed intelligentia est quidam actus ab aliis actibus qui attribuuntur intellectui divisus. Dicit enim Damascenus quod primus motus intelligentia dicitur; quae vero circa aliquid est intelligentia, intentio vocatur; quae permanens et figurans animam ad id quod intelligitur, excogitatio dicitur; excogitatio vero in eodem manens, et seipsam examinans et diiudicans, phronesis dicitur (idest sapientia); phronesis autem dilatata facit cogitationem, idest interius dispositum sermonem; ex quo aiunt provenire sermonem per linguam enarratum. Ergo videtur quod intelligentia sit quaedam specialis potentia.

 

[31798] Iª q. 79 a. 10 arg. 3
3. Aristotele insegna che "gli atti antecedono le potenze". Ora l’intelligenza è un atto distinto dagli altri atti che vengono attribuiti all’intelletto. Infatti dice il Damasceno che "il primo moto [dello spirito] è chiamato intelligenza; e se l’intelligenza si volge a un oggetto, si ha l’intenzione; se questa è prolungata e configura l’anima conforme all’oggetto inteso, si chiama investigazione [excogitatio]; le investigazioni poi che si fanno sul soggetto medesimo per esaminare e per discernere, si chiamano fronesi (cioè sapienza); la fronesi estendendosi produce il pensiero [cogitatio], cioè la parola ulteriore ben ordinata; e da questo si dice che deriva la parola espressa dalla lingua". Sembra dunque che l’intelligenza sia una speciale potenza.

[31799] Iª q. 79 a. 10 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in III de anima, quod intelligentia indivisibilium est, in quibus non est falsum. Sed huiusmodi cognoscere pertinet ad intellectum. Ergo intelligentia non est alia potentia praeter intellectum.

 

[31799] Iª q. 79 a. 10 s. c.
IN CONTRARIO: Secondo il Filosofo "l’intelligenza è cognizione degli indivisibili, nei quali non vi è falsità". Ma una tale conoscenza spetta all’intelletto. Dunque l’intelligenza non è una potenza distinta dall’intelletto.

[31800] Iª q. 79 a. 10 co.
Respondeo dicendum quod hoc nomen intelligentia proprie significat ipsum actum intellectus qui est intelligere. In quibusdam tamen libris de Arabico translatis, substantiae separatae quas nos Angelos dicimus, intelligentiae vocantur; forte propter hoc, quod huiusmodi substantiae semper actu intelligunt. In libris tamen de Graeco translatis, dicuntur intellectus seu mentes. Sic ergo intelligentia ab intellectu non distinguitur sicut potentia a potentia; sed sicut actus a potentia. Invenitur enim talis divisio etiam a philosophis. Quandoque enim ponunt quatuor intellectus, scilicet intellectum agentem, possibilem, et in habitu, et adeptum. Quorum quatuor intellectus agens et possibilis sunt diversae potentiae; sicut et in omnibus est alia potentia activa, et alia passiva. Alia vero tria distinguuntur secundum tres status intellectus possibilis, qui quandoque est in potentia tantum, et sic dicitur possibilis; quandoque autem in actu primo, qui est scientia, et sic dicitur intellectus in habitu; quandoque autem in actu secundo, qui est considerare, et sic dicitur intellectus in actu, sive intellectus adeptus.

 

[31800] Iª q. 79 a. 10 co.
RISPONDO: Il termine intelligenza significa propriamente l’atto stesso dell’intelletto, che è l’intendere. Però in certi libri, tradotti dall’arabo, sono chiamate Intelligenze le sostanze separate, che noi chiamiamo angeli; per la ragione forse che tali sostanze sono sempre intelligenti in atto. Ma nei libri tradotti dal greco gli angeli sono chiamati Intelletti o Menti. - Dunque l’intelligenza non si distingue dall’intelletto, come potenza da potenza, ma come un atto dalla sua facoltà. Una tale divisione la troviamo anche presso i filosofi. A volte infatti essi distinguono quattro intelletti: intelletto agente, intelletto possibile, intelletto "abituale" e intelletto acquisito [adeptus]. Dei quattro soltanto l’intelletto agente e quello possibile sono potenze distinte, poiché in ogni ordine di cose la potenza attiva è distinta da quella passiva. Gli altri tre si distinguono secondo i tre stati dell’intelletto possibile; il quale a volte è soltanto in potenza, e allora si chiama possibile; a volte è in atto primo, cioè ha la scienza, e viene detto intelletto "abituale"; finalmente altre volte è in atto secondo, cioè pensa, e allora si chiama intelletto in atto, o intelletto acquisito [adeptus].

[31801] Iª q. 79 a. 10 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, si recipi debet illa auctoritas, intelligentia ponitur pro actu intellectus. Et sic dividitur contra intellectum, sicut actus contra potentiam.

 

[31801] Iª q. 79 a. 10 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ammesso che sia da accettarsi l’autorità di quel testo, intelligenza sta per l’atto dell’intelletto. In tal senso essa si contraddistingue dall’intelletto, come un atto dalla sua potenza.

[31802] Iª q. 79 a. 10 ad 2
Ad secundum dicendum quod Boetius accipit intelligentiam pro actu intellectus qui transcendit actum rationis. Unde ibidem dicit quod ratio tantum humani generis est, sicut intelligentia sola divini, proprium enim Dei est quod absque omni investigatione omnia intelligat.

 

[31802] Iª q. 79 a. 10 ad 2
2. Boezio prende intelligenza per quell’atto dell’intelletto che trascende l’atto della ragione. Perciò soggiunge che "la ragione appartiene soltanto al genere umano, come l’intelligenza alla sola Divinità": infatti appartiene solo a Dio conoscere tutto, senza nessuna investigazione.

[31803] Iª q. 79 a. 10 ad 3
Ad tertium dicendum quod omnes illi actus quos Damascenus enumerat, sunt unius potentiae, scilicet intellectivae. Quae primo quidem simpliciter aliquid apprehendit, et hic actus dicitur intelligentia. Secundo vero, id quod apprehendit, ordinat ad aliquid aliud cognoscendum vel operandum, et hic vocatur intentio. Dum vero persistit in inquisitione illius quod intendit, vocatur excogitatio. Dum vero id quod est excogitatum examinat ad aliqua certa, dicitur scire vel sapere; quod est phronesis, vel sapientiae, nam sapientiae est iudicare, ut dicitur in I Metaphys. Ex quo autem habet aliquid pro certo, quasi examinatum, cogitat quomodo possit illud aliis manifestare, et haec est dispositio interioris sermonis; ex qua procedit exterior locutio. Non enim omnis differentia actuum potentias diversificat; sed solum illa quae non potest reduci in idem principium, ut supra dictum est.

 

[31803] Iª q. 79 a. 10 ad 3
3. Tutti gli atti enumerati dal Damasceno appartengono a una unica potenza, cioè a quella intellettiva. Questa infatti dapprima ha la semplice apprensione di una cosa: e tale atto si chiama intelligenza. Quindi ordina l’apprensione avuta a un’altra conoscenza o ad un’operazione: e tale atto si chiama intenzione. Il persistere nell’indagine suddetta si chiama investigazione [excogitatio]. Ma se [l’intelletto] esamina la materia investigata alla luce di verità certe, allora si dice che conosce o che sa: il che è proprio della fronesi o sapienza; poiché "giudicare appartiene al sapiente", come dice Aristotele. Dal fatto poi di ritenere una cosa come certa, perché esaminata, si pensa al modo per manifestarla agli altri: e questo è ordinamento della parola interiore, dal quale procede la locuzione esterna. Infatti non ogni differenza di atti causa una distinzione di potenze, ma soltanto quella che non può essere ricondotta a un identico principio, come più sopra si è spiegato.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive > Se l’intelletto speculativo e quello pratico siano potenze distinte


Prima pars
Quaestio 79
Articulus 11

[31804] Iª q. 79 a. 11 arg. 1
Ad undecimum sic proceditur. Videtur quod intellectus speculativus et practicus sint diversae potentiae. Apprehensivum enim et motivum sunt diversa genera potentiarum, ut patet in II de anima. Sed intellectus speculativus est apprehensivus tantum, intellectus autem practicus est motivus. Ergo sunt diversae potentiae.

 
Prima parte
Questione 79
Articolo 11

[31804] Iª q. 79 a. 11 arg. 1
SEMBRA che l’intelletto speculativo e quello pratico siano potenze distinte. Infatti:
1. La facoltà di conoscere e quella di muovere sono due generi diversi di potenze. Ora, l’intelletto speculativo è soltanto conoscitivo, mentre l’intelletto pratico muove all’azione. Sono dunque potenze distinte.

[31805] Iª q. 79 a. 11 arg. 2
Praeterea, diversa ratio obiecti diversificat potentiam. Sed obiectum speculativi intellectus est verum, practici autem bonum; quae differunt ratione. Ergo intellectus speculativus et practicus sunt diversae potentiae.

 

[31805] Iª q. 79 a. 11 arg. 2
2. La diversa ragione di oggetto, produce una diversità di potenze. Ora oggetto dell’intelletto speculativo è il vero, di quello pratico invece è il bene: [vero e bene] che sono oggetti diversi. Perciò i due intelletti sono due potenze.

[31806] Iª q. 79 a. 11 arg. 3
Praeterea, in parte intellectiva intellectus practicus comparatur ad speculativum, sicut aestimativa ad imaginativam in parte sensitiva. Sed aestimativa differt ab imaginativa sicut potentia a potentia, ut supra dictum est. Ergo et intellectus practicus a speculativo.

 

[31806] Iª q. 79 a. 11 arg. 3
3. Nella parte intellettiva l’intelletto pratico sta a quello speculativo, come nella parte sensitiva l’estimativa sta all’immaginazione. Ora l’estimativa e l’immaginazione, a norma di quanto si è detto, differiscono tra loro come due potenze. Così sarà lo stesso per l’intelletto pratico e quello speculativo.

[31807] Iª q. 79 a. 11 s. c.
Sed contra est quod dicitur in III de anima, quod intellectus speculativus per extensionem fit practicus. Una autem potentia non mutatur in aliam. Ergo intellectus speculativus et practicus non sunt diversae potentiae.

 

[31807] Iª q. 79 a. 11 s. c.
IN CONTRARIO: Insegna Aristotele che l’intelletto speculativo, per estensione diviene pratico. Ora una potenza non si muta mai in un’altra. Quindi l’intelletto speculativo e quello pratico non sono potenze distinte.

[31808] Iª q. 79 a. 11 co.
Respondeo dicendum quod intellectus practicus et speculativus non sunt diversae potentiae. Cuius ratio est quia, ut supra dictum est, id quod accidentaliter se habet ad obiecti rationem quam respicit aliqua potentia, non diversificat potentiam, accidit enim colorato quod sit homo, aut magnum aut parvum; unde omnia huiusmodi eadem visiva potentia apprehenduntur. Accidit autem alicui apprehenso per intellectum, quod ordinetur ad opus, vel non ordinetur. Secundum hoc autem differunt intellectus speculativus et practicus. Nam intellectus speculativus est, qui quod apprehendit, non ordinat ad opus, sed ad solam veritatis considerationem, practicus vero intellectus dicitur, qui hoc quod apprehendit, ordinat ad opus. Et hoc est quod philosophus dicit in III de anima, quod speculativus differt a practico, fine. Unde et a fine denominatur uterque, hic quidem speculativus, ille vero practicus, idest operativus.

 

[31808] Iª q. 79 a. 11 co.
RISPONDO: L’intelletto speculativo e quello pratico non sono due potenze distinte. Eccone la ragione: un elemento, che è accidentale rispetto all’oggetto formale di una potenza, non può, come si è già detto, influire sulla distinzione delle potenze stesse: così per il colorato è un’accidentalità essere uomo, oppure essere grande o piccolo; perciò tutte queste cose sono percepite da un’identica potenza visiva. Ora, per un oggetto percepito dall’intelligenza è un’accidentalità l’essere o non essere indirizzato all’operazione. Ma è proprio in questo che differiscono tra loro l’intelletto speculativo e quello pratico. Infatti l’intelletto speculativo è quello che non indirizza le sue conoscenze all’azione, ma alla sola contemplazione della verità; invece è chiamato pratico quell’intelletto che ordina le sue conoscenze all’operazione. Ecco perché il Filosofo afferma che "lo speculativo differisce dal pratico per ragione del fine". Difatti entrambi prendono il nome dal fine: speculativo il primo, pratico, cioè operativo, il secondo.

[31809] Iª q. 79 a. 11 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod intellectus practicus est motivus, non quasi exequens motum, sed quasi dirigens ad motum. Quod convenit ei secundum modum suae apprehensionis.

 

[31809] Iª q. 79 a. 11 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L’intelletto pratico si dice che muove non perché eseguisce un movimento, ma perché indirizza verso di esso. Cosa questa che gli appartiene in forza del suo modo di conoscere.

[31810] Iª q. 79 a. 11 ad 2
Ad secundum dicendum quod verum et bonum se invicem includunt, nam verum est quoddam bonum, alioquin non esset appetibile; et bonum est quoddam verum, alioquin non esset intelligibile. Sicut igitur obiectum appetitus potest esse verum, inquantum habet rationem boni, sicut cum aliquis appetit veritatem cognoscere; ita obiectum intellectus practici est bonum ordinabile ad opus, sub ratione veri. Intellectus enim practicus veritatem cognoscit, sicut et speculativus; sed veritatem cognitam ordinat ad opus.

 

[31810] Iª q. 79 a. 11 ad 2
2. Il vero e il bene si implicano a vicenda: poiché il vero è anche un bene, altrimenti non sarebbe appetibile; così pure il bene è anche un certo vero, altrimenti non sarebbe intelligibile. Come dunque il vero può essere oggetto dell’appetito in quanto è un bene, quando, p. es., uno desidera di conoscere la verità, così sotto l’aspetto di vero può essere oggetto dell’intelletto pratico un bene, ordinabile all’azione. Infatti l’intelletto pratico ha per oggetto la verità, come quello speculativo; ma la indirizza all’attività pratica.

[31811] Iª q. 79 a. 11 ad 3
Ad tertium dicendum quod multae differentiae diversificant sensitivas potentias, quae non diversificant potentias intellectivas, ut supra dictum est.

 

[31811] Iª q. 79 a. 11 ad 3
3. Molte differenze, pur causando delle distinzioni tra le potenze sensitive, non ne producono alcuna in quelle intellettive, come si è visto.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive > Se la sinderesi sia una potenza speciale, distinta dalle altre


Prima pars
Quaestio 79
Articulus 12

[31812] Iª q. 79 a. 12 arg. 1
Ad duodecimum sic proceditur. Videtur quod synderesis sit quaedam specialis potentia ab aliis distincta. Ea enim quae cadunt sub una divisione, videntur esse unius generis. Sed in Glossa Hieronymi Ezech. I, dividitur synderesis contra irascibilem et concupiscibilem et rationalem; quae sunt quaedam potentiae. Ergo synderesis est quaedam potentia.

 
Prima parte
Questione 79
Articolo 12

[31812] Iª q. 79 a. 12 arg. 1
SEMBRA che la sinderesi sia una potenza speciale, distinta dalle altre. Infatti:
1. Le parti di una medesima divisione [logica] appartengono a un medesimo genere. Ora, per S. Girolamo, la sinderesi si contraddistingue dall’irascibile, dal concupiscibile e dal razionale; e queste sono potenze. Dunque anche la sinderesi è una potenza.

[31813] Iª q. 79 a. 12 arg. 2
Praeterea, opposita sunt unius generis. Sed synderesis et sensualitas opponi videntur, quia synderesis semper inclinat ad bonum, sensualitas autem semper ad malum; unde per serpentem significatur, ut patet per Augustinum, XII de Trin. Videtur ergo quod synderesis sit potentia, sicut et sensualitas.

 

[31813] Iª q. 79 a. 12 arg. 2
2. Gli opposti appartengono a uno stesso genere. Ma è chiaro che la sinderesi e la sensualità sono tra loro opposte; poiché la sinderesi inclina sempre al bene, mentre la sensualità inclina sempre al male; tanto che viene simboleggiata dal serpente, come dice S. Agostino. Sembra perciò che la sinderesi sia una potenza, come la sensualità.

[31814] Iª q. 79 a. 12 arg. 3
Praeterea, Augustinus dicit, in libro de libero arbitrio, quod in naturali iudicatorio adsunt quaedam regulae et semina virtutum et vera et incommutabilia, haec autem dicimus synderesim. Cum ergo regulae incommutabiles quibus iudicamus, pertineant ad rationem secundum sui superiorem partem, ut Augustinus dicit XII de Trin.; videtur quod synderesis sit idem quod ratio. Et ita est quaedam potentia.

 

[31814] Iª q. 79 a. 12 arg. 3
3. Dice S. Agostino che nel giudizio spontaneo e naturale vi sono "delle verità immutabili, delle regole e semi di virtù": cioè quello che chiamiamo sinderesi. Ma poiché le regole immutabili del nostro giudizio appartengono alla parte superiore della ragione, come dice pure S. Agostino, è chiaro che la sinderesi non è altro che la ragione stessa. Quindi è una potenza.

[31815] Iª q. 79 a. 12 s. c.
Sed contra, potentiae rationales se habent ad opposita, secundum philosophum. Synderesis autem non se habet ad opposita, sed ad bonum tantum inclinat. Ergo synderesis non est potentia. Si enim esset potentia, oporteret quod esset rationalis potentia, non enim invenitur in brutis.

 

[31815] Iª q. 79 a. 12 s. c.
IN CONTRARIO: Secondo il Filosofo "le potenze razionali sono capaci di accogliere oggetti opposti". Ora la sinderesi non ha questa capacità, ma inclina soltanto al bene. Dunque non è una potenza.
Perché se fosse una potenza, dovrebbe essere razionale: infatti non la ritroviamo negli animali bruti.

[31816] Iª q. 79 a. 12 co.
Respondeo dicendum quod synderesis non est potentia, sed habitus, licet quidam posuerint synderesim esse quandam potentiam ratione altiorem; quidam vero dixerint eam esse ipsam rationem, non ut est ratio, sed ut est natura. Ad huius autem evidentiam, considerandum est quod, sicut supra dictum est, ratiocinatio hominis, cum sit quidam motus, ab intellectu progreditur aliquorum, scilicet naturaliter notorum absque investigatione rationis, sicut a quodam principio immobili, et ad intellectum etiam terminatur, inquantum iudicamus per principia per se naturaliter nota, de his quae ratiocinando invenimus. Constat autem quod, sicut ratio speculativa ratiocinatur de speculativis, ita ratio practica ratiocinatur de operabilibus. Oportet igitur naturaliter nobis esse indita, sicut principia speculabilium, ita et principia operabilium. Prima autem principia speculabilium nobis naturaliter indita, non pertinent ad aliquam specialem potentiam; sed ad quendam specialem habitum, qui dicitur intellectus principiorum, ut patet in VI Ethic. Unde et principia operabilium nobis naturaliter indita, non pertinent ad specialem potentiam; sed ad specialem habitum naturalem, quem dicimus synderesim. Unde et synderesis dicitur instigare ad bonum, et murmurare de malo, inquantum per prima principia procedimus ad inveniendum, et iudicamus inventa. Patet ergo quod synderesis non est potentia, sed habitus naturalis.

 

[31816] Iª q. 79 a. 12 co.
RISPONDO: La sinderesi non è una potenza, ma un abito: benché alcuni l’abbiano ritenuta per una potenza più alta della ragione; ed altri l’abbiano identificata con la ragione, non in quanto è ragione, ma in quanto è natura. - Per averne l’evidenza dobbiamo considerare, e si è già detto sopra, che il raziocinio umano, essendo una specie di moto, parte dalla conoscenza di alcune verità, che sono note per natura senza il lavoro investigativo della ragione, come da un principio immobile; così pure ha il suo termine in qualche cosa di intuitivo, per il fatto che giudichiamo delle cose conosciute attraverso il raziocinio, alla luce dei principii evidenti per natura.
Ora è chiaro che, come l’intelletto speculativo ragiona delle cose speculative, così l’intelletto pratico tratta delle cose operabili. E dunque necessario che siano insiti in noi per natura non solo i principii di ordine speculativo, ma anche quelli di ordine pratico.
Ora, i primi principii della vita speculativa, insiti in noi per natura, non appartengono a una speciale potenza, ma a un particolare abito chiamato da Aristotele "intelletto dei principii". Dunque neppure i principii della vita pratica, insiti in noi per natura, appartengono a una speciale potenza, ma a uno speciale abito naturale chiamato sinderesi. Perciò si dice che la sinderesi spinge al bene e mormora del male, perché mediante i primi principii noi procediamo nell’indagine [del bene da compiere] e giudichiamo dei risultati. E dunque evidente che la sinderesi non è una potenza, ma un abito naturale.

[31817] Iª q. 79 a. 12 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod illa divisio Hieronymi attenditur secundum diversitatem actuum, non secundum diversitatem potentiarum. Diversi autem actus possunt esse unius potentiae.

 

[31817] Iª q. 79 a. 12 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L’enumerazione di S. Girolamo è desunta dalla diversità, non delle potenze, ma degli atti. Ora si possono dare atti diversi di una stessa potenza.

[31818] Iª q. 79 a. 12 ad 2
Ad secundum dicendum quod similiter oppositio sensualitatis et synderesis attenditur secundum oppositionem actuum; non sicut diversarum specierum unius generis.

 

[31818] Iª q. 79 a. 12 ad 2
2. Parimente, l’opposizione tra sensualità e sinderesi è basata sull’opposizione degli atti, non sulla diversità di specie distinte nel medesimo genere.

[31819] Iª q. 79 a. 12 ad 3
Ad tertium dicendum quod huiusmodi incommutabiles rationes sunt prima principia operabilium, circa quae non contingit errare; et attribuuntur rationi sicut potentiae, et synderesi sicut habitui. Unde et utroque, scilicet ratione et synderesi, naturaliter iudicamus.

 

[31819] Iª q. 79 a. 12 ad 3
3. Siffatte ragioni immutabili sono i primi principii della vita pratica, intorno ai quali non può esserci errore; ed essi vengono attribuiti alla ragione, come a potenza, e alla sinderesi, come ad abito.
Ecco perché noi giudichiamo naturalmente con ambedue, cioè con la ragione e con la sinderesi.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > Le potenze intellettive > Se la coscienza sia una facoltà


Prima pars
Quaestio 79
Articulus 13

[31820] Iª q. 79 a. 13 arg. 1
Ad tertiumdecimum sic proceditur. Videtur quod conscientia sit quaedam potentia. Dicit enim Origenes quod conscientia est spiritus corrector et paedagogus animae sociatus, quo separatur a malis et adhaeret bonis. Sed spiritus in anima nominat potentiam aliquam, vel ipsam mentem, secundum illud Ephes. IV, renovamini spiritu mentis vestrae; vel ipsam imaginationem; unde et imaginaria visio spiritualis vocatur, ut patet per Augustinum, XII super Gen. ad Litt. Est ergo conscientia quaedam potentia.

 
Prima parte
Questione 79
Articolo 13

[31820] Iª q. 79 a. 13 arg. 1
SEMBRA che la coscienza sia una facoltà. Infatti:
1. Dice Origene che la coscienza "è lo spirito correttore e il pedagogo che accompagna l’anima, per allontanarla dal male e affezionarla al bene". Ora la parola spirito designa nell’anima una potenza; oppure la mente stessa, come in quel passo: "Rinnovatevi nello spirito della vostra mente"; oppure l’immaginazione, dato che la visione immaginaria è detta anche "spirituale", come troviamo in S. Agostino. La coscienza è dunque una facoltà.

[31821] Iª q. 79 a. 13 arg. 2
Praeterea, nihil est peccati subiectum nisi potentia animae. Sed conscientia est subiectum peccati, dicitur enim ad Tit. I, de quibusdam, quod inquinatae sunt eorum mens et conscientia. Ergo videtur quod conscientia sit potentia.

 

[31821] Iª q. 79 a. 13 arg. 2
2. Soggetto del peccato non può essere che una facoltà dell’anima. Ma la coscienza è soggetto del peccato; poiché sta scritto di alcuni, che "si è contaminata in loro anche la mente e la coscienza". Pare quindi che la coscienza sia una facoltà.

[31822] Iª q. 79 a. 13 arg. 3
Praeterea, necesse est quod conscientia sit vel actus, vel habitus, vel potentia. Sed non est actus, quia non semper maneret in homine. Nec est habitus, non enim esset unum quid conscientia, sed multa; per multos enim habitus cognoscitivos dirigimur in agendis. Ergo conscientia est potentia.

 

[31822] Iª q. 79 a. 13 arg. 3
3. E necessario che la coscienza sia un atto, un abito, o una facoltà. Ora, essa non è un atto: perché non sarebbe permanente nell’uomo. Non è un abito: perché in tal caso la coscienza non sarebbe dotata di unità, ma sarebbe un insieme di cose; infatti noi facciamo uso di molti abiti conoscitivi nelle nostre azioni. Dunque la coscienza è una facoltà.

[31823] Iª q. 79 a. 13 s. c.
Sed contra, conscientia deponi potest, non autem potentia. Ergo conscientia non est potentia.

 

[31823] Iª q. 79 a. 13 s. c.
IN CONTRARIO: La coscienza può esser messa da parte, non così le potenze; quindi essa non è una potenza.

[31824] Iª q. 79 a. 13 co.
Respondeo dicendum quod conscientia, proprie loquendo, non est potentia, sed actus. Et hoc patet tum ex ratione nominis, tum etiam ex his quae secundum communem usum loquendi, conscientiae attribuuntur. Conscientia enim, secundum proprietatem vocabuli, importat ordinem scientiae ad aliquid, nam conscientia dicitur cum alio scientia. Applicatio autem scientiae ad aliquid fit per aliquem actum. Unde ex ista ratione nominis patet quod conscientia sit actus. Idem autem apparet ex his quae conscientiae attribuuntur. Dicitur enim conscientia testificari, ligare vel instigare, et etiam accusare vel remordere sive reprehendere. Et haec omnia consequuntur applicationem alicuius nostrae cognitionis vel scientiae ad ea quae agimus. Quae quidem applicatio fit tripliciter. Uno modo, secundum quod recognoscimus aliquid nos fecisse vel non fecisse, secundum illud Eccle. VII, scit conscientia tua te crebro maledixisse aliis, et secundum hoc, conscientia dicitur testificari. Alio modo applicatur secundum quod per nostram conscientiam iudicamus aliquid esse faciendum vel non faciendum, et secundum hoc, dicitur conscientia instigare vel ligare. Tertio modo applicatur secundum quod per conscientiam iudicamus quod aliquid quod est factum, sit bene factum vel non bene factum, et secundum hoc, conscientia dicitur excusare vel accusare, seu remordere. Patet autem quod omnia haec consequuntur actualem applicationem scientiae ad ea quae agimus. Unde proprie loquendo, conscientia nominat actum. Quia tamen habitus est principium actus, quandoque nomen conscientiae attribuitur primo habitui naturali, scilicet synderesi, sicut Hieronymus, in Glossa Ezech. I, synderesim conscientiam nominat; et Basilius naturale iudicatorium; et Damascenus dicit quod est lex intellectus nostri. Consuetum enim est quod causae et effectus per invicem nominentur.

 

[31824] Iª q. 79 a. 13 co.
RISPONDO: A parlare propriamente, la coscienza non è una facoltà, ma un atto. Questo si rileva, sia dal significato della parola, sia da quelle funzioni che sono ad essa attribuite nel comune modo di parlare. Coscienza, infatti, stando al significato proprio della parola, include un ordine della conoscenza a qualche cosa; infatti coscientia deriva da cum alio scientia [scienza unita ad altro]. Ora ci vuole un atto per applicare la scienza a qualche cosa. Quindi, stando al significato della parola, è chiaro che la coscienza è un atto.
Lo stesso si ricava dalle funzioni che si attribuiscono alla coscienza. Infatti si dice che la coscienza attesta, impedisce, incita, così pure che accusa, rimorde o riprende. Tutto questo proviene dall’applicazione di una nostra cognizione o scienza alle nostre azioni. L’applicazione avviene in tre modi. Primo, riconoscendo di aver fatto o di non aver fatto un’azione, secondo quel detto della Scrittura: "Sa invero la tua coscienza che spesso tu pure hai sparlato degli altri". In questo, caso diciamo che la coscienza attesta.
Secondo, giudicando con la nostra coscienza di dover fare o di non dover fare una data cosa: e in tal caso si dice che la coscienza incita, o che rattiene. Terzo, giudicando con la coscienza che una data azione sia stata fatta bene o male: in questo caso si dice che essa scusa, oppure che accusa o rimorde. Ma è evidente che tutte queste cose dipendono dall’applicazione attuale della scienza alle nostre azioni. Dunque, a parlare propriamente, la coscienza indica un atto.
Ma siccome l’abito è il principio [immediato] dell’atto, a volte il termine coscienza si attribuisce al primo abito naturale, cioè alla sinderesi: così fanno S. Girolamo, che la chiama appunto sinderesi; S. Basilio, che la chiama criterio naturale; e il Damasceno che la considera come la legge della nostra intelligenza. Infatti si usa denominare gli effetti con i nomi delle loro cause, e viceversa.

[31825] Iª q. 79 a. 13 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod conscientia dicitur spiritus, secundum quod spiritus pro mente ponitur, quia est quoddam mentis dictamen.

 

[31825] Iª q. 79 a. 13 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La coscienza viene chiamata spirito, in quanto spirito sta per mente, poiché la coscienza è come un dettame della mente.

[31826] Iª q. 79 a. 13 ad 2
Ad secundum dicendum quod inquinatio dicitur esse in conscientia, non sicut in subiecto, sed sicut cognitum in cognitione, inquantum scilicet aliquis scit se esse inquinatum.

 

[31826] Iª q. 79 a. 13 ad 2
2. La contaminazione si trova nella coscienza non come nel suo subietto, ma come una cosa conosciuta si trova nella conoscenza, in quanto cioè uno sa di essere contaminato.

[31827] Iª q. 79 a. 13 ad 3
Ad tertium dicendum quod actus, etsi non semper maneat in se, semper tamen manet in sua causa, quae est potentia et habitus. Habitus autem ex quibus conscientia informatur, etsi multi sint, omnes tamen efficaciam habent ab uno primo, scilicet ab habitu primorum principiorum, qui dicitur synderesis. Unde specialiter hic habitus interdum conscientia nominatur, ut supra dictum est.

 

[31827] Iª q. 79 a. 13 ad 3
3. Sebbene l’atto non sia sempre permanente in se stesso, tuttavia perdura sempre nelle sue cause, che sono la potenza e l’abito.
E benché siano molti gli abiti, da cui è influenzata la coscienza, pure traggono tutti l’efficacia da un primo abito, cioè dall’abito dei primi principii, che è chiamato sinderesi. Ecco perché questo abito in modo speciale viene talvolta chiamato coscienza, come abbiamo spiegato.

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